Storie
siriane 2018 (1)
raccolte da Marinella Correggia
Testimonianza di Naim Marachly, protesista ad Aleppo (*)
Ad
Aleppo, la mia città, mentre studiavo lettere incontrai per strada
un bambino poliomielitico che mendicava. La mia vita cambiò in quel
momento. Cominciai con un piccolo gruppo a impegnarmi nel
volontariato.
Andai
a studiare in Svizzera, con l’obiettivo di tornare in Siria e
mettere su un laboratorio ortopedico, per aiutare le persone a
camminare. E così feci, nel 1985, una volta finiti gli studi. Non
fu facile trovare altri con lo stesso amore per questo lavoro.
Finalmente fui contattato dalle suore francescane che lavoravano a
Raqqa e Assakè. Ogni due mesi visitavamo i bambini più poveri,
prendendo le misure per costruire loro corsetti e altri dispositivi.
Intanto continuavo a seguire i miei pazienti ad Aleppo: soprattutto
bambini che colpiti da poliomielite o da scoliosi. Ho realizzato
anche protesi per diabetici.
Tutto
funzionava come…un orologio svizzero. Fino a quando, nel 2012, la
guerra non arrivò anche qui ad Aleppo. Dopo un po’, per forza di
cose ho cominciato a lavorare su una nuova categoria di pazienti: gli
amputati di guerra…
Non
ne conosco il numero preciso nel mio paese, dopo tutti questi anni,
né ci sono cifre ufficiali, ma si stima che possano essere 30.000.
Un numero enorme. Uomini, donne, giovani, bambini…hanno perso
soprattutto gli arti inferiori, gambe amputate al livello della tibia
o del femore; spesso sono amputati di due arti.
Lavorando
durante questi anni di sofferenze ho potuto aiutare 186 pazienti, fra
i quali 19 bambini, 13 donne, e, fra gli uomini, tantissimi giovani
di meno di venti anni. E’ molto difficile fare qualcosa per gli
arti superiori. Le persone che li hanno persi in tutto o in parte si
illudono che potranno tornare a lavorare con le mani come prima. Ma
qui, per ora, è possibile solo fare mani con un’articolazione
semplice, o estetiche. ed è dura farglielo accettare. Per le protesi
relative agli arti inferiori, va meglio. Ma per gli arti superiori è
difficile! Poi occorre educare il paziente, riparare in caso di
guasti…
All’inizio
della guerra alcuni donatori locali, per esempio commercianti,
pagavano le protesi per persone rimaste prive di tutto. Le
organizzazioni umanitarie in genere si occupano solo di cibo e
alloggio. Non ci sono programmi speciali per finanziare le protesi. E
i donatori hanno quasi smesso, è difficile proseguire. Una giovane
donna siriana che vive all’estero mi ha contattato per aiutarmi;
adesso finanzia i costi relativi ad alcune protesi destinate a
bambini di meno di quindici anni…E poi c’è la Chiesa latina che
aiuta per alcuni casi, soprattutto di bambini.
La
gente è diventata povera; il costo di un tutore, di un apparecchio
correttivo, di una protesi è elevato per tanti. Vengono numerosi, ma
poi pochi riescono a pagare. E le persone cercano protesi
sofisticate, vengono a chiedere, ma il prezzo è troppo alto per
loro, e se ne vanno.
Diciamo
che malgrado le sanzioni, si arriva a far passare il materiale per le
protesi…
Il
mio sogno? E’ lo stesso di quando tornai dalla Svizzera… servire
le persone, ora rovinate dalla guerra. Offrire loro protesi adatte ed
efficaci e sofisticate, e gratuitamente!
L’ultimo
caso che ho trattato mi ha fatto soffrire molto. Un giovane che ha
perso la gamba a causa di una mina. Con l’aiuto di diverse persone
abbiamo trovato il denaro per la protesi. L’abbiamo messo in piedi,
si è riabituato a camminare. Aveva iniziato a lavorare come
portinaio in una scuola. Ma ecco che il moncone si è rattrappito, è
diminuito di volume. Non può più camminare. E’ di nuovo a terra,
in attesa di trovare i soldi per rifare tutto…
Ecco
solo uno dei casi.
Abbiamo
bisogno di sognare, finché il sogno non diventerà realtà.
E
intanto, come un lupo un po’ solitario, continuo a battermi per
rimettere in piedi il maggior numero possibile di pazienti.
(*)
Naim sta curando, fra gli altri, il piccolo Mahmoud che in questa
guerra ha perso non solo il papà soldato (disperso) ma anche le sue
due gambe, mentre era già nato senza braccia.