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lunedì 25 febbraio 2013

«L’agonia della Siria non può continuare»

«LAGGIÙ MANCA PERSINO LA CONVINZIONE DI POTER AVERE UN FUTURO»

 L’appello di suor Annunciata


da "Il Cittadino"  16 febbraio 2016
di Eugenio Lombardo

Dov’è la verità? Come si riesce a comprenderla? E cosa può essere fatto per aiutare un’intera nazione oggi in ginocchio, che rischia di non rialzarsi più, malgrado il fascino millenario di alcune sue città? E quali devono essere i nostri sentimenti di persone cristiane: lasciarsi coinvolgere, attrezzarsi per sostenere aiuti e collette finanziarie, chiudersi nell’indifferenza, con qualche rabberciata preghiera, perché la guerra è molto, molto lontano da casa nostra, anche se sta uccidendo un numero impressionante di persone, oltre 60mila secondo una stima delle Nazioni Unite dall’inizio del conflitto, cioè dal marzo 2011, e fra questi un numero impressionante è purtroppo di bambini? Cosa fare, dunque? Come essere operatori di pace?

 LA TRAGEDIA SIRIANA
Questa drammatica situazione - definita dal Comitato Internazionale della Croce rossa Onu quale conflitto armato non internazionale, quantomeno per applicare gli interventi umanitari previsti in casi di eventi bellici - si sta svolgendo in Siria. Ed una religiosa lodigiana, tra l’altro monaca di clausura, suor Annunciata Dordoni, è stata sino a poche settimane addietro, per dieci lunghi mesi, testimone degli scontri tra l’esercito governativo guidato dal presidente Assad e le truppe dei ribelli, esponenti della Primavera Araba per alcuni osservatori, mentre per altri soltanto terroristi islamici legati ad al Qaida. Suor Annunciata appartiene all’Ordine Cistercense della Stretta Osservanza; è cioè una trappista, una religiosa che vive nel silenzio, nella preghiera e nel lavoro svolto all’interno della propria comunità; ma incoraggiata dalla propria badessa del monastero di Valserena nel comune di Guardistallo, in provincia di Pisa, ha scelto di essere adesso portavoce della tragedia del popolo siriano. Questa appare divenuta per lei un’autentica missione. Il suo arrivo in Medio Oriente era forse scritto nel destino: «Quando ancora non ero consacrata - mi spiega, illuminando di intensi bagliori i suoi azzurrissimi occhi - mi era già capitato di andare in zone colpite dalla guerra e dai saccheggi, come nella ex Jugoslavia: allora, si partiva con i furgoni, ad organizzare le attività. Inizialmente fu un gruppo di Lecco, successivamente si aggiunsero i volontari del movimento Lavoratori credenti di don Peppino Barbesta; quindi, allorché la badessa mi chiese se volevo raggiungere le mie consorelle in Siria, tale proposta mi apparve in linea con la mia sensibilità di donna che nella vita è sempre stata impegnata nel sociale, ed accettai di buon grado la soluzione, cosa che avrei comunque fatto per obbedienza». Il convento in Siria è sorto dando seguito alla presenza monastica in Algeria dei sette religiosi uccisi a Tibhirine nel 1996; quello fu un fatto agghiacciante: i monaci vennero decapitati e i loro corpi non furono mai ritrovati. Il vile attacco fu rivendicato dal Gruppo Islamico Armato. L’idea era quella di ritornare in Algeria, ma la presenza costante delle guardie militari non garantiva la solitudine ambita da chi professa il monachesimo: alla fine la scelta cadde sulla Siria, perché vantava già nel passato una presenza monastica di rilievo.

LA GUERRA CIVILE
Il monastero siriano delle monache di clausura si trova al confine con il Libano, da cui è diviso solo da uno striminzito fiumiciattolo, gli echi della guerra civile arrivano ancora attenuati, ma suor Annunciata sa riconoscerne i sinistri presagi: «Il conflitto si riconosce da tante cose, anche dalle più banali; persino dalle finestre che mancano nel nostro edificio: abbiamo chiesto a un artigiano di portarcele, ma nessuno si avventura per le strade. C’è la paura che i terroristi islamici facciano agguati e compiano rapimenti. La corrente elettrica va a singhiozzo, il più delle ore manca; il gasolio è razionato, di bombole del gas è inutile parlarne. Nei paesi accanto al nostro monastero è possibile trovare solo beni di prima necessità, per procurarsi ogni altra cosa occorre andare a Tartus, strategicamente importante in Siria perché vi è il secondo porto del paese, dove oggi sono ancorate le navi russe, e città abitata dai cristiani e dalla minoranza islamica degli alawiti, di cui fa parte il presidente Bashar al Assad; ma oggi Tartus è irriconoscibile, invasa da orde di profughi che arrivano da Aleppo, Damasco, Homs e da tantissimi altri luoghi da cui gli abitanti fuggono via». 
Su queste orde di disperati suor Annunciata ha idee molte chiare: «È gente che ha una fortissima dignità. Non chiede soldi, non vuole vivere di sostegni solidaristici fine a se stessi. Desidera un lavoro e soprattutto la sicurezza di poter riprendere la vita di un tempo, senza più odi e guerre». Invece pare che della Siria non importi nulla ai paesi occidentali, e meno che meno all’Italia. Nei mesi scorsi le alte gerarchie cattoliche hanno cercato di accendere le luci sulla drammatica condizione in cui vive il popolo siriano: lo ha fatto monsignor Giuseppe Nazzaro, vicario apostolico di Aleppo; ha scritto lunghi appelli e rilasciato interviste il vescovo caldeo Antoine Audo; ha implorato di essere ricevuta dal governo italiano la deputata cristiana Maria Saadeh, ma le porte sono rimaste chiuse. 
«Come può essere aiutata la Siria? - ripete la mia domanda suor Annunciata - Glielo dico subito: con una corretta politica dell’informazione, sapendo come stanno realmente le cose, sinora è prevalsa l’idea che il governo sia solo contrario alle riforme e che i ribelli siano povere vittime. Non è propriamente così. Tra i rivoluzionari vi sono terroristi che hanno rapito medici e tecnici ospedalieri, tanto che oggi gli ospedali non funzionano, e che stanno uccidendo così la propria gente, perché quando ci si ammala o si resta feriti non ci sono mezzi per curarsi; adesso rapiscono anche i poveri, così che nei villaggi gli abitanti facciano il porta a porta per realizzare una misera colletta e pagare il riscatto».

UN INGIUSTO EMBARGO
«Guardi - prosegue con passione, suor Annunciata Dordoni - in Siria non esiste più l’agricoltura, non c’è più lavoro, e manca in termini elementari la convinzione di avere un futuro. No, non è sufficiente dire che la Siria è in ginocchio! Essa è stesa a terra ed agonizzante. Una volta esistevano 14 km di Souq, cioè del mercato artigianale, uno spettacolo da vedere, considerato patrimonio dell’Unesco, oggi non vi è più una sola bottega: tutto raso al suolo dai bombardamenti e dai saccheggi. Informarsi è già progettare un domani per questa gente. E togliere l’embargo imposto dai paesi occidentali sarebbe il primo passo per la ricostruzione». 
Suor Annunciata non sa se potrà ritornare in Siria: «Le confido una cosa e sono certa che da buon giornalista non la scriverà, giusto? Per tranquillizzare i parenti ed i tanti amici che ho lasciato qui nel Lodigiano, ufficialmente dovrei dire di no. Ma - spiega sorniona - io ho fatto il voto di obbedienza, e faccio quello che mi dicono i Superiori. Da noi si è soliti dire: volontà dei Superiori, volontà di Dio».

L’ESEMPIO DI ZACCHEO 
Suor Annunciata, dopo una brevissima permanenza di 48 ore a Lodi, è da qualche giorno rientrata nel suo convento toscano; così dopo aver a lungo parlato sulla Siria, le chiedo di narrarmi la propria esperienza religiosa: «Forse la prima intuizione della mia vocazione è da far risalire ai tempi del mio volontariato in Bosnia; tornata da lì compresi che tutto ciò che possedevo - e di beni ne avevo tanti: una casa, una macchina, qualche soldo da parte - era per me superfluo. Non potevo operare come il giovane ricco dei Vangeli, che dopo aver chiesto a Gesù cosa dovesse fare per seguirlo, finiva per rinunciare al progetto per non lasciare le proprie comodità. Il resto è stato il frutto di una vera e propria chiamata, alla quale non potevo che rispondere di sì. Non a caso un’altra fra le pagine più belle dei Vangeli che sento proprio mia è quella in cui il Signore dice a Zaccheo: «Oggi devo fermarmi a casa tua». Ed io, proprio come Zaccheo, ho sentito di ricevere direttamente questa proposta ».

IL SALMO 83
Il monastero di Valserena è stato fondato nel 1968 come dipendenza da quello di Vitorchiano, in provincia di Viterbo, famoso per la produzione delle marmellate e per avere al suo interno un’antica stamperia. Nella struttura toscana vivono, pregano e cantano le lodi una quarantina di suore: «Sono certa che oramai chiederà se è facile vivere fra donne, pur religiose, in una grande comunità! Un martirio bianco, secondo alcuni! Non sempre, in effetti, è facile: ma fra i nostri voti vi è pure quello della conversione del cuore, quindi accettare l’altro, la sorella diversa da me. Noi seguiamo la regola di San Benedetto, improntata al vivere insieme fraternamente: lo zelo può essere esercitato in modo buono o cattivo, un lavoro fatto con un senso di amarezza e di mortificazione fa prevalere il secondo, mentre lo slancio per servire gli altri fa parte dello zelo buono». 
Le giornate delle suore, al convento di Valserena, così come in quello in Siria, sono interamente dedicate ai Salmi e a Dio: «Ci alziamo alle 2.30 del mattino e alle 3 siamo già in chiesa per il canto dei Salmi notturni; poi abbiamo un’ora per la lectio divina; quindi alle 5 siamo nuovamente in chiesa; di ora in ora si canta, si prega, si lavora, sino alle 18.30, momento della compieta. Alle diciannove andiamo a dormire. Il nostro pregare è un canto perenne: nella liturgia, infatti, intoniamo ben 150 salmi». Per suor Annunciata la preghiera rivela sempre qualcosa di nuovo: «Ho imparato a pregare in modo diverso frequentando, durante gli anni di Casalpusterlengo, il gruppo del Rinnovamento dello Spirito. Penso che la preghiera possa veramente rinnovare una ricchezza interiore immensa, basta sapere ascoltare nel proprio cuore le parole. È vero: siamo umani e ci sono i giorni che le giaculatorie vengono ripetute quasi meccanicamente; ma ve ne sono altri in cui anche una singola parola prorompe dentro di me e fa assumere alla vita una luce nuova, assolutamente originaria, e improntata al disegno di Dio. Personalmente, trovo stupendo il salmo 83: Anche il passero trova una casa e la rondine il nido dove porre i suoi piccoli presso i tuoi altari. Lì c’è il senso dell’accoglienza cristiana».