Quali sono gli obiettivi del Coordinamento per la pace in Siria?
Vogliamo ritornare a fare luce sulla Siria: per anni la situazione nel Paese è stata raccontata secondo il punto di vista di una sola parte, quella degli interessi dell'Occidente. Vogliamo creare uno spazio alternativo di informazione che attraverso tutti i canali sostenga i siriani ridando loro voce.
Come è possibile, al di là di un'informazione alternativa, sostenere il popolo siriano?
Partendo da progetti, anche piccoli, ma concreti. Purtroppo accade spesso che i fondi destinati a popoli sofferenti non arrivino mai: in guerra, forse più che in pace, c'è sempre qualcuno che cerca di lucrare sulle sofferenze altrui. Il Coordinamento per la pace in Siria non crea progetti ad hoc bensì segue e sostiene i progetti siriani che già esistono. La Siria infatti, a differenza di quanto credono in molti, non è affatto un Paese morto: certo, una parte del Paese è stata completamente distrutta ma ve ne è un'altra che sta lottando con tutte le forze per rialzarsi, per tornare a vivere. A noi piace molto la definizione della Siria come La Fenice che rinasce dalle proprie ceneri. Il Coordinamento per la pace in Siria vuole fare da ponte tra i numerosi enti, associazioni siriani impegnati in progetti di ricostruzione ed enti, associazioni italiani che si occupano di aiutare il prossimo in diversi campi.
Per esempio, in Siria un interlocutore importante è rappresentato dai frati francescani nella figura del vicario apostolico di Aleppo George Abu Khazen. Per questo cerchiamo di promuovere anche gemellaggi tra diocesi siriane e diocesi italiane, o tra quanti in Siria cercano di valorizzare i beni culturali e quanti lo fanno in Italia. Scopo del Coordinamento è di individuare partner italiani che entrino in contatto con realtà siriane che stanno concretamente cercando di ricostruire il Paese. Inoltre, prima c'era una cooperazione con l'Italia molto significativa nel campo medico che vogliamo ripristinare, ma anche nei settori industria e commercio, essendo la Siria da sempre primo partner con l'Italia, attraverso piccoli progetti per creare occupazione. Vogliamo essere un vero e proprio call center, una voce per quelle associazioni della società civile che vogliono aiutare dando così vita ad un circolo virtuoso per ridare speranza al popolo siriano.
Può farci qualche esempio di questi progetti?
Crediamo che per ricostruire un Paese provato come la Siria, è fondamentale il ruolo della scuola. Solo educando le generazioni più giovani si può restituire speranza al Paese tutto. Per questo il Coordinamento fa da ponte tra scuole siriane che a causa della guerra sono state trasformate in centri di accoglienza e scuole italiane che vogliono aiutarle a tornare a essere centri di educazione.
Inoltre, Le accennavo prima alla promozione del patrimonio artistico: la Siria ha un patrimonio culturale e architettonico ricchissimo che è stato in parte distrutto dalla guerra ma che i siriani stanno tenacemente cercando di ricostruire, come i resti romani vicino ad Aleppo o quelli di Damasco.
I segnali della volontà del popolo siriano di tornare a vivere sono numerosi: a Homs i muri della città sono stati ripuliti e ridisegnati con immagini di fiori, sole, insomma di vita.
A Latakia i cittadini si sono organizzati per ridipingere i muri delle scuole, a Tartus un gruppo di volontari ha ridato vita ad un parco giochi, a Damasco sono stati rimessi in ordine numerosi spazi verdi, ad Aleppo, che, molti non sanno è una città di 4 milioni di abitanti, giovani volontari si sono organizzati per pulire le strade.
Una parte della città, quella a nord, è in mano ai terroristi, ma ve ne è un'altra che vuole risollevarsi e sta usando tutte le sue forze per farlo.
Oltre alla cura del patrimonio e dell'ambiente, i siriani hanno anche dato vita a progetti di occupazione femminile e stanno rimettendo in piedi imprese storiche che sono state costrette a chiudere a causa della guerra.
Non mancano poi iniziative curiose come il flashmob promosso da giovani musicisti siriani del Conservatorio di Musica nelle strade di Damasco.
Tutti segnali questi di come la Siria non sia affatto un Paese morto: sotto le ceneri della guerra, c'è una fiamma che attende solo di riaccendersi. Per farlo ha bisogno del sostegno di enti e associazioni che per loro stessa vocazione aiutano il prossimo.
Credo che ci sia una indubbia responsabilità politica che va denunciata, sia che questa responsabilità sia causata da ignoranza o da malafede. Ora, per esempio, si parla tanto dei profughi siriani: benissimo purché si parli anche della popolazione siriana che deve convivere a fianco dei terroristi e che, come dicevo sopra, sta lottando per rimettersi in piedi. Dal momento poi che i canali politici tra la Siria e l'Italia sono chiusi a causa dell'embargo e delle sanzioni europee che colpiscono i siriani, non ci resta che fare appello alla società civile.
Crede che il governo italiano debba riaprire il dialogo con il governo siriano?
E' necessario riaprire i canali ufficiali altrimenti ci troviamo di fronte alla classica situazione del cane che si morde la coda. Le faccio un esempio: il più grande ospedale della Siria per la cura dei tumori si trovava ad Aleppo. E' stato completamente distrutto. Il Coordinamento sta cercando di portare dei medici ad Aleppo dal momento che la città è stata letteralmente abbandonata dai medici che non possono più lavorare ma a causa dell'embargo non ci sono né medicinali né attrezzature. Come le dicevo, fin quando i canali ufficiali rimarranno chiusi, l'unica strada percorribile è quella della società civile.
Come si può aiutare il Coordinamento per la Pace in Siria?
Chi volesse aiutare può dare un sostegno diretto al Coordinamento attraverso una donazione sul nostro sito www.siriapax.org o può segnalarci enti o associazioni che hanno voglia di aiutare indicando il campo di azione di tali realtà. Sarà poi nostro compito mettere in comunicazione queste realtà italiane con quelle siriane.