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lunedì 28 settembre 2020

Voci dalla Siria

Aleppo, 21 settembre 2020. (Foto di Pierre le Corf)

di Maria Antonietta Carta

Damasco, 26 settembre 2020. Pierre le Corf, un umanitario francese che da molti anni condivide la vita e i patimenti della popolazione siriana, scrive: ‘’La vita qui si svolge tra guerra e sanzioni economiche, crimine contro l’umanità. Se riuscite a sopportare ciò senza che il vostro cuore tremi, proseguite per la vostra strada; altrimenti, considerate chi paga il prezzo di questa partita mortale su grande scala contro un Paese e la sua gente e tenete il cuore aperto’’.

Latakia, 18 settembre 2020. Rami Makhoul scrive: ‘’Che sapore ha la vita se non resta più spazio per la speranza? Tutto il popolo siriano è sotto la soglia di povertà e la nostra esistenza è diventata un inferno insopportabile? Questo non è veritiero del tutto. Non rispecchia puntualmente la realtà dei fatti.

In Siria oggi, esiste uno strato della popolazione che è riuscita, in breve tempo, a creare enormi ricchezze con la forza, con l'influenza e con il potere del denaro: corrotti, opportunisti, ladri e trafficanti della crisi. Essi sono riusciti a raddoppiare il loro denaro. Il meno che si possa dire è che sono percorsi illegali. Ma la domanda più importante che si pone è: Quale soluzione per affrontare questa condizione anomala e difficile che stiamo vivendo? Emigrare può essere la soluzione?

Un buon numero di Siriani ha bussato alle porte dell'emigrazione. Hanno chiesto asilo ​​in Paesi lontani. Estranei. Alcuni di loro sono riusciti a ottenerlo, ma la stragrande maggioranza non ha acquistato un'identità alternativa a quella originaria.

Sono ancora disponibili opportunità di lavoro all'estero, soprattutto in Libano, Iraq o Paesi del Golfo? Purtroppo, le opportunità sono diventate quasi inesistenti a causa delle battute d'arresto subite dalle economie di questi Paesi come effetto collaterale della pandemia, che ha provocato un crollo clamoroso dei sistemi economici tradizionali.

Ci sono altre soluzioni a cui ricorrere oltre a emigrare e lavorare all'estero? Purtroppo, non ci resta che cercare di rimanere in vita e affrontare le grinfie della fame... oppure rassegnarci e morire sconfitti. La sofferenza è indescrivibile. Enorme quasi per tutti. Molti di noi si rimproverano per non aver ceduto alla scelta di partire nel momento in cui le condizioni per l’emigrazione erano favorevoli, ma nessuno merita di essere biasimato per aver scelto di vivere nel proprio Paese come alternativa naturale all’emigrazione. Il senso di appartenenza alla patria è non soltanto istintivo, ma anche ragionevole per ogni essere umano ovunque si trovi.

Smettete di incolpare voi stessi per avere voluto aggrapparvi alla vostra identità ed essere rimasti fedeli alla memoria e ai vostri cari. E per avere rinunciato all’esodo nonostante l'amplitudine delle sofferenze e le difficoltà immani.

Si sa che niente dura per sempre, che tutto muta e che nella nostra terra natale c’è davvero qualcosa per cui resistere e vivere. Stiamo tutti in attesa della liberazione affinché la nostra esistenza migliori, ma anche per ritrovare il diritto di fare i conti con i corrotti e i negligenti. Insomma, perché la ruota della vita torni a girare normalmente. Questa nostra vita che perde gusto e colore, se non concediamo spazio alla speranza del rinnovamento e del ritorno ai bei vecchi tempi. A come eravamo.’’

Rami, che è stato per molto tempo il dentista della nostra famiglia ed era un ragazzino quando arrivai in Siria nel 1978, alla vigilia del primo embargo contro il Paese, ha vissuto 40 anni di sanzioni. Quasi la sua vita intera. La madre, Nawal, era una donna gentile e sensibile, ma aveva anche una grande forza d’animo. Però nel 2011, quando per le strade di Latakia si cominciarono a udire voci che gridavano: i cristiani a Beirut e gli Alawiti nelle tombe, lei ormai vecchia e fragile si spaventò molto perché è cristiana. Eppure, ha resistito. Madre e figlio hanno resistito con quella tempra morale che ammiro e mi commuove nei Siriani che da quasi dieci anni stanno subendo una persecuzione efferata soltanto perché resistono.

Latakia, 24 settembre 2020.
Taxi in attesa da un benzinaio.
(Foto di اللاذقية الآن)

Latakia, 23 settembre 2020. Lilly Martin Sahiounie, Statunitense sposata con un Siriano, che ha sofferto questi lunghi anni di guerra a Latakia, scrive: ‘’In Siria stiamo vivendo una grave carenza di benzina perché le forze armate statunitensi hanno confiscato tutto il petrolio dei due più grandi pozzi petroliferi. Attendiamo dall’estero l’arrivo di due petroliere, ma c'è la possibilità che siano bloccate prima di giungere in porto. Nel frattempo, anziani e malati che hanno bisogno di un mezzo di trasporto per andare dal medico o per altri motivi urgenti, sono quelli che soffrono maggiormente. Un'altra sanzione degli Stati Uniti che rende la vita in Siria un amaro cammino che a molti sembra senza speranza. La cosa triste è che la Siria è così bella e piena di persone adorabili: cordiali e generose. Perché il governo americano dovrebbe pensare che far soffrire i Siriani sia una buona cosa? Riponiamo la fede in Dio e speriamo in giorni migliori senza truppe americane di occupazione che rubano il petrolio.’’

Latakia, 24 settembre 2020, Code di auto, in attesa di poter raggiungere un distributore, ai lati della lunga via 8 Marzo e che proseguono nelle vie circostanti. (Foto Milagros de la Fuente)


Latakia, 25 settembre 2020. Milagros de la Fuente
, spagnola da oltre quaranta anni in Siria e anche lei vittima di questa guerra maligna. Ieri, mi ha inviato foto e cronaca delle code, lunghe perlomeno cinque chilometri, che da giorni ingorgano le vie della città in attesa di qualche litro di carburante. Il che significa migliaia di tassisti e camionisti fermi, lunghi spostamenti a piedi per recarsi a scuola e al lavoro, vecchi e ammalati che non possono andare dal medico… 

Poi al telefono mi ha detto: "Non puoi immaginare quanto costi un chilogrammo di carne di agnello: venti mila lire‘’ (più di un terzo di uno stipendio medio mensile). E siccome, nonostante una quotidianità a ostacoli per l’endemica mancanza di elettricità, di acqua, gas, 44 gradi all’ombra senza poter usare uno straccio di ventilatore e tante altre difficoltà riesce ancora a conservare la sua bella ironia, ha aggiunto: ‘’ Se non ci uccideranno le bombe moriremo tutti vegetariani! Anzi no, moriremo tutti per digiuno. Ricordi quanto costavano a ottobre prima della guerra i pomodori per la salsa?’’ 20, 30 lire, le ho detto. ‘’ Ecco, oggi costano 600 lire al chilo. Non smetteranno di farci la guerra prima di sterminarci tutti‘’. Ridiamo, come siamo sempre solite fare quando non ci va di farci schiacciare dalla vita, ma la sua voce è stanca e io provo una tristezza infinita.

Latakia, 22 ottobre 2019. Rimasto senza lavoro, per sopravvivere va alla ricerca e vende interruttori e fili elettrici vecchi. Una delle innumerevoli vittime della ‘’guerra umanitaria’’ che commina sanzioni mentre saccheggia le ricchezze della Siria. (Foto, M.A.Carta)

Quaranta anni di sanzioni per assoggettare la Siria

Torno ancora sul tema delle sanzioni, perché mi è impossibile non continuare a denunciare questa subdola arma di distruzione di massa che trova il suo compimento più atroce nelle rinnovate sanzioni europee contro una popolazione ormai allo stremo e sul cinicamente denominato ‘’Caesar Syria Civilian Protection Act’’: un vero e proprio strumento genocidiale che, se non sarà sospeso, sottoporrà al supplizio un intero popolo civile e valoroso.

Durante il mio viaggio a Latakia dell’autunno scorso, ho potuto constatare ancora una volta quanto i Siriani siano provati e straziati da questa persecuzione spietata e senza tregua che dura da oltre quarant’anni. Sì, perché la persecuzione economica contro la Siria non è iniziata con la guerra che attualmente la sta devastando.

Quando vi giunsi per la prima volta nel 1978, in un bel giorno di fine estate, la Siria era un cantiere in piena attività: si costruivano edifici residenziali (in parte destinati a militari reduci della guerra del 1973 o alle famiglie di chi in guerra era morto), scuole anche nei villaggi più sperduti, ospedali e Università. Poi, di repente, nel 1979 arrivò l’embargo, decretato dagli Stati Uniti e messo in pratica da tutti i suoi ‘’alleati’’ per punire la Siria che stava dalla parte dell’Iran, Paese aggredito, nella guerra con l’Iraq, Paese aggressore. Fu così che cominciai a imparare quali terribili conseguenze genera l’impiego delle sanzioni: un ricatto ignobile con gli stessi effetti deleteri dell’assedio medievale. L’embargo significò allora traffici commerciali bloccati anche per le enormi quantità di derrate di ogni genere che attraverso le vie terrestri e marittime giungevano a Latakia o ad Aleppo, destinate non soltanto al mercato locale ma a vari Paesi mediorientali. La prima conseguenza fu l’improvvisa perdita del lavoro per centinaia di migliaia di persone: impiegati, marittimi, portuali, camionisti, commercianti, artigiani, che prima conducevano un’esistenza dignitosa. Quindi fame, mancanza di tutti i prodotti essenziali di importazione dall’aspirina ai farmaci salvavita (non esistevano ancora fabbriche farmaceutiche locali), ai macchinari di ogni genere, al ferro per l’edilizia etc. etc. E ci fu una crescita aberrante della corruzione e del malaffare. Aumentarono povertà e privazioni contemporaneamente alla ricchezza scandalosa di affaristi senza scrupoli, autoctoni e internazionali in perfetta combutta, che si trasformarono purtroppo in imprescindibili procacciatori di tutti i beni indispensabili. Proprio come accade oggi. Perché quando a un intero Paese con scarsa autosufficienza di alcune materie prime e di industrie si impedisce l’attività commerciale lecita esso diventa ostaggio e vittima dell’illegalità.

E' difficile immaginare il numero di mutilati o morti per la mancanza di antibiotici, ma persino di sostitutivi del latte materno o di glucosio! o a causa di tante altre privazioni. Io, che ho vissuto in Siria per oltre trent’anni, so. I miei ricordi, indelebili e tremendi, sugli effetti nefasti delle sanzioni sono così tanti che servirebbero ore e ore per rievocarli tutti. Ho visto troppi sventurati patirne le conseguenze, perciò al solo sentirle menzionare provo sempre un dolore profondo. E rabbia, perché le sanzioni sono uno strumento irragionevole, spregevole, disumano.

Anche quelle dal 2006 fino al 2012 causarono danni molto gravi.  La Siria attraversava una difficile crisi a causa di una lunga siccità e per un conseguente aumento del proletariato urbano. Inoltre, doveva affrontare un aggiuntivo costo economico e sociale dovuto alle centinaia di migliaia di rifugiati iracheni, dopo la seconda guerra del Golfo, e di quelli libanesi in seguito alla seconda guerra israelo-libanese del 2006; perché è da sempre accogliente: con gli Armeni perseguitati dai Turchi, con i Palestinesi, con i vicini Libanesi, persino con gli Italiani durante la Seconda guerra mondiale e con tanti altri.

Il motivo pretestuoso fu: dare una risposta alla "minaccia inusuale e straordinaria del governo siriano agli interessi economici, di sicurezza nazionale e di politica estera degli Stati Uniti’’ (sic!). Sinceramente: vi sembra davvero credibile che un Paese più piccolo dell’Italia e con poco più di venti milioni di abitanti potesse costituire una così terribile minaccia per la prima potenza mondiale? Di certo, posso dire che dopo aver demolito l’Iraq si apprestavano a ripetere gli stessi crimini scellerati. Insomma, sanzioni propedeutiche all’inizio del caos in Siria. Ancora di più, molto di più, sono ferali oggi che questo infelice popolo è stanco, anzi stremato e dilaniato da un conflitto brutale che dura da oltre nove anni. Il costo della vita diventa proibitivo anche per chi prima era benestante, perché l’economia di un intero Paese è condannata. Una condanna iniqua contro vecchi, bambini, malati, mutilati, uomini e donne incolpevoli, con la giustificazione paradossale di ‘’misure umanitarie’’. 

Maria Antonietta Carta

martedì 22 settembre 2020

Taybet Al Imame et le drame de l'immense patrimoine de la Syrie

Les mosaïques de l'Église des Saints Martyrs (Achevée en 442) 
A Taybet Al-Imam, à Hama, au centre-nord de la Syrie

C'est l'un des plus grands pavements d'église en mosaïque découverts en Syrie (600 m²). 

La Syrie fut une des terres d’élection du mysticisme des premiers siècles du christianisme. On y découvre beaucoup de mosaïques qui couvraient le sol des églises, aujourd’hui en ruines. La représentation en mosaïque des scènes de de la Bible était considérée comme un des meilleurs moyens de catéchiser. 

Les mosaïques syriennes révèlent la complexité de l’interaction entre les deux mondes ; le temporel et le spirituel. Avec une spontanéité dans l’expression, la mosaïque orientale, se démarque de la rigueur des canons byzantins et s’en affranchit. C'est une catéchèse visuelle offerte aux catéchumènes et aux assemblées en prière.

Nous pouvons en admirer plusieurs scènes très instructrices sur l’histoire du Salut et l’histoire de l’église locale. Cette séquence représente l'arrivée à l'église des reliques des martyrs, transportés dans un reliquaire en pierre par deux mules. 

Cette autre séquence, située dans la partie orientale de la mosaïque, représente le « Paradis » promis par Dieu aux « fidèles croyants ». C’est le lieu de la paix éternelle qui est symbolisé par les deux villes de Jérusalem et de Bethléem, comme cela est relaté et décrit dans le livre de l’Apocalypse dans l’Evangile. Bethlehem symbolise la nativité et Jérusalem symbolise la mort et la résurrection de notre Sauveur Jésus-Christ. 

Les inscriptions en grec (Ci-dessus), mentionnent les fleuves du paradis Ghéon, Phison, le Tigre et l’Euphrate. C'est « l'eau vive de la vie éternelle » qui coule, qui nous désaltère et qui abreuve notre foi chrétienne. Celle-ci « se communique, se répand et se propage » par la Charité fraternelle et le témoignage. 


L'Aigle symbolise le Christ glorifié et éternel perché en haut du « mont du Paradis ». 


Au centre du pavement est représenté "l'Agneau de Dieu" qui enlève les péchés du monde, sous une lanterne qui éclaire autour d’elle. 


Le phœnix, symbole emprunté à la mythologie égyptienne et phénicienne, vit sur « plusieurs siècles », meurt et devient cendres. Il s’anéantit et se consume en cendres avant de renaitre de ses propres cendres. Sa renaissance, en beauté et en luminosité, évoque la résurrection du Christ. Le passage de la mort terrestre vers la vie céleste et éternelle s’actualise en chaque baptisé qui reçoit le Corps et le Sang du Christ (Le calice du Sang précieux au milieu de la croix). Par cette Communion et cette participation à la vie, la mort et la résurrection du Christ, le baptisé entre dans la vie éternelle. 


Nous retrouvons, ci-dessus, le symbole du poisson. C’est le ICTHUS – ΙΧΘΥΣ ; mot grec signifiant poisson. Au début du christianisme, ce symbole était utilisé par les chrétiens pour se reconnaître entre eux. ICTHUS est composé des initiales des cinq mots grecs : «Ièsous Christos Theou Uios Sôter» = « Jésus Christ Fils du Dieu Sauveur ».  L'église de St Siméon le Stylite le syrien qui est représentée en forme de croix. 


En novembre 2013, ces précieuses mosaïques ont été malheureusement détruites par les bandes armées agissant sur le territoire de la Syrie et la grande Basilique de Saint Siméon le Stylite (VIème siècle) est devenue un champ d’entrainement des femmes djihadistes. 

3.000 ans de civilisation, 3.000 ans d’histoire.  C’est ce que représentait le temple d’Aïn Dara pour les Syriens et les historiens. Ces 3.000 ans se sont effondrés suite à une frappe aérienne de l’armée turque, fin janvier 2018, qui cherche à reprendre le contrôle sur la région d’Afrine tenue par les Kurdes. 

Quand s’arrêtera cette folie meurtrière destructrice de l’homme, des communautés humaines et du patrimoine civilisationnel commun à notre humanité ? 

CLAUDE ZEREZ

Versione Italiana : https://oraprosiria.blogspot.com/2018/03/siria-i-tesori-perduti.html

venerdì 18 settembre 2020

UN GRIDO DALLA SIRIA

La situazione ad Aleppo è sempre più grave, Covid e povertà stanno mettendo a dura prova il popolo siriano e a questo si aggiungono gli assurdi bombardamenti degli israeliani. Padre Ibrahim in una lettera piena di dolore e di speranza ci descrive la situazione che Cristo non abbandona ma continua ad avere a cuore con la loro testimonianza. Ascoltiamo il grido che viene da Aleppo con la nostra preghiera e il nostro aiuto concreto. Grati a padre Ibrahim e ai suoi amici condividiamo la loro sofferenza pieni di speranza.

https://viaggioadaleppo.wordpress.com/

Carissimi amici,
è passato un po’ di tempo dall’ultima lettera che ho mandato. Vale la pena, mentre vi porgo gli auguri di buona festa dell’Esaltazione della Santa Croce, aggiornarvi circa la nostra vita e missione ad Aleppo.
Il periodo passato è segnato, fino ad oggi, dalla crisi Covid-19. Su cinque frati in missione ad Aleppo, quattro si sono ammalati: il risultato è stato disastroso poiché due di loro sono morti e due, dopo un periodo di cura e di convalescenza, si sono ripresi. Io sono stato l’unico a non essere stato contagiato dal virus: è stata una Provvidenza perché così mi sono preso cura dei due frati che stanno con me e ho potuto seguire la parrocchia e la gente.
Questa alta percentuale di contagio (4 su cinque) ha interessato anche gli Accoliti della parrocchia, gli impiegati nella parrocchia, gli addetti agli uffici della Caritas parrocchiale e gli impiegati del convento. Anche le famiglie della nostra parrocchia hanno fatto esperienza di malattia, e quindi di sofferenza e morte, in percentuale alta.

Carissimi amici, purtroppo, siamo stati segnati in maniera molto più forte da questo virus rispetto ad altri paesi dell’Europa e altrove, sia per la precarietà e la mancanza delle strutture ospedaliere, delle medicine, del personale di medici e infermieri, sia per la mancanza di esperti nel campo e di persone competenti, che possono dire alla gente cosa fare e cosa non fare, attraverso leggi che guidano il comportamento e l’azione. Tutto questo perché il nostro Paese è intasato da mille urgenze legate al conflitto e quindi non può intervenire su tutto. Le misure adottate dal Governo italiano, per esempio, riguardo alla frequenza degli uffici, alle regole e meccanismi di procedere nelle strade, nelle chiese e nei luoghi di lavoro, abbiamo cercato di sperimentarlo anche noi, come chiesa di Aleppo.

Per comprendere bene la situazione precaria circa la cura e la prevenzione, basti dire che per diversi giorni abbiamo seppellito dieci cristiani al giorno deceduti a causa del Covid-19.
Se consideriamo la situazione più in generale, il numero aumenta rispetto ad Aleppo che è abitata da 2.5 milioni di persone; si stima che mentre seppellivamo dieci morti al giorno, 833 persone venivano seppellite nella città. Il numero assai alto, confrontato con le cifre che vengono da altre parti del mondo, vi dà idea di quale sfida dobbiamo affrontare nella città.
Personalmente, non mi aspettavo questa ulteriore tappa della nostra Via Crucis siriana, e non immaginavo mai di viverla, come parroco nella “città macerie” di Aleppo. Andando ad Aleppo sei anni fa, ero pronto per incontrare i missili, la mancanza di acqua e di cibo: mai avrei pensato di affrontare, oltre tutto questo, anche una pandemia del genere!
Immaginate inoltre se a questa pandemia si unisce anche un caldo straordinario che si prolunga fino ad oggi, con 47 gradi di temperatura, la mancanza il gasolio per i generatori di elettricità per tante ore al giorno! Poche persone riescono a dormire serenamente la notte e, così, non riescono a recuperare le forze per affrontare il peso quotidiano dei giorni a venire. Durante la notte, ci troviamo a doverci svegliare continuamente perché il caldo sembra farci “bollire” con il nostro sudore e siamo costretti a cambiare continuamente i nostri vestiti perché madidi di sudore!

Da una settimana, a causa delle sanzioni, in città c’è pochissimo carburante. Quindi oltre ad avere una città già paralizzata parzialmente per la mancanza di lavoro e di povertà generale, ci si trova davanti ad una città completamente paralizzata. La sera, è impressionante vedere file lunghissime di automobili in fila ai distributori di benzina, che attendono la mattina seguente con la speranza che possano riempire i serbatoi con quel poco di indennità giornaliera di benzina che è concessa.
La mancanza di gasolio ha avuto delle ripercussioni durissime sulla materia prima di cibo: il pane quotidiano. Assistiamo, purtroppo, a lunghissime file di persone, centinaia di uomini e donne, talvolta l’uno sull’altro, che sin dalle prime ore del mattino attendono la distribuzione del pane per poterlo acquistare.
Diversi dei nostri amici ridevano quando consideravano le regole sulla prevenzione da Covid-19, in particolare “il distanziamento e la mascherina” (che noi invitiamo ad osservare scrupolosamente), dicendomi: “Padre, guarda cosa succede ogni giorno davanti ai panifici! Siamo nel miscuglio totale con tantissime persone. Vale la pena ancora indossare la mascherina e parlare di distanziamento?”.

Oltre a tutto questo, la vita continua ad essere molto cara, in modo inimmaginabile e “irreale”, e la gente continua a diventare sempre più povera: si riscontra, infatti, un grande dislivello amaro e continuo tra gli stipendi (o le entrate in generale) e le spese.
Anche i bisogni sanitari, (mancanza di ogni tipo di assicurazione), sono sempre più pesanti e più cari. Durante l’ultimo periodo, abbiamo sentito di persone, affette da Covid, che hanno dovuto vendere le loro case solo per poter pagare alcune giornate di terapia intensiva in una clinica privata… Non solo le medicine, ma anche le visite mediche, le analisi di sangue (al costo di quasi la metà di uno stipendio di un impiegato) e perfino il tampone (costa il triplo di uno stipendio di un impiegato), sono molto ma molto cari!
Ho telefonato ripetutamente a diverse famiglie, che hanno alcuni cari affetti dal Covid, per “costringere loro” ad andare in ospedale a per ricevere le cure necessarie. Tanti, infatti, allontanavano l’idea di essere ricoverati, a causa della povertà delle loro risorse, andando incontro alla “sorella morte”: solo grazie all’intervento della Chiesa, essi sono ancora vivi e si stanno riprendendo lentamente.
Oltre a tutto questo, abbiamo sulle spalle più di nove anni di guerra, che hanno lasciato ferite mai guarite sull’uomo da tutti i punti di vista…

A tutte queste croci, si aggiunge una grandissima sfida. Domani è prevista l’apertura delle scuole in tutta la Siria. A tal proposito ho seguito quello che si fa da tempo in Italia: tutte le discussioni, i preparativi e le spese allegate e faccio il confronto con la nostra realtà: si aprono le scuole, anche quelle private, con delle strutture precarie di un paese in guerra; senza preparativi, senza misure preventive, con un numero ridotto di professori. Il nostro cuore è pieno di preoccupazione per le generazioni di bambini e di ragazzi, anche per gli universitari.

Siamo tutti col fiato sospeso: nell’ultima riunione degli Ordinari delle Chiese cattoliche presenti in Aleppo, abbiamo stabilito che centri di catechismo rimarranno chiusi; valuteremo questa posizione in base a come andrà il primo mese di scuola: che il Signore preservi i nostri figli da ogni male!

Carissimi, racconto tutto questo, presento le nostre croci e le nostre preoccupazioni, per dirvi in quali condizioni “anormali” noi svolgiamo la nostra missione.
Nonostante ciò, però, in questo campo di battaglia, continuiamo l’accompagnamento spirituale della nostra gente, in modo personale e in modo comunitario, usando i mezzi di comunicazione e spendendo ore e ore per telefonare giornalmente ad ognuno informandoci sulla loro situazione.
Oltre a questo sostegno, c’è il sostegno materiale, fatto attraverso tanti progetti, fra cui:
aiuti alimentari, copertura dei bisogni sanitari (durante la crisi Covid, si è aperto un progetto via posta per una copertura completa di tutte le spese, dalle più minime a quelle più grandi), sostegno per i casi particolari (persone con diversi tipi di handicap o di impedimenti), pannolini per i bambini, pannoloni per gli anziani, vestiti per i bambini, sostegno per il riscaldamento durante l’inverno che arriverà, sostegno scolastico mensile, riparazione delle case danneggiate, progetti di micro-credito e sostegno alle coppie neo-sposate…

Celebriamo quest’anno l’Esaltazione della Santa Croce: enumeriamo tante croci che qui ad Aleppo portiamo sulle nostre spalle e che lasciano sempre i segni duri e forti sulla carne martoriata, nei cuori di ognuno di noi, guardando, però, a quello che la Provvidenza opera in noi.
Queste croci condizionano in modo oggettivo la nostra vita, il nostro mangiare, il movimento e il dormire… condizionano anche il nostro respiro… però non hanno senso, senza un’accettazione volontaria e per un motivo chiaro: quello dell’amore di Dio e quindi anche dei fratelli.
Siamo beati allora, quando accogliamo queste croci e le viviamo offrendole per amore del Signore e dei fratelli… È molto bello poi, quando la croce non viene mai vissuta in modo personale, ma portando la croce, e condividendo le condizioni della nostra gente, la portiamo mentre sosteniamo gli altri attorno a noi, incoraggiando loro ad affrontare e portare la propria croce quotidiana.

Carissimi amici,
grazie a voi che non ci lasciate mai da soli in questo cammino della via crucis in modo che, mentre aiutiamo gli altri, troviamo tutto il sostegno necessario sia nelle vostre preghiere sia nel vostro sostegno morale e materiale.
Così, portando le croci in modo “degno del Signore” che ha portato la croce per amore nostro, e crescendo nella carità verso tutti, carità espressa nel servizio umile e costante, la croce diventa la nostra gloria, il nostro vanto, la nostra vittoria e la nostra salvezza. Lo spero per voi e lo spero anche per la nostra missione francescana ad Aleppo.
Buona festa dell’Esaltazione della santa Croce 2020

Fr. Ibrahim Alsabagh

lunedì 14 settembre 2020

il 'Monastero di Terra Santa' di Aleppo torna in possesso dei frati francescani

 

Cari figli e fratelli,

Oggi la nostra gioia è immensa per aver riavuto la 'Terra Santa di Aleppo', non solo perché è un monastero tra gli altri ma perché è caro ai generosi Aleppini, grandi e piccoli.

Questo luogo ha svolto un ruolo importante sin dalla fondazione come scuola secondaria. Molti medici, ingegneri, personalità dello Stato e della società civile si sono diplomati qui. Quando le scuole furono nazionalizzate, il 'Collegio di Terra Santa' si adoperò attivamente per rafforzare il ruolo della cristianità in Aleppo. Soprattutto, attraverso il Christian Educational Center e appoggiando le attività e gli eventi di tutte le confessioni cristiane in città.

Questo luogo è considerato ecumenico per eccellenza: non fa differenze tra una setta e l'altra. Qui tutti sono considerati fratelli e sorelle nel Signore. Dall'inizio dell'abominevole crisi che ha afflitto il nostro amato Paese, i Padri Francescani hanno accolto nella loro missione famiglie con disperato bisogno di un luogo ospitale che offrisse un po’ di stabilità e di speranza nella loro terra e la loro eredità culturale. Centinaia di figli di Aleppo accorrevano ogni giorno al monastero, che è diventato giorno dopo giorno un'oasi d’amore, di incontri e di pace.

Nel Franciscan Care Center sono nate diverse attività: arte, sport, musica e teatro, come supporto psicologico per tanti bambini e famiglie, con programmi qualificati per curare le tante ferite retaggio della guerra assurda che ha patito la città di Aleppo.

[QUI  nei dettagli il lavoro che si svolge nel Franciscan care center ]

Oggi, in coincidenza con la Festa della Vergine Maria, il 'Terra Santa' torna nelle braccia della Chiesa sotto la custodia dell'Ordine Francescano. Noi, figli di San Francesco, riceviamo dalla mano pura della nostra Vergine Madre questo dono tanto atteso, per completare la nostra missione di edificazione dell'essere umano schiacciato da guerra, epidemie e tribolazioni di ogni genere.

Chiediamo a Dio di estendere tutte le sue benedizioni a Sua Eccellenza il Presidente Bashar Hafez al-Assad, perché ci ha onorato ed è caro a tutti i nostri cuori.

[nell'incontro che ebbero con il presidente Bashar Assad il 23 dicembre 2019, i padri francescani chiesero di recuperare il terreno e la struttura della 'Terra Santa' che apparteneva all'Ordine ed egli promise il suo interessamento].

Con l'intercessione della Vergine Maria, di San Francesco, fondatore dell'ordine monastico, e di Sant'Antonio da Padova, Santo patrono del monastero, chiediamo a Dio di concederci pace, sicurezza e salvezza, che tenga lontane da tutti la pandemia e che noi frati possiamo discernere la volontà di Dio in queste circostanze, per fare di questo monastero un faro di conoscenza, etica e bene per i figli della madrepatria Siria.

Festa della Vergine Maria. 8 settembre 2020

Padre Firas Lotfi, francescano Custode della Provincia di San Paolo, per i Francescani di Siria, Libano e Giordania.

Dalla pagina della Parrocchia Latina San Francesco di Aleppo

Traduzione Maria Antonietta Carta

domenica 13 settembre 2020

Siria, dalla peste al Covid continua la missione dei frati della Custodia

 

La metà dei frati francescani in Siria è stata contagiata dal Covid-19, due i religiosi morti. Nonostante la guerra e la pandemia nessuno di loro ha abbandonato la propria comunità continuando quella missione portata avanti nei secoli scorsi durante le epidemie di peste. A raccontarlo al Sir è il Custode di Terra Santa, padre Francesco Patton che denuncia le sanzioni "ingiuste" che impediscono ai siriani di reperire medicinali per curarsi. La speranza nella Colletta di Terra Santa di domenica 13 settembre per poter aiutare i più poveri

di Daniele Rocchi

Sono 407 i francescani morti di peste dal 1619 fino ai giorni nostri. A loro, in queste ultime settimane vanno ad aggiungersi, dalla Siria in guerra, anche padre Edward Tamer, 83 anni, una vita passata nelle scuole della Custodia, gli ultimi 20 anni ad Aleppo, e a tradurre in arabo testi di teologia. Con lui padre Firas Hejazin, 49 anni di cui 23 di sacerdozio. Ieri la peste, oggi il Covid. Padre Tamer e padre Hejazin sono morti dopo aver contratto il Coronavirus. Si stima che nel Paese arabo i casi Covid-19 siano oltre 3400, 147 i morti e 997 i ricoverati. Numeri che molti analisti danno in difetto.

Metà dei frati in Siria contagiati dal Covid-19. Attualmente i frati presenti in Siria sono 15, in 9 parrocchie, due di queste sono al confine con la Turchia, a Knayeh e Jacoubieh, nella valle dell’Oronte, ancora sotto controllo delle milizie jihadiste.

La metà dei frati in Siria – rivela al Sir padre Francesco Patton, Custode di Terra Santa – ha contratto il virus riuscendo poi a guarire. Frati che hanno sacrificato la propria vita per rimanere al fianco dei malati in tempo di epidemie. Tutti hanno scelto di restare con il popolo, senza abbandonare nessuno”.

Come accadde durante le grandi epidemie di peste del 1347 e del 1370. “Allora l’attività dei medici francescani in Terra Santa – riferiscono dall’Archivio Custodiale – fu determinante, grazie alle alte conoscenze dei frati. La Custodia di Terra Santa, infatti, fece venire dall’Europa frati competenti in materia di scienza e medicina. I medici francescani erano molto stimati dai locali e anche dalle autorità musulmane”, come racconta la storia del Gran Mufti di Gerusalemme curato dal medico del convento di San Salvatore, fr. Giovanni da Bergamo, o del pascià di Acri, Muhammed al-Gezzar, che chiamò molte volte a palazzo fr. Francisco Lopez, medico di Gerusalemme.

Oggi curarsi in Siria, dove si combatte da 10 anni, è molto difficile anche a causa delle sanzioni economiche imposte da Usa e Ue – denuncia il Custode –. Il Coronavirus è una delle tante difficoltà che i siriani affrontano ogni giorno per sopravvivere. Basti pensare che per reperire medicinali la popolazione deve spesso ricorrere al mercato nero.

Le sanzioni sono ingiuste e disumane.

Invito quei Paesi che le hanno imposte a rimuoverle ora che siamo in piena pandemia. Diversamente avranno sulla coscienza tanti morti dei quali dovranno rispondere davanti a Dio”. “Nonostante tutte le difficoltà imposte da guerra e Covid– rimarca padre Patton – i frati non si sono tirati indietro e hanno continuato la loro missione pastorale e caritativa. Chi ha contratto il virus è tornato, una volta guarito del tutto e in piena sicurezza, tra la popolazione”.

Il ‘rinserro’ e il ‘comunichino’. Un modus operandi che, spiegano dalla Custodia, ricorda quello dei secoli scorsi quando, durante le epidemie di peste, i francescani si imponevano delle misure precauzionali per limitare il contagio. In questi casi il Discretorio custodiale, l’organo di governo della Custodia, decretava il cosiddetto “rinserro”: a nessuno era concesso lasciare il convento e tutti i contatti con l’esterno erano mediati da un responsabile, incaricato anche di sorvegliare il rispetto di questa norma. Tuttavia vi erano dei religiosi che rimanevano fuori durante la peste, solitamente il parroco e il collaboratore parrocchiale, chiamati in gergo gli “esposti”, perché correvano più degli altri il rischio di contrarre la malattia e morire. L’isolamento dal resto dei confratelli, chiusi in ‘rinserro’, “rendeva la loro morte ancora più dura. I francescani, però, si offrivano per la cura del gregge con spirito di carità, cercando di tutelarsi come potevano”. Un esempio è l’uso del “comunichino”, una pinza in argento terminante con una specie di piattino che serviva per distribuire l’Eucarestia senza entrare in stretto contatto con il fedele.

Vicini alla gente. “Oggi siamo vicini alla gente con le parrocchie che hanno continuato la loro attività pastorale fornendo, attraverso una rete di carità interna, supporto materiale. Un aiuto reso possibile anche dalla Colletta per la Terra Santa che si celebra domenica 13 settembre. Confidiamo molto nella generosità della Chiesa universale. Le nostre fraternità si prendono cura non solo delle piccole comunità cattoliche rimaste ma anche dei musulmani, molti dei quali profughi a causa della guerra. Con noi – precisa padre Patton – sono rimasti accanto alla popolazione sofferente anche tanti altri istituti e congregazioni religiose, come i salesiani, i gesuiti, le suore di Madre Teresa, le dorotee, le suore del Rosario, quelle del Verbo Incarnato e altre ancora. Tantissimi religiosi e religiose, consacrati laici e laiche, che sono il segno della presenza della Chiesa in questo tempo di sofferenza”.

Un pensiero che il Custode allarga anche ad altri Paesi, come il Libano in grave crisi economica e sociale. “Preghiamo per la stabilità di questi Paesi. Bisognerebbe che l’Europa fosse un po’ più presente in Medio Oriente con progetti di aiuto e di sviluppo e proposte concrete per la riduzione del debito. Senza l’aiuto dell’Europa il Libano sarebbe in balia di instabilità e di altri poteri. È pericolosissimo lavarsi le mani pilatescamente della situazione in Medio Oriente da parte dell’Europa. Non bastano certo le visite dei Macron e dei Conte per risolvere la crisi libanese. Se l’Ue è in grado di istituire un Recovery Fund per i suoi Paesi membri lo potrebbe fare anche per aiutare i Paesi più in difficoltà in Medio Oriente”.

lunedì 7 settembre 2020

Anche il patrimonio boschivo della Siria va in fiamme

Di Maria Antonietta Carta

Per oltre trent’anni, viaggiando attraverso la Siria ho assistito con emozione all'opera paziente e costante di rimboschimento. Una volta, un compagno di viaggio siriano mi raccontò che il suo Paese era stato ampiamente deforestato durante l’occupazione ottomana, per ottenere il legno necessario alla costruzione della ferrovia transnazionale Baghdad-Istanbul.

Anche durante la guerra, i Siriani hanno seguitato a piantare alberi, con tenacia e perseveranza, ed è per me un supplizio vedere le immagini dei roghi che inceneriscono le lussureggianti montagne costiere dell'amata Siria, ricche anche di alberi secolari: cedri, querce, pini altissimi… un’infinità di erbe aromatiche e medicinali e un sottobosco lussureggiante che per molti mesi diventava una affascinante tavolozza di colori.

Esse fanno parte anche della mia storia personale per averle frequentate durante decenni, sempre accolta con cuore generoso dai suoi abitanti ora desolatamente soli poiché nessun Paese li ha soccorsi.

Nel link sottostante, potete vedere i miei carissimi amici di suq al-Dayaa durante la campagna di forestazione (con moringhe oleifere) della stagione scorsa nelle montagne di Latakia e ammirarne la splendida vegetazione.

https://www.facebook.com/media/set/?set=a.2703035976400256&type=3

mercoledì 2 settembre 2020

"Ci sono 41 gradi a Damasco, e a singhiozzo 2 ore di elettricità.... "


Post di Vanessa Beeley

Mi chiedo se le persone nell'UE, negli Stati Uniti e nel Regno Unito dovessero affrontare le ripercussioni delle sanzioni dei loro governi sulla Siria, combatterebbero più duramente per ottenere il bando delle sanzioni utilizzate come una guerra ibrida, strategia sadica.

Ci sono 41 gradi a Damasco, la nuvolosità rende l'afa pesante e opprimente. L'elettricità nel luogo in cui ora mi trovo è fornita solo per un'ora, a volte due, prima che si interrompa per tre o quattro ore, solo l'aria condizionata rende sopportabile l'ambiente. Alcuni che vivevano vicino a me, sono rimasti senza elettricità per 14 ore in questo caldo soffocante. Ho bagnato i vestiti per mantenermi fresca mentre lavoro, è l'unica cosa che aiuta. I telefoni cellulari non hanno il tempo di ricaricarsi. Il cibo va a male perché il frigorifero è spento per la maggior parte del tempo.

I siriani tradizionalmente conservano buone quantità di cibo nel loro congelatore per un utilizzo di due o tre mesi. Ora devono buttarne via gran parte. Allo stesso tempo, i prezzi del cibo sono alle stelle. Nessuno può più permettersi di mangiare generi di lusso come il pollo. Perfino i limoni sono diventati un genere di lusso, il prezzo di un chilo è triplicato in pochi mesi. I genitori non sanno se possono nutrire i loro figli tutti i giorni, vivono alla giornata.

Tutti i chioschi lungo la strada stanno vedendo i loro mezzi di sostentamento andare in malora, letteralmente, poiché tutto nel loro reparto congelatore si scioglie o va a male. Molti dei chioschi sono di proprietà di disabili o di ex soldati dell'Esercito Arabo Siriano che cercano di guadagnarsi da vivere, avendo perso dieci anni della loro vita, i loro studi, i loro sogni, il loro futuro - difendendo il loro Paese dal terrorismo introdotto dagli stessi psicopatici che ora negano loro qualsiasi luce alla fine del tunnel.

Le code per il carburante, sebbene non così male come prima, sono comunque una mischia stressante con le auto in fila per prendere la loro razione.

Questi sono solo alcuni degli effetti delle sanzioni. Le sanzioni sono progettate per ferire, per privare, per deprimere e, in ultima analisi, uccidere lentamente e più dolorosamente rispetto alla rapida fine della vita con un mortaio o un proiettile. Le sanzioni privano le persone della loro dignità e le lasciano mendicanti a casa loro.