Il nostro ruolo di cristiani è quello di mediazione e di
riconciliazione: di essere costruttori di ponti tra i figli della stessa
patria. Questa è la missione più bella che abbiamo potuto svolgere per il
nostro paese, la Siria, per ogni nostro fratello e sorella, concittadini di tutte
le denominazioni, a prescindere dal partito politico, tribù, regione o convinzione.
Noi preghiamo Dio affinchè si degni di riportare l'amore nei cuori
di tutti i siriani, in modo che essi non abbiano bisogno di armi o paura di
massacri, perché possano vivere insieme, come figli della stessa famiglia e della
stessa patria.
Noi lo imploriamo: Dio della pace, dona la pace al nostro
paese!
Damascus, 3 August 2012
“Blessed are the peacemakers”
With these words Our Lord exalts peace-makers, saying that “they shall be called children of God.” (Matthew 5: 9)
Through these same Gospel words, I should like to explain the Church’s attitude to the widespread talk of arming Christians, especially in Damascus:
1. No official has spoken to us about arming Christians.
2. We have never contacted any official and we have never asked for our Christian children to be armed, in Damascus or elsewhere.
3. We have never considered – and never will – arming ourselves.
4. Furthermore, we believe that the attempt to arm Christians, from whatever quarter, involves a danger of sectarian conflict and exposes predominantly Christian districts to attacks of unknown origin.
5. We call upon all our faithful, in all parishes, to refuse offers of arms. We remind them of the teachings of Our Lord, Jesus Christ, “All they that take the sword shall perish with the sword.” (Matthew 26: 52) And also, “Blessed are the meek, for they shall inherit the earth... Blessed are the peacemakers, for they shall be called the children of God." (Matthew 5: 5 and 9)
6. We remind them likewise of Saint Paul’s teaching, "If it be possible, as much as lieth in you, live peaceably with all men." (Romans 12: 18)
Our role as Christians is one of mediation and reconciliation: of being bridge-builders between the children of the same homeland. That is the finest mission that we could carry out for our country, Syria, for our brother and sister fellow-citizens of all denominations, regardless of political party, tribe, region or persuasion.
7. We have not stopped calling for this, ever since the outbreak of the crisis in March, 2011. That is the role of the Church and its pastors – Patriarchs, bishops, priests – monks, nuns and lay-persons involved in various sectors of activities and services of the Church. Our churches, schools, institutions and confraternities are all schools of peace, faith, virtue, love and frank, sincere fellow-citizenship and respect for all.
8. I recall a saying of the late Ecumenical Patriarch Athenagoras of Constantinople, "I am no longer afraid, because I have laid my weapons down!"
2. We have never contacted any official and we have never asked for our Christian children to be armed, in Damascus or elsewhere.
3. We have never considered – and never will – arming ourselves.
4. Furthermore, we believe that the attempt to arm Christians, from whatever quarter, involves a danger of sectarian conflict and exposes predominantly Christian districts to attacks of unknown origin.
5. We call upon all our faithful, in all parishes, to refuse offers of arms. We remind them of the teachings of Our Lord, Jesus Christ, “All they that take the sword shall perish with the sword.” (Matthew 26: 52) And also, “Blessed are the meek, for they shall inherit the earth... Blessed are the peacemakers, for they shall be called the children of God." (Matthew 5: 5 and 9)
6. We remind them likewise of Saint Paul’s teaching, "If it be possible, as much as lieth in you, live peaceably with all men." (Romans 12: 18)
Our role as Christians is one of mediation and reconciliation: of being bridge-builders between the children of the same homeland. That is the finest mission that we could carry out for our country, Syria, for our brother and sister fellow-citizens of all denominations, regardless of political party, tribe, region or persuasion.
7. We have not stopped calling for this, ever since the outbreak of the crisis in March, 2011. That is the role of the Church and its pastors – Patriarchs, bishops, priests – monks, nuns and lay-persons involved in various sectors of activities and services of the Church. Our churches, schools, institutions and confraternities are all schools of peace, faith, virtue, love and frank, sincere fellow-citizenship and respect for all.
8. I recall a saying of the late Ecumenical Patriarch Athenagoras of Constantinople, "I am no longer afraid, because I have laid my weapons down!"
Our Lord calls us to this in the Holy Gospel, "It is I, be not afraid!" (Matthew 14: 27; Mark 6: 50; John 6: 20) And also, "Be of good cheer! I have overcome the world." (John 16: 33) And John the Evangelist tells us, "This is the victory that overcometh the world, even our faith." (1 John 5: 4) Let us add: faith in our brethren, our homeland and our sincere, humane national values.
We pray God to deign to bring back love to the hearts of all Syrians, so that they will have no need of weapons or fear of massacres, for they will be living together, as children of the same family and the same homeland.
We implore him: God of peace, grant peace to our country.
+ Gregorios III
Patriarch of Antioch and All the East,
Of Alexandria and of Jerusalem
http://www.pgc-lb.org/eng/gregorios/view/Blessed-are-the-peacemakers
S.I.R. Prima pagina Martedì 07 Agosto 2012
"Ci sono scontri in atto in diverse zone e quartieri della città. Si odono continui colpi di arma da fuoco, tanti scoppi, alcuni molto forti, forse di mortaio. Siamo molto preoccupati perché non sappiamo cosa accadrà e a cosa andremo incontro. Si dice che si stia preparando una battaglia, che genere di conflitto sarà, quando comincerà e quanto durerà non lo possiamo sapere. Non possiamo fare altro che sperare in un compromesso che eviti uno spargimento di sangue, vittime innocenti. Altro sangue non farà che aumentare l’odio, le divisioni, e la distanza tra le parti". È una voce affranta quella di mons. Jean-Clément Jeanbart, arcivescovo greco-melkita di Aleppo, la seconda città siriana, snodo economico della nazione, dove da giorni si stanno ammassando le truppe regolari del presidente Assad per cacciare le forze dell’opposizione armata barricate in alcuni quartieri della città. Si parla di 20 mila soldati pronti a sferrare un attacco che potrebbe rivelarsi decisivo per le sorti del conflitto. Alla capacità militare di Assad non corrisponde, però, un’altrettanta potenza politica soprattutto dopo la fuga in Giordania del premier, nominato solo un mese fa, Riad Hijab. Una defezione che, per gli analisti, è un segnale che il regime sarebbe avviato alla disgregazione. "L’abbandono dell’ex premier - dichiara il presule - mostrerebbe una certa debolezza del regime e getta sul popolo un ulteriore motivo di preoccupazione. Politica e diplomazia cerchino vie di dialogo che è quello che il popolo vuole ed auspica, non il suono cupo delle armi". Invece, "siamo costretti ad assistere a scelte totalmente opposte, basti pensare alla decisione del presidente Usa, Barack Obama, di autorizzare missioni segrete in sostegno dei ribelli. Non è da oggi che gli Usa spingono in questa direzione".
Un Paese in ginocchio. Chi è già in ginocchio è il Paese: dal marzo 2011, inizio del conflitto, i morti - secondo stime dell’Osservatorio siriano per i diritti umani - sarebbero oltre 21 mila, gli sfollati ancora in Siria un milione e mezzo. Centinaia di migliaia quelli fuggiti in Turchia, Libano e Giordania. L’economia è ferma, manca il lavoro e l’emergenza umanitaria è sempre più vicina, complici anche le sanzioni adottate dalla comunità internazionale.
Patriarch of Antioch and All the East,
Of Alexandria and of Jerusalem
http://www.pgc-lb.org/eng/gregorios/view/Blessed-are-the-peacemakers
SIRIA : Chi l'ha a cuore?
Testimonianza da Aleppo dove si prepara lo
scontro, forse, decisivoS.I.R. Prima pagina Martedì 07 Agosto 2012
"Ci sono scontri in atto in diverse zone e quartieri della città. Si odono continui colpi di arma da fuoco, tanti scoppi, alcuni molto forti, forse di mortaio. Siamo molto preoccupati perché non sappiamo cosa accadrà e a cosa andremo incontro. Si dice che si stia preparando una battaglia, che genere di conflitto sarà, quando comincerà e quanto durerà non lo possiamo sapere. Non possiamo fare altro che sperare in un compromesso che eviti uno spargimento di sangue, vittime innocenti. Altro sangue non farà che aumentare l’odio, le divisioni, e la distanza tra le parti". È una voce affranta quella di mons. Jean-Clément Jeanbart, arcivescovo greco-melkita di Aleppo, la seconda città siriana, snodo economico della nazione, dove da giorni si stanno ammassando le truppe regolari del presidente Assad per cacciare le forze dell’opposizione armata barricate in alcuni quartieri della città. Si parla di 20 mila soldati pronti a sferrare un attacco che potrebbe rivelarsi decisivo per le sorti del conflitto. Alla capacità militare di Assad non corrisponde, però, un’altrettanta potenza politica soprattutto dopo la fuga in Giordania del premier, nominato solo un mese fa, Riad Hijab. Una defezione che, per gli analisti, è un segnale che il regime sarebbe avviato alla disgregazione. "L’abbandono dell’ex premier - dichiara il presule - mostrerebbe una certa debolezza del regime e getta sul popolo un ulteriore motivo di preoccupazione. Politica e diplomazia cerchino vie di dialogo che è quello che il popolo vuole ed auspica, non il suono cupo delle armi". Invece, "siamo costretti ad assistere a scelte totalmente opposte, basti pensare alla decisione del presidente Usa, Barack Obama, di autorizzare missioni segrete in sostegno dei ribelli. Non è da oggi che gli Usa spingono in questa direzione".
Un Paese in ginocchio. Chi è già in ginocchio è il Paese: dal marzo 2011, inizio del conflitto, i morti - secondo stime dell’Osservatorio siriano per i diritti umani - sarebbero oltre 21 mila, gli sfollati ancora in Siria un milione e mezzo. Centinaia di migliaia quelli fuggiti in Turchia, Libano e Giordania. L’economia è ferma, manca il lavoro e l’emergenza umanitaria è sempre più vicina, complici anche le sanzioni adottate dalla comunità internazionale.