Auguri
di padre Pierbattista Pizzaballa, ofm
Custode di Terra Santa
“Il
popolo che camminava nelle tenebre ha visto una grande luce; su
coloro che abitavano in terra tenebrosa una luce rifulse” (Is.
9,1).
Stiamo
vivendo un tempo arduo, il cui susseguirsi di tragedie e di violenze
ci ha colmato di paure. La descrizione della fine dei tempi, che la
Liturgia ci ha proposto prima dell’Avvento (Mc 13, 24-32), è
sembrata l’eco di una cronaca attuale, che ci ha reso difficile
attendere il Natale con sentimenti di gioia, di festa, di vita. La
paura sembra dettare il nostro agire, anche nelle piccole azioni
quotidiane. Ma soprattutto abbiamo paura dell’altro, come se
avessimo perso il coraggio di credere nell’altro. Non ci fidiamo
più e siamo tentati di rinchiuderci nel nostro piccolo cerchio.
Abbiamo paura del musulmano, dell’ebreo, dell’orientale o
dell’occidentale, secondo dove ci troviamo. Il nemico è diventato
“gli altri”; pensiamo che “gli altri” siano contro di noi,
che ci minaccino e ci rubino la speranza di un mondo sicuro, di un
futuro migliore.
In
Siria, in Iraq, in Terra Santa, in Oriente così come in Occidente,
sembra che la forza della violenza sia l’unica voce possibile per
contrastare la violenza che ci sovrasta.
Aspettare
il Natale in queste circostanze interroga la nostra fede e fa
nascere il bisogno di una speranza più grande. Sono questi i
sentimenti che ci hanno accompagnato nella partecipazione alle varie
cerimonie per l’accensione dell’albero di Natale e la benedizione
del Presepe. Spesso, durante la celebrazione della festa, attorno a
noi si sentivano le sirene d’allarme, segno certo di scontri e
disordini. E, sempre, abbiamo riconosciuto un senso d’inadeguatezza
rispetto alla situazione. Ci sembrava di essere fuori dal tempo e
dalla storia.
Ma
non è così. Il Vangelo ci dice che la pienezza del tempo si è
compiuta in un tempo difficile, quando Giovanni nel deserto invitava
a preparare la Via del Signore predicando un battesimo di
conversione. La festa, le luci, i colori, pur necessari, desiderati e
celebrati nelle circostanze che viviamo, ci guidano a pensare con più
verità al senso originario del Natale: Dio che entra nel nostro
tempo e nella nostra storia. Il nostro tempo e la nostra storia di
oggi.
Natale
ci dice che Dio ama la vita, che Lui stesso è vita. È questa verità
il motivo definitivo e buono per stare su questa terra. Perché è
tempo di cercare motivazioni autentiche, ragioni ultime per
continuare a vivere e a sperare. Ragioni e motivazioni che rimangano,
che tengano, che non subiscano le altalenanti fasi delle nostre
angosce o delle nostre esaltazioni, che abbiano il sapore di una
misura giusta, di un orizzonte reale. È tempo di cercare domande e
risposte, orientamenti, di ritrovare l’Oriente.
E
questo Oriente è il Cristo, Uomo e Dio. Il Natale ci richiami,
dunque, a questo Oriente.
Natale,
ci dice che la nostra vita è Avvento, che camminiamo verso un
futuro, forse drammatico, faticoso, ma nel quale – è certo -
incontreremo Lui. Natale ci dice che questo futuro, per cui siamo
tanto preoccupati, questo futuro che inizia ora, è già iniziato: è
Gesù nato, morto e risorto.
Non
camminiamo verso il nulla, verso l’ignoto, verso il buio, ma verso
qualcosa che è già accaduto e che rimane, che si compie sempre e
comunque, che non potremmo distruggere nemmeno se lo volessimo.
Camminiamo
verso un incontro.
Allora,
questo tempo difficile sarà comunque un tempo buono, se ci
restituirà la consapevolezza che è il tempo dell’incontro; se ci
renderà - finalmente - bisognosi di qualcosa che sia altro da noi
stessi; se ci renderà più attenti a chi abbiamo vicino, perché
il futuro verso cui camminiamo potrà essere soltanto il compimento
di ogni relazione di cui avremo avuto cura, qui, ora. Anche in queste
circostanze drammatiche.
L’augurio
di quest’anno è di percorrere con fiducia questa strada, aperta
nel deserto di tante nostre vite, verso questo futuro buono,che ha un
unico Volto: quello della misericordia del Padre, che ci attende
sempre, con fedeltà, anche oggi.