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lunedì 30 aprile 2012

Il Papa in Libano per la missione dei cristiani e la Primavera araba: ancora un contributo

Continuiamo il confronto sulla Primavera Araba attraverso questo articolo ripreso da "La Bussola Quotidiana" , dopo gli articoli pubblicati su questo Blog il 24 e il 16 aprile

Ma quale primavera araba
Nicola Scopelliti
Dal numero in uscita del mensile "Studi Cattolici" pubblichiamo questa intervista a mons. Paul Dahad, vicario apostolico dei Latini in Libano

Beirut (Libano): nonostante i campi profughi siano pieni di rifugiati siriani, provenienti dalla vicina cittadina di Tall Kalakh e dalla regione di Homs, una delle roccaforti dei manifestanti e dei sempre più numerosi disertori dell’esercito, l’ormai inesistente regime di Bashâr al-Assad ha deciso di far minare il confine con il Libano. L’obiettivo principale è quello di fermare il traffico d’armi. Ma l’iniziativa di Damasco sancisce un riconoscimento, de facto, della divisione della Siria dal Libano, considerato da sempre, da parte siriana, il «giardino di Damasco». La zona, ora minata, Wadi Khaled, è situata tra i villaggi di Kneisse e Hnaider, ed è stata scelta dai disertori per trovare rifugio nel Paese dei cedri. La situazione, purtroppo, con il trascorrere dei giorni diventa, come riferiscono le cronache dei media internazionali, sempre più difficile. Ma qual è la reale situazione in Libano? Ne parliamo con l’Arcivescovo mons. Paul Dahdad OCD, vicario apostolico dei Latini di Beirut, il cui territorio è suddiviso in otto parrocchie.

Eccellenza, che cosa vuol dire essere vescovo in Libano, in una terra così martoriata?
Mi presento: ho sempre svolto il mio ministero sacerdotale ed episcopale in terre martoriate. Sono rientrato in Libano come sacerdote novello nel 1967. Nel 1983 sono stato nominato arcivescovo di Baghdad dei Latini. Successivamente, ho vissuto la guerra civile libanese e le sue conseguenze. In piena guerra iracheno-iraniana sono arrivato come vescovo in Iraq. I primi cinque anni sono stati di guerra. Ci fu un intervallo di pace, per due anni, dal 1988 al 1990. Ma con l’invasione del Kuwait scoppiò un altro conflitto, che ricordiamo col nome di «Tempesta del deserto», con tutte le conseguenze sociali ed economiche che si possono immaginare. Sono stati tempi drammatici e tragici. Sono poi ritornato in Libano come vicario apostolico di Beirut dei Latini nel 1999, rimanendo Amministratore apostolico di Baghdad «sede vacante».

Ma in Libano non ci sono, per fortuna, gravi conflitti
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No, ma si vive nell’instabilità, nella mancanza di sicurezza e nell’incertezza per il futuro. Essere vescovo in questa situazione vuol dire essere presente per incoraggiare, consolare, aiutare moralmente e materialmente nella misura del possibile. A volte non si può fare un granché, ma essere presenti, tra la gente, è molto importante per dare a essa un senso di sicurezza. Nel frattempo aspettiamo tempi migliori.

Quale la sua opinione sulla cosiddetta «primavera araba»? «Primavera araba» è uno dei tanti slogan inventati dai governanti e dai media occidentali come: «scontro di civiltà», «asse del bene e asse del male», «caos creativo»… Uno slogan inventato e non frutto di realtà. Non mi pare che si tratti di una primavera, ma di un inverno cupo. Con la primavera la natura si risveglia, rifiorisce. Sinora i bei fiori profumati non si son visti. Se son rose fioriranno, ma non so quando.

Le popolazioni che si sono ribellate reclamano maggiore libertà e una via araba alla democrazia. Sarà possibile?

Mi permetto di dire che la democrazia non è una merce che si compra o si vende, che si importa o si esporta. La democrazia è un valore umano e cristiano a cui bisogna educare i popoli. Imporre la democrazia con la forza delle armi è una contraddizione. Ci vuole molto tempo per familiarizzare col sistema democratico. Ad alcuni non conviene e non fa comodo. E non si può avere la democrazia con la bacchetta magica. Le popolazioni si ribellano, ma sono altri che colgono i frutti di questa ribellione. I popoli, come dice Cristo, sono pecore senza pastore, destinate al macello.
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Minoranze religiose capro espiatorio in Medio Oriente, se le rivoluzioni arabe “si inacidiscono”
Londra (Agenzia Fides) – Se le rivoluzioni avviate dalla Primavera Araba “vanno a male”, vi saranno forti rischi per le minoranze etniche e religiose in Medio Oriente: è quanto emerge dal nuovo rapporto “Popoli in pericolo”, (“Peoples under threat”), appena pubblicato dall'Ong “Minority Rights Group” (MRG) e inviato all’Agenzia Fides, focalizzato sulla situazione delle minoranze in Medio Oriente. “Se il 2011 sarà ricordato come l'anno della Primavera araba, il 2012 potrebbe diventare l'anno delle rivoluzioni inacidite” dice in una nota inviata all'Agenzia Fides Mark Lattimer, Direttore esecutivo di MRG. “I grandi cambiamenti in Medio Oriente e Nord Africa, se da un lato aumentano le speranze per la democratizzazione, rappresentano per le minoranze etniche e religiose un evento pericoloso quanto la violenta disgregazione dell'Unione Sovietica e della ex Jugoslavia”, ammonisce.
Il Rapporto nota che Siria, Libia, Egitto, Yemen, Sud Sudan sono tra gli stati dove le comunità di minoranza sono più a rischio di omicidi di massa. Appena si apre uno spazio politico e uno spiraglio di libertà, rivendicazioni etniche e settarie vengono esacerbate e, in tali dinamiche, “le minoranze costituiscono spesso un capro espiatorio” spiega MRG.
In Siria, dove il governo è dominato dagli alawiti, le comunità di sciiti e alawiti sono in pericolo se il conflitto si intensificherà, mentre anche i cristiani sono profondamente preoccupati per la possibilità di attacchi dei militanti sunniti.
http://www.fides.org/aree/news/newsdet.php?idnews=39169&lan=ita