Riprendiamo le parole pronunciate da padre Giuseppe Lepori nella presentazione della Mostra “Ciò che non muore mai. La vita di Takashi e Midori Nagai” Bruchsal, 8 gennaio 2023,
perchè ci sembra leggano la grandezza della testimonianza anche degli amici cristiani in Siria.
“Incarnano la profezia di un “segno di contraddizione, che proprio in mezzo a tutti i motivi reali, inconfutabili, di rassegnazione al male, di disperazione, si erge e rende evidente, altrettanto inconfutabilmente, che la speranza è possibile, che la salvezza è possibile, che la vita è possibile, anzi: che ci sono, sono qui, sono già date! Un semplice “Eppure!”che in un istante arresta il declino della disperazione verso la morte. L’impossibile diventa possibile, contro ogni umana evidenza, contro ogni speranza. Quanto abbiamo bisogno nel mondo di oggi, proprio nei tempi che viviamo, di questo segno profetico, di questo“Eppure”!
Quanto abbiamo bisogno allora della profezia dell’ “Eppure!” che rinnova la vita, la gioia di vivere, che riapre davanti a noi il futuro come vita e non come morte! Ecco, le persone come Takashi Nagai e sua moglie incarnano questo “Eppure!” in modo particolarmente significativo, sia per la straordinarietà della loro vita, sia perché hanno espresso questo“Eppure!” in un momento particolarmente privo di speranza per la loro vita, per il loro popolo e l’intera umanità.
Questi testimoni dell’“Eppure!” della speranza sono luci apparentemente isolate, rare, ma che risplendono proprio per questo, e che per questo ci rendono attenti a tante luci che brillano attorno a noi, o in noi stessi, e che noi non vediamo. Soprattutto ci rendono attenti, a come è possibile anche a noi, dentro le nostre situazioni di prova e disperazione, di diventare un “Eppure!” profetico che trasmette a chi ci sta attorno la speranza che rinnova la vita. Questi testimoni attirano la nostra attenzione perché ci accorgiamo che guardare a loro ci aiuta a vivere, ridà senso e speranza alla nostra vita.”
Grazie dunque ai testimoni della pazienza e della speranza contro ogni speranza che qui riportiamo, Padre Hanna e i Salesiani di Aleppo.
Fra Hanna Jallouf: «Sarò vescovo per servire la mia gente nella Siria insanguinata»
Mentre era di passaggio a Roma per varie incombenze legate recente alla nomina a vicario apostolico di Aleppo dei Latini, Terrasanta.net ha intervistato fra Hanna Jallouf, per lunghi anni parroco di Knayeh, nel governatorato di Idlib, in Siria.
Il motto che ha scelto chiarisce subito lo stile che intende adottare nel suo nuovo ministero episcopale: «Io sto in mezzo a voi come colui che serve» (Vangelo di Luca 22,27). Un passo, quello dell’evangelista Luca scelto da fra Hanna Jallouf, che spiega più di molte parole. Soggiunge il frate siriano: «Nello mio stemma episcopale metterò la croce di Terra Santa e lo stemma francescano, ma anche la carta della Siria indivisa».
La sua nomina a vicario apostolico di Aleppo dei Latini è stata resa nota sabato primo luglio 2023 dalla Santa Sede. Il neo vescovo avrà giurisdizione sui cattolici di rito latino in tutta la Siria. Frate minore della Custodia di Terra Santa, il religioso è stato, fino ad oggi, parroco di Knayeh. La località, insieme ai vicini villaggi di Ghassanieh e Yacubiyeh, si trova nel nord-ovest della Siria, nella valle dell’Oronte. Vale a dire all’interno di quel governatorato di Idlib tuttora controllato da gruppi ribelli di matrice islamista che si oppongono al governo di Damasco e che hanno avuto negli anni appoggi dalla vicina Turchia.
Eccellenza,
come ha accolto la nomina da parte di papa Francesco?
Ho
avuto da una parte timore e preoccupazione, perché non mi sento
degno di questa nomina. Ma poi anche gioia, perché ho capito che
questo incarico non è per me, ma per la gente che sono chiamato a
servire. Dopo tanti anni, passati tra molte sofferenze, il Signore mi
ha dato una croce ancora più grande. Ma si vede che ha visto che ho
le spalle grandi… Allora ho detto: sia fatta la tua volontà.
Come
è la situazione oggi nella zona delle missioni dell’Oronte?
Lavoro
da 22 anni in quella zona, dove ho realizzato molte opere… Ma
la guerra e poi il terremoto hanno distrutto quasi tutto e la gente è
fuggita… Si vede che il Signore aveva altri piani. Ma noi
francescani siamo rimasti e abbiamo scelto di metterci al servizio
dei più poveri, dei disabili, delle vedove. Nei nostri conventi e
case abbiamo accolto chi è rimasto senza abitazione a causa della
guerra e, più recentemente, del terremoto… Senza distinzione di
religione, abbiamo fatto entrare chi ha bussato alla nostra porta.
Quanti
cristiani sono rimasti nella valle dell’Oronte?
Prima
del 2011 eravamo circa 10 mila in tutta la provincia di Idlib. La
maggior parte, però, è fuggita in questi dodici anni di guerra.
Siamo rimasti in 600, cristiani di vari riti e confessioni. Tutti
fanno riferimento a noi, perché i sacerdoti e i religiosi delle
altre Chiese sono fuggiti.
Il
governatorato di Idlib è noto per essere l’ultima roccaforte del
sedicente Stato islamico in Siria…
Dalla
mia zona sono passati tutte le fazioni, dall’Esercito libero
siriano a Jabat
al Nusra.
Poi, negli ultimi anni, nella regione hanno trovato riparo molte
formazioni ribelli cacciate da altri territori della Siria. La zona
ha sofferto sia per l’occupazione dei guerriglieri, sia per i
bombardamenti delle forze alleate di Damasco – specialmente russe –
e non è mai tornata completamente sotto il controllo del governo
centrale. Abbiamo vissuto momento davvero brutti. Penso all’uccisione di padre François Mourad nel
2013 a Ghassanieh; penso ai rapimenti di cristiani per costringerli
ad abiurare la fede. Penso all’assassinio di una nostra maestra
cristiana, massacrata e gettata in un fosso. Io stesso ho subito la
detenzione nell’ottobre del 2014… Per anni i jihadisti ci hanno
permesso di celebrare la liturgia solo al chiuso, e nessun simbolo
religioso cristiano era ammesso negli spazi pubblici. In più
occasioni le nostre chiese sono state attaccate e devastate… Con
l’aiuto di Dio abbiamo resistito e siamo rimasti fedeli…
Oggi
la situazione nel governatorato resta complicata, ma il clima è più
sereno. Quando si è diffusa la notizia che ero stato nominato
vescovo cattolico della Siria, lo sheikh e
alcuni collaboratori sono venuti a porgermi le loro felicitazioni.
Tra
le emergenze che ogni tanto salgono alle cronache, c’è la
situazione delle vedove dei jihadisti e dei tanti orfani…
È
vero, è un’emergenza che tocca tutta la Siria. La realtà più
nota è quella del campo di detenzione di al-Hol,
con oltre 50 mila donne e moltissimi bambini. Ma anche nella mia zona
esiste un campo dove vivono una settantina di queste vedove
dell’Isis, molte con figli. Alcune sono state sposate per procura e
non conoscevano neppure i mariti a cui sono state date in moglie. Ora
i mariti sono morti e loro sono totalmente abbandonate, senza nessun
sostegno… È una situazione disumana. Per non parlare dei minori,
orfani di entrambe i genitori… Ad Aleppo di questa realtà si
occupa il progetto Un
nome un futuro,
nato dalla collaborazione tra il mio predecessore mons. George Abu
Khazen e il muftì della città (Mahmoud Akam – ndr), grazie
all’impegno dei frati della Custodia di Terra Santa.
Quanti
sono i sacerdoti e le religiose che fanno parte oggi del vicariato di
Aleppo?
Il
vicariato latino non ha preti diocesani. La sua forza pastorale è
formata dai religiosi francescani, presenti ad Aleppo, Lattakia,
nell’Oronte e a Damasco. Poi c’è la presenza dei padri
cappuccini, dei gesuiti, dei salesiani… Le congregazioni femminili
sono almeno una quindicina, impegnate in vari campi…
L’ordinazione
episcopale avverrà ad Aleppo domenica 17 settembre 2023, che è
anche festa liturgica delle stimmate di san Francesco d’Assisi…
Ho
scelto questa data, per me francescano importantissima, perché la
Siria è insanguinata. Le ferite di Francesco sono la partecipazione
alle sofferenze di Cristo. La speranza è che queste ferite
rimarginino presto e che il Paese possa presto risorgere ad un futuro
di pace.
.... questo è il momento!
di Padre Dave, prayersforsyria.com
Da questa distanza è spesso difficile vedere dove lo Spirito di Dio è all'opera in Siria. Il paese sembra barcollare da una crisi all'altra. Dopo una dozzina di anni di guerra, incendi, terremoti e tutte le privazioni causate dalle sanzioni provenienti dagli Stati Uniti, sono tornati gli incendi! Hanno colpito di nuovo la provincia di Lattakia, una parte così bella della Siria, e la stessa regione che è stata al centro dei terremoti.
Ricordo amici in Siria che mi raccontavano di come, durante gli incendi dello scorso anno, le famiglie si accalcassero nell'unico veicolo che riuscivano a trovare che avesse carburante e cercassero disperatamente di attaccare un albero di ulivo al veicolo in modo da avere del cibo mentre fuggivano!
I disastri naturali sono stati terribili. I disastri provocati dall'uomo, causati soprattutto dalle sanzioni statunitensi, mi sembrano ancora più terribili. Trovo un po' di conforto nel resoconto che riporto qui di seguito sul buon lavoro svolto dalla Don Bosco House di Aleppo, che ricorda ciò che la Chiesa, e le altre organizzazioni religiose internazionali, possono ancora realizzare.
Mentre le sanzioni rendono ancora impossibile per la maggior parte di noi inviare denaro in Siria, la chiesa può ottenere denaro oltre confine per finanziare opere come questa. Se c'è mai stato un momento in cui la comunità cristiana in tutto il mondo si facesse avanti e facesse la differenza per le persone bisognose, questo è il momento!
https://prayersforsyria.com/its-time-for-the-church-to-stand-with-syria/
Subito dopo le devastanti scosse di febbraio, i Salesiani hanno aperto le porte della Casa Don Bosco, e centinaia di persone hanno trovato sicurezza, compagnia e sollievo. A cinque mesi dal terremoto, padre Alejandro León, superiore dell'Ispettoria salesiana Gesù Adolescente del Medio Oriente, ha riflettuto su ciò che ha vissuto e su ciò di cui il Paese continua ad aver bisogno, oltre ad esprimere la sua gratitudine per tutti coloro che hanno fornito sostegno.
Fr. León ha detto: “Una frase che ho sentito mi ha fatto pensare. Sono entrato in un incontro di formazione con un gruppo di adolescenti di 15-16 anni. Non so quale argomento stessero discutendo, ma una ragazza ha detto: "Qui ci hanno insegnato a vedere il bicchiere mezzo pieno, piuttosto che mezzo vuoto, ma il problema è che il nostro bicchiere non è solo vuoto, è davvero rotto". La frase può sembrare un'esagerazione, o uno sfogo dopo l'esperienza del terremoto. Questo però non lo penso, ma c'è qualcosa in esso che mi fa riflettere ed entrare in empatia con la situazione esistenziale di questi giovani».
Fr. León ha notato tutto ciò che questi giovani hanno passato nelle loro giovani vite. “Sono giovani che non ricordano la vita senza guerra. Hanno vissuto per anni senza elettricità, senza acqua, con scarsità di cibo e carburante. Hanno vissuto in una città assediata e hanno temuto attacchi con armi chimiche o missili. Tutti piangono un familiare morto durante la guerra e vivono in una costante depressione economica. Hanno sperimentato epidemie di colera e l'epidemia di COVID-19. E adesso? Un grande terremoto e altri terremoti, almeno quattro, che hanno superato i 6 gradi della scala Richter”.
Erano le 4:17 del 6 febbraio quando la terra tremò. Subito il cortile di Casa Don Bosco si è riempito di gente in cerca di salvezza. C'era ansia e incertezza. Don Mario Murru, rettore, ha assicurato fin dall'inizio che la casa salesiana sarebbe stata aperta per tutti coloro che ne avessero avuto bisogno. All'ora di pranzo c'erano già 50 persone in casa e a cena erano 300. Questo numero è cresciuto costantemente nei giorni successivi fino a raggiungere le 500 persone. Il 21 febbraio un altro forte terremoto ha rinnovato la paura e 800 persone hanno trovato rifugio presso la Casa Don Bosco.
I giovani della regione frequentavano da anni i programmi della Don Bosco House. Erano coinvolti in campi giovanili e conoscevano i Salesiani. Attraverso la loro formazione, sono stati leader naturali nell'emergenza, aiutando le loro famiglie e i loro vicini. Fr. Murru ha detto: “È stato commovente vedere il rispetto che gli adulti hanno mostrato ai giovani. Non perché fossero autorità designate, ma per l'autorità morale acquisita attraverso il loro generoso servizio».
Ha aggiunto: “L'amore ci ha fatto superare barriere che nessuno di noi avrebbe potuto immaginare. Per amore dei figli, per amore dei genitori, per amore degli amici, per amore di Dio. In un momento in cui non c'era motivo di sperare in nulla, hanno trovato persone per cui lottare con speranza e tutti, ricchi e poveri, sono diventati bisognosi e hanno condiviso ciò che avevano».
Quasi 2,4 milioni di euro sono stati raccolti dai Salesiani di tutto il mondo per i progetti di emergenza post-terremoto. A giugno si sono conclusi gran parte di quei progetti di emergenza per lasciare spazio alla ricostruzione, ai progetti educativi e ai campi estivi per i bambini e i giovani più grandi colpiti dal sisma.
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