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lunedì 7 ottobre 2024

Lettera del Papa ai cattolici del Medio Oriente: martoriati da guerre fatte dai potenti, sono con voi

 

Cari fratelli e sorelle,

penso a voi e prego per voi. Desidero raggiungervi in questo giorno triste. Un anno fa è divampata la miccia dell’odio; non si è spenta, ma è deflagrata in una spirale di violenza, nella vergognosa incapacità della comunità internazionale e dei Paesi più potenti di far tacere le armi e di mettere fine alla tragedia della guerra. Il sangue scorre, come le lacrime; la rabbia aumenta, insieme alla voglia di vendetta, mentre pare che a pochi interessi ciò che più serve e che la gente vuole: dialogo, pace. Non mi stanco di ripetere che la guerra è una sconfitta, che le armi non costruiscono il futuro ma lo distruggono, che la violenza non porta mai pace. La storia lo dimostra, eppure anni e anni di conflitti sembrano non aver insegnato nulla.

E voi, fratelli e sorelle in Cristo che dimorate nei Luoghi di cui più parlano le Scritture, siete un piccolo gregge inerme, assetato di pace. Grazie per quello che siete, grazie perché volete rimanere nelle vostre terre, grazie perché sapete pregare e amare nonostante tutto. Siete un seme amato da Dio. E come un seme, apparentemente soffocato dalla terra che lo ricopre, sa sempre trovare la strada verso l’alto, verso la luce, per portare frutto e dare vita, così voi non vi lasciate inghiottire dall’oscurità che vi circonda ma, piantati nelle vostre sacre terre, diventate germogli di speranza, perché la luce della fede vi porta a testimoniare l’amore mentre si parla d’odio, l’incontro mentre dilaga lo scontro, l’unità mentre tutto volge alla contrapposizione.

Con cuore di padre mi rivolgo a voi, popolo santo di Dio; a voi, figli delle vostre antiche Chiese, oggi “martiriali”; a voi, semi di pace nell’inverno della guerra; a voi che credete in Gesù «mite e umile di cuore» (Mt 11,29) e in Lui diventate testimoni della forza di una pace non armata.

Gli uomini oggi non sanno trovare la pace e noi cristiani non dobbiamo stancarci di chiederla a Dio. Perciò oggi ho invitato tutti a vivere una giornata di preghiera e digiuno. Preghiera e digiuno sono le armi dell’amore che cambiano la storia, le armi che sconfiggono il nostro unico vero nemico: lo spirito del male che fomenta la guerra, perché è «omicida fin da principio», «menzognero e padre della menzogna» (Gv 8,44). Per favore, dedichiamo tempo alla preghiera e riscopriamo la potenza salvifica del digiuno!

Ho nel cuore una cosa che voglio dire a voi, fratelli e sorelle, ma anche a tutti gli uomini e le donne di ogni confessione e religione che in Medio Oriente soffrono per la follia della guerra: vi sono vicino, sono con voi.

Sono con voi, abitanti di Gaza, martoriati e allo stremo, che siete ogni giorno nei miei pensieri e nelle mie preghiere.

Sono con voi, forzati a lasciare le vostre case, ad abbandonare la scuola e il lavoro, a vagare in cerca di una meta per scappare dalle bombe.

Sono con voi, madri che versate lacrime guardando i vostri figli morti o feriti, come Maria vedendo Gesù; con voi, piccoli che abitate le grandi terre del Medio Oriente, dove le trame dei potenti vi tolgono il diritto di giocare.

Sono con voi, che avete paura ad alzare lo sguardo in alto, perché dal cielo piove fuoco.

Sono con voi, che non avete voce, perché si parla tanto di piani e strategie, ma poco della situazione concreta di chi patisce la guerra, che i potenti fanno fare agli altri; su di loro, però, incombe l’indagine inflessibile di Dio (cfr Sap 6,8).

Sono con voi, assetati di pace e di giustizia, che non vi arrendete alla logica del male e nel nome di Gesù «amate i vostri nemici e pregate per quelli che vi perseguitano» (Mt 5,44).

Grazie a voi, figli della pace, perché consolate il cuore di Dio, ferito dal male dell’uomo. E grazie a quanti, in tutto il mondo, vi aiutano; a loro, che curano in voi Cristo affamato, ammalato, forestiero, abbandonato, povero e bisognoso, chiedo di continuare a farlo con generosità. E grazie, fratelli vescovi e sacerdoti, che portate la consolazione di Dio nelle solitudini umane. Vi prego di guardare al popolo santo che siete chiamati a servire e a lasciarvi toccare il cuore, lasciando, per amore dei vostri fedeli, ogni divisione e ambizione.

Fratelli e sorelle in Gesù, vi benedico e vi abbraccio con affetto, di cuore. La Madonna, Regina della pace, vi custodisca. San Giuseppe, Patrono della Chiesa, vi protegga.

Fraternamente,

FRANCESCO 

Roma, San Giovanni in Laterano, 7 ottobre 2024. 

https://www.vatican.va/content/francesco/it/letters/2024/documents/20241007-lettera-cattolici-mediooriente.html


Un appello per un'immediata azione umanitaria internazionale in Libano del Patriarca Siro Ortodosso Mor Ignatius Aphrem II


7 ottobre, un anno dopo. Patriarca Sabbah: sarà pace solo se avrà fine la tragedia palestinese

FIDES, 5 ottobre 2024

La catastrofe che travolge la Terra Santa e tutto il Medio Oriente «non è iniziata il 7 ottobre 2023». I cicli di violenza che hanno generato il tragico presente vissuto anche nella terra di Gesù «sono stati infiniti, iniziati nel 1917, raggiungendo il picco nel 1948 e nel 1967, continuando da allora fino a oggi». Adesso la rabbiosa rappresaglia della forza militare israeliana «può distruggere e portare morte», ma «non può portare alla sicurezza di cui gli israeliani hanno bisogno», Perché la pace potrà tornare «solo quando la tragedia del popolo palestinese avrà fine».

Sono parole irrigate di lucido realismo, di dolore e nel contempo di speranza “contro ogni speranza” quelle raccolte nel documento-appello diffuso dal Patriarca emerito di Gerusalemme dei Latini Michel Sabbah e dai membri del gruppo “Christian Reflection” a un anno dalle stragi compiute da Hamas contro ebrei israeliani il 7 ottobre 2023, eccidio che ha aperto il nuovo vortice di morte e annientamento che risucchia interi popoli e trascina il mondo intero verso il baratro della guerra globale.

La “Christian Reflection” di Gerusalemme è un gruppo di cristiani di Terra Santa - sacerdoti, religiosi e laici - raccolti intorno al Patriarca emerito Sabbah per condividere riflessioni sul ruolo dei cristiani davanti al conflitto e nella società. Proprio ai fratelli e alle sorelle nella fede in Cristo il documento firmato dal Patriarca emerito Sabbah pone questioni decisive: «Come cristiani» si legge nel testo, intitolato “Mantenere viva la speranza” «ci troviamo di fronte anche ad altri dilemmi: questa è una guerra in cui siamo semplicemente spettatori passivi? Dove ci collochiamo in questo conflitto, presentato troppo spesso come una lotta tra ebrei e musulmani, tra Israele, da una parte, e Hamas e Hezbollah sostenuti dall'Iran, dall'altra? Questa è una guerra di religione? Dovremmo rintanarci nella precaria sicurezza delle nostre comunità cristiane, isolandoci da ciò che sta accadendo intorno a noi? Dobbiamo semplicemente guardare e pregare in disparte, sperando che questa guerra alla fine passi?»

“Stiamo fissando l’oscurità”

Dopo un anno di guerra incessante, «mentre il ciclo della morte continua inarrestabile» il Patriarca Sabbah e i membri del gruppo di riflessione avvertono l’urgenza ««di cercare la speranza che deriva dalla nostra fede», mentre ammettono di essere «esausti, paralizzati dal dolore e dalla paura. Stiamo fissando l’oscurità», mentre «la nostra amata Terra Santa e l'intera regione vengono ridotte in rovina» e «ogni giorno piangiamo le decine di migliaia di uomini, donne e bambini che sono stati uccisi o feriti, soprattutto a Gaza, ma anche in Cisgiordania, Israele, Libano e oltre, in Siria, Yemen, Iraq e Iran». A Gaza - prosegue la tragica descrizione dei fatti «case, scuole, ospedali, interi quartieri sono ora cumuli di macerie. Malattie, fame e disperazione regnano sovrane». £ in tutto questo - si chiedono gli autori del documento - «il sogno sionista di una casa sicura per gli ebrei in uno stato ebraico chiamato Israele ha portato sicurezza agli ebrei?».

Latitanza internazionale

«Incredibilmente» annotano il Patriarca Sabbah e i membri di Christian Reflection «la comunità internazionale guarda quasi impassibile. Le richieste di cessate il fuoco, ponendo fine alla devastazione, vengono ripetute senza alcun tentativo significativo di frenare coloro che stanno scatenando il caos. Armi di distruzione di massa e mezzi per commettere crimini contro l'umanità confluiscono nella regione».
Se la Comunità internazionale latita - prosegue il documento - i cristiani, pur nella loro inermità e esiguità numerica, sono chiamati a essere fiduciosi nella Resurrezione di Cristo anche nella situazione tragica presente.

Quella in atto - insiste il documento - «non è una guerra di religione. E dobbiamo schierarci attivamente, dalla parte della giustizia e della pace, della libertà e dell'uguaglianza. Dobbiamo stare al fianco di tutti coloro, musulmani, ebrei e cristiani, che cercano di porre fine alla morte e alla distruzione»

Sabbah e i suoi compagni del gruppo di riflessione si rivolgono ai capi cristiani, «ai nostri vescovi e ai nostri sacerdoti per avere parole di guida. Abbiamo bisogno dei nostri pastori per aiutarci a comprendere la forza che abbiamo quando siamo insieme. Da soli, ognuno di noi è isolato e ridotto al silenzio». Soprattutto - aggiungono - c’è bisogno di chiedere l’aiuto di Dio «per non disperare, per non cadere nella trappola dell'odio. La nostra fede nella Resurrezione ci insegna che tutti gli esseri umani devono essere amati, uguali, creati a immagine di Dio, figli di Dio e fratelli e sorelle gli uni degli altri». Per questo «le nostre scuole, ospedali, servizi sociali sono luoghi in cui ci prendiamo cura di tutti coloro che sono nel bisogno, senza discriminazioni». E la fede in Cristo «ci rende portavoce di una terra senza muri, senza discriminazioni, portavoce di una terra di uguaglianza e libertà per tutti, per un futuro in cui possiamo vivere insieme».

Porre fine alla tragedia palestinese

Con realismo lucido, gli autori del documento- appello riconoscono che la pace sarà possibile «solo quando la tragedia del popolo palestinese avrà fine». Per questo c’è bisogno «di un accordo di pace definitivo tra questi due partner e non di cessate il fuoco temporanei o soluzioni provvisorie».
La massiccia forza militare di Israele «può distruggere e portare morte, può spazzare via leader politici e militari e chiunque osi alzarsi e opporsi all'occupazione e alla discriminazione. Tuttavia, non può portare la sicurezza di cui gli israeliani hanno bisogno. La comunità internazionale» aggiungono «deve aiutarci riconoscendo che la causa principale di questa guerra è la negazione del diritto del popolo palestinese a vivere nella sua terra, libero e uguale».

«Siamo un popolo, cristiani e musulmani. Insieme» prosegue il documento rivolto ai palestinesi «dobbiamo cercare la via oltre i cicli della violenza. Insieme a loro, dobbiamo impegnarci con quegli ebrei israeliani che sono anche stanchi della retorica, delle bugie, delle ideologie di morte e distruzione». 

sabato 25 aprile 2020

A sette anni dalla scomparsa dei due vescovi di Aleppo.


Di seguito riportiamo l'intero comunicato stampa dei Patriarchi Ortodossi, pubblicato il 22 aprile, anniversario del loro rapimento.
  Trad. Gb.P. per OraproSiria


Amati fratelli e figli spirituali,
Cristo è risorto! In verità, è risorto!

Fratelli miei, vi inviamo il saluto di Pasqua, condividendo le vostre preghiere nelle vostre case piegando con voi le ginocchia del cuore davanti a Cristo, che è stato crocifisso per noi, che è risorto dai morti e ci ha portato alla vita con la sua luce divina, asciugando la polvere dei tempi amari, le ceneri della desolazione e della disperazione delle nostre anime.

Tuttavia, la luminosità della Pasqua rimane imperfetta a causa in particolare della scomparsa dei nostri due fratelli, i vescovi di Aleppo, il metropolita Paul Yazigi e Youhanna Ibrahim, rapiti il 22 aprile 2013. Oggi ci stiamo rivolgendo a voi con tutto il cuore e al mondo intero, per dirvi che i cristiani di questo Medio Oriente, così come di altre comunità, continuano a pagare il pedaggio del terrorismo e della violenza con le loro vite e le loro persone: sfollamenti, rapimenti, omicidi e molte altre avversità. Nonostante tutto ciò, rimangono fedeli alla loro promessa d'amore per Gesù Cristo, come il Signore che li ha redenti sulla Croce e li ha stabiliti in questa regione dell'Est duemila anni fa, al fine di trasmettere la luce del suo Vangelo.
Dal loro rapimento fino ad oggi, le migliaia di tentativi e gli innumerevoli sforzi fatti per ottenere informazioni sul destino dei due vescovi sono stati vani. Tutto questo in mezzo a masse di dati, indizi, analisi e sondaggi che spesso complicano e scompigliano tutte le prospettive.

Da allora sono trascorsi 2.557 giorni e non abbiamo risparmiato alcuno sforzo per portare a buon fine la questione e, in definitiva, raggiungere la tanto desiderata liberazione dei due vescovi, che speriamo possano essere presto di nuovo tra noi. Non abbiamo risparmiato percorsi locali, regionali o addirittura internazionali per chiedere a governi, organizzazioni, figure influenti e poteri politici di portare all'attenzione questa vicenda su più forum globali. Questo, tra gli altri sforzi. Ringraziamo sinceramente tutti coloro che hanno dato il loro aiuto e contribuito a livello umanitario, mediatico, diplomatico, di sicurezza o politico, sia ufficiale che personale. Queste persone hanno portato una luce di speranza in questa notte buia e dolorosa quando la negligenza e il silenzio della comunità internazionale hanno affossato questa importante ed essenziale causa umanitaria, minando ogni tentativo di trovare soluzioni.

Oggi, dopo aver posto davanti ai nostri occhi l'immagine dei due vescovi, i nostri fratelli che sono in costante preghiera per tutti noi, chiediamo a tutti i fedeli, ovunque si trovino, di pregare per loro in questa settimana speciale. Chiediamo loro di pregare per i due vescovi e per ogni persona rapita, scomparsa e sfollata, per chiunque sia stato intrappolato in una situazione drammatica, ma che ha trovato speranza e consolazione nella Croce di Cristo, ed è stato fortificato dalla sua Risurrezione gloriosa e vittoriosa.

Il valore dell'essere umano in questo Oriente non è inferiore a quello degli altri umani. Questa pandemia che sta devastando il mondo - possa Dio preservarci da essa - è una chiara prova che in tutte le circostanze, al di là di ogni considerazione di razza, religione o nazione, siamo tutti fratelli nell'umanità, tutti sulla stessa barca in questo Oriente e nel mondo intero.
Se solo gli uomini potessero esserne consapevoli! Se solo i politici e coloro che si occupano di affari mondiali potessero rendersi conto che gli esseri umani sono della stessa natura e condividono la stessa dignità, indipendentemente dalle loro differenze di Paese, di patria, di lingua, di civiltà e di religione! Nonostante la sua amarezza, l'epidemia è arrivata a dirci che condividiamo un'esistenza comune e la stessa fraternità umana in questo vasto mondo. Se solo fosse chiaro agli occhi e alla coscienza di coloro che violano la dignità del loro fratello, senza sapere che questa follia si ribellerà contro di loro e che alla fine la loro stessa dignità sarà sminuita! Soprattutto, dobbiamo tutti difendere la vera dignità umana; dobbiamo essere consapevoli che la dignità, la vita e l'esistenza dei nostri simili fanno parte del nostro cuore, della nostra stessa esistenza e del nostro essere.

Come cristiani del Levante, siamo profondamente radicati qui fin dai tempi antichi. Le nostre radici non appassiranno mai. Da queste radici scaturisce la vasta oasi che è la presenza cristiana di Antiochia in Oriente e in tutto il mondo, un'oasi fiorente profumata dalla testimonianza della fede cristiana verso il glorioso Signore Gesù Cristo e dall'amore per il prossimo proveniente da ogni punto dell'orizzonte. La storia ha insegnato a tutti noi che non abbiamo bisogno della protezione di nessuno e che non cerchiamo la protezione di nessuno. Siamo una componente essenziale di questo Oriente con tutti i suoi meandri e ramificazioni. Dato il nostro ruolo, la logica della minoranza in opposizione alla maggioranza scompare e viene sostituita dalla logica dell'incontro e del dialogo, nonché dal ruolo pionieristico guidato da cristiani e da altri. Non siamo e non saremo mai una carta da giocare per gli scopi di nessuno. Piuttosto, costituiamo una testimonianza di esistenza e autenticità, un ponte di dialogo e incontro tra Oriente e Occidente, tra il Cristianesimo e altre religioni.

Preghiamo oggi per i nostri due fratelli vescovi e per tutti coloro che sono stati rapiti, ricordando che non risparmieremo alcuno sforzo per difendere questa causa e condurla al risultato desiderato, tanto atteso da tutte le anime cristiane, da tutto il popolo del Levante e da tutte le persone di buona volontà. Dicendo questo, attestiamo che la Via Crucis si è conclusa con un'alba di Risurrezione.

Oggi preghiamo Gesù Cristo, il Signore della Risurrezione e il sovrano della vita, che rotoli la pietra tombale con la sua Croce e faccia gioire i nostri occhi della luce della Risurrezione. Preghiamo per la pace nel mondo che sta soffrendo l'epidemia. Preghiamo per questo Oriente che in tutti i suoi territori cerca l'alba della risurrezione dal Golgota e dalla Croce. Preghiamo per i nostri figli di Aleppo, ai quali in particolare trasmettiamo la pace di Pasqua, chiedendo al Signore della Resurrezione di far rinascere la speranza nei loro cuori e nei nostri.

Con voi, fratelli, le nostre anime si inchinano in preghiera, i nostri cuori sono accesi come tante lampade ad olio negli angoli delle nostre case davanti al Signore Gesù Cristo che è risorto dalla tomba. Preghiamo per la pace nel mondo e per il ritorno di tutti gli ostaggi, mentre illuminiamo i nostri cuori e le nostre anime con la speranza pasquale, cantando: "Cristo è risorto dai morti, con la morte Egli ha fatto cadere la morte, a quelli che sono nelle tombe Egli ha dato la vita ”.

Damasco, 22 aprile 2020

Sua Santità Mor Ignatius Aphrem II°, Patriarca di Antiochia e di tutto l'Oriente e Capo supremo della Chiesa siro-ortodossa

Sua Beatitudine Giovanni X°, Patriarca di Antiochia e dell'intero Oriente della Chiesa greco-ortodossa


https://orthodoxie.com/sept-annees-se-sont-ecoulees-depuis-la-disparition-des-deux-eveques-dalep/

Testimonianza di S.B. Ignace Youssef III Younan , Patriarca siro-cattolico di Antiochia dei Siria 
trasmessa in streaming lunedì 20 aprile durante la recita mensile del Rosario per i Cristiani Perseguitati promossa dal Comitato Nazarat

mercoledì 27 novembre 2019

Discorso di Sua Santità Aphrem II alla Conferenza sui Cristiani Perseguitati


Discorso di Sua Santità Mor Ignatius Aphrem II

Patriarca di Antiochia e di tutto l'Oriente e capo supremo della Chiesa Siro-Ortodossa


alla seconda Conferenza Internazionale sui Cristiani Perseguitati

26 novembre 2019, a Budapest - UNGHERIA
(traduzione Gb.P. OraproSiria)



Eccellenza Primo Ministro Viktor Orban,
Santità ed Eccellenze,
Ospiti illustri,
Signore e signori,

Due anni fa, molti di noi erano riuniti in questa stesso luogo su invito di Sua Eccellenza Viktor Orban per la Prima Conferenza Internazionale sui Cristiani Perseguitati. Riteniamo che l'evento sia il primo del suo genere in Europa, in cui un Governo europeo prende molto sul serio la questione della persecuzione dei Cristiani e organizza una conferenza internazionale su questo problema. Dopo due anni, ci incontriamo di nuovo per la Seconda Conferenza Internazionale sui Cristiani Perseguitati; questo dimostra il costante impegno dell'Ungheria in merito alla questione della persecuzione dei Cristiani, nonostante le forti critiche che ha dovuto affrontare da diversi ambiti. D'altra parte, la passione e l'azione ungherese a favore dei Cristiani perseguitati sono diventate una fonte di ispirazione per alcuni altri Paesi che ora danno pubblicamente sostegno a questa causa, sebbene gli sforzi e le azioni ungheresi non siano stati ancora seguiti da altri. Desideriamo esprimere la nostra profonda gratitudine al Primo Ministro ungherese Sua Eccellenza Sig. Viktor Orban, nonché a tutti gli efficienti funzionari e al personale della Segreteria di Stato ungherese per l'Aiuto ai Cristiani Perseguitati e Hungary Helps guidati dal Ministro di Stato Mr. Tristan Azbej, per il loro costante supporto alle persone che soffrono a motivo del terrorismo, della violenza e dell'ingiustizia in tutto il mondo.
Negli ultimi cinque anni, capi di Chiese e leader religiosi cristiani del Medio Oriente hanno lanciato l'allarme per le minacce esistenziali contro la presenza ed il futuro dei Cristiani in Medio Oriente. Abbiamo messo in evidenza la persecuzione e la pulizia etnico-religiosa a cui siamo sottoposti, principalmente da gruppi armati, alcuni dei quali supportati e finanziati da poteri regionali e internazionali, in Iraq, Siria, Libano, Egitto e altri paesi del Medio Oriente. Tuttavia, le nostre grida non sono state ascoltate da molti. Sono stati fatti pochissimi passi concreti per contrastare questa reale minaccia alla nostra esistenza come popolazione originaria nella terra dei nostri antenati.
Ciò che abbiamo affrontato come Cristiani è a dir poco un genocidio. Più di cinque anni fa, improvvisamente, ISIS o Daesh emerse nella storica città di Mosul, causando l'esodo di tutta la sua popolazione cristiana che si rifugiò nelle città e nei villaggi delle pianure di Ninive (qui desidero lodare l'eroismo e coraggio di Sua Eminenza Mor Nicodemus Daoud Sharaf, che è qui tra noi, che è stata una delle ultime persone a lasciare la città dopo essersi assicurato che tutti i suoi fedeli fossero fuggiti). Queste stesse persone furono ancora una volta cacciate dal loro luogo di rifugio insieme agli abitanti della pianura di Ninive; circa 125.000 cristiani si ritrovarono senza casa e quando finalmente arrivarono nella regione curda dell'Iraq, furono ospitati da chiese locali, ma molti di loro, senza alcun riparo, dormivano per le strade e nei parchi sotto il sole cocente di agosto.
La tragedia del Nord Iraq, tuttavia, non è stata un singolo evento e non è iniziata allora e lì. Ricordiamo cosa era successo ai Cristiani durante la guerra civile in Libano e come la massiccia migrazione abbia indebolito la popolazione cristiana lì. Ancora oggi, il Libano sta vivendo molti disordini e i Cristiani potrebbero essere nuovamente costretti a migrare in gran numero a causa dell'instabilità politica e delle manifestazioni quotidiane che si svolgono in quel paese. Allo stesso modo, ricordiamo gli eventi in Egitto in cui le chiese furono attaccate e molti cristiani divennero martiri per la loro fede. Come possiamo dimenticare i 21 giovani decapitati sulla costa mediterranea in Libia per essersi rifiutati di rinnegare Cristo come loro Signore e Salvatore?
In Iraq, diversi membri del clero, come il vescovo Faraj Raho, padre Boulos Iskandar a Mosul e padre Youssef Adel a Baghdad, furono martirizzati per la loro fede. La chiesa di Nostra Signora della Salvezza (Sayyidat al Najat) a Baghdad fu teatro di un orribile crimine commesso da alcuni fanatici musulmani; due sacerdoti e circa 50 parrocchiani pagarono il tributo ultimo per la loro fede e divennero martiri per Cristo.
In Siria, la città di Sadad, che è una città esclusivamente cristiana siriaca, fu invasa dal gruppo fanatico di Al-Nusra (Al Qaeda) e in un giorno 45 persone furono martirizzate, tra cui 7 membri della stessa famiglia che furono uccisi e i loro corpi gettati in un pozzo. Al-Qaryatayn è un'altra città nella zona centrale della Siria che ha avuto diverse centinaia di famiglie cristiane invase da Daesh (ISIS) e più di 250 cristiani sono stati presi in ostaggio per diversi mesi. Dopo 6 anni e mezzo, stiamo ancora aspettando di conoscere il destino dei due Arcivescovi di Aleppo rapiti Boulos Yaziji e Mor Gregorius Youhanna Ibrahim. Il loro rapimento fu un chiaro messaggio al loro gregge in Aleppo e ai Cristiani in Siria in generale che il Cristianesimo non ha posto nella regione. Crediamo che l'attacco suicida durante una celebrazione a cui abbiamo partecipato personalmente a Qamishli - Siria, in commemorazione del Sayfo (genocidio Assiro) nel giugno 2016, avesse le stesse motivazioni.
In tutti questi casi, e in molti altri, ai Cristiani fu data una delle tre scelte: o convertirsi all'Islam, o pagare la Jizya (tassa per gli infedeli) o andarsene, altrimenti sarebbero stati uccisi. Molti di loro hanno scelto di lasciare non solo le aree occupate da terroristi e gruppi armati, ma il paese in generale. La nostra stima è che oltre il 90% dei Cristiani ha lasciato l'Iraq e quasi il 50% dei Cristiani di Siria ha lasciato il Paese.
Questa drammatica riduzione del numero di Cristiani nella regione indebolirà senza dubbio la nostra presenza e il nostro contributo. È quindi molto importante fare tutto il possibile per incoraggiare quei Cristiani che sono ancora nella regione a rimanere nella loro patria ancestrale, fornendo loro i mezzi necessari per ricostruire le loro case e i mezzi di sussistenza. A questo proposito, desideriamo evidenziare il sostegno fornito dall'Ungheria. La scorsa settimana, ad esempio, l'Ungheria ha concesso una sovvenzione di 162 milioni di fiorini, che supera i 500.000 dollari, per consentire alla chiesa di riabilitare un centinaio di appartamenti nell'Antica Homs, consentendo così a un centinaio di famiglie di ritornare al loro quartiere cristiano, oltre a contribuire a costruire un centro comunitario per le famiglie sfollate che sono finite nella città di Lattakia: a condizione che questa sovvenzione ci arrivi, poiché stiamo incontrando gravi difficoltà nel ricevere donazioni o effettuare qualsiasi tipo di transazione bancaria.
Questo, tuttavia, non può essere paragonato alla sofferenza del popolo siriano, a causa delle ingiuste e illegali sanzioni imposte su di noi dagli Stati Uniti e dall'Unione europea. Colgo l'occasione per chiedere a voi, fratelli e sorelle, di contribuire a far togliere queste sanzioni che fanno male solo alla gente comune. Sono anche felice di riferire che domani verrà firmato un protocollo d'intesa tra la "Pazmany Peter Catholic University" di Budapest e la "Antioch Syrian University", che è la prima università a conduzione cristiana fondata a Damasco un anno fa. Anche questo è un frutto del rapporto con il Segretariato di Stato per l'Aiuto ai Cristiani Perseguitati.
Cari amici,
Leggiamo nel vangelo di Giovanni la domanda che Nostro Signore Gesù pose all'ufficiale che lo schiaffeggiava in faccia quando il sommo sacerdote stava interrogando Gesù: "Se dico la verità, perché mi hai colpito?" (Giovanni 18: 23). Oggi, a noi Cristiani che portiamo la croce e camminiamo sulle orme di nostro Signore Gesù Cristo, non è permesso porre la stessa domanda: perché ci perseguitate? Ma non conosciamo già la risposta a questo? Il divino Maestro non ci ha forse avvertito che saremmo stati perseguitati per il Suo nome?
Come padri nello spirito incaricati dal Signore di occuparci del Suo gregge, noi, pastori della Chiesa, portiamo il dolore e la sofferenza nonché le speranze e le aspirazioni del nostro popolo, alla comunità internazionale. Abbiamo l'obbligo di ricordare al mondo che noi Cristiani, sale della terra e luce del mondo, siamo chiamati a continuare a testimoniare nella terra in cui è nato il Cristianesimo. La nostra presenza in quella parte del mondo è una necessità, non solo per la nostra sopravvivenza, ma anche per la sopravvivenza e il benessere dei fratelli e delle sorelle musulmani con cui viviamo; da sempre i Cristiani hanno avuto un ruolo attivo nelle loro società, sia all'inizio storico dell'Islam fino alla storia recente. Siamo stati (e siamo) particolarmente attivi negli aspetti educativi e sociali della vita.
Tuttavia, per sopravvivere e prosperare nella nostra patria, crediamo che debbano esistere determinate condizioni, come:
- La libertà di religione deve essere garantita per tutti gli esseri umani. I Cristiani hanno bisogno dell'assicurazione legislativa che, come tutti i loro compatrioti, possono rendere culto liberamente e senza paura.
- Lo Stato deve essere laico, che non si basi su alcuna religione specifica, ma rispetti tutte le religioni e sia in grado di proteggere tutti i suoi cittadini.
A seguito di un incontro dei Patriarchi e dei capi delle Chiese a Damasco nell'agosto 2019, abbiamo rilasciato una dichiarazione in cui "abbiamo sottolineato l'importanza della partecipazione di tutte le componenti del popolo siriano nell'elaborazione di una visione comune per il futuro del loro paese, all'interno di uno Stato fondato sulle basi della democrazia, dello stato di diritto, della parità di cittadinanza e del rispetto delle diversità".
- Rispetto dei diritti umani e delle libertà che assicurino la qualità della vita e la dignità per tutti.
- Il principio della parità di cittadinanza deve essere rispettato nei nostri paesi. I Cristiani non dovrebbero sentirsi cittadini di seconda classe; ma uguali agli altri nei loro diritti e doveri.
- Il dialogo a diversi livelli è di fondamentale importanza: un dialogo nazionale in cui gruppi diversi si assumano le loro responsabilità comuni nel promuovere la riconciliazione e la tolleranza tra le persone.
In conclusione
Cari fratelli e sorelle,
Riunirci nel quadro di questa Seconda Conferenza Internazionale sui Cristiani Perseguitati ci rassicura sull'amore e la cura che nutriamo gli uni per gli altri ed invia un forte segnale di solidarietà ai Cristiani sofferenti in tutto il mondo. Preghiamo per il successo di questa conferenza e chiediamo al Signore di benedirci con tutto ciò che possiamo condividere nel portare la Sua croce come una grande famiglia.
Grazie.

domenica 19 giugno 2016

Patriarca siro-ortodosso Efrem sfugge ad attentato a Qamishli


Un attentatore suicida si è fatto esplodere al passaggio del seguito del Patriarca siro-ortodosso Mar Ignazio Efrem II, in visita a Qamishli .
Una fonte del Comando di Polizia in Hasaka ha detto al corrispondente dell'agenzia Sana che l'attacco terroristico è avvenuto vicino al giardino di Al-Kindi nel quartiere di al-Wastani e che ha causato 3 morti e 5 feriti.

lunedì 21 settembre 2015

Twal: « È una follia bombardare, così come è stato profondamente ingiusto causare 300mila morti solo per tentare di rovesciare un regime»

Foua e Kafarya, senza più risorse le due cittadine sciite assediate da mesi dagli islamisti

Avvenire15 settembre 2015

Le immagini della nuova tragedia del Mar Egeo lo hanno profondamente commosso. Ma il patriarca latino di Gerusalemme, monsignor Fouad Twal, avverte: «Se l’Occidente non cambierà strategia, in Europa avrete presto milioni di profughi siriani. È una follia bombardare, così come è stato profondamente ingiusto causare 300mila morti solo per tentare di rovesciare un regime». Twal, che in questi giorni partecipa all’assemblea del Ccee, il Consiglio delle conferenze episcopali d’Europa (è stato lui stesso a invitare i presidenti degli episcopati in Terra Santa), è in prima linea e conosce bene la situazione: «Siamo una Chiesa del Calvario – afferma – dobbiamo far fronte a persecuzioni antiche e nuove (tra queste ultime le aggressioni del fondamentalismo ebraico, ndr). Ma restiamo qui a testimoniare Cristo risorto. E ringraziamo il Papa per il suo costante sostegno a tutti i cristiani perseguitati». 

Che cosa si può fare per uscire dalla spirale della guerra in Siria?  Nei mesi scorsi ho partecipato a un vertice a Parigi. Ho sentito dire che qualcuno proponeva di aiutare i cosiddetti ribelli moderati. In realtà non serve a niente. Non esistono ribelli moderati, così come non esistono bombe moderate. La nostra posizione è quella del Papa: bisogna fermare il commercio delle armi che alimenta la guerra. 
L’Occidente ha gravi colpe. Il tentativo di spodestare un regime (che tra l’altro ha sempre combattuto il fondamentalismo islamico) ha causato 300mila morti e sei-sette milioni di rifugiati. Non si è pensato minimamente alle conseguenze. Tuttora non vedo chi possa sostituire Assad. E non abbiamo imparato nulla dalle lezioni dell’Iraq e della Libia. È stato distrutto un Paese e si è dato mano libera all’Is. 

Lei è contrario all’ipotesi dei bombardamenti avanzata da Francia e Gran Bretagna?  
 E a che cosa servirebbe? Solo a fare altri milioni di profughi. E’ una politica cieca. Se gli Usa volessero, in pochi giorni potrebbero farla finita con l’Is. Pensate che nel deserto ogni giorno passano convogli con i rifornimenti. E sono ben visibili dai satelliti. Perché vengono lasciati indisturbati? 

Ha una soluzione?  Ripeto: bisogna finirla con la vendita delle armi. Se davvero si vuole arrestare l’Is c’è bisogno di una forza militare sul terreno. E l’unico che in questo momento ce l’ha è Assad. Dunque occorre cambiare strategia, cercare una soluzione politica con il regime e usare il suo esercito per fermare questi gruppi terroristici. 

La sua Chiesa è in prima linea anche per l’assistenza ai rifugiati in Giordania. Com’è la situazione?  
Ci prendiamo cura di 8mila rifugiati cristiani. Abbiamo messo a loro disposizione da un anno scuole e chiese, ma oggi la stanchezza si fa sentire, sia in chi accoglie, sia da parte dei rifugiati stessi che sentono di non avere un futuro. Ringrazio la Cei per il suo aiuto. L’ultima visita del segretario generale, monsignor Nunzio Galantino, è stata molto importante. Con l’aiuto della Chiesa italiana finanzieremo gli studi di 1.400 ragazzi e ragazze. 

Ma intanto i cristiani di Terra Santa sono loro stessi nella morsa delle persecuzioni.  Devo ringraziare i presidenti delle Conferenze episcopali d’Europa per essere venuti da noi, in un momento in cui lo stesso mondo arabo ci ha abbandonato e non parla più della causa palestinese. Adesso tutta l’attenzione del mondo è concentrata sulla Siria, sull’Iraq, sull’Is e nessuno si ricorda che qui l’occupazione militare continua, i muri ci sono ancora e per di più dobbiamo fare i conti con il risveglio del fanatismo religioso ebraico che fa paura agli stessi cittadini di Israele. Abbiamo il problema delle scuole cristiane che non ricevono quanto gli è dovuto dallo Stato, il problema del muro di Cremisan che prende i terreni ai nostri cristiani di Beit Jalla e Betlemme e negli ultimi tre anni abbiamo subito 80 atti di vandalismo da parte di ebrei. A queste aggressioni si deve porre fine. Speriamo che le autorità israeliane lo facciano al più presto. 
Si arriverà mai alla meta di due popoli e due stati? 
Noi lo auspichiamo da sempre. Ma sul terreno Israele ha disseminato tanti insediamenti che non c’è più una continuità territoriale per i palestinesi. Tuttavia, se c’è buona volontà tutto si può fare. Come ci sono un milione e mezzo di palestinesi in Israele, così una volta fatto lo Stato, se qualcuno vuole restare che resti, se vuole ritornare in Israele, pure. Ma con l’attuale governo di destra tutto è più difficile. 
http://www.avvenire.it/Mondo/Pagine/patriarca-gerusalemme-folle-bombardare-la-siria.aspx


Il Patriarca siro-ortodosso di Antiochia e tutto l’Oriente, Ignatius Aphrem II, ai microfoni del Tg2000: "C’è un Islam fanatico di gruppi in lotta col governo siriano, e ci sono paesi che ancora supportano questi gruppi. Lo voglio dire, non è un segreto che la Turchia aiuta il Daesh (Isis), permettendo loro di entrare e uscire dalla Siria, anche recentemente”

mercoledì 15 luglio 2015

Intervista al Patriarca siro-ortodosso Aphrem II: "Ci sono forze che alimentano Daesh con armi e denaro, perché serve utilizzarlo nella 'guerra a pezzi'”

«All’Occidente chiedo solo: smettetela di armare i nostri carnefici»



VaticanInsider , 29 giugno 2015
di GIANNI VALENTE

«Quando guardiamo i martiri, vediamo che la Chiesa non è soltanto una, santa, cattolica e apostolica. Nel suo cammino nella storia, la Chiesa è anche sofferente». 
Per Moran Mor Ignatius Aphrem II, Patriarca di Antiochia dei siro-ortodossi, nel martirio si rivela un tratto essenziale della natura della Chiesa. Una connotazione che si potrebbe aggiungere a quelle confessate nel Credo, e che accompagna sempre coloro che vivono nelle vicende del mondo a imitazione di Cristo, come suoi discepoli. Un tratto distintivo che adesso riaffiora con nettezza in tante vicende dei cristiani e delle Chiese del Medio Oriente.
Anche in questi giorni il Patriarca Aphrem – che lo scorso 19 giugno aveva incontrato a Roma Papa Francesco – si è trovato coinvolto nelle nuove tribolazioni che affliggono il suo popolo. L’ultima sua missione pastorale, appena conclusa, l’ha compiuta a Qamishli, la sua città natale, dove è andato a trovare le migliaia di nuovi profughi cristiani fuggiti davanti all’offensiva compiuta dai jihadisti dello Stato Islamico contro il vicino centro urbano di Hassakè, nella provincia siriana nord-orientale di Jazira.
Santità, quale è la connotazione propria del martirio cristiano?
«Gesù ha sofferto senza motivo, gratuitamente. A noi, che seguiamo Lui, può accadere lo stesso. E quando accade, i cristiani non organizzano rivendicazioni per protestare “contro” il martirio. Anche perché Gesù ha promesso che non ci lascia soli, non ci fa mancare il soccorso della sua grazia, come testimoniano i racconti dei primi martiri e anche dei martiri di oggi, che vanno incontro al martirio con il volto lieto e la pace nel cuore. Lo ha detto Cristo stesso: beati voi, quando vi perseguiteranno a causa mia. I martiri non sono persone sconfitte, non sono discriminati che devono emanciparsi dalla discriminazione. Il martirio è un mistero di amore gratuito».
Eppure tanti continuano a parlare del martirio come un’anomalia da cancellare, o un fenomeno sociale da denunciare, contro cui mobilitarsi e alzare la voce. 
«Il martirio non è un sacrificio offerto a Dio, come quelli che si offrivano agli dèi pagani. I martiri cristiani non cercano il martirio per dimostrare la loro fede. E non spargono volontariamente il proprio sangue per acquistare il favore di Dio, o acquisire qualche altro guadagno, fosse pure quello del Paradiso. Per questo la cosa più blasfema è quella di definire come “martiri” i kamikaze suicidi».
In Occidente molti ripetono che bisogna fare qualcosa per i cristiani del Medio Oriente. Serve un intervento armato?
«All’Occidente, per difendere i cristiani e tutti gli altri, non chiediamo interventi militari. Ma che piuttosto la smettano di armare e appoggiare i gruppi terroristi che stanno distruggendo i nostri Paesi e massacrando i nostri popoli. Se vogliono aiutare, sostengano i governi locali a cui servono eserciti e forze sufficienti per mantenere la sicurezza e difendere i rispettivi popoli da chi li attacca. Occorre rafforzare le istituzioni statali e renderle stabili. E invece, vediamo che in tanti modi si fomenta dall'esterno la loro dissoluzione forzata.
Prima del suo viaggio recente in Europa, Lei con i vescovi della Chiesa siro-ortodossa avete incontrato il Presidente Assad. Cosa vi ha detto?
«Il presidente Assad ci ha esortato a fare il possibile affinché i cristiani non vadano via dalla Siria. “So che soffrite” ha detto “ma per favore non lasciate questa terra, che è la vostra terra da millenni, da prima che arrivasse l’Islam”. Ci ha detto che serviranno anche i cristiani, quando si tratterà di ricostruire il Paese devastato».
Assad vi ha chiesto di portare qualche messaggio al Papa?
«Ci ha detto di chiedere che il Papa e la Santa Sede, con la sua diplomazia e la sua rete di rapporti, aiutino i governi a comprendere quello che sta davvero accadendo in Siria. Li aiutino a prendere atto di come stanno davvero le cose».
Alcuni circoli occidentali accusano i cristiani d’Oriente di essere sottomessi ai regimi autoritari.
«Noi non siamo sottomessi ad Assad e ai cosiddetti governi autoritari. Noi, semplicemente, riconosciamo i governi legittimi. I cittadini siriani in larga maggioranza appoggiano il governo di Assad, e lo hanno sempre appoggiato. Noi riconosciamo i legittimi governanti, e preghiamo per loro, come ci insegna a fare anche il Nuovo Testamento. 
E poi vediamo che dall’altra parte non c’è una opposizione democratica, ma solo gruppi estremisti. Soprattutto, vediamo che questi gruppi negli ultimi anni usano una ideologia venuta da fuori, portata da predicatori dell’odio venuti e sostenuti dall’Arabia Saudita, dal Qatar o dall’Egitto. Sono gruppi che ricevono armi anche attraverso la Turchia, come abbiamo visto anche dai media».
Ma cosa è davvero lo Stato Islamico? È il vero volto dell’Islam, o un’entità artificiale utilizzata per giochi di potere?
«Lo Stato Islamico (Daesh) non è certo l’Islam che abbiamo conosciuto e con cui abbiamo convissuto per centinaia di anni. Ci sono forze che lo alimentano con armi e denaro, perché serve utilizzarlo in quella che Papa Francesco ha definito la “guerra a pezzi”. Ma tutto questo si serve anche di un’ideologia religiosa aberrante che dice di richiamarsi al Corano. E può farlo perché nell’islam non esiste una struttura d’autorità che abbia la forza di fornire un’interpretazione autentica del Corano e sconfessare con autorevolezza questi predicatori di odio. Ogni predicatore può dare la sua interpretazione letterale anche dei singoli versetti che appaiono giustificare la violenza, e in base a questo emanare le fatwa senza essere smentito da qualche autorità superiore».
Lei ha citato la Turchia. Le autorità turche premono per far tornare sul proprio territorio la sede del Patriarcato siro-ortodosso, che per alcuni secoli era stata collocata vicino a Mardin. Cosa farete?
«Il nostro Patriarcato porta il titolo di Antiochia. E quando è sorto, Antiochia faceva parte della Siria. Era la capitale della Siria di allora. Le nostre antiche chiese in Turchia hanno per noi un grande valore storico, ma stiamo e resteremo a Damasco, che è la capitale della Siria di oggi. È una nostra scelta libera, e nessuna pressione di governi o parti politiche ce la farà cambiare. Abbiamo dato il nome alla terra che ancora oggi si chiama Siria. E non ce ne andremo».
Le sofferenze vissute insieme dai cristiani in Medio Oriente quali effetti hanno nei rapporti ecumenici tra le diverse Chiese e comunità?
«Quelli che uccidono i cristiani non fanno distinzioni tra cattolici, ortodossi o protestanti. Lo ripete sempre anche Papa Francesco, quando parla dell’ecumenismo del sangue. Questo non lascia le cose come stanno. Vivere insieme in queste situazioni ha l'effetto di avvicinarci, di farci scoprire la sorgente della nostra unità. I pastori si ritrovano come fratelli nella stessa fede, e possono prendere insieme decisioni importanti. Per esempio, sarà importante arrivare a decidere una data comune per celebrare la Pasqua. E davanti alle tribolazioni del popolo di Dio, che soffriamo insieme, i contrasti sulle questioni di potere ecclesiastico si rivelano come cose irrilevanti».
Cosa manca per vivere la piena comunione sacramentale?
«Dobbiamo confessare insieme la stessa fede e chiarire prima i punti dottrinali e teologici dove ancora risultano esserci delle differenze. Ma devo dire che su questo punto noi cristiani siri siamo già avanti, perché già c’è l'accordo sull'ospitalità reciproca tra siri ortodossi e siri cattolici. Quando un fedele non ha modo di partecipare alla liturgia e ricevere i sacramenti presso la propria Chiesa, può partecipare alla liturgia nei luoghi di culto dell'altra Chiesa. E può avvicinarsi anche all'eucaristia».


Lei ha preso parte da poco a un convegno promosso a Roma dalla Comunità di Sant’Egidio sul Sayfo, il Genocidio dei cristiani siriaci compiuto dai Giovani Turchi nello stesso tempo in cui avvenne il Genocidio armeno. Perché tenete così tanto a ricordare quelle vicende dolorose?
«A Qamishli, quando ero bambino, la sera andavo spesso in chiesa un’ora prima della preghiera. Mi sedevo tra gli anziani e ascoltavo le loro storie. Molti di loro erano sopravvissuti al Sayfo. Parlavano di famiglie lacerate, di bambini strappati ai genitori e affidati ai musulmani. Vedevo che, per loro, parlare di quelle vicende tremende era anche un modo per liberarsi da quel male che pesava sui loro cuori. Ma per tanto tempo non è stato possibile parlare pubblicamente di questo. Negli ultimi anni, quando le Chiese hanno iniziato a commemorare pubblicamente quei tragici eventi, tante persone hanno potuto sentire storie che erano sepolte nella memoria familiare come un tabù, qualcosa che non si doveva neanche nominare. E per loro è stata una specie di liberazione. 
Come Chiese, quando parliamo del Sayfo, non abbiamo altro scopo che favorire questa riconciliazione interiore. E i nostri amici turchi dovranno prima o poi capirlo: far memoria di quei fatti non è per noi un pretesto per andare contro di loro, ma può aiutare anche loro a comprendere il loro passato e riconciliarsi con esso». 

sabato 20 giugno 2015

Papa Francesco e Patriarca Aphrem II: Il sangue dei martiri è seme di unità della Chiesa

Con il patriarca siro-ortodosso di Antiochia il Papa torna a denunciare il martirio dei cristiani 


Osservatore romano, 19 giugno 2015

Di fronte alle «terribili sofferenze provocate dalla guerra e dalle persecuzioni» contro i cristiani in Medio oriente e all’incapacità di «trovare soluzioni» da parte dei potenti del mondo, Papa Francesco torna a levare alta la voce, invitando a pregare «per le vittime di questa efferata violenza». 
Ricevendo in Vaticano venerdì mattina 19 giugno il patriarca siro-ortodosso Aphrem II, il Pontefice ha rilanciato il grido di dolore delle tante vittime innocenti di tutte le situazioni di conflitto presenti in varie regioni della terra. «Chiediamo anche al Signore — ha aggiunto — la grazia di essere sempre pronti al perdono e operatori di riconciliazione e di pace». Perché, ha spiegato, è questo «ciò che anima la testimonianza dei martiri».
Il Papa ha anche ricordato i due arcivescovi cristiani rapiti insieme in Siria più di due anni fa, così come i sacerdoti e le tante persone, di diversi gruppi, private della libertà. Da qui l’esortazione, rivolta al capo della Chiesa siro-ortodossa «in questo momento di dura prova e di dolore», a rafforzare «ancora di più i legami di amicizia e di fraternità», affrettando i «passi sul cammino comune» e scambiando i tesori delle rispettive tradizioni «come doni spirituali, perché ciò che ci unisce è ben superiore a ciò che ci divide».
DISCORSO DEL SANTO PADRE FRANCESCO
A SUA SANTITÀ MOR IGNATIUS APHREM II,
PATRIARCA SIRO-ORTODOSSO DI ANTIOCHIA E TUTTO L'ORIENTE
Venerdì, 19 giugno 2015

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E il patriarca siro-ortodosso gli parla di genocidio, paesi che finanziano il terrorismo, zona franca per i cristiani


Nella sua prima visita ufficiale in Vaticano, il patriarca Mor Ignatius Aphrem II ha portato con sé le tribolazioni e le attese di tutti i cristiani in Medio oriente, in particolare della Siria. «Giungiamo da Damasco — ha detto al Papa — portando con noi la sofferenza e le aspirazioni della gente» che «sta chiedendo a voce alta la pace»
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«Cristiani e musulmani: insieme per contrastare la violenza perpetrata in nome della religione»


 Messaggio del Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso ai Musulmani per il mese del Ramadan e ‘Id al-Fitr 1436 H. / 2015 A.D., 19.06.2015


Cari fratelli e sorelle musulmani,
1. Sono lieto di porgervi, sia a nome dei cattolici di tutto il mondo, sia personalmente, i migliori auguri di una serena e gioiosa celebrazione di ’Id al-Fitr. Nel mese di Ramadan osservate molte pratiche religiose e sociali, come il digiuno, la preghiera, l’elemosina, l’aiuto ai poveri, visite a parenti ed amici.
Spero e prego che i frutti di queste buone opere possano arricchire la vostra vita!
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