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mercoledì 7 febbraio 2024

Non cali il silenzio

 

Un anno fa il terribile terremoto che rase al suolo il sud della Turchia e il nord-ovest della Siria, con un bilancio di quasi 60.000 vittime.


L'Osservatore Romano, 6 febbraio 2024

«È importante che non cali il silenzio sulla tragedia». È l’appello del vescovo Paolo Bizzeti, vicario apostolico dell’Anatolia e presidente di Caritas Turchia, a un anno esatto dal terremoto che il 6 febbraio 2023 rase praticamente al suolo il sud della Turchia e il nord-ovest della Siria. Attraverso Caritas internationalis, in una nota, monsignor Bizzeti parla delle «conseguenze» che ancora oggi la popolazione vive: «Purtroppo non siamo fuori dall’emergenza: il numero degli sfollati è alto e la ricostruzione richiederà del tempo e l’aiuto di tutti», dice.

Nello spazio di sessantacinque secondi, 53.537 vite — secondo gli ultimi dati pubblicati dalle autorità di Ankara — vennero inghiottite dai cumuli di cemento degli edifici crollati su sé stessi, accartocciati, polverizzati. Ad esse vanno aggiunti i 6.000 morti registrati nella vicina Siria, Paese già insanguinato da oltre un decennio di guerra, dove una stima precisa dei danni è difficile da concretizzare ancora oggi. Un’unica certezza: quasi 60.000 vittime totali.

La «peggiore catastrofe della storia moderna», titolarono allora i giornali turchi. Undici province della Turchia vennero colpite. Più di 100.000 edifici crollati, 2,3 milioni danneggiati, 700.000 persone vivono tutt’oggi nei container, gente di Antakya, Gaziantep, Kahramanmaraş, solo per citare alcune delle città maggiormente danneggiate.

Secondo Save the Children, in Turchia un bambino su tre di quelli che hanno perso la casa per la violenza delle scosse — dopo la prima di magnitudo 7.8 del 6 febbraio, ne seguirono centinaia di altre — vive ancora in rifugi temporanei. Con essi, le loro famiglie. Per tutti i terremotati, la risposta all’emergenza della rete Caritas si è inizialmente concentrata sulla distribuzione di aiuti alimentari e kit igienici e sulla fornitura di alloggi. Si è poi estesa — spiega il comunicato di Caritas internationalis — al miglioramento delle condizioni di vita degli sfollati e ad attrezzature per gli alloggi temporanei, come ventilatori, frigoriferi, stufe. Stessa sollecitudine anche in Siria.

Lì, in base a dati dell’Onu, circa 265.000 persone sono state private delle loro case dal terremoto: 43.000 vivono ancora in rifugi. Centinaia i bambini rimasti orfani. Tra loro anche la piccola Aya, nata proprio il 6 febbraio e trovata viva tra i resti di un palazzo a nord-ovest di Aleppo, ancora attaccata al cordone ombelicale della mamma, morta per il crollo. Lo zio Khalil al-Sawadi, che ne è il tutore e la chiama Aafraa in memoria della madre scomparsa, in questi giorni ha mostrato alla stampa internazionale la foto che lo ritrae mentre, un anno fa, portava in salvo la piccola. Oggi Aya-Aafraa compie un anno. Di vita e, nonostante tutto, di speranza. (giada aquilino)

Siria, un anno dopo il terremoto: ad Aleppo la gente ha ancora paura

La testimonianza del religioso marista Georges Sabé, che lancia un appello alla comunità internazionale: siamo un popolo ridotto alla miseria, ci aiuti a ritrovare la dignità

VATICAN NEWS , 6 febbraio 2024

Era la notte tra il 5 e il 6 febbraio 2023 quando un violento terremoto di magnitudo 7,5 devastava la Turchia sudorientale e la Siria nordoccidentale. Numerose le scosse nei giorni successivi, che hanno causato, in totale, quasi 60 mila morti. Si è trattato del peggior disastro naturale per la regione dal sisma del 1999 a Izmit. In Siria, Paese già provato da tredici anni di guerra, dove hanno perso la vita 6 mila persone, a un anno di distanza il timore per l’arrivo di nuove devastanti scosse non abbandona gli abitanti delle regioni colpite, ora alle prese con una crisi economica senza precedenti che ha generato tanta povertà. A tutto ciò si aggiunge lo stop, dall’1 gennaio, dell’invio degli aiuti alimentari del Programma alimentare delle Nazioni Unite, che ha sfamato quasi 5,6 milioni di siriani.

Ai media vaticani il religioso marista Georges Sabé, che vive ad Aleppo, una delle città del nordovest della Siria più colpite dal terremoto, racconta il suo sforzo quotidiano per ridare speranza alla gente e nell'intervista rilasciata chiede alle organizzazioni internazionali di non “abbandonare una popolazione sofferente”.

Che aspetto ha Aleppo oggi?

Ogni giorno vedo edifici in parte distrutti, in totale insicurezza, eppure, se un piano non è in rovina, spesso è abitato. In linea di principio, la gente non dovrebbe risiedere lì. Ma c'è chi, a causa della povertà, della miseria, perché quella era la propria casa, decide di viverci. Ci sono state persone che si sono spostate, tra le 500 e le 600 famiglie hanno dovuto cambiare luogo di residenza. La città non è ancora stata ricostruita, né la parte più colpita dalla guerra, né quella distrutta dal terremoto.

Al di là dei danni materiali, a un anno dal terremoto si notano conseguenze psicologiche tra i residenti ?

La parte peggiore di tutto questo è la paura. La paura si è insinuata in tante persone, sia tra i bambini, sia tra gli adulti, tra i giovani, tra i meno giovani... C'è gente che ha dormito per un po' vestita perché aveva paura. Ci sono bambini che fino a ora hanno avuto grandi difficoltà a separarsi dai genitori, sia di notte, ma per alcuni anche di giorno. C’è molto da fare: dobbiamo ricostruire gli edifici ma anche il sentimento di sicurezza di molte persone. Non dobbiamo dimenticare inoltre che questo trauma si fonde con l’esperienza della guerra, con tutte le sue conseguenze.

E tra le conseguenze della guerra c’è pure la crisi economica che ha colpito la Siria. Che ricadute ha nella sua vita quotidiana?

Ultimamente abbiamo, in parte, dimenticato il sisma, perché stiamo vivendo un terribile terremoto economico. Siamo ancora soggetti a sanzioni (internazionali, ndr). Queste sanzioni, anche se si sostiene che non colpiscono la popolazione, si riflettono nella nostra vita quotidiana. Ad esempio, siamo in pieno inverno e abbiamo solo due ore di elettricità al giorno. Ciò significa che siamo costantemente alla ricerca di modi per riscaldarci.

Al momento del terremoto avete ricevuto aiuto da alcune Ong e organizzazioni internazionali, in particolare dalle Nazioni Unite. Oggi com'è la situazione?

L'aiuto che è arrivato è stato molto limitato e da allora si è interrotto. La Siria, prima del 6 febbraio 2023, era già stata dimenticata dalle Ong, ma gli aiuti continuavano comunque. Dall’1 gennaio 2024, l’Agenzia per gli aiuti alimentari delle Nazioni Unite, il Programma alimentare mondiale, ha sospeso tutti gli aiuti. Il motivo è che ci sono altri luoghi di intervento. Personalmente, credo che, sotto questo profilo, non abbiamo il diritto di abbandonare una popolazione che soffre. Che diritto abbiamo oggi di accettare che una popolazione viva nella povertà e nella miseria? Faccio un appello: occorre vivere con dignità. Non siamo mendicanti, ma abbiamo sofferto tante difficoltà, tanti problemi, tante disgrazie e l’umanità deve aiutarci a rimetterci in piedi, non ridurci all’accattonaggio.

Lei parlava di ricostruzione di un senso di sicurezza per gli abitanti di Aleppo. Come si può ritrovare la speranza in questa situazione?

Dobbiamo credere che la speranza è possibile. Nonostante un orizzonte chiuso, dobbiamo credere personalmente, comunitariamente, a livello di Chiesa, che la speranza è possibile e che il Signore non ci abbandona. Da questa speranza dobbiamo andare incontro agli altri, per servirli il più possibile e per fornire loro, sempre per quanto possibile, l'aiuto di cui hanno bisogno. La nostra fede ci aiuta ad andare avanti. Il Signore ha promesso di non dimenticarci, nemmeno in mezzo alla tempesta, come i discepoli sorpresi da una tempesta in mare aperto. Il Signore sembra dormire, ma è lì per calmare i nostri cuori e calmare le nostre menti. Questo è il principio su cui, attualmente, come maristi e maristi blu, stiamo lavorando per continuare a seminare speranza nel concreto, nel reale: con cesti alimentari, con sostegno psicologico, con l'educazione, con lo sviluppo umano, con gli aiuti per agli affitti.

giovedì 7 settembre 2023

Eppure... anche in Siria 'la speranza è possibile, la salvezza è possibile, la vita è possibile'

 


Riprendiamo le parole pronunciate da padre Giuseppe Lepori nella presentazione della Mostra “Ciò che non muore mai. La vita di Takashi e Midori Nagai” Bruchsal, 8 gennaio 2023,

perchè ci sembra leggano la grandezza della testimonianza anche degli amici cristiani in Siria.



Incarnano la profezia di un “segno di contraddizione, che proprio in mezzo a tutti i motivi reali, inconfutabili, di rassegnazione al male, di disperazione, si erge e rende evidente, altrettanto inconfutabilmente, che la speranza è possibile, che la salvezza è possibile, che la vita è possibile, anzi: che ci sono, sono qui, sono già date! Un semplice “Eppure!”che in un istante arresta il declino della disperazione verso la morte. L’impossibile diventa possibile, contro ogni umana evidenza, contro ogni speranza. Quanto abbiamo bisogno nel mondo di oggi, proprio nei tempi che viviamo, di questo segno profetico, di questo“Eppure”!

Quanto abbiamo bisogno allora della profezia dell’ “Eppure!” che rinnova la vita, la gioia di vivere, che riapre davanti a noi il futuro come vita e non come morte! Ecco, le persone come Takashi Nagai e sua moglie incarnano questo “Eppure!” in modo particolarmente significativo, sia per la straordinarietà della loro vita, sia perché hanno espresso questo“Eppure!” in un momento particolarmente privo di speranza per la loro vita, per il loro popolo e l’intera umanità.

Questi testimoni dell’“Eppure!” della speranza sono luci apparentemente isolate, rare, ma che risplendono proprio per questo, e che per questo ci rendono attenti a tante luci che brillano attorno a noi, o in noi stessi, e che noi non vediamo. Soprattutto ci rendono attenti, a come è possibile anche a noi, dentro le nostre situazioni di prova e disperazione, di diventare un “Eppure!” profetico che trasmette a chi ci sta attorno la speranza che rinnova la vita. Questi testimoni attirano la nostra attenzione perché ci accorgiamo che guardare a loro ci aiuta a vivere, ridà senso e speranza alla nostra vita.”

Grazie dunque ai testimoni della pazienza e della speranza contro ogni speranza che qui riportiamo, Padre Hanna e i Salesiani di Aleppo.

Fra Hanna Jallouf: «Sarò vescovo per servire la mia gente nella Siria insanguinata»

Mentre era di passaggio a Roma per varie incombenze legate recente alla nomina a vicario apostolico di Aleppo dei Latini, Terrasanta.net ha intervistato fra Hanna Jallouf, per lunghi anni parroco di Knayeh, nel governatorato di Idlib, in Siria.

Il motto che ha scelto chiarisce subito lo stile che intende adottare nel suo nuovo ministero episcopale: «Io sto in mezzo a voi come colui che serve» (Vangelo di Luca 22,27). Un passo, quello dell’evangelista Luca scelto da fra Hanna Jallouf, che spiega più di molte parole. Soggiunge il frate siriano: «Nello mio stemma episcopale metterò la croce di Terra Santa e lo stemma francescano, ma anche la carta della Siria indivisa».

La sua nomina a vicario apostolico di Aleppo dei Latini è stata resa nota sabato primo luglio 2023 dalla Santa Sede. Il neo vescovo avrà giurisdizione sui cattolici di rito latino in tutta la Siria. Frate minore della Custodia di Terra Santa, il religioso è stato, fino ad oggi, parroco di Knayeh. La località, insieme ai vicini villaggi di Ghassanieh e Yacubiyeh, si trova nel nord-ovest della Siria, nella valle dell’Oronte. Vale a dire all’interno di quel governatorato di Idlib tuttora controllato da gruppi ribelli di matrice islamista che si oppongono al governo di Damasco e che hanno avuto negli anni appoggi dalla vicina Turchia.

Eccellenza, come ha accolto la nomina da parte di papa Francesco?
Ho avuto da una parte timore e preoccupazione, perché non mi sento degno di questa nomina. Ma poi anche gioia, perché ho capito che questo incarico non è per me, ma per la gente che sono chiamato a servire. Dopo tanti anni, passati tra molte sofferenze, il Signore mi ha dato una croce ancora più grande. Ma si vede che ha visto che ho le spalle grandi… Allora ho detto: sia fatta la tua volontà.

Come è la situazione oggi nella zona delle missioni dell’Oronte?
Lavoro da 22 anni in quella zona, dove ho realizzato molte opere…  Ma la guerra e poi il terremoto hanno distrutto quasi tutto e la gente è fuggita… Si vede che il Signore aveva altri piani. Ma noi francescani siamo rimasti e abbiamo scelto di metterci al servizio dei più poveri, dei disabili, delle vedove. Nei nostri conventi e case abbiamo accolto chi è rimasto senza abitazione a causa della guerra e, più recentemente, del terremoto… Senza distinzione di religione, abbiamo fatto entrare chi ha bussato alla nostra porta.

Quanti cristiani sono rimasti nella valle dell’Oronte?
Prima del 2011 eravamo circa 10 mila in tutta la provincia di Idlib. La maggior parte, però, è fuggita in questi dodici anni di guerra. Siamo rimasti in 600, cristiani di vari riti e confessioni. Tutti fanno riferimento a noi, perché i sacerdoti e i religiosi delle altre Chiese sono fuggiti.

Il governatorato di Idlib è noto per essere l’ultima roccaforte del sedicente Stato islamico in Siria…
Dalla mia zona sono passati tutte le fazioni, dall’Esercito libero siriano a Jabat al Nusra. Poi, negli ultimi anni, nella regione hanno trovato riparo molte formazioni ribelli cacciate da altri territori della Siria. La zona ha sofferto sia per l’occupazione dei guerriglieri, sia per i bombardamenti delle forze alleate di Damasco – specialmente russe – e non è mai tornata completamente sotto il controllo del governo centrale. Abbiamo vissuto momento davvero brutti. Penso all’uccisione di padre François Mourad nel 2013 a Ghassanieh; penso ai rapimenti di cristiani per costringerli ad abiurare la fede. Penso all’assassinio di una nostra maestra cristiana, massacrata e gettata in un fosso. Io stesso ho subito la detenzione nell’ottobre del 2014… Per anni i jihadisti ci hanno permesso di celebrare la liturgia solo al chiuso, e nessun simbolo religioso cristiano era ammesso negli spazi pubblici. In più occasioni le nostre chiese sono state attaccate e devastate… Con l’aiuto di Dio abbiamo resistito e siamo rimasti fedeli…
Oggi la situazione nel governatorato resta complicata, ma il clima è più sereno. Quando si è diffusa la notizia che ero stato nominato vescovo cattolico della Siria, lo 
sheikh e alcuni collaboratori sono venuti a porgermi le loro felicitazioni. 

Tra le emergenze che ogni tanto salgono alle cronache, c’è la situazione delle vedove dei jihadisti e dei tanti orfani…
È vero, è un’emergenza che tocca tutta la Siria. La realtà più nota è quella del campo di detenzione di al-Hol, con oltre 50 mila donne e moltissimi bambini. Ma anche nella mia zona esiste un campo dove vivono una settantina di queste vedove dell’Isis, molte con figli. Alcune sono state sposate per procura e non conoscevano neppure i mariti a cui sono state date in moglie. Ora i mariti sono morti e loro sono totalmente abbandonate, senza nessun sostegno… È una situazione disumana. Per non parlare dei minori, orfani di entrambe i genitori… Ad Aleppo di questa realtà si occupa il progetto Un nome un futuro, nato dalla collaborazione tra il mio predecessore mons. George Abu Khazen e il muftì della città (Mahmoud Akam – ndr), grazie all’impegno dei frati della Custodia di Terra Santa. 

Quanti sono i sacerdoti e le religiose che fanno parte oggi del vicariato di Aleppo?
Il vicariato latino non ha preti diocesani. La sua forza pastorale è formata dai religiosi francescani, presenti ad Aleppo, Lattakia, nell’Oronte e a Damasco. Poi c’è la presenza dei padri cappuccini, dei gesuiti, dei salesiani… Le congregazioni femminili sono almeno una quindicina, impegnate in vari campi… 

L’ordinazione episcopale avverrà ad Aleppo domenica 17 settembre 2023, che è anche festa liturgica delle stimmate di san Francesco d’Assisi…
Ho scelto questa data, per me francescano importantissima, perché la Siria è insanguinata. Le ferite di Francesco sono la partecipazione alle sofferenze di Cristo. La speranza è che queste ferite rimarginino presto e che il Paese possa presto risorgere ad un futuro di pace.

https://www.terrasanta.net/2023/07/fra-hanna-jallouf-saro-vescovo-per-servire-la-mia-gente-nella-siria-insanguinata/

.... questo è il momento!

di Padre Dave, prayersforsyria.com

Da questa distanza è spesso difficile vedere dove lo Spirito di Dio è all'opera in Siria. Il paese sembra barcollare da una crisi all'altra. Dopo una dozzina di anni di guerra, incendi, terremoti e tutte le privazioni causate dalle sanzioni provenienti dagli Stati Uniti, sono tornati gli incendi!  Hanno colpito di nuovo la provincia di Lattakia, una parte così bella della Siria, e la stessa regione che è stata al centro dei terremoti.

Ricordo amici in Siria che mi raccontavano di come, durante gli incendi dello scorso anno, le famiglie si accalcassero nell'unico veicolo che riuscivano a trovare che avesse carburante e cercassero disperatamente di attaccare un albero di ulivo al veicolo in modo da avere del cibo mentre fuggivano!

I disastri naturali sono stati terribili. I disastri provocati dall'uomo, causati soprattutto dalle sanzioni statunitensi, mi sembrano ancora più terribili. Trovo un po' di conforto nel resoconto che riporto qui di seguito sul buon lavoro svolto dalla  Don Bosco House  di Aleppo, che ricorda ciò che la Chiesa, e le altre organizzazioni religiose internazionali, possono ancora realizzare.

Mentre le sanzioni rendono ancora impossibile per la maggior parte di noi inviare denaro in Siria, la chiesa può ottenere denaro oltre confine per finanziare opere come questa. Se c'è mai stato un momento in cui la comunità cristiana in tutto il mondo si facesse avanti e facesse la differenza per le persone bisognose, questo è il momento!

https://prayersforsyria.com/its-time-for-the-church-to-stand-with-syria/

Subito dopo le devastanti scosse di febbraio, i Salesiani hanno aperto le porte della Casa Don Bosco, e centinaia di persone hanno trovato sicurezza, compagnia e sollievo.  A cinque mesi dal terremoto, padre Alejandro León, superiore dell'Ispettoria salesiana Gesù Adolescente del Medio Oriente, ha riflettuto su ciò che ha vissuto e su ciò di cui il Paese continua ad aver bisogno, oltre ad esprimere la sua gratitudine per tutti coloro che hanno fornito sostegno.

Fr. León ha detto: “Una frase che ho sentito mi ha fatto pensare. Sono entrato in un incontro di formazione con un gruppo di adolescenti di 15-16 anni. Non so quale argomento stessero discutendo, ma una ragazza ha detto: "Qui ci hanno insegnato a vedere il bicchiere mezzo pieno, piuttosto che mezzo vuoto, ma il problema è che il nostro bicchiere non è solo vuoto, è davvero rotto".  La frase può sembrare un'esagerazione, o uno sfogo dopo l'esperienza del terremoto. Questo però non lo penso, ma c'è qualcosa in esso che mi fa riflettere ed entrare in empatia con la situazione esistenziale di questi giovani». 

Fr.  León ha notato tutto ciò che questi giovani hanno passato nelle loro giovani vite. “Sono giovani che non ricordano la vita senza guerra. Hanno vissuto per anni senza elettricità, senza acqua, con scarsità di cibo e carburante. Hanno vissuto in una città assediata e hanno temuto attacchi con armi chimiche o missili. Tutti piangono un familiare morto durante la guerra e vivono in una costante depressione economica. Hanno sperimentato epidemie di colera e l'epidemia di COVID-19. E adesso? Un grande terremoto e altri terremoti, almeno quattro, che hanno superato i 6 gradi della scala Richter”. 

Erano le 4:17 del 6 febbraio quando la terra tremò. Subito il cortile di Casa Don Bosco si è riempito di gente in cerca di salvezza. C'era ansia e incertezza. Don Mario Murru, rettore, ha assicurato fin dall'inizio che la casa salesiana sarebbe stata aperta per tutti coloro che ne avessero avuto bisogno.  All'ora di pranzo c'erano già 50 persone in casa e a cena erano 300. Questo numero è cresciuto costantemente nei giorni successivi fino a raggiungere le 500 persone. Il 21 febbraio un altro forte terremoto ha rinnovato la paura e 800 persone hanno trovato rifugio presso la Casa Don Bosco.

I giovani della regione frequentavano da anni i programmi della Don Bosco House. Erano coinvolti in campi giovanili e conoscevano i Salesiani. Attraverso la loro formazione, sono stati leader naturali nell'emergenza, aiutando le loro famiglie e i loro vicini.  Fr. Murru ha detto: “È stato commovente vedere il rispetto che gli adulti hanno mostrato ai giovani. Non perché fossero autorità designate, ma per l'autorità morale acquisita attraverso il loro generoso servizio».

Ha aggiunto: “L'amore ci ha fatto superare barriere che nessuno di noi avrebbe potuto immaginare. Per amore dei figli, per amore dei genitori, per amore degli amici, per amore di Dio. In un momento in cui non c'era motivo di sperare in nulla, hanno trovato persone per cui lottare con speranza e tutti, ricchi e poveri, sono diventati bisognosi e hanno condiviso ciò che avevano». 

Quasi 2,4 milioni di euro sono stati raccolti dai Salesiani di tutto il mondo per i progetti di emergenza post-terremoto. A giugno si sono conclusi gran parte di quei progetti di emergenza per lasciare spazio alla ricostruzione, ai progetti educativi e ai campi estivi per i bambini e i giovani più grandi colpiti dal sisma. 

Reportage di Reliefweb – 30 luglio 2023

martedì 30 maggio 2023

Aleppo. Il racconto dopo il terremoto. A che punto è la notte?



In una città determinata a sopravvivere, dopo anni di guerra e i devastanti terremoti del 6 febbraio, fra Bahjat Karakach, parroco francescano della chiesa cattolica latina, racconta come la comunità sta reagendo

da Eco di Terrasanta - maggio giugno 2023 

La nostra gente ha vissuto una tragedia dopo l'altra; portando la croce e percorrendo la via del calvario, la croce della paura e della povertà, la croce dell'incertezza di ciò che riserva il futuro. Non c'è dubbio che la vita ad Aleppo sia cambiata radicalmente a causa dei due terremoti. È un'esperienza forte, potente e violenta che richiederà del tempo per essere superata”.

Fra Bahjat Elia, francescano della Custodia di Terra Santa e, da pochi mesi, parroco della comunità cattolica latina della più grande città siriana, racconta la situazione di Aleppo in una lettera che prima di Pasqua ha indirizzato ad amici e sostenitori.

Dopo le sofferenze di 12 anni di conflitto e la pandemia, è stata la volta delle due fortissime scosse di terremoto del 6 febbraio, con epicentri in territorio turco, ma che hanno interessato tutta la Siria nord occidentale.

Le vittime sono state oltre 57.000, di cui almeno 7000 in Siria, e 120.000 in tutto i feriti. 

Per questo, come osserva fra Bahjat, sembra che ad Aleppo sia impossibile vivere senza ansia e paura. “Oggi la città sta gradualmente tornando alla normalità, ma molte famiglie sono ancora sfollate perchè innumerevoli case sono diventate invivibili e molte scuole, perfino gli edifici universitari, hanno subito danni. Quindi la prima sfida è ricostruire e riparare questi edifici. Le Chiese di Aleppo hanno lanciato un'iniziativa unitaria e congiunta per restituire case e pace alle loro famiglie”.

Fra Bahjat spiega che sono stati invitati tecnici e ingegneri dall'Italia per aiutare a valutare lo stato degli edifici dopo il sisma. Quattro di loro sono stati ospitati nel convento francescano, hanno fatto i sopralluoghi, anche in collaborazione con le autorità cittadine.

Nella parrocchia di San Francesco ad Aleppo, dopo aver messo in sicurezza la chiesa, sono riprese le celebrazioni e i momenti di preghiera. Sono state riavviate le attività della confraternita che raccoglie gli anziani, dei gruppi scout, il catechismo, il doposcuola, eccetera. 

Un aiuto viene dato alle famiglie musulmane povere che abitano nella parte orientale di Aleppo: “ Cerchiamo di fornire loro un sostegno psicologico e un po' di materiale di prima necessità, attraverso i quattro centri di assistenza francescani lì presenti”.

Continua poi l'attività della mensa di beneficenza “ cinque pani e due pesci”, che fornisce pasti quotidiani a tutti i bisognosi della nostra città.

Ad Aleppo, conclude fra Bahjat, all'approssimarsi della Pasqua crediamo che il Signore non ci lascerà, anzi tenderà la sua mano attraverso voi verso di noi, verso ogni persona sofferente e addolorata, povera e affamata, sola e senza speranza, e insieme aiuteremo Aleppo a rialzarsi in piedi, rispolverando le sue macerie, per risorgere di nuovo con la forza di Cristo “.

mercoledì 22 marzo 2023

Siria, un mese dopo il sisma non arrivano gli aiuti: "Situazione drammatica"


 Nelle prime ore del 22 marzo, l'aviazione israeliana ha lanciato un nuovo attacco missilistico nelle vicinanze dell'aeroporto internazionale di Aleppo, principale punto di arrivo dei soccorsi ai terremotati

Vatican News intervista Andrea Avveduto, dell'Associazione Pro Terra Sancta, : "Mancano le medicine e c'è il rischio di epidemie sanitarie". 

L'Unione Europea ospita oggi una conferenza a Bruxelles con l'obiettivo di raccogliere fondi internazionali per aiutare le vittime del devastante terremoto che ha colpito la Turchia e la Siria.
Il terremoto di magnitudo 7,8 del mese scorso ha raso al suolo intere città, uccidendo più di 50 mila persone nel sud-est della Turchia e in regioni della Siria dilaniata dalla guerra. "Ad Aleppo, la situazione è immutata. Non ci sono mezzi per togliere le macerie.  E sotto le macerie ci sono ancora vittime intrappolate. Si scava ancora a mani nude", afferma a Radio Vaticana - Vatican News, Andrea Avveduto, portavoce dell'Associazione Pro Terra Sancta.

Sono ancora  tantissime le persone intrappolate sotto le case crollate. "A questo si aggiunge il fatto - prosegue Avveduto - che abbiamo visto i topi che cominciano ad andare dentro le macerie per mangiare i cadaveri. La settimana scorsa ho accompagnato una piccola squadra di specialisti provenienti dall'Italia per fare una prima ricognizione delle case e almeno il 30% dei palazzi di Aleppo deve essere demolito completamente. Altre case sono inagibili e possono crollare da un momento all'altro anche perchè sono state costruite male negli anni. È una situazione che si trascina da più di un mese. Non ci sono, purtroppo, gli aiuti internazionali e tutto ciò crea anche il rischio di epidemie, dovute, soprattutto ai topi. Abbiamo infatti incontrato tante persone che hanno perso i loro familiari che sono ancora sotto le macerie". 

Gli aiuti internazionali

Gli aiuti non stanno arrivando e quei pochi che arrivano sono insufficienti, riferisce ancora il portavoce di Pro Terra Sancta. "Le persone si sentono abbandonate da alcuni Paesi che fingono di aiutare ma utilizzano e strumentalizzano la vicenda del terremoto per pura propaganda. Le sanzioni che sembravano essere state allentate in realtà restano tutte. D'altronde, sapevamo che l'annuncio dell'allentamento delle sanzioni rappresentava un atteggiamento poco chiaro perchè le sanzioni alla Siria già permettevano, in caso di necessità, l'invio di aiuti umanitari. Di fatto non sono arrivati strumenti per scavare le  macerie. C'è poi un problema evidente dovuto all'incuria nell'edilizia per il modo in cui sono state costruite le case che rendono vulnerabili interi paesi e città".

Il sostegno dei Francescani

I frati di Aleppo, intanto, continuano con le attività di accoglienza delle persone. Alcune famiglie sono ritornate a loro rischio nelle case e non abbiamo più le migliaia di sfollati nei centri di  accoglienza. Prosegue pure l'attività della mensa e della distribuzione dei pasti caldi. "Anche perché - spiega ancora Andrea Avveduto - il terremoto in Siria arriva dopo dodici anni di guerra civile e dopo una crisi economica che sta raggiungendo livelli davvero preoccupanti per il Paese. Continua poi la distribuzione di beni di prima necessità, ma non si trovano più le medicine e questo è un altro problema che stiamo affrontando. Il punto è che non c'è oggi un'alternativa per cui si vive in questa condizione di pericolo continuo".

https://www.vaticannews.va/it/mondo/news/2023-03/terremoto.html

mercoledì 15 marzo 2023

Nel 12° triste anniversario della pseudo 'rivoluzione siriana'

di Steven Sahiunie

Il 15 marzo 2023 segna il 12° anniversario del conflitto siriano, che segue anche un violento terremoto di magnitudo 7,8 che ha colpito il confine condiviso tra Turchia e Siria. Le città di Aleppo, Idlib, Latakia e Jeblah sono state gravemente danneggiate con più di 5.000 morti e centinaia di migliaia sono rimaste senza casa. 

Il conflitto è stato erroneamente etichettato come guerra civile o guerra settaria. Non era né l'uno né l'altro, ma era un attacco USA-NATO alla Siria pianificato per un "cambio di regime".

Prima dell'attacco USA-NATO, Aleppo era la capitale industriale della Siria e uno dei maggiori centri di attività economica del Medio Oriente. Una volta che i terroristi si sono trincerati ad Aleppo est, hanno smantellato le fabbriche e distrutto i centri commerciali. Alla fine del 2021, secondo il ministro dell'Industria Ziad Sabbagh, le perdite delle fabbriche siriane gestite dal governo ammontavano a circa 398 milioni di dollari. 

Molti imprenditori e commercianti di Aleppo erano fuggiti in Egitto come migranti economici e vi avevano installato enormi fabbriche. Se la Siria dovesse entrare in una fase di ricostruzione, molti proprietari di fabbriche tornerebbero ad Aleppo per ricostruire le loro vite e offrire lavoro a migliaia di lavoratori siriani.

I terroristi hanno ripetutamente preso di mira le infrastrutture civili, come ospedali, scuole, centrali elettriche, stazioni di acqua potabile e pozzi di petrolio e gas. Ad esempio, la Siria aveva precedentemente detenuto il secondo posto nella produzione farmaceutica nel mondo arabo, esportando in almeno 52 paesi. Tuttavia, i terroristi hanno distrutto gli stabilimenti farmaceutici e i magazzini, il che ha costretto i siriani ad acquistare medicinali dall'estero in valuta forte piuttosto che medicinali prodotti internamente che erano molto più convenienti.

Secondo Elizabeth Hoff, ex direttore dell'Organizzazione mondiale della sanità a Damasco, i macchinari medicali negli ospedali di tutta la Siria erano fermi per mancanza di pezzi per ripararli. Le aziende statunitensi e dell'UE avevano paura di essere penalizzate da sanzioni, quindi non intraprenderebbero affari con aziende siriane che richiedono macchine e parti medicali.

La Siria era stata autosufficiente nella produzione di grano, ma i terroristi hanno sequestrato i depositi di grano e lo hanno venduto all'Europa. La Francia mangiava croissant dal grano siriano rubato e in Italia lo usavano per la pasta. Una volta che le forze armate statunitensi hanno invaso la Siria, hanno stabilito una base nell'area di produzione del grano del nord-est e hanno permesso ai loro mercenari locali di utilizzare il grano per impedire al governo di Damasco di nutrire milioni di persone.

Dopo che più di 350.000 persone sono morte e più di 10 milioni sono emigrate all'estero come rifugiati o migranti economici, l'attacco non è riuscito a raggiungere i suoi obiettivi. Il paese è stato lasciato in uno stato di rovina e, a causa delle sanzioni USA-UE alla Siria, il paese è precipitato anche nella rovina finanziaria. 

Le sanzioni USA-UE ai siriani sono una forma di punizione collettiva. Non sono autorizzati a ricevere denaro da parenti all'estero. Non sono autorizzati a ordinare macchine, parti o materiali da costruzione dall'estero per ricostruire le loro case e attività.

L'esercito americano occupa i principali giacimenti petroliferi in Siria per impedire che le risorse petrolifere vengano utilizzate per soddisfare i bisogni interni dei siriani attraverso la produzione di olio combustibile, benzina ed elettricità. I siriani hanno solo circa 30 minuti di elettricità tre volte al giorno e soffrono di carenze croniche di benzina e gasolio per il riscaldamento domestico nelle aree gelide colpite dal terremoto.

I siriani hanno bisogno di tutto. Hanno bisogno di infrastrutture da riparare per l'acqua potabile pulita, hanno bisogno di posti di lavoro, il che significa che hanno bisogno di fabbriche da ricostruire e hanno bisogno che le loro case vengano ricostruite. Hanno bisogno di accedere alle proprie risorse petrolifere e hanno bisogno di paesi amici per ripristinare i precedenti legami commerciali. 

Il Dipartimento del Tesoro degli Stati Uniti ha emesso una rinuncia di 180 giorni alle sanzioni dopo il terremoto, ma questo sembra uno scherzo. La deroga riguarda solo gli aiuti umanitari e non copre eventuali esigenze di ricostruzione, né rimesse familiari dall'estero.

I siriani hanno bisogno che le forze armate statunitensi se ne vadano e che tutte le sanzioni vengano revocate in modo che possano ricevere denaro dall'estero e inviare pagamenti a società straniere a cui hanno ordinato forniture per la ricostruzione.

La Cina ha riunito l'Arabia Saudita e l'Iran in un riuscito negoziato di pace, che potrebbe rivelarsi un aiuto essenziale per i siriani. Il principe ereditario saudita e primo ministro Mohammed bin Salman bin Abdulaziz Al Saud, aveva detto in precedenza di voler aiutare la Siria. Gli Stati Uniti stavano imponendo minacce ai paesi, che potrebbero aiutare la Siria, ma ora Cina, Iran e Arabia Saudita si sono uniti e speriamo che seguano progressi, che porranno fine all'attacco USA-NATO alla Siria.

https://news.cgtn.com/news/2023-03-14/12-years-after-the-U-S-NATO-attack-on-Syria-1ia748rhBbq/index.html

Il WFP conferma:

Comunicato stampa dell'agenzia ONU World Food Programme

14 marzo 2023

SIRIA: METÀ DELLA POPOLAZIONE ALLA FAME DOPO 12 ANNI DI CONFLITTO E IL TERREMOTO CHE HA PEGGIORATO LA CRISI ECONOMICA

DAMASCO – In Siria, un salario medio mensile copre attualmente circa un quarto del fabbisogno alimentare di una famiglia, ha detto oggi l’agenzia ONU World Food Programme (WFP), evidenziando l'urgente necessità di una più cospicua assistenza umanitaria mentre il paese è alle prese con l'impatto devastante dei recenti terremoti e con un conflitto che dura da 12 anni.

Circa 12,1 milioni di persone, oltre il 50 per cento della popolazione, sono attualmente in condizioni di insicurezza alimentare mentre rischiano di precipitarvi altri 2,9 milioni di persone. Dati recenti mostrano che la malnutrizione è in aumento, con tassi mai visti prima di deficit di sviluppo e malnutrizione materna.

Bombardamenti, sfollamenti, isolamento, siccità, tracollo economico e ora terremoti di proporzioni sbalorditive. I siriani sono straordinariamente resilienti, ma c'è un limite alla sopportazione", ha detto Kenn Crossley, Direttore WFP in Siria. "A che punto il mondo dirà: ora basta?" 

Il terremoto del 6 febbraio si è abbattuto su un paese che vedeva già i prezzi del cibo alle stelle. In un anno è raddoppiato il costo della selezione di prodotti alimentari standard che il WFP utilizza per tenere traccia dell'inflazione alimentare. Ora sono 13 volte più costosi rispetto a tre anni fa e non si prevedono segnali di ribasso.

I recenti terremoti hanno evidenziato la necessità urgente di una maggiore assistenza umanitaria in Siria, non solo per le persone colpite dai terremoti, ma anche per coloro che erano già alle prese con prezzi alimentari alle stelle, crisi del carburante e consecutivi shock climatici. I prezzi del cibo e del carburante sono ai massimi da un decennio dopo anni di inflazione e svalutazione monetaria.

I tassi di deficit di sviluppo tra i bambini hanno raggiunto il 28 per cento in alcune parti del paese e la prevalenza della malnutrizione materna è del 25 per cento nel nord-est della Siria. 

Un paese che prima era autosufficiente nella produzione alimentare ora si colloca tra i primi sei paesi al mondo con la più alta insicurezza alimentare e una forte dipendenza dalle importazioni di cibo. Infrastrutture danneggiate, costo elevato del carburante e condizioni vicine alla siccità hanno ridotto del 75 per cento la produzione di grano in Siria.

Il WFP fornisce assistenza alimentare a 5,5 milioni di persone in tutto il paese attraverso distribuzioni di cibo, programmi nutrizionali, pasti scolastici, assistenza in denaro e supporto per i mezzi di sussistenza, resilienza e reti di protezione sociale. Da quando il terremoto ha colpito la Siria settentrionale, il WFP ha raggiunto 1,7 milioni di persone colpite dal sisma, comprese quanti già beneficiavano di assistenza alimentare mensile.

Tuttavia, ristrettezze finanziarie per il WFP in Siria minacciano di ridurre l'assistenza, proprio quando le persone ne hanno più bisogno. Il WFP ha urgentemente bisogno di almeno 450 milioni di dollari per mantenere l'assistenza a oltre 5,5 milioni di persone in tutto il paese per il resto dell’anno, compresi 150 milioni di dollari per sostenere per sei mesi 800.000 persone colpite dal terremoto.

Senza risorse sufficienti, a partire da luglio il WFP dovrà ridurre drasticamente il numero di beneficiari, lasciando milioni di persone in condizioni di estremo bisogno senza assistenza alimentare.

Il mondo ora ci ha dimenticato. Ѐ quello che ci dicono molti siriani, ed è un duro promemoria a fare di più ", ha detto Corinne Fleischer, Direttrice regionale WFP per il Medio Oriente, il Nord Africa e l'Europa orientale. "Abbiamo bisogno di fondi per continuare a fornire cibo a milioni di famiglie, fino a quando i siriani non potranno tornare ad essere autosufficienti".

Oltre a fornire assistenza alimentare immediata, il WFP lavora per trovare soluzioni a lungo termine per aiutare le comunità in Siria a diventare meno dipendenti dall'assistenza alimentare diretta. In tutta la Siria, il WFP sostiene la riabilitazione di sistemi di irrigazione, mulini, panetterie e mercati. Tali progetti comportano un maggiore ritorno sull'investimento rispetto alle distribuzioni alimentari tradizionali. Ad esempio, ogni dollaro investito nella riabilitazione di panetterie o canali di irrigazione può ridurre il costo annuale dell'assistenza alimentare generale di oltre 3 dollari.

venerdì 3 marzo 2023

Il Congresso Usa vota per ripristinare tutte le sanzioni alla Siria

 
foto di Elia Kajmini

Piccole Note, 3 marzo 2023

“La Camera degli Stati Uniti questa settimana ha votato in modo schiacciante a favore di una mozione per mantenere le sanzioni contro la Siria, nonostante il devastante terremoto che ha ucciso almeno 5.900 persone”. Così The Cradle.

Maggioranza “bulgara”

La risoluzione, presentata dal deputato repubblicano Joe Wilson e sottoscritta da altri 51 deputati, è stata approvata con un voto di 414 a 2. Contrari solo Thomas Massie e Marjorie Taylor Greene.

La risoluzione chiede all’amministrazione Biden di continuare ad rimanere fedeli al Caesar Syria Civilian Protection Act del 2019, “che ha imposto sanzioni paralizzanti alla Siria progettate per impedire al Paese di ricostruirsi dopo anni di guerra”, come scrive Dave DeCamp su Antiwar.

“La mozione – continua DeCamp – dichiarava che il governo del presidente siriano Bashar al-Assad ‘affermava in maniera menzognera’ che le sanzioni statunitensi impedivano di dare una risposta alle devastazioni del terremoto”.

E ancora, “la mozione della Camera affermava di ‘piangere’ le vittime del terremoto e descriveva l’applicazione del Caesar Act come un modo per ‘proteggere’ il popolo siriano”.

Approvando tale mozione, la Camera chiede la revoca del gesto conciliante dell’amministrazione Biden che, dopo il sisma, ha sospeso parte delle sanzioni comminate a Damasco. Detto questo, anche la sospensione attuale, anche se non sarà revocata, non ha un grande impatto sugli aiuti.

Così su Msnbc news: “La scorsa settimana, il governo degli Stati Uniti ha annunciato una moratoria di 180 giorni sulle sanzioni per favorire i soccorsi ma, anche se le sanzioni prevedevano precedenti esenzioni per l’assistenza umanitaria, molti analisti temono che la revoca di queste sanzioni non cambierà molto”.

L’inefficace sospensione, parziale e temporanea

“[…] Ad esempio, le banche e le istituzioni finanziarie private non sono disposte a inviare denaro in Siria sotto forma di rimesse, tanto necessarie, e altri aiuti finanziari per paura di ritorsioni. Poi c’è il fatto che la stragrande maggioranza del petrolio del paese è controllata dagli Stati Uniti”.

Peraltro, si può immaginare quanto sia incisiva una sospensione di alcune sanzioni per soli 180 giorni, solo se si pensa alle conseguenze dei terremoti che hanno afflitto l’Italia, dove ancora l’Aquila e Amatrice, solo per fare due esempi, sono alle prese con la ricostruzione (e il nostro Paese è più sviluppato e non ha subito una devastante guerra decennale). Tant’è.

Poco da aggiungere. Questa la politica sanguinaria ormai è diventata approccio ordinario dell’Impero verso il povero Paese mediorientale. La colpa di Assad è quella di aver resistito al tentativo di regime-change, anche se un terzo del Paese, nel quale si trovano i giacimenti di petrolio, resta occupato dagli Stati Uniti, i quali usano allo scopo i curdi siriani, a loro volta succubi e vittime dei loro disegni (tanto è vero che, quando Erdogan li ha attaccati, hanno chiesto aiuto ad Assad, segno che l’America li aveva scaricati).

Tale l’ipocrisia di un Impero che vuole apparire come difensore della libertà e della democrazia e, per inciso, accusa i russi di attentare all’integrità territoriale dell’Ucraina….



Padre Lufti: "C'è bisogno di solidarietà. Il sisma rischia di cancellare ogni speranza"

È passato quasi un mese dal terribile sisma che ha colpito, esattamente la notte del 6 febbraio scorso, la regione tra la Turchia e la Siria, e sui media non si parla più, se non raramente, di questa tragedia che ha provocato ad oggi in totale nei due Paesi 53.565 vittime e innumerevoli feriti. Ma, dopo i primi momenti, terminate le ricerche di eventuali superstiti, restano il dolore e le sofferenze quotidiane di migliaia di persone e famiglie senza casa e senza lavoro e restano la paura di nuove scosse di assestamento e i timori nei riguardi del futuro. 

In Siria, in particolare, tra la gente si vive un clima generale di sfiducia. Per esprimere solidarietà alla popolazione oggi sono giunti ad Aleppo monsignor Giuseppe Andrea Salvatore Baturi, arcivescovo di Cagliari e segretario generale della Conferenza episcopale italiana, con il cardinale Mario Zenari, nunzio in Siria. Ad accompagnarli nella visita il padre francescano Firas Lutfi, ministro per la regione francescana di Siria, Libano, Giordania che vive nella città siriana. Infatti, se una certa solidarietà c'è stata all'inizio da parte della comunità internazionale verso i siriani vittime del sisma, c'è bisogno che gli aiuti proseguano per dare la possibilità alle popolazioni di non abbandonare la loro terra e di immaginare per loro un avvenire migliore.  A Vatican News padre Firas Lutfi spiega l'importanza della visita in corso e descrive come si vive oggi sui luoghi del terremoto.


Padre Firas, ci dice qualcosa della visita in corso?

Siamo qui a visitare un po' le zone colpite dal terremoto, stiamo percorrendo appunto tutta quella zona che è stata veramente danneggiata. Ma visitiamo anche le famiglie, le persone povere che hanno sofferto sia il trauma del sisma sia la preoccupazione per il presente e per il futuro. È una visita di solidarietà, una visita di supporto. Il cardinale Zenari ha più volte visitato la Siria, è invece la prima visita della Conferenza episcopale italiana nella persona di monsignor Baturi. Era programmata prima del terremoto, ma dopo questo evento c'erano ragioni in più per venire, per esprimere la solidarietà anche di Papa Francesco e di tutti i pastori della Chiesa italiana. Quindi è una visita molto apprezzata, molto di rinforzo e di incoraggiamento alla popolazione che sta in ginocchio.

Ecco, qual è la situazione oggi nelle località terremotate. Ci sono ancora scosse? C'è paura? Dove hanno trovato rifugio le persone che hanno perso le proprie case?

Sì, ci sono tante persone che hanno perso la loro casa e che hanno trovato riparo nelle chiese e nelle moschee e nei centri creati per l'accoglienza, ma la situazione qui è drammatica perchè centinaia di famiglie sono costrette a stare tutte insieme in una condizione di grande disagio, priva di privacy, e in una grande confusione. Sono piccoli e grandi, adulti, bambini ragazzi e ragazze che vivono così, in grandi aule semplicemente.

Ma si sta pensando a qualche sistemazione un po' meno provvisoria per loro?

Sì, sì certo, adesso grazie anche a questa collaborazione che la comunità internazionale in qualche modo ha voluto offrire, c'è un progetto per la costruzione di case prefabbricate, perchè ora ci sono molte famiglie sotto le tende.

Farà certamente anche molto freddo in questo periodo, ma come viene distribuito il cibo, il vestiario, le cose più necessarie?

Gli aiuti vengono distribuiti secondo le necessità e il numero delle persone che sono nei centri di emergenza che sono stati creati, noi francescani abbiamo parecchi centri qui ad Aleppo, almeno tre, e anche l'episcopato latino sta ospitando centinaia di persone. Insomma si cerca, entro i limiti del possibile, di aiutarli a stare bene. Ma soprattutto la gente ha paura, tanti non hanno problemi con la casa ma la paura della prima scossa ha fatto veramente sentire molta molta preoccupazione. È per questo che tanti bambini non vogliono più ritornare a casa, perché la casa invece di farli stare tranquilli e sicuri, adesso per loro rappresenta una minaccia, un rischio.

Sono presenti ancora organizzazioni e volontari per sostenere le persone in difficoltà?

Fortunatamente il terremoto ha richiamato molti giovani che lavorano qui con le organizzazione locali.

Dall'estero invece non c'è più nessuno?

Qualcuno c'è forse in Turchia, in Siria meno, solo alcuni Paesi arabi hanno mandato aiuti.

Qual è il sentimento più diffuso tra la gente: disperazione, fiducia, speranza, paura?

La paura è prevalente e poi sfiducia e disperazione, purtroppo, un senso di smarrimento e di abbandono. Le persone non hanno più fiducia nemmeno di ritornare nelle loro case. Adesso sono nel convento dei francescani, dove si trovano 3000 persone e nessuno di loro vuole andare a casa perché la casa è vista come un pericolo.

E voi come piccola Chiesa locale come fate ad aiutare tanta gente? Che cosa chiedete alla comunità internazionale?

Chiediamo appunto alla comunità internazionale più attenzione, chiediamo di superare le divisioni, le visioni miopi, chiediamo di levare in modo definitivo quelle sanzioni che pesano soprattutto sui civili e sulle persone innocenti. Abbiamo bisogno di una pace permanente, che metta fine al male che per dodici anni i siriani hanno subito prima con la guerra ora anche con il terremoto, una tragedia dentro la tragedia. Quindi è necessario un impegno veramente di tutti, soprattutto della comunità internazionale.

Localmente in questo momento c'è collaborazione tra cristiani e musulmani nelle zone colpite dal sisma?

Certamente c'è collaborazione tra tutti i siriani, musulmani e cristiani. Nel nostro monastero adesso vedo con i miei occhi moltissime famiglie musulmane che abbiamo accolto perché davanti a tragedie del genere non si fa mai distinzione tra una religione e l'altra, tra una confessione e l'altra. Sono tutti figli di Dio, sono persone ferite, come quella che il buon samaritano ha cercato di curare e di soccorrere, lungo le strade dell'umanità.

Che cosa ha in cuore, padre Firas, che cosa vorrebbe ancora dirci?

Voglio dire che ringrazio sempre la Radio del Papa per l'attenzione e per la possibilità di ascoltare la voce di questi poveri che gridano, che vivono nell'abbandono, nello smarrimento. Noi cerchiamo questa solidarietà internazionale iniziata quasi un mese fa, perché possa davvero dare più speranza e più coraggio alle persone di restare nelle loro terre. Perché dopo questi eventi tragici di solito le persone tendono ad abbandonare il loro Paese, la loro terra, non avendo più nulla su cui appoggiarsi.

https://www.vaticannews.va/it/chiesa/news/2023-03/terremoto-sisma-siria-chiesa-solidarieta-padre-lutfi-visita-cei.html