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lunedì 7 ottobre 2024

Lettera del Papa ai cattolici del Medio Oriente: martoriati da guerre fatte dai potenti, sono con voi

 

Cari fratelli e sorelle,

penso a voi e prego per voi. Desidero raggiungervi in questo giorno triste. Un anno fa è divampata la miccia dell’odio; non si è spenta, ma è deflagrata in una spirale di violenza, nella vergognosa incapacità della comunità internazionale e dei Paesi più potenti di far tacere le armi e di mettere fine alla tragedia della guerra. Il sangue scorre, come le lacrime; la rabbia aumenta, insieme alla voglia di vendetta, mentre pare che a pochi interessi ciò che più serve e che la gente vuole: dialogo, pace. Non mi stanco di ripetere che la guerra è una sconfitta, che le armi non costruiscono il futuro ma lo distruggono, che la violenza non porta mai pace. La storia lo dimostra, eppure anni e anni di conflitti sembrano non aver insegnato nulla.

E voi, fratelli e sorelle in Cristo che dimorate nei Luoghi di cui più parlano le Scritture, siete un piccolo gregge inerme, assetato di pace. Grazie per quello che siete, grazie perché volete rimanere nelle vostre terre, grazie perché sapete pregare e amare nonostante tutto. Siete un seme amato da Dio. E come un seme, apparentemente soffocato dalla terra che lo ricopre, sa sempre trovare la strada verso l’alto, verso la luce, per portare frutto e dare vita, così voi non vi lasciate inghiottire dall’oscurità che vi circonda ma, piantati nelle vostre sacre terre, diventate germogli di speranza, perché la luce della fede vi porta a testimoniare l’amore mentre si parla d’odio, l’incontro mentre dilaga lo scontro, l’unità mentre tutto volge alla contrapposizione.

Con cuore di padre mi rivolgo a voi, popolo santo di Dio; a voi, figli delle vostre antiche Chiese, oggi “martiriali”; a voi, semi di pace nell’inverno della guerra; a voi che credete in Gesù «mite e umile di cuore» (Mt 11,29) e in Lui diventate testimoni della forza di una pace non armata.

Gli uomini oggi non sanno trovare la pace e noi cristiani non dobbiamo stancarci di chiederla a Dio. Perciò oggi ho invitato tutti a vivere una giornata di preghiera e digiuno. Preghiera e digiuno sono le armi dell’amore che cambiano la storia, le armi che sconfiggono il nostro unico vero nemico: lo spirito del male che fomenta la guerra, perché è «omicida fin da principio», «menzognero e padre della menzogna» (Gv 8,44). Per favore, dedichiamo tempo alla preghiera e riscopriamo la potenza salvifica del digiuno!

Ho nel cuore una cosa che voglio dire a voi, fratelli e sorelle, ma anche a tutti gli uomini e le donne di ogni confessione e religione che in Medio Oriente soffrono per la follia della guerra: vi sono vicino, sono con voi.

Sono con voi, abitanti di Gaza, martoriati e allo stremo, che siete ogni giorno nei miei pensieri e nelle mie preghiere.

Sono con voi, forzati a lasciare le vostre case, ad abbandonare la scuola e il lavoro, a vagare in cerca di una meta per scappare dalle bombe.

Sono con voi, madri che versate lacrime guardando i vostri figli morti o feriti, come Maria vedendo Gesù; con voi, piccoli che abitate le grandi terre del Medio Oriente, dove le trame dei potenti vi tolgono il diritto di giocare.

Sono con voi, che avete paura ad alzare lo sguardo in alto, perché dal cielo piove fuoco.

Sono con voi, che non avete voce, perché si parla tanto di piani e strategie, ma poco della situazione concreta di chi patisce la guerra, che i potenti fanno fare agli altri; su di loro, però, incombe l’indagine inflessibile di Dio (cfr Sap 6,8).

Sono con voi, assetati di pace e di giustizia, che non vi arrendete alla logica del male e nel nome di Gesù «amate i vostri nemici e pregate per quelli che vi perseguitano» (Mt 5,44).

Grazie a voi, figli della pace, perché consolate il cuore di Dio, ferito dal male dell’uomo. E grazie a quanti, in tutto il mondo, vi aiutano; a loro, che curano in voi Cristo affamato, ammalato, forestiero, abbandonato, povero e bisognoso, chiedo di continuare a farlo con generosità. E grazie, fratelli vescovi e sacerdoti, che portate la consolazione di Dio nelle solitudini umane. Vi prego di guardare al popolo santo che siete chiamati a servire e a lasciarvi toccare il cuore, lasciando, per amore dei vostri fedeli, ogni divisione e ambizione.

Fratelli e sorelle in Gesù, vi benedico e vi abbraccio con affetto, di cuore. La Madonna, Regina della pace, vi custodisca. San Giuseppe, Patrono della Chiesa, vi protegga.

Fraternamente,

FRANCESCO 

Roma, San Giovanni in Laterano, 7 ottobre 2024. 

https://www.vatican.va/content/francesco/it/letters/2024/documents/20241007-lettera-cattolici-mediooriente.html


Un appello per un'immediata azione umanitaria internazionale in Libano del Patriarca Siro Ortodosso Mor Ignatius Aphrem II


7 ottobre, un anno dopo. Patriarca Sabbah: sarà pace solo se avrà fine la tragedia palestinese

FIDES, 5 ottobre 2024

La catastrofe che travolge la Terra Santa e tutto il Medio Oriente «non è iniziata il 7 ottobre 2023». I cicli di violenza che hanno generato il tragico presente vissuto anche nella terra di Gesù «sono stati infiniti, iniziati nel 1917, raggiungendo il picco nel 1948 e nel 1967, continuando da allora fino a oggi». Adesso la rabbiosa rappresaglia della forza militare israeliana «può distruggere e portare morte», ma «non può portare alla sicurezza di cui gli israeliani hanno bisogno», Perché la pace potrà tornare «solo quando la tragedia del popolo palestinese avrà fine».

Sono parole irrigate di lucido realismo, di dolore e nel contempo di speranza “contro ogni speranza” quelle raccolte nel documento-appello diffuso dal Patriarca emerito di Gerusalemme dei Latini Michel Sabbah e dai membri del gruppo “Christian Reflection” a un anno dalle stragi compiute da Hamas contro ebrei israeliani il 7 ottobre 2023, eccidio che ha aperto il nuovo vortice di morte e annientamento che risucchia interi popoli e trascina il mondo intero verso il baratro della guerra globale.

La “Christian Reflection” di Gerusalemme è un gruppo di cristiani di Terra Santa - sacerdoti, religiosi e laici - raccolti intorno al Patriarca emerito Sabbah per condividere riflessioni sul ruolo dei cristiani davanti al conflitto e nella società. Proprio ai fratelli e alle sorelle nella fede in Cristo il documento firmato dal Patriarca emerito Sabbah pone questioni decisive: «Come cristiani» si legge nel testo, intitolato “Mantenere viva la speranza” «ci troviamo di fronte anche ad altri dilemmi: questa è una guerra in cui siamo semplicemente spettatori passivi? Dove ci collochiamo in questo conflitto, presentato troppo spesso come una lotta tra ebrei e musulmani, tra Israele, da una parte, e Hamas e Hezbollah sostenuti dall'Iran, dall'altra? Questa è una guerra di religione? Dovremmo rintanarci nella precaria sicurezza delle nostre comunità cristiane, isolandoci da ciò che sta accadendo intorno a noi? Dobbiamo semplicemente guardare e pregare in disparte, sperando che questa guerra alla fine passi?»

“Stiamo fissando l’oscurità”

Dopo un anno di guerra incessante, «mentre il ciclo della morte continua inarrestabile» il Patriarca Sabbah e i membri del gruppo di riflessione avvertono l’urgenza ««di cercare la speranza che deriva dalla nostra fede», mentre ammettono di essere «esausti, paralizzati dal dolore e dalla paura. Stiamo fissando l’oscurità», mentre «la nostra amata Terra Santa e l'intera regione vengono ridotte in rovina» e «ogni giorno piangiamo le decine di migliaia di uomini, donne e bambini che sono stati uccisi o feriti, soprattutto a Gaza, ma anche in Cisgiordania, Israele, Libano e oltre, in Siria, Yemen, Iraq e Iran». A Gaza - prosegue la tragica descrizione dei fatti «case, scuole, ospedali, interi quartieri sono ora cumuli di macerie. Malattie, fame e disperazione regnano sovrane». £ in tutto questo - si chiedono gli autori del documento - «il sogno sionista di una casa sicura per gli ebrei in uno stato ebraico chiamato Israele ha portato sicurezza agli ebrei?».

Latitanza internazionale

«Incredibilmente» annotano il Patriarca Sabbah e i membri di Christian Reflection «la comunità internazionale guarda quasi impassibile. Le richieste di cessate il fuoco, ponendo fine alla devastazione, vengono ripetute senza alcun tentativo significativo di frenare coloro che stanno scatenando il caos. Armi di distruzione di massa e mezzi per commettere crimini contro l'umanità confluiscono nella regione».
Se la Comunità internazionale latita - prosegue il documento - i cristiani, pur nella loro inermità e esiguità numerica, sono chiamati a essere fiduciosi nella Resurrezione di Cristo anche nella situazione tragica presente.

Quella in atto - insiste il documento - «non è una guerra di religione. E dobbiamo schierarci attivamente, dalla parte della giustizia e della pace, della libertà e dell'uguaglianza. Dobbiamo stare al fianco di tutti coloro, musulmani, ebrei e cristiani, che cercano di porre fine alla morte e alla distruzione»

Sabbah e i suoi compagni del gruppo di riflessione si rivolgono ai capi cristiani, «ai nostri vescovi e ai nostri sacerdoti per avere parole di guida. Abbiamo bisogno dei nostri pastori per aiutarci a comprendere la forza che abbiamo quando siamo insieme. Da soli, ognuno di noi è isolato e ridotto al silenzio». Soprattutto - aggiungono - c’è bisogno di chiedere l’aiuto di Dio «per non disperare, per non cadere nella trappola dell'odio. La nostra fede nella Resurrezione ci insegna che tutti gli esseri umani devono essere amati, uguali, creati a immagine di Dio, figli di Dio e fratelli e sorelle gli uni degli altri». Per questo «le nostre scuole, ospedali, servizi sociali sono luoghi in cui ci prendiamo cura di tutti coloro che sono nel bisogno, senza discriminazioni». E la fede in Cristo «ci rende portavoce di una terra senza muri, senza discriminazioni, portavoce di una terra di uguaglianza e libertà per tutti, per un futuro in cui possiamo vivere insieme».

Porre fine alla tragedia palestinese

Con realismo lucido, gli autori del documento- appello riconoscono che la pace sarà possibile «solo quando la tragedia del popolo palestinese avrà fine». Per questo c’è bisogno «di un accordo di pace definitivo tra questi due partner e non di cessate il fuoco temporanei o soluzioni provvisorie».
La massiccia forza militare di Israele «può distruggere e portare morte, può spazzare via leader politici e militari e chiunque osi alzarsi e opporsi all'occupazione e alla discriminazione. Tuttavia, non può portare la sicurezza di cui gli israeliani hanno bisogno. La comunità internazionale» aggiungono «deve aiutarci riconoscendo che la causa principale di questa guerra è la negazione del diritto del popolo palestinese a vivere nella sua terra, libero e uguale».

«Siamo un popolo, cristiani e musulmani. Insieme» prosegue il documento rivolto ai palestinesi «dobbiamo cercare la via oltre i cicli della violenza. Insieme a loro, dobbiamo impegnarci con quegli ebrei israeliani che sono anche stanchi della retorica, delle bugie, delle ideologie di morte e distruzione». 

venerdì 24 febbraio 2023

Il prefetto del dicastero per le Chiese orientali parla del viaggio nelle zone terremotate siriane: "E' un paese distrutto"

 In particolare, durante le due giornate trascorse ad Aleppo, sabato 18 e domenica 19, è stato possibile incontrare numerose famiglie che hanno trovato accoglienza temporanea in spazi gestiti dalle comunità religiose, cristiane e musulmane, o in edifici pubblici come una scuola. Diversi sono stati i momenti particolarmente intensi vissuti con mamme, disabili, anziani soli.
 

Intervista di Vatican News a monsignor Claudio Gugerotti 

Eccellenza, quale il suo stato d’animo al rientro dalla visita nella Turchia e nella Siria terremotate?

La sensazione che ho avuto è che siamo ancora in mezzo al dramma perché non è affatto detto che le scosse siano finite. La gente è abituata alle difficoltà da sempre, tende a lasciare le case perché è indispensabile, altrimenti rischia la vita, poi ci torna ma deve scappare immediatamente appena arriva un'altra scossa forte. È questa specie di stress emotivo che colpisce molto, legato poi alle differenti situazioni dei due Paesi. In Turchia la situazione è più delimitata, probabilmente avremo paura quando sapremo quanti sono veramente i morti, perché noi abbiamo il numero dei morti ritrovati, ma è sotto questi edifici assolutamente inconsistenti, con un cemento fatto in maniera approssimativa, che ci sono decine di migliaia di cadaveri. La Turchia dispone degli aiuti internazionali, li centralizza attraverso una istituzione governativa che rende l’intervento da una parte più coordinato e dall'altra anche più difficile da gestire. Diversa la situazione della Siria. È un Paese distrutto. Dodici anni di guerra, e soprattutto i risultati di certi aspetti delle sanzioni, hanno reso la gente miserabile.

Io sono stato in Siria 25 anni fa, non la riconosco, è terzo mondo. Gli stipendi sono pressoché irrisori, non c'è lavoro, c'è una emigrazione enorme, le città sono distrutte dai bombardamenti; io non riesco a vedere la differenza tra il bombardamento e la caduta per causa del terremoto. La gente è sfiorita, non ha più speranza. Aiuta un po' di fatalismo orientale per cui si dice ‘va bene, è capitato, speriamo in Dio’: lo dicono i musulmani, lo dicono i cristiani con la stessa formula in arabo. L'attuale situazione di guerra e di sanzioni rende molto difficile aiutarli: ci vuole molto tempo per avere i visti, la trasmissione di denaro è impossibile, poi ci sono zone che sono sotto diversi controlli. E ci sono alcuni gruppi che non passano nulla, se non a quelli che decidono loro. E devo dire che anche molte nazioni europee passano attraverso i gruppi dissidenti sul posto, perché hanno una posizione politica più affine, ma non verificano dove vanno questi soldi e a chi. Se non ci fossero alcuni francescani che si occupano, con delle giravolte mentali e una fantasia infinita che solo gli orientali hanno, di trovare dei canali alternativi più o meno legali, la gente non avrebbe nulla. Io sono andato per portare prima di tutto la benedizione, la vicinanza e l'affetto del Santo Padre, ma anche per fare in modo di aiutarli concretamente e di dire alle organizzazioni cosa non devono fare per mandare gli aiuti.

Di quali iniziative si è fatto portatore?

Noi abbiamo qui la ROACO, che riunisce le principali agenzie umanitarie, soprattutto quelle che si occupano di più del mondo orientale. Loro sono molto competenti, sanno come muoversi, domani io avrò da remoto un incontro con tutte queste organizzazioni per dire quello che i vescovi ci hanno fatto capire in modo da scegliere la via giusta. Anche il dicastero delle Chiese orientali ha messo a disposizione alcuni strumenti per sbloccare quello che poteva essere altrimenti impercorribile, e questo vale per la Siria e in parte anche per la Turchia. Noi attiveremo un conto, che già esiste, per cui gli aiuti verranno depositati su questo conto. Poi vedremo concretamente noi come trasferirli sul posto, perché altrimenti le banche si rifiutano. Non hanno un interlocutore sul posto, in Libano c'è peraltro lo sciopero delle banche, per cui dove li prendono i soldi? Bisognerebbe andare con la valigetta, ma ci sono dei limiti di denaro da portare con sé, poi è pericolosissimo poiché lo sciacallaggio è potentissimo. Noi dobbiamo, come collaboratori del Santo Padre, mettere in grado il maggior numero possibile di persone che vogliono aiutare questi Paesi di farlo concretamente e in maniera sicura senza che i soldi spariscano strada facendo. Naturalmente poi è commovente vedere come uno che rappresenta il Santo Padre sia accolto da tutti con una tale commozione, una consolazione… sono andato in una moschea dove ospitavano i rifugiati, per esempio. 


Come hanno reagito?

Felici! Mi presentavano i bambini neonati che erano nati proprio sotto il terremoto. Queste mamme preoccupate, ma anche felici di aver dato la vita a questi bambini in un momento così tragico. Sentirsi visitati, soprattutto per i siriani, è una cosa straordinaria perché chi ci va in Siria, come si fa ad andare? Devi andare in macchina da Beirut. Non si sa con chi ci si imbatte, chi è che tiene quel posto di frontiera… Ci sono eserciti locali, eserciti stranieri, è una cosa talmente complessa che noi abbiamo pensato di risolvere isolandola. 

In realtà abbiamo distrutto una popolazione. Io conoscevo bene la Siria, era un gioiello. Una realtà abbastanza comunionale, con tutte le difficoltà che si conoscono, non bisogna negarlo. Quello a cui dovremmo pensare è: quando noi lavoriamo perché cambi la situazione politica, quale situazione politica alternativa proponiamo? Perché l'alternativa è il caos, l'anarchia totale e, soprattutto, se tu impedisci la consegna del petrolio, oppure te ne impossessi, oppure in qualche modo impedisci il carburante, come va avanti un'economia? Fai un mini progetto per poter tenere sul posto i cristiani, per esempio dare loro una casa e perché si riprenda l'artigianato, ma poi a chi lo vendono? È una società assolutamente e tragicamente impoverita, distrutta. E questo non giova a nessuno.


Come trovare una soluzione politica edificante?

Io non posso dare delle ricette ma vorrei esortare tutti quelli che sono coinvolti o sono stati coinvolti in questa vicenda a verificare degli obiettivi che tengano presente non lo sbocco politico soltanto, ma la situazione del bene concreto delle persone che abitano in quel Paese. Perché se io cambio un vertice e la gente è già morta, egli diventa un governante del nulla. Quando noi distruggiamo una realtà, abbiamo distrutto una realtà, non abbiamo costruito la democrazia. Però ho la sensazione che molto spesso questa dimensione del bene comune, del povero, della persona semplice scompare di fronte allo scopo specifico di ottenere quello che si vuole ottenere dal punto di vista politico. Così non otteniamo quello che vogliamo politicamente e nel frattempo esasperiamo una situazione impossibile da reggere. Oggi la politica è tutta così ovunque. Gli interessi strategici, basta vedere il caso ucraino, sono tali per cui vale il do ut des: ‘ti aiuto se…’, ‘ti do una mano se…’. Noi vediamo personaggi delle varie nazioni passare sullo scenario di questi Paesi e non ci rendiamo conto che la maggior parte va molto spesso per vedere cosa gli torna in cambio. Non si può fare una politica internazionale così perché siamo già stremati noi che pensiamo di avere in mano il mondo: non facciamo più figli, non abbiamo speranza, abbiamo perso molti dei valori che tengono insieme la società e però siamo ancora convinti di essere gli arbitri della situazione internazionale. È un'auto-illusione sostanzialmente narcisistica.

https://www.vaticannews.va/it/vaticano/news/2023-02/gugerotti-turchia-siria-terremoto-aiuti-guerra-ucraina-onu.html

domenica 12 dicembre 2021

I rifugiati di Damasco

VaticanNews

Suor Antonietta, gli occhiali che incorniciano un viso sempre sorridente, è una delle cinque Suore di Gesù e Maria presenti a Damasco. La congregazione, fondata a Lione nel 1818 da Santa Claudine Thévenet, è presente in Siria dal 1983 con la missione fondamentale di educare i bambini. Dal loro convento, le religiose lavorano duramente per trovare aiuti per le famiglie cristiane povere che sono fuggite a Damasco a causa della guerra.  


Incontrare gli sfollati

Suor Antoinette cammina per le stradine della città vecchia. La capitale è piena di negozi e ristoranti, ma non mancano vicoli non illuminati, un po' più lontani dalle strade principali, che sembrano molto più tristi. È in uno di questi vicoli che suor Antoinette entra, prima di salire su una scala, sotto un portico. Si ferma davanti a una porta di metallo grigiastro. "Jacqueline", dice la suora, bussando alla porta. Qualche istante di attesa e appare una bambina: Sidra, 8 anni, si getta sorridente tra le braccia di suor Antoinette. Poi è il turno di suo fratello Azar, di 11 anni, e finalmente Jacqueline, la loro madre, fa entrare la religiosa. La donna accoglie la suora in un piccolo cortile, che si affaccia sull'unica stanza, piuttosto umida, della casa dove vive sola con i suoi tre figli. La figlia maggiore, Sarah, 12 anni, non è presente perché è a catechismo.

Fuggire o morire

La storia di Jacqueline è agghiacciante: viveva a Maaloula, qualche decina di km a nord-est di Damasco. Una città prevalentemente cristiana. Lei e suo marito, Ghassan, possedevano terreni agricoli, coltivavano uva e fichi e producevano melassa. Ma quando è scoppiata la guerra, la situazione si è complicata da un giorno all'altro. Nel 2013, le milizie islamiste di al-Nosra circondano la città e non mostrano alcuna pietà, soprattutto verso i cristiani. Nella piazza centrale, effettuano esecuzioni pubbliche. Rapiscono anche diverse persone, tra cui Ghassan, il marito di Jacqueline. In questo clima di terrore, la donna non ha altra scelta che quella di fuggire. Con i suoi figli, parte per Damasco. Come lei, migliaia di famiglie vanno nella capitale, considerata più sicura. Jacqueline non ha notizie di suo marito per molto tempo. All’inizio ha ricevuto una richiesta di riscatto, ma poi nessun contatto con i rapitori o i loro intermediari. In tutto, ha vissuto per tre anni senza sapere che fine avesse fatto il padre dei suoi figli, fino a un giorno del 2016 e ad una telefonata di un ufficiale dell'esercito siriano che le ha detto che i resti umani di cinque persone erano stati trovati in Libano e che, secondo le indagini, Ghassan poteva essere una delle vittime, come confermato poi dall'esame del Dna. Secondo l'esercito, i cinque uomini sono stati giustiziati dalla milizia islamista e, secondo i testimoni, hanno tutti rifiutato di convertirsi all'Islam, preferendo morire come martiri.

Sopravvivere a Damasco

Per sopravvivere, Jacqueline ha qualche piccolo lavoro, aiuta le suore del convento. Le armi ora tacciono in gran parte del Paese, ma la crisi economica che ne è conseguita è profonda. L'inflazione galoppa, rendendo i beni essenziali praticamente inaccessibili. Nella stanza in cui vivono Jacqueline e i suoi figli, c'è un letto dove dorme lei con le sue due figlie, un divano dove dorme Azar, un vecchio frigorifero, una televisione e una stufa a nafta. Sul bordo dell'unica finestra, alcune scatole di cibo e pane. Dall'altro lato del cortile, una zona "cucina" contiene un lavandino e un fornello a gas. C'è anche una toilette, ma nessun bagno vero e proprio. Suor Antoinette sta lavorando duramente per trovare il denaro in modo che possa essere installata almeno una doccia, affinché i bambini non debbano più andare al convento per lavarsi, anche se le suore li accolgono ben volentieri.

Le Suore di Gesù e Maria stanno sostenendo questa famiglia, e molte altre, in ogni modo possibile: preparano pacchi di cibo, si danno da fare per trovare vestiti e soldi per aiutare molte persone a pagare l'affitto. Nonostante le enormi difficoltà della vita quotidiana, Jacqueline vuole rimanere a Damasco, mentre molti siriani scelgono di andare all'estero. Ma lei vuole dare una possibilità ai suoi figli: "Le scuole sono migliori a Damasco", dice.

A Maaloula, il fratello di Ghassan ha restaurato la casa di famiglia e sta cercando di rilevare la piccola fattoria originaria. Jacqueline e i bambini ci vanno d'estate durante le vacanze scolastiche, ma tornare a vivere a Maaloula è un trauma che la donna non ha la forza di affrontare.

Georges e Marie

A pochi chilometri di distanza, suor Antoinette visita un'altra famiglia. Una coppia con tre figli di età compresa tra i 16 e i 18 anni. Sta piovendo, non c'è corrente elettrica (funziona solo per tre o quattro ore al giorno), e alcune gocce di pioggia cadono attraverso il tetto di lamiera, finendo in un secchio. Come molte famiglie che non possono permettersi un generatore privato, Georges e Marie (nomi fittizi, per preservare l’anonimato di questa famiglia minacciata di morte) hanno una batteria che alimenta una lampada a Led. Vengono da Homs, dove erano apicoltori. In una notte, hanno abbandonato tutto e sono partiti in pigiama, sotto il fuoco dei "terroristi". Sono fuggiti a piedi, poi in auto e infine in autobus verso Damasco. Poco dopo il loro arrivo nella capitale, Georges ha avuto un infarto. Ha subíto un intervento chirurgico e si è miracolosamente salvato, ma risente ancora dell’accaduto e non è più in grado di lavorare e guadagnare uno stipendio. È quindi Marie, con la sua piccola attività di sarta, a sfamare i cinque membri della famiglia. Ma ora l'inflazione è tale che tutto ciò non è più sufficiente. La donna ha anche dovuto rallentare il suo lavoro a causa di reumatismi alle mani. Quindi, è stata presa la decisione di ritirare il figlio da scuola in modo che possa lavorare per integrare il magro reddito familiare. A 18 anni, il ragazzo consegna cereali e fa il pendolare tra la fabbrica di Homs e la capitale, Damasco. Dei cinque membri della famiglia, lui è l'unico che è tornato a Homs.

 L'identità della terra

A Homs, non rimane nulla della loro casa e della loro terra. La villa in cui vivevano è stata rasa al suolo e gli alberi che alimentavano i loro alveari sono stati abbattuti per farne legna da ardere. A Homs, il numero di case abbandonate è incalcolabile; ogni giorno, le famiglie continuano a fuggire. Spesso le famiglie musulmane che sono rimaste lì fanno offerte per comprare dai cristiani che sono partiti. Ma è come se la rivendicazione dell'identità avesse permeato il terreno. Le famiglie cristiane, nella stragrande maggioranza dei casi, rifiutano di cedere i loro appezzamenti di terreno ai musulmani. Qualunque sia il costo. Marie e Georges potrebbero permettersi una migliore qualità di vita vendendo ciò che possiedono a Homs. Non hanno intenzione di tornare a vivere lì, ma se devono vendere, sceglieranno una famiglia cristiana. E se vendono, spenderanno i loro soldi per lasciare la Siria. Non fanno mistero del loro desiderio di stabilirsi all'estero. Ma non prima che il loro figlio abbia conseguito il diploma. Hanno promesso a suor Antoinette che, in cambio dell'aiuto fornito dalle suore, dei pacchi di cibo e dei soldi per l'affitto, il ragazzo tornerà a scuola il prossimo trimestre per finire il suo corso di studio e ottenere la licenza, uno strumento minimo di garanzia per un lavoro stabile e pagato meglio.

Alcune cifre

Il numero di sfollati in Siria è stimato intorno ai 7 milioni. Il 90% della popolazione vive oggi, come le famiglie di Jacqueline e Georges, sotto la soglia di povertà (con meno di 1 dollaro al giorno). 13,5 milioni di persone nel Paese hanno bisogno di aiuti umanitari. 2,5 milioni di bambini sono senza scuola, in gran parte a causa della distruzione del 40% degli edifici scolastici durante la guerra.

domenica 8 dicembre 2019

INNO AKATHISTOS ALLA MADRE DI DIO: "Rallegrati, Vergine e Sposa!"


 'Akathistos' si chiama per antonomasia quest'inno liturgico della Chiesa bizantina del secolo V, che fu e resta il modello di molte composizioni innografiche e litaniche, antiche e recenti."Akathistos" non è il titolo originario, ma una rubrica:"a-kathistos" in greco significa "non-seduti", perché la Chiesa ingiunge di cantarlo o recitarlo "stando in piedi", come si ascolta il Vangelo, in segno di riverente ossequio alla Madre di Dio.
Struttura. La struttura metrica e sillabica dell'Akathistos si ispira alla celeste Gerusalemme descritta dal cap. 21 dell'Apocalisse, da cui desume immagini e numeri: Maria è cantata come identificazione della Chiesa, quale "Sposa" senza sposo terreno, Sposa vergine dell'Agnello, in tutto il suo splendore e la sua perfezione.
L'inno consta di 24 stanze (in greco: oikoi), quante sono le lettere dell'alfabeto greco con le quali progressivamente ogni stanza comincia. Ma fu sapientemente progettato in due parti distinte, su due piani congiunti e sovrapposti - quello della storia e quello della fede -, e con due prospettive intrecciate e complementari - una cristologica, l'altra ecclesiale -, nelle quali è calato e s'illumina il mistero della Madre di Dio. Le due parti dell'inno a loro volta sono impercettibilmente suddivise ciascuna in due sezioni di 6 stanze: tale suddivisione è presente in modo manifesto nell'attuale celebrazione liturgica. L'inno tuttavia procede in maniera binaria, in modo che ogni stanza dispari trova il suo complemento - metrico e concettuale - in quella pari che segue. Le stanze dispari si ampliano con 12 salutazioni mariane, raccolte attorno a un loro fulcro narrativo o dommatico, e terminano con l'efimnio o ritornello di chiusa: "Gioisci, sposa senza nozze!". Le stanze pari invece, dopo l'enunciazione del tema quasi sempre a sfondo cristologico, terminano con l'acclamazione a Cristo: "Alleluia!". Così l'inno si presenta cristologico insieme e mariano, subordinando la Madre al Figlio, la missione materna di Maria all'opera universale di salvezza dell'unico Salvatore.
La prima parte dell'Akathistos (stanze 1-12) segue il ciclo del Natale, ispirato ai Vangeli dell'Infanzia (Lc 1-2; Mt 1-2). Essa propone e canta il mistero dell'incarnazione (stanze 1-4), l'effusione della grazia su Elisabetta e Giovanni (stanza 5),la rivelazione a Giuseppe (stanza 6), l'adorazione dei pastori(stanza 7), l'arrivo e l'adorazione dei magi (stanze 8-10), la fuga in Egitto (stanza 11), l'incontro con Simeone (stanza 12): eventi che superano il dato storico e diventano lettura simbolica della grazia che si effonde, della creatura che l'accoglie, dei pastori che annunciano il Vangelo, dei lontani che giungono alla fede, del popolo di Dio che uscendo dal fonte battesimale percorre il suo luminoso cammino verso la Terra promessa e giunge alla conoscenza profonda del Cristo.
La seconda parte (stanze 13-24) propone e canta ciò che la Chiesa al tempo di Efeso e di Calcedonia professava di Maria, nel mistero del Figlio Salvatore e della Chiesa dei salvati.
Maria è la Nuova Eva, vergine di corpo e di spirito, che col Frutto del suo grembo riconduce i mortali al paradiso perduto (stanza 13); è la Madre di Dio, che diventando sede e trono dell'Infinito, apre le porte del cielo e vi introduce gli uomini (stanza 15); è la Vergine partoriente, che richiama la mente umana a chinarsi davanti al mistero di un parto divino e ad illuminarsi di fede (stanza 17); è la Sempre-vergine, inizio della verginità della Chiesa consacrata a Cristo, sua perenne custode e amorosa tutela (stanza 19); è la Madre dei Sacramenti pasquali, che purificano e divinizzano l'uomo e lo nutrono del Cibo celeste (stanza 21); è l'Arca Santa e il Tempio vivente di Dio, che precede e protegge il peregrinare della Chiesa e dei fedeli verso l'ultima Pasqua (stanza 23); è l'Avvocata di misericordia nell'ultimo giorno (stanza 24).
    estratto da:

giovedì 7 febbraio 2019

Considerazioni sul Documento firmato ad Abu Dhabi da Papa Francesco e dal Grande Imam di Al-Azhar, Ahmad Al-Tayyeb.

Il documento firmato da Papa Francesco e dal grande imam di Al-Azhar Ahmad Mohamed Al-Tayyib rappresenta una novità importante nel quadro dei rapporti tra Islam e Cristianesimo e tra i musulmani e i cristiani che vivono nei paesi arabi.
Sebbene sia necessario attendere la sua effettiva applicazione da parte non solo delle autorità religiose islamiche ma anche dei molti governi di paesi a maggioranza musulmana, questo documento per la prima volta pone al centro del dialogo interreligioso la questione della libertà personale e della cittadinanza, riconoscendo i cristiani come cittadini dei paesi in cui spesso risiedono da secoli, con gli stessi diritti e doveri dei connazionali musulmani.
Inoltre, la figura dell'imam Al-Tayyib rappresenta il vertice dell'Università di Al-Azhar, da secoli massimo punto di riferimento religioso e culturale dell'Islam sunnita. Per questo motivo, l'eco che tale documento potrà avere nella vastissima umma islamica è particolarmente rilevante. Sarà necessario sostenere, in Europa come nel mondo arabo -musulmano, tra i cristiani come tra i musulmani, l'applicazione dei principi enunciati da questo documento.
Benedetta Panchetti,
dottoressa di ricerca in Diritto Islamico

Abu Dabhi, 4 febbraio 2019

In nome di Dio che ha creato tutti gli esseri umani uguali nei diritti, nei doveri e nella dignità, e li ha chiamati a convivere come fratelli tra di loro, per popolare la terra e diffondere in essa i valori del bene, della carità e della pace.
In nome dell’innocente anima umana che Dio ha proibito di uccidere, affermando che chiunque uccide una persona è come se avesse ucciso tutta l’umanità e chiunque ne salva una è come se avesse salvato l’umanità intera.
In nome dei poveri, dei miseri, dei bisognosi e degli emarginati che Dio ha comandato di soccorrere come un dovere richiesto a tutti gli uomini e in particolar modo a ogni uomo facoltoso e benestante.
In nome degli orfani, delle vedove, dei rifugiati e degli esiliati dalle loro dimore e dai loro paesi; di tutte le vittime delle guerre, delle persecuzioni e delle ingiustizie; dei deboli, di quanti vivono nella paura, dei prigionieri di guerra e dei torturati in qualsiasi parte del mondo, senza distinzione alcuna.
In nome dei popoli che hanno perso la sicurezza, la pace e la comune convivenza, divenendo vittime delle distruzioni, delle rovine e delle guerre.
In nome della «fratellanza umana» che abbraccia tutti gli uomini, li unisce e li rende uguali.
In nome di questa fratellanza lacerata dalle politiche di integralismo e divisione e dai sistemi di guadagno smodato e dalle tendenze ideologiche odiose, che manipolano le azioni e i destini degli uomini.
In nome della libertà, che Dio ha donato a tutti gli esseri umani, creandoli liberi e distinguendoli con essa.
In nome della giustizia e della misericordia, fondamenti della prosperità e cardini della fede.
In nome di tutte le persone di buona volontà, presenti in ogni angolo della terra.
In nome di Dio e di tutto questo, Al-Azhar al-Sharif – con i musulmani d’Oriente e d’Occidente –, insieme alla Chiesa Cattolica – con i cattolici d’Oriente e d’Occidente –, dichiarano di adottare la cultura del dialogo come via; la collaborazione comune come condotta; la conoscenza reciproca come metodo e criterio.
Noi – credenti in Dio, nell’incontro finale con Lui e nel Suo Giudizio –, partendo dalla nostra responsabilità religiosa e morale, e attraverso questo Documento, chiediamo a noi stessi e ai Leader del mondo, agli artefici della politica internazionale e dell’economia mondiale, di impegnarsi seriamente per diffondere la cultura della tolleranza, della convivenza e della pace; di intervenire, quanto prima possibile, per fermare lo spargimento di sangue innocente, e di porre fine alle guerre, ai conflitti, al degrado ambientale e al declino culturale e morale che il mondo attualmente vive.

venerdì 16 febbraio 2018

Il Papa e la Comunione con la Chiesa sofferente in Siria

Papa Francesco, vicino con il cuore e la preghiera alle comunità cristiane sofferenti in Medioriente, ha rivolto parole di incoraggiamento ai membri del Sinodo Greco Melkita, ricevuti in Vaticano.

Beatitudine, cari Fratelli nell’Episcopato,
Vi ringrazio per la vostra visita. La felice occasione è data dalla manifestazione pubblica della Comunione Ecclesiastica, che avrà luogo domani mattina durante la Celebrazione eucaristica e che ho già avuto modo di accordare a Vostra Beatitudine nella Lettera del 22 giugno scorso, dopo la Sua elezione a Patriarca, Pater et Caput, da parte del Sinodo dei Vescovi.
Allora, come oggi, caro Fratello, Le assicuro la mia costante vicinanza nella preghiera: che il Signore Risorto Le sia vicino e La accompagni nella missione affidataLe. È una preghiera che non può essere dissociata da quella per l’amata Siria e per tutto il Medio Oriente, regione nella quale la vostra Chiesa è profondamente radicata e svolge un prezioso servizio per il bene del Popolo di Dio. Una presenza, la vostra, che non si limita al Medio Oriente, ma si estende, ormai da molti anni, a quei Paesi nei quali tanti fedeli greco-melkiti si sono trasferiti in cerca di una vita migliore. Anche a questi fedeli in diaspora e ai loro Pastori vanno la mia preghiera e il mio affettuoso ricordo. 
In questo difficile periodo storico tante comunità cristiane in Medio Oriente sono chiamate a vivere la fede nel Signore Gesù in mezzo a molte prove. Auspico vivamente che, con la loro testimonianza di vita, i Vescovi e i sacerdoti greco-melkiti possano incoraggiare i fedeli a rimanere nella terra dove la Provvidenza divina ha voluto che nascessero. Nella menzionata Lettera di giugno ricordavo che «mai come in questi momenti i Pastori sono chiamati a manifestare, davanti al popolo di Dio che soffre, comunione, unità, vicinanza, solidarietà, trasparenza e testimonianza». Vi invito fraternamente a proseguire su questa strada. Come sapete, ho indetto, per il 23 di questo mese, una giornata di preghiera e digiuno per la pace. In quella occasione non mancherò di ricordare, in maniera speciale, la Siria, colpita in questi ultimi anni da sofferenze indicibili.

Giungete pellegrini a Roma, presso la tomba dell’Apostolo Pietro, a conclusione della vostra ultima Assise sinodale, che si è svolta in Libano nei primi giorni del mese. Si tratta sempre di un momento fondamentale, di cammino comune, durante il quale Patriarca e Vescovi sono chiamati a prendere decisioni importanti per il bene dei fedeli, anche attraverso l’elezione dei nuovi Vescovi, di Pastori che siano testimoni del Risorto. Pastori che, come fece il Signore con i suoi discepoli, rianimino i cuori dei fedeli, stando loro vicini, consolandoli, scendendo verso di loro e verso i loro bisogni; Pastori che, al tempo stesso, li accompagnino verso l’alto, a “cercare le cose di lassù, dov’è Cristo, non quelle della terra” (cfr Col 3,1-2). Abbiamo tanto bisogno di Pastori che abbraccino la vita con l’ampiezza del cuore di Dio, senza adagiarsi nelle soddisfazioni terrene, senza accontentarsi di mandare avanti quello che già c’è, ma puntando sempre in alto; Pastori portatori dell’Alto, liberi dalla tentazione di mantenersi “a bassa quota”, svincolati dalle misure ristrette di una vita tiepida e abitudinaria; Pastori poveri, non attaccati al denaro e al lusso, in mezzo a un popolo povero che soffre; annunciatori coerenti della speranza pasquale, in perenne cammino con i fratelli e le sorelle. Mentre sarò lieto di accordare l’Assenso Pontificio ai Vescovi da voi eletti, vorrei poter toccare con mano la grandezza di questi orizzonti.
Beatitudine, Eccellenze, rinnovo di cuore la mia gratitudine per la vostra fraterna visita. Quando farete ritorno alle vostre Sedi e incontrerete i sacerdoti, i religiosi, le religiose e i fedeli, ricordate loro che sono nel cuore e nella preghiera del Papa. La Tutta Santa Madre di Dio, Regina della pace, vi custodisca e vi protegga. E mentre ho la gioia di dare a voi e alle vostre comunità la mia Benedizione, vi chiedo, per favore, di non dimenticarvi di pregare per me. Grazie.

Riportiamo di seguito le brevi parole che il Santo Padre ha rivolto nel corso della Messa e la traduzione in lingua italiana delle parole di ringraziamento del Patriarca al Papa:

Parole del Santo Padre
Questa Messa con il nostro fratello, patriarca Youssef, farà la apostolica communio: lui è padre di una Chiesa, di una Chiesa antichissima e viene ad abbracciare Pietro, a dire “io sono in comunione con Pietro”. Questo è quello che significa la cerimonia di oggi: l’abbraccio del padre di una Chiesa con Pietro. Una Chiesa ricca, con la propria teologia dentro la teologia cattolica, con la propria liturgia meravigliosa e con un popolo, in questo momento gran parte di questo popolo è crocifisso, come Gesù. Offriamo questa Messa per il popolo, per il popolo che soffre, per i cristiani perseguitati in Medio Oriente, che danno la vita, danno i beni, le proprietà perché sono cacciati via. E offriamo anche la Messa per il ministero del nostro fratello Youssef.

Ringraziamento del Patriarca al Santo Padre
Santità,
Vorrei ringraziarLa per questa bella Messa di comunione, a nome di tutto il Sinodo della nostra Chiesa greco-melkita cattolica. Personalmente, sono veramente commosso dalla Sua carità fraterna, dai gesti di fraternità, di solidarietà che ha dimostrato alla nostra Chiesa, nel corso di questa Messa. Le promettiamo di tenerLa sempre nei nostri cuori, nel cuore di noi tutti, clero e fedeli, e ricorderemo sempre questo evento, questi istanti storici, questo momento che non riesco a descrivere per quanto è bello: questa fraternità, questa comunione che lega tutti i discepoli di Cristo. Grazie, Santità.

sabato 31 maggio 2014

"Mettendo al primo posto il bene della Siria, di tutti i suoi abitanti" : il Papa e gli aleppini


MESSAGGIO DEL SANTO PADRE FRANCESCO
AGLI OPERATORI DI CARITÀ IN SIRIA

Venerdì, 30 maggio 2014

Eminenza, Eccellenze,
cari fratelli e sorelle,


vi ringrazio per la vostra presenza a questo incontro, promosso dal Pontificio Consiglio Cor Unum. Vi ringrazio soprattutto per il contributo quotidiano che voi, come organismi di carità cattolici, state dando in Siria e nei Paesi vicini, per aiutare le popolazioni colpite da quel terribile conflitto. Saluto il Cardinale Robert Sarah e rivolgo un caloroso benvenuto a tutti voi, specialmente a quanti si sono messi in viaggio dal Medio Oriente per essere qui oggi – e anch'io porto negli occhi e nel cuore il Medio Oriente, dopo il pellegrinaggio dei giorni scorsi in Terra Santa.

Un anno fa ci siamo riuniti per ribadire l'impegno della Chiesa in questa crisi e per lanciare insieme un appello per la pace in Siria. Ora ci incontriamo di nuovo, per tracciare un bilancio del lavoro finora svolto e per rinnovare la volontà di proseguire su questa strada, con una collaborazione ancora più stretta. Ma dobbiamo riscontrare con grande dolore che la crisi siriana non è stata risolta, anzi va avanti, e c'è il rischio di abituarsi ad essa: di dimenticare le vittime quotidiane, le indicibili sofferenze, le migliaia di profughi, tra cui anziani e bambini, che patiscono e a volte muoiono per la fame e le malattie causate dalla guerra. Questa indifferenza fa male! Un'altra volta dobbiamo ripetere il nome della malattia che ci fa tanto male oggi nel mondo: la globalizzazione dell'indifferenza.

L'azione di pace e l'opera di assistenza umanitaria che gli organismi caritativi cattolici svolgono in quel contesto sono espressione fedele dell'amore di Dio per i suoi figli che si trovano nell'oppressione e nell'angoscia. Dio ascolta il loro grido, conosce le loro sofferenze e vuole liberarli; e a Lui voi prestate le vostre mani e le vostre capacità. È importante che voi operiate in comunione con i Pastori e le comunità locali; e questa riunione costituisce un'occasione propizia per individuare opportune forme di collaborazione stabile, nel dialogo tra i diversi soggetti, allo scopo di organizzare sempre meglio i vostri sforzi per sostenere le Chiese locali e tutte le vittime della guerra, senza distinzioni etniche, religiose o sociali.

Oggi siamo qui anche per fare nuovamente appello alle coscienze dei protagonisti del conflitto, delle istituzioni mondiali e dell'opinione pubblica. Tutti siamo consapevoli che il futuro dell'umanità si costruisce con la pace e non con la guerra: la guerra distrugge, uccide, impoverisce popoli e Paesi. A tutte le parti chiedo che, guardando al bene comune, consentano subito l'opera di assistenza umanitaria e quanto prima facciano tacere le armi e si impegnino a negoziare, mettendo al primo posto il bene della Siria, di tutti i suoi abitanti, anche di quelli che purtroppo hanno dovuto rifugiarsi altrove e che hanno il diritto di ritornare al più presto in patria. Penso in particolare alle care comunità cristiane, volto di una Chiesa che soffre e spera. La loro sopravvivenza in tutto il Medio Oriente è una profonda preoccupazione della Chiesa universale: il Cristianesimo deve poter continuare a vivere là dove sono le sue origini.

Cari fratelli e sorelle, la vostra azione caritativa e assistenziale è un segno importante della vicinanza di tutta la Chiesa, e della Santa Sede in particolare, al popolo siriano e agli altri popoli del Medio Oriente. Vi rinnovo la mia gratitudine per quello che fate e invoco su di voi e sul vostro lavoro la benedizione del Signore. La Madonna vi protegga. Io prego per voi e voi pregate per me!

http://www.news.va/it/news/messaggio-agli-operatori-di-carita-in-siria-30-mag


APPELLO DA ALEPPO AGLI OPERATORI DI CARITA' RIUNITI IN 'COR UNUM'


LA SITUAZIONE PRECIPITA  IN ALEPPO

 Nelle ultime settimane  si era sparsa la voce che i ribelli di Aleppo avrebbero aumentato  i loro mortai sui quartieri Aleppo per fare pressione sullo Stato e impedire lo svolgimento delle elezioni presidenziali in programma per Martedì 3 giugno.
 Perché sono uomini d'onore ...
... HANNO MANTENUTO LA PAROLA!

Da 3 giorni, razzi e colpi di  mortai non cessano di cadere su Aleppo e in particolare sul quartiere Midan . Questa è l'area dove gli affitti sono più economici e dove abitano le famiglie povere e quelle sfollate da Jabal Al Sayde. Ma è anche la zona di confine della linea del fronte, dunque la più esposta . Molte famiglie di cui ci prendiamo cura hanno ricevuto schegge di mortai nei loro appartamenti, molte persone sono rimaste ferite e diversi sono i morti . 

Oggi, venerdì pomeriggio, la situazione è diventata insostenibile per queste famiglie ed è iniziato per loro il secondo esodo. 
(Avevano lasciato Jabal al Sayde il 30 marzo 2013 a seguito dell'invasione del quartiere da parte dei ribelli. Abbiamo ospitato 23 famiglie da noi presso il convento dei Fratelli per 6 mesi, poi le abbiamo aiutate a prendere in affitto degli appartamenti ). Fuggono dalle loro case, ci telefonano, ci supplicano di trovare loro un rifugio , anche solo temporaneo.. . Sono in preda al panico, hanno paura.  
Mentre scrivo queste parole, le sirene delle ambulanze fanno un frastuono assordante .

E TUTTAVIA ...

Non avevamo smesso di mettere in guardia i responsabili religiosi circa il problema degli alloggi degli sfollati. Abbiamo bussato invano alle porte delle associazioni cattoliche internazionali per richiedere un finanziamento per trovare per loro un’ abitazione. E' stato sempre un RIFIUTO.

Oggi, queste organizzazioni sono riunite  in Vaticano sotto gli auspici del COR UNUM . Possano essi ascoltare  questo URGENTE  APPELLO dagli Aleppini, da coloro che qui vivono la loro presenza e condividono, con le persone più vulnerabili, le loro sofferenze.

 Nabil Antaki,  per i Maristi Blu

sabato 26 aprile 2014

"In un certo senso, il mio spirito è rimasto là, e la mia preghiera continua e non cesserà fino a quando la vendetta cederà il posto alla riconciliazione e al riconoscimento dei reciproci diritti." Papa G.Paolo II





 GIOVANNI PAOLO II

UDIENZA GENERALE

Mercoledì, 16 maggio 2001

1. Una settimana fa si è concluso il mio pellegrinaggio sulle orme di San Paolo, che mi ha condotto in Grecia, in Siria e a Malta. Sono lieto oggi di soffermarmi con voi su questo evento, che costituisce l'ultima parte dell'itinerario giubilare attraverso i principali luoghi della storia della salvezza. Sono grato a tutti coloro che mi hanno seguito con la preghiera in questo indimenticabile "ritorno alle sorgenti", ove attingere la freschezza dell'iniziale esperienza cristiana.
Rinnovo i sentimenti di cordiale riconoscenza al Presidente della Repubblica Ellenica, Signor Kostas Stephanopoulos, per avermi invitato a visitare la Grecia. Ringrazio il Presidente della Repubblica Araba Siriana, Signor Bashàr Al-Assad, e il Presidente della Repubblica di Malta, Signor Guido De Marco, che mi hanno accolto tanto cortesemente a Damasco e a Valletta.
Ovunque ho voluto testimoniare alle Chiese Ortodosse l'affetto e la stima della Chiesa Cattolica, col desiderio che la memoria delle colpe passate contro la comunione venga pienamente purificata e lasci spazio alla riconciliazione ed alla fraternità. Ho avuto, inoltre, modo di riaffermare la sincera apertura con cui la Chiesa si rivolge ai credenti dell'Islam, ai quali ci unisce l'adorazione dell'unico Dio.
Sento come una grazia particolare quella di aver potuto incontrare, soprattutto nei loro campi di missione, i Vescovi cattolici di Grecia, di Siria, di Malta, e, insieme con loro, i sacerdoti, i religiosi e le religiose e numerosi fedeli laici. Sulle orme di Paolo, il successore di Pietro ha potuto confortare e incoraggiare quelle Comunità, esortandole alla fedeltà e al tempo stesso all'apertura e alla carità fraterna.

3. Dopo la Grecia, mi sono recato in Siria, là dove, sulla via di Damasco, Cristo risorto apparve a Saulo di Tarso, trasformandolo da feroce persecutore in apostolo instancabile del Vangelo. E' stato un andare alle origini - come per Abramo -, un risalire alla chiamata, alla vocazione. Questo pensavo visitando il Memoriale di San Paolo. La storia di Dio con gli uomini parte sempre da una chiamata, che invita a lasciare se stessi e le proprie sicurezze per incamminarsi verso una nuova terra, fidandosi di Colui che chiama. E' stato così per Abramo, Mosè, Maria, Pietro e gli altri Apostoli. Così anche per Paolo.
La Siria è oggi un Paese abitato prevalentemente da musulmani, che credono in un unico Dio e cercano di sottomettersi a Lui sull'esempio di Abramo a cui essi volentieri si riferiscono (cfr Nostra aetate, 3). Il dialogo interreligioso con l'Islam diventa sempre più importante e necessario, all'inizio del terzo millennio. In tal senso è stata davvero incoraggiante la calorosa accoglienza riservatami dalle autorità civili e dal Gran Mufti, il quale mi ha accompagnato nella storica visita alla Grande Moschea degli Omayyadi, dove si trova il Memoriale di san Giovanni Battista, assai venerato anche dai musulmani.
A Damasco il mio pellegrinaggio ha assunto soprattutto un forte carattere ecumenico, grazie particolarmente alla visita che ho avuto la gioia di compiere nelle rispettive Cattedrali a Sua Beatitudine Ignace IV, Patriarca greco-ortodosso, e a Sua Santità Mor Ignatius Zakka I, Patriarca siro-ortodosso. Nella storica Cattedrale greco-ortodossa della Dormizione della Vergine Maria, poi, abbiamo celebrato un solenne Incontro di preghiera. Con intima commozione ho visto così realizzarsi uno degli scopi principali del pellegrinaggio giubilare, quello cioè di "radunarci nei luoghi della nostra origine comune, per testimoniare Cristo nostra unità (cfr Ut unum sint, 23) e confermare il reciproco impegno verso il ristabilimento della piena comunione" (Lettera sul pellegrinaggio ai luoghi legati alla storia della salvezza, 11).

4. In Siria non potevo non rivolgere a Dio una speciale supplica per la pace in Medio Oriente, spinto anche, purtroppo, dalla drammatica situazione attuale, che diventa sempre più preoccupante. Mi sono recato, sulle Alture del Golan, nella chiesa di Quneitra semidistrutta dalla guerra, e là ho elevato la mia supplica. In un certo senso, il mio spirito è rimasto là, e la mia preghiera continua e non cesserà fino a quando la vendetta cederà il posto alla riconciliazione e al riconoscimento dei reciproci diritti.
Questa speranza si fonda sulla fede. E' la speranza che ho affidato ai giovani della Siria, che ho avuto la gioia di incontrare proprio la sera prima di lasciare Damasco. Porto nel cuore il calore del loro saluto, e prego il Dio della pace, perché i giovani cristiani, musulmani ed ebrei possano crescere insieme come figli dell'unico Dio.

Ancora una volta ho voluto indicare la via della santità quale via maestra per i credenti del terzo millennio. Nel vasto oceano della storia, la Chiesa non teme le sfide e le insidie che incontra nella sua navigazione, se tiene fermo il timone sulla rotta della santità, verso la quale l'ha indirizzata il Grande Giubileo del Duemila (cfr Novo millennio ineunte, 30).
Che così sia per tutti, grazie anche all'intercessione di Maria, a cui facciamo costante ricorso durante questo mese di maggio, a Lei consacrato. La Vergine aiuti ogni cristiano, ogni famiglia ed ogni comunità a proseguire con rinnovato slancio nel suo impegno di quotidiana fedeltà al Vangelo.

http://www.vatican.va/holy_father/john_paul_ii/audiences/2001/documents/hf_jp-ii_aud_20010516_it.html

Siria 2001, il primo papa in moschea

leggi:   http://www.asianews.it/index.php?l=it&art=2950

Papa Giovanni Paolo II - Discorso all'aeroporto di Damasco, Siria - 6 maggio 2001

read: 
http://australiansforreconciliationinsyria.org/pope-john-paul-in-syria-2001/

giovedì 17 aprile 2014

Ogni giorno i cristiani del Medio oriente si interrogano se restare o emigrare: ricordiamoli nel Venerdì Santo

Il card. Sandri: cristiani del Medio Oriente in gravi difficoltà, aiutiamoli a non fuggire



In occasione dell’annuale Colletta per la Terra Santa, la Congregazione per le Chiese Orientali ha indirizzato in questo tempo di Quaresima una lettera ai vescovi di tutto il mondo. Il documento — firmato dal cardinale prefetto Leonardo Sandri e dall’arcivescovo segretario Cyril Vasil’— raccomanda il sostegno della Chiesa universale ai cristiani d’oriente, che portano la responsabilità di custodire i luoghi delle origini della nostra fede e ancor più di essere essi stessi i testimoni viventi di quelle origini. Il giorno scelto dai Pontefici per l’importante iniziativa di fraternità è il Venerdì Santo. Le singole  diocesi potranno trovare altri momenti consoni ad esprimere la possibile sollecitudine verso  la Chiesa latina e le altre Chiese cattoliche orientali operanti nella Terra della Redenzione. È un dovere di gratitudine a Cristo e alla Chiesa collaborare perché la celebrazione dei misteri della salvezza sia garantita là dove ebbe inizio l’annunzio del Vangelo.   

LETTERA DEL PREFETTO DELLA CONGREGAZIONE PER LE CHIESE ORIENTALI


La Quaresima, quale cammino con Cristo verso la croce e la risurrezione, risveglia la fratellanza con quanti vivono nei luoghi santi. Là gli apostoli hanno ascoltato per primi la voce del Signore Gesù, ne hanno condiviso per grazia il mistero, e poi lo hanno annunciato e testimoniato. Attorno a essi sono fiorite le prime comunità cristiane, cominciando da Gerusalemme.

L’unità in Cristo redentore ci spinge a promuovere anche quest’anno l’importante iniziativa della Collecta pro Terra Sancta, adempiendo al debito della Chiesa universale verso quella Chiesa madre. Papa Francesco lo ha ribadito ricevendo i patriarchi, gli arcivescovi maggiori, i padri cardinali e i vescovi nella sessione plenaria della Congregazione per le Chiese orientali: «Il mio pensiero si rivolge in modo speciale alla terra benedetta in cui Cristo è vissuto, morto e risorto. In essa — l’ho avvertito anche oggi dalla voce dei Patriarchi presenti — la luce della fede non si è spenta, anzi risplende vivace. È “la luce dell’Oriente” che “ha illuminato la Chiesa universale, sin da quando è apparso su di noi un sole che sorge (Lc 1, 78), Gesù Cristo, nostro Signore” (Lett. ap. Orientale Lumen, 1). Ogni cattolico ha perciò un debito di riconoscenza verso le Chiese che vivono in quella regione. Da esse possiamo, fra l’altro, imparare la fatica dell’esercizio quotidiano di spirito ecumenico e dialogo interreligioso. Il contesto geografico, storico e culturale in cui esse vivono da secoli, infatti, le ha rese interlocutori naturali di numerose altre confessioni cristiane e di altre religioni» (21 novembre 2013).

Ancora oggi la colletta è la fonte principale per il sostentamento della loro vita e delle loro opere, secondo la volontà sollecita dei sommi Pontefici, i quali, specie nell’imminenza del Venerdì santo, hanno sempre esortato a gesti di autentica carità fraterna.
Ogni giorno i cristiani in varie regioni del Medio oriente si interrogano se restare o emigrare: vivono nell’insicurezza o subiscono violenza per il solo fatto di professare la loro e nostra fede. Ogni giorno ci sono fratelli e sorelle che resistono, scegliendo di restare là dove Dio ha compiuto in Cristo il disegno della universale riconciliazione. Da quella terra sono partiti coloro che, sulla parola di Cristo, hanno portato l’Evangelo ai quattro angoli del mondo. È là che la Chiesa ritrova sempre, con le sue radici, la “grande speranza” che porta il nome di Gesù, ma la situazione attuale è veramente delicata: basti pensare al conflitto tra Israele e Palestina, all’evoluzione che investe l’Egitto, alla tragedia della Siria. 

Nel Venerdì santo vorremo elevare al Crocifisso il grido della pace per Gerusalemme e perché il mondo, cominciando dalla terra di Gesù, divenga la città della pace. Ai discepoli di Cristo si chiede di operare per la pace ricordando che «le guerre costituiscono — tra l’altro — il rifiuto pratico a impegnarsi per raggiungere quelle grandi mete economiche e sociali che la comunità internazionale si è data» (Papa Francesco, Messaggio per la Giornata mondiale della pace 2014). Sono parole che assumono un significato preciso e chiaro in relazione all’odierna Colletta pro Terra Santa. La situazione di pesante incertezza sociale, e addirittura di guerra, si è aggravata, colpendo a ogni livello il fragile equilibrio dell’intera area e riversando sul Libano e sulla Giordania profughi e rifugiati che moltiplicano a dismisura campi di accoglienza sempre meno adeguati. Si rimane sconvolti per il numero di rapimenti e omicidi di cristiani in Siria e altrove, per la distruzione di chiese, case e scuole. Ciò non fa che alimentare l’esodo dei cristiani e la dispersione di famiglie e comunità. 

Tanti fratelli e sorelle nella fede stanno scrivendo una pagina della storia con “l’ecumenismo del sangue”, che li affratella, e noi vogliamo essere al loro fianco con ogni sollecitudine.
Le comunità cattoliche di Terra Santa, quella latina della diocesi patriarcale di Gerusalemme, come della Custodia francescana e delle altre circoscrizioni, e quelle greco-melchita, copta, maronita, sira, caldea, armena, con le famiglie religiose e organismi di ogni genere, grazie alla colletta del Venerdì santo, riceveranno il sostegno per essere vicine ai poveri e ai sofferenti senza distinzione di credo o di etnia. Le parrocchie manterranno aperte le porte a ogni bisogno; così le scuole, ove cristiani e musulmani insieme preparano un futuro di rispetto e collaborazione; gli ospedali e ambulatori, gli ospizi e i centri di ritrovo continueranno a offrire la loro assistenza, affinché nello smarrimento di questi nostri giorni, la carità ecclesiale faccia risuonare la parola di Gesù: «Coraggio... non temete» (Mc 6, 50). 

Così accompagneremo fin da ora Papa Francesco, che si appresta a farsi pellegrino di unità e pace in Terra Santa: una visita tanto attesa, desiderata e necessaria. Essa confermi nella fede i cristiani, li renda ancora e sempre più capaci di misericordia, di perdono e di amore. 

A lei, ai sacerdoti, ai religiosi e ai fedeli, che si adoperano per la buona riuscita della colletta, ho la gioia di trasmettere la viva riconoscenza del Santo Padre Francesco, col grazie della Congregazione per le Chiese orientali. E invoco copiose benedizioni divine, mentre porgo il più fraterno saluto nel Signore Gesù.

Suo dev.mo
Card. Leonardo Sandri,
Prefetto
Cyril Vasil’, S.I.,
Arcivescovo Segretario

http://press.vatican.va/content/salastampa/it/bollettino/pubblico/2014/03/07/0168/00352.html#LETTERA%20DEL%20PREFETTO%20DELLA%20CONGREGAZIONE%20PER%20LE%20CHIESE%20ORIENTALI

Tra i profughi aumenta il numero dei cristiani


Agenzia Fides 14/4/2014

Amman  - Tra i profughi siriani rifugiati in Giordania i cristiani “sono in continuo aumento e si preparano a vivere una Pasqua segnata per loro dallo sconforto e dalla stanchezza spirituale”.
Lo riferisce all'Agenzia Fides Wael Suleiman, direttore di Caritas Giordania. “Avevamo pensato di far celebrare delle liturgie per i rifugiati siriani di fede cattolica” spiega Suleiman, “ma ci siamo accorti che non c'era tra loro la disposizione d'animo adeguata. Preferiscono partecipare alle celebrazioni nelle parrocchie della Giordania, in mezzo ai fedeli di qui. Sono stanchi, rassegnati, e non sono interessati a celebrazioni e liturgie riservate a loro, che li richiamerebbero alla loro condizione di sfollati e alle sofferenze che hanno vissuto. Attendono con speranza, questo sì, l'arrivo in Giordania di Papa Francesco. Nel programma della visita papale è previsto che il Papa incontri alcuni di loro a Betania, oltre il Giordano, vicino al luogo del battesimo di Gesù”.

Il direttore di Caritas Giordania conferma a Fides il progressivo aumento dei cristiani nella moltitudine di rifugiati siriani oggi presenti nel Regno Hascemita: “Non è come all'inizio, quando nelle prime ondate di profughi non c'erano cristiani. Adesso” spiega Suleiman “sono sicuramente più di 20mila. Un numero esiguo rispetto alla massa di un milione e 300mila profughi siriani che secondo i dati del governo di Amman sono ospitati in Giordania. Ma si può prevedere che difficilmente i cristiani fuggiti torneranno in Siria alla fine della guerra. Questo vuol dire che in alcune città, come Homs o Aleppo, tanti quartieri cristiani rimarranno vuoti dei loro abitanti di un tempo”.



Quel che resta dei cristiani d'Oriente


Nei paesi arabi sono sempre di meno, spinti all'esodo da crescenti ostilità. Una mappa aggiornata di quanti sono e chi sono, tre mesi prima del viaggio del papa in Terra Santa

di Sandro Magister

   leggi qui:
http://chiesa.espresso.repubblica.it/articolo/1350714