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sabato 9 novembre 2024
I Vescovi maroniti: Porre termine alle aggressioni israeliane che violano la sovranità nazionale
giovedì 17 ottobre 2024
"Israele vuole spargere la paura tra i libanesi per minarne l’unità"
“Le vittime sono salite a 24: l’ultima è una bambina ritrovata dentro un’auto. Era talmente piccola che all’inizio si pensava fosse una bambola e invece, ad una verifica, ci si è accorti che era un’altra vittima innocente”. Padre William Makari aggiorna al Sir il tragico bilancio dei morti del raid israeliano del 14 ottobre scorso su una palazzina nel villaggio di Aitou, vicino a Zgharta, nel nord del Libano, un’area a maggioranza cristiana fino all’altro giorno risparmiata dalla furia dei combattimenti tra Israele ed Hezbollah.
“Il nostro è un villaggio a larga maggioranza cristiana, che è stato tra i primi ad accogliere i rifugiati provenienti da sud, dal confine con Israele, dove si combatte con più violenza – racconta il sacerdote maronita, sposato e con due figli, che fa parte del Vicariato di Ehden-Zgharta .Tutti qui hanno aperto le porte delle proprie abitazioni, hanno dato in affitto le case, sono state messe a disposizione anche le scuole per dare rifugio a quante più persone possibile. La Chiesa locale ha fatto la sua parte mettendo a disposizione locali e ambienti necessari a immagazzinare aiuti e a preparare la consegna”.
Padre Makari prova a ricostruire l’attacco israeliano del 14 ottobre: “la persona che aveva affittato la palazzina di tre piani, distrutta nel raid, poco prima era stato a visitare i rifugiati alloggiati, in larga parte tutti donne e bambini rimasti poi uccisi dalle bombe. Nei paraggi c’era anche una persona legata ad Hezbollah, non armata, che stava consegnando degli aiuti in denaro alle persone che erano all’interno. Quando questa persona è entrata nel palazzo è avvenuto l’attacco”. Secondo notizie raccolte dall’Agenzia Fides da fonti locali, l’edificio colpito era probabilmente già noto agli israeliani perché era stato affittato fin dal 2006, al tempo della precedente guerra tra Israele ed Hezbollah, alla televisione Al-Manar, legata al movimento sciita filo iraniano. Una conferma in tal senso arriva anche dal sacerdote maronita: “quella del 14 ottobre non è stata la prima volta che Israele attaccava il villaggio di Aitou. Era già accaduto nel 2006 ma quella volta l’obiettivo era una sede di comunicazione dove c’era una radio e altri media e non un palazzo abitato da rifugiati. Oggi bombardano le case e i palazzi”.
Paura
per il futuro del Libano. Poi
una riflessione che rivela anche una paura per il futuro: “seguendo
i notiziari abbiamo modo di ascoltare quanto dicono tanti politici e
ministri di Israele e le loro intenzioni di conquistare il territorio
libanese per costruire altre colonie. Sentiamo dire che attaccano il
Libano per la presenza di attivisti e leader di Hezbollah e che
vogliono fare esplodere una guerra civile nel nostro Paese.
Israele
crede che il terreno sia già pronto per le divisioni politiche
interne al Libano. Il premier israeliano Bibi Netanyahu dice che
vuole liberare il popolo libanese dai terroristi. Ma con un atto
terroristico non si elimina il terrorismo”.
La
risposta a Israele. “La
nostra risposta, come popolo, come Chiesa, a questi tentativi di
sovvertire il Libano è la solidarietà e l’unità – ribadisce
padre Makari – Le porte delle chiese sono aperte a tutti, non solo
ai cristiani.
Ci
sono cristiani anche nel sud del Paese. La nostra è una popolazione
abituata a convivere, nel rispetto delle convinzioni politiche e
religiose di ciascuno. Siamo tutti libanesi e ci teniamo alla nostra
sovranità”. Un modo chiaro per dire che il Libano non può essere
solo cristiano o solo musulmano, perché non sarebbe il Libano.
L’appello e il monito. Da qui l’appello alla comunità internazionale e un monito al mondo della politica libanese: “Chiediamo aiuto per tutto il Libano, e non solo per i cristiani. Siamo critici verso chiunque tenti di insidiare l’unità del Libano per interessi di parte” sottolinea il sacerdote, facendo sue posizioni analoghe espresse più volte in passato dal patriarca maronita, card. Boutros Bechara Rai. Nell’ultima loro assemblea, presieduta dallo stesso patriarca, i vescovi maroniti hanno insistito sull’urgente necessità che il Parlamento libanese “faccia il proprio dovere affinché, dopo una lunga attesa e tanta sofferenza, venga eletto un nuovo Presidente della Repubblica che completi il quadro delle istituzioni costituzionali”. Presidente la cui priorità sarà quella di mantenere unito il popolo libanese.
https://www.agensir.it/mondo/2024/10/17/libano-testimonianza-dal-villaggio-cristiano-di-aitou-colpito-da-israele-p-makari-maronita-vogliono-far-esplodere-una-nuova-guerra-civile/Le stesse considerazioni sono espresse da Mons. Alwan. Il vicario patriarcale maronita sull’attacco israeliano a un villaggio cristiano del nord libanese: “Un vero e proprio crimine di guerra”
Mons. Alwan, che cosa ha provato quando ha saputo della strage di Aitou?
Aitou è il mio villaggio natale e si trova in una zona del nord del Libano abitata solo da cristiani maroniti. Il palazzo abbattuto è vicino a casa mia. Quando è giunta la notizia mi sono spaventato, perché non immaginavo chi potesse essere ricercato da Israele in questo piccolo villaggio di montagna. Poi ho saputo che il villaggio ospitava persone musulmane sciite sfollate dal sud del Libano. Ho capito allora che tra loro ci doveva essere qualcuno nel mirino dell’esercito israeliano. L’intero palazzo è crollato sui suoi abitanti: bambini, donne, anziani… 24 i morti, 5 i feriti. Non erano tutti ricercati, solo uno o due di loro: gli altri abitanti sono stati sacrificati. E’ un comportamento ingiusto, illegale, vietato anche in guerra, perché non si può uccidere civili inermi. E’ un vero e proprio crimine di guerra.
Perché Israele continua a colpire de facto tanti civili per distruggere Hezbollah?
I responsabili militari in Israele avevano dichiarato all’inizio che le loro operazioni militari erano limitate e miravano solo a combattere i miliziani di Hezbollah e a distruggere i loro depositi di armi. Però de facto accade che ogni volta che colpiscono un miliziano uccidono decine e centinaia di civili inermi nello stesso palazzo, spesso tra gli sfollati. Questi attacchi cosiddetti limitati in effetti si sono trasformati in una vera e propria guerra in territorio libanese.
Come vede il futuro prossimo del Libano? Continuerà ad esistere come Stato indipendente?
Il Libano è una Repubblica indipendente, membro fondatore dell’Organizzazione delle Nazioni Unite. Deve rimanere tale anche se è un piccolo Paese indifeso. Questo deve essere il compito delle grandi potenze e dell’ONU. E’ la nostra speranza e noi lottiamo per concretizzarla. Oggi insistiamo sul cessate il fuoco, sull’elezione di un presidente della Repubblica (NdR: vacante dall’ottobre del 2022) e sull’applicazione della risoluzione n. 1701 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. I punti citati sono contenuti nel comunicato ufficiale dell’incontro di oggi, mercoledì 16 ottobre, tra capi religiosi diversi convenuti nel nostro Patriarcato maronita di Bkerké su invito del patriarca cardinale Béchara Boutros Raï.
Appello dei Capi religiosi: Dio doni ai libanesi la speranza di resistere alla catastrofe
FIDES, 16 ottobre 2024
La Patria libanese è ferita, “e la ferita sta infettando ognuno di noi”. Ha iniziato così il suo discorso il Patriarca maronita Béchara Boutros Raï, aprendo il Summit straordinario di capi religiosi convocato presso la Sede patriarcale di Bkerké per farsi carico insieme della “responsabilità spirituale, morale e nazionale”, davanti al perpetuarsi delle offensive militari messe in atto dalle forze armate israeliane in territorio libanese.
Si rende grazie al popolo per la generosa accoglienza offerta agli sfollati, mentre si ringraziano “i Paesi arabi fratelli e i Paesi amici per le loro gentili iniziative nei confronti del Libano e per il loro sostegno politico e gli aiuti materiali, medici e alimentari”.
Si rende grazie anche ai contingenti militari delle Nazioni Unite (Unifil) che operano nel Libano meridionale “per gli sforzi e i sacrifici che stanno compiendo per salvaguardare i confini meridionali del Libano e la popolazione di quella regione”, apprezzando “il loro impegno a rimanere nelle loro posizioni nonostante le ingiustificate vessazioni e gli avvertimenti israeliani volti a cancellare tutti i testimoni dei brutali massacri che stanno commettendo contro la nostra Patria”. Infine, si ribadisce che “la questione centrale attorno alla quale ruotano la maggior parte delle questioni nella regione araba è la giusta causa palestinese”.
lunedì 7 ottobre 2024
Lettera del Papa ai cattolici del Medio Oriente: martoriati da guerre fatte dai potenti, sono con voi
Cari fratelli e sorelle,
penso a voi e prego per voi. Desidero raggiungervi in questo giorno triste. Un anno fa è divampata la miccia dell’odio; non si è spenta, ma è deflagrata in una spirale di violenza, nella vergognosa incapacità della comunità internazionale e dei Paesi più potenti di far tacere le armi e di mettere fine alla tragedia della guerra. Il sangue scorre, come le lacrime; la rabbia aumenta, insieme alla voglia di vendetta, mentre pare che a pochi interessi ciò che più serve e che la gente vuole: dialogo, pace. Non mi stanco di ripetere che la guerra è una sconfitta, che le armi non costruiscono il futuro ma lo distruggono, che la violenza non porta mai pace. La storia lo dimostra, eppure anni e anni di conflitti sembrano non aver insegnato nulla.
E voi, fratelli e sorelle in Cristo che dimorate nei Luoghi di cui più parlano le Scritture, siete un piccolo gregge inerme, assetato di pace. Grazie per quello che siete, grazie perché volete rimanere nelle vostre terre, grazie perché sapete pregare e amare nonostante tutto. Siete un seme amato da Dio. E come un seme, apparentemente soffocato dalla terra che lo ricopre, sa sempre trovare la strada verso l’alto, verso la luce, per portare frutto e dare vita, così voi non vi lasciate inghiottire dall’oscurità che vi circonda ma, piantati nelle vostre sacre terre, diventate germogli di speranza, perché la luce della fede vi porta a testimoniare l’amore mentre si parla d’odio, l’incontro mentre dilaga lo scontro, l’unità mentre tutto volge alla contrapposizione.
Con cuore di padre mi rivolgo a voi, popolo santo di Dio; a voi, figli delle vostre antiche Chiese, oggi “martiriali”; a voi, semi di pace nell’inverno della guerra; a voi che credete in Gesù «mite e umile di cuore» (Mt 11,29) e in Lui diventate testimoni della forza di una pace non armata.
Gli uomini oggi non sanno trovare la pace e noi cristiani non dobbiamo stancarci di chiederla a Dio. Perciò oggi ho invitato tutti a vivere una giornata di preghiera e digiuno. Preghiera e digiuno sono le armi dell’amore che cambiano la storia, le armi che sconfiggono il nostro unico vero nemico: lo spirito del male che fomenta la guerra, perché è «omicida fin da principio», «menzognero e padre della menzogna» (Gv 8,44). Per favore, dedichiamo tempo alla preghiera e riscopriamo la potenza salvifica del digiuno!
Ho nel cuore una cosa che voglio dire a voi, fratelli e sorelle, ma anche a tutti gli uomini e le donne di ogni confessione e religione che in Medio Oriente soffrono per la follia della guerra: vi sono vicino, sono con voi.
Sono con voi, abitanti di Gaza, martoriati e allo stremo, che siete ogni giorno nei miei pensieri e nelle mie preghiere.
Sono con voi, forzati a lasciare le vostre case, ad abbandonare la scuola e il lavoro, a vagare in cerca di una meta per scappare dalle bombe.
Sono con voi, madri che versate lacrime guardando i vostri figli morti o feriti, come Maria vedendo Gesù; con voi, piccoli che abitate le grandi terre del Medio Oriente, dove le trame dei potenti vi tolgono il diritto di giocare.
Sono con voi, che avete paura ad alzare lo sguardo in alto, perché dal cielo piove fuoco.
Sono con voi, che non avete voce, perché si parla tanto di piani e strategie, ma poco della situazione concreta di chi patisce la guerra, che i potenti fanno fare agli altri; su di loro, però, incombe l’indagine inflessibile di Dio (cfr Sap 6,8).
Sono con voi, assetati di pace e di giustizia, che non vi arrendete alla logica del male e nel nome di Gesù «amate i vostri nemici e pregate per quelli che vi perseguitano» (Mt 5,44).
Grazie a voi, figli della pace, perché consolate il cuore di Dio, ferito dal male dell’uomo. E grazie a quanti, in tutto il mondo, vi aiutano; a loro, che curano in voi Cristo affamato, ammalato, forestiero, abbandonato, povero e bisognoso, chiedo di continuare a farlo con generosità. E grazie, fratelli vescovi e sacerdoti, che portate la consolazione di Dio nelle solitudini umane. Vi prego di guardare al popolo santo che siete chiamati a servire e a lasciarvi toccare il cuore, lasciando, per amore dei vostri fedeli, ogni divisione e ambizione.
Fratelli e sorelle in Gesù, vi benedico e vi abbraccio con affetto, di cuore. La Madonna, Regina della pace, vi custodisca. San Giuseppe, Patrono della Chiesa, vi protegga.
Fraternamente,
FRANCESCO
Roma, San Giovanni in Laterano, 7 ottobre 2024.
Un appello per un'immediata azione umanitaria internazionale in Libano del Patriarca Siro Ortodosso Mor Ignatius Aphrem II
7 ottobre, un anno dopo. Patriarca Sabbah: sarà pace solo se avrà fine la tragedia palestinese
Sono parole irrigate di lucido realismo, di dolore e nel contempo di speranza “contro ogni speranza” quelle raccolte nel documento-appello diffuso dal Patriarca emerito di Gerusalemme dei Latini Michel Sabbah e dai membri del gruppo “Christian Reflection” a un anno dalle stragi compiute da Hamas contro ebrei israeliani il 7 ottobre 2023, eccidio che ha aperto il nuovo vortice di morte e annientamento che risucchia interi popoli e trascina il mondo intero verso il baratro della guerra globale.
La “Christian Reflection” di Gerusalemme è un gruppo di cristiani di Terra Santa - sacerdoti, religiosi e laici - raccolti intorno al Patriarca emerito Sabbah per condividere riflessioni sul ruolo dei cristiani davanti al conflitto e nella società. Proprio ai fratelli e alle sorelle nella fede in Cristo il documento firmato dal Patriarca emerito Sabbah pone questioni decisive: «Come cristiani» si legge nel testo, intitolato “Mantenere viva la speranza” «ci troviamo di fronte anche ad altri dilemmi: questa è una guerra in cui siamo semplicemente spettatori passivi? Dove ci collochiamo in questo conflitto, presentato troppo spesso come una lotta tra ebrei e musulmani, tra Israele, da una parte, e Hamas e Hezbollah sostenuti dall'Iran, dall'altra? Questa è una guerra di religione? Dovremmo rintanarci nella precaria sicurezza delle nostre comunità cristiane, isolandoci da ciò che sta accadendo intorno a noi? Dobbiamo semplicemente guardare e pregare in disparte, sperando che questa guerra alla fine passi?»
“Stiamo fissando l’oscurità”
Dopo un anno di guerra incessante, «mentre il ciclo della morte continua inarrestabile» il Patriarca Sabbah e i membri del gruppo di riflessione avvertono l’urgenza ««di cercare la speranza che deriva dalla nostra fede», mentre ammettono di essere «esausti, paralizzati dal dolore e dalla paura. Stiamo fissando l’oscurità», mentre «la nostra amata Terra Santa e l'intera regione vengono ridotte in rovina» e «ogni giorno piangiamo le decine di migliaia di uomini, donne e bambini che sono stati uccisi o feriti, soprattutto a Gaza, ma anche in Cisgiordania, Israele, Libano e oltre, in Siria, Yemen, Iraq e Iran». A Gaza - prosegue la tragica descrizione dei fatti «case, scuole, ospedali, interi quartieri sono ora cumuli di macerie. Malattie, fame e disperazione regnano sovrane». £ in tutto questo - si chiedono gli autori del documento - «il sogno sionista di una casa sicura per gli ebrei in uno stato ebraico chiamato Israele ha portato sicurezza agli ebrei?».
Latitanza internazionale
«Incredibilmente» annotano il Patriarca Sabbah e i membri di Christian Reflection «la comunità internazionale guarda quasi impassibile. Le richieste di cessate il fuoco, ponendo fine alla devastazione, vengono ripetute senza alcun tentativo significativo di frenare coloro che stanno scatenando il caos. Armi di distruzione di massa e mezzi per commettere crimini contro l'umanità confluiscono nella regione».
Se la Comunità internazionale latita - prosegue il documento - i cristiani, pur nella loro inermità e esiguità numerica, sono chiamati a essere fiduciosi nella Resurrezione di Cristo anche nella situazione tragica presente.
Quella in atto - insiste il documento - «non è una guerra di religione. E dobbiamo schierarci attivamente, dalla parte della giustizia e della pace, della libertà e dell'uguaglianza. Dobbiamo stare al fianco di tutti coloro, musulmani, ebrei e cristiani, che cercano di porre fine alla morte e alla distruzione»
Sabbah e i suoi compagni del gruppo di riflessione si rivolgono ai capi cristiani, «ai nostri vescovi e ai nostri sacerdoti per avere parole di guida. Abbiamo bisogno dei nostri pastori per aiutarci a comprendere la forza che abbiamo quando siamo insieme. Da soli, ognuno di noi è isolato e ridotto al silenzio». Soprattutto - aggiungono - c’è bisogno di chiedere l’aiuto di Dio «per non disperare, per non cadere nella trappola dell'odio. La nostra fede nella Resurrezione ci insegna che tutti gli esseri umani devono essere amati, uguali, creati a immagine di Dio, figli di Dio e fratelli e sorelle gli uni degli altri». Per questo «le nostre scuole, ospedali, servizi sociali sono luoghi in cui ci prendiamo cura di tutti coloro che sono nel bisogno, senza discriminazioni». E la fede in Cristo «ci rende portavoce di una terra senza muri, senza discriminazioni, portavoce di una terra di uguaglianza e libertà per tutti, per un futuro in cui possiamo vivere insieme».
Porre fine alla tragedia palestinese
Con realismo lucido, gli autori del documento- appello riconoscono che la pace sarà possibile «solo quando la tragedia del popolo palestinese avrà fine». Per questo c’è bisogno «di un accordo di pace definitivo tra questi due partner e non di cessate il fuoco temporanei o soluzioni provvisorie».
La massiccia forza militare di Israele «può distruggere e portare morte, può spazzare via leader politici e militari e chiunque osi alzarsi e opporsi all'occupazione e alla discriminazione. Tuttavia, non può portare la sicurezza di cui gli israeliani hanno bisogno. La comunità internazionale» aggiungono «deve aiutarci riconoscendo che la causa principale di questa guerra è la negazione del diritto del popolo palestinese a vivere nella sua terra, libero e uguale».
«Siamo un popolo, cristiani e musulmani. Insieme» prosegue il documento rivolto ai palestinesi «dobbiamo cercare la via oltre i cicli della violenza. Insieme a loro, dobbiamo impegnarci con quegli ebrei israeliani che sono anche stanchi della retorica, delle bugie, delle ideologie di morte e distruzione».
giovedì 15 agosto 2024
Il Libano sull'orlo dell'abisso
Agenzia Fides
Dallo scoppio della guerra civile nel 1975 a oggi il Libano, piccolo Paese mediorientale, non ha mai conosciuto pace e stabilità. La popolazione, compresi i cristiani, ha resistito e continua a resistere. Ma dal 7 ottobre e dall'inizio della guerra a Gaza e Israele, considerato il conflitto con Hezbollah, che ha in mano il destino del Paese e decide della guerra e della pace, la situazione è diventata infernale, non solo nella regione meridionale, vicino al confine con Israele, ma in tutto tutto il Libano, con una paralisi economica e politica che rischia di mettere in pericolo l'identità stessa del Paese.
Il Libano è da quasi due anni senza Presidente, carica istituzionale che nel sistema libanese spetta ai cristiani e rappresenta un simbolo di convivenza e rispetto della pluralità. Anche il governo si è dimesso, i ministeri si occupano solo degli affari correnti in un momento in cui il Paese ha più che mai bisogno di decisioni per il suo futuro, la sua identità e la sua stabilità.
La posta in gioco politica regionale e internazionale complica la causa libanese e lascia la popolazione nell'incertezza e nell'angoscia. I giovani, sia musulmani che cristiani, si affrettano a lasciare il Libano per cercare rifugio e un futuro migliore all'estero. I genitori, che spesso non hanno mezzi economici propri a causa della crisi finanziaria e bancaria che ha colpito il Paese quasi cinque anni fa, aspettano aiuto e solidarietà dai figli o da associazioni caritatevoli e ONG per comprare le medicine e fare fronte ai bisogni primari di sopravvivenza.
Nonostante i tentativi, la diplomazia vaticana non è riuscita a convincere i leader dei Partiti politici cristiani a trovare un accordo su un candidato alla presidenza e a porre fine al caos attuale. Le varie Chiese stanno lavorando attraverso le loro associazioni sociali e caritative per sostenere la popolazione. Ma ai libanesi manca soprattutto un segno di speranza che preannunci la fine della corruzione, della violenza, della guerra e dell'instabilità. Nel frattempo, coloro che non sono riusciti a uscire dalla crisi finanziaria lottano per sopravvivere, mentre altri che sono riusciti a regolarizzare la propria situazione finanziaria e ad adattarsi alla dollarizzazione approfittano dell'opportunità per rilassarsi cercando relax e aria fresca in montagna.
L'estate è un buon momento per gli incontri delle famiglie divise dall'emigrazione, ma quest'anno anche questa bella consuetudine è stata stravolta. Chi era venuto da lontano per sostenere le proprie famiglie e trascorrere le vacanze con loro è dovuto ripartire in fretta e furia a causa della situazione e in seguito agli appelli dei Paesi occidentali a lasciare il Libano, che rischia di diventare teatro di guerra. Altri hanno portato le loro famiglie all'estero per far vivere ai propri cari un momento di riposo e di tregua. L'ansia regna e l'incertezza sembra essere stata incoronata regina della situazione.
La paura regna ovunque e su tutti. I genitori rimasti con i figli e i giovani sono in ansia per le tasse scolastiche e universitarie, per il costo esorbitante delle assicurazioni mediche e delle medicine, per il costo della vita, per la guerra, per la distruzione, per l'ignoto... Tuttavia, il 2 agosto, la beatificazione del Patriarca Douaïhy è stata un momento di preghiera, di speranza e di serenità.
Che i santi libanesi e Nostra Signora del Libano possano vegliare su questo Paese in questo momento di estrema difficoltà.
* sacerdote, teologo dell’Université Saint-Esprit di Kaslik, membro della Commissione Teologica Internazionale
giovedì 25 luglio 2024
Il dono di due vocazioni francescane fiorite tra le rovine della guerra
di padre Ibrahim Faltas, Vicario della Custodia di Terra Santa
Aleppo - I figli di San Francesco da 800 anni custodiscono i Luoghi Santi e le “Pietre vive” che li abitano. La Custodia di Terra Santa opera in diverse nazioni: non è solo presente in Palestina e in Israele, dove Gesù ha trascorso la Sua vita terrena, ma opera anche in gran parte del Medio Oriente, a Cipro, a Rodi, in Giordania, in Libano, in Egitto e in Siria.
La Terra Santa ha vissuto guerre e distruzioni e ancora oggi subisce violenza, odio, divisione.
In 800 anni, la Custodia ha perso più di duemila frati morti per confessare la fede in Cristo e difendere la Terra Santa.
Sono arrivato ad Aleppo con altri confratelli il 6 luglio: per grazia di Dio, la Siria ha potuto gioire dell'ordinazione sacerdotale di due frati gemelli che hanno coltivato insieme l'amore per Cristo e per San Francesco. Una gioia immensa per la Custodia, che ha avuto fratelli che sono stati ordinati sacerdoti, ma per la prima volta accoglie due sacerdoti gemelli!
Siamo partiti da Amman e abbiamo attraversato gran parte del territorio siriano: abbiamo visto villaggi e città distrutte e senza vita. Alla guerra in corso, si sono aggiunti i morti e la distruzione del terribile terremoto del febbraio 2023.
In questi anni, un milione e trecentomila siriani hanno perso la vita e otto milioni hanno dovuto abbandonare la loro terra e la loro storia. Ho pensato a Gaza che soffre come la Siria, e a come la guerra ha spezzato vite e ha raso al suolo edifici che accoglievano vite.
La Siria è la nazione che attualmente conta il numero più alto di frati della Custodia di Terra Santa: un dono e una presenza importanti. I nostri confratelli impegnati nelle comunità siriane hanno sofferto e soffrono, ma mai hanno trascurato l'amore per il prossimo e mai hanno perso la speranza della pace.
Mentre percorrevamo strade silenziose e desolate, ho ringraziato Dio per il rinnovato germe di speranza che i due nuovi confratelli nel sacerdozio hanno portato alla Chiesa e alla Custodia di Terra Santa.
I diaconi, Fra George Paolo e Fra Johnny Jallouf hanno ricevuto per l'imposizione delle mani dal Vescovo Hanna Jallouf, Vicario Apostolico dei Latini ad Aleppo, l'ordinazione presbiterale nella Chiesa di San Francesco d'Assisi ad Aleppo. Il Vescovo Hanna è zio dei due novelli sacerdoti ed è una delle tante e sante vocazioni che la Siria ha donato alla Custodia di Terra Santa: la sua totale dedizione a Cristo e alla Chiesa sia di esempio per questi giovani e per tutti noi. Padre Hanna, che il 17 settembre festeggerà il primo anno da Vicario Apostolico di Aleppo, ha consacrato per la prima volta due nuovi sacerdoti con la gioia di vedere i suoi nipoti far parte del suo stesso Ordine Francescano dei Minori e della Custodia di Terra Santa.
Ho partecipato alla celebrazione eucaristica insieme a trenta confratelli, abbiamo pregato per le vocazioni tanto necessarie al popolo di Dio e per la Siria, terra benedetta e oltraggiata dalla guerra. Ho gioito con la bella famiglia Jallouf, mi sono congratulato con i genitori orgogliosi ed emozionati per i loro figli, due fratelli così uniti e in sintonia da percorrere insieme la strada della vita, condividendo il dono della vocazione.
Dopo la solenne celebrazione, i due sacerdoti sono stati festeggiati dai parenti, dagli amici, dai confratelli e dai parrocchiani. Ho percepito la forte partecipazione alla gioia vera della comunità cristiana di Aleppo, che per quest'occasione ha dimenticato per qualche ora la guerra e ha lodato Dio in letizia.
Prima della guerra ad Aleppo si contavano duecentomila cristiani. Oggi ne sono rimasti venticinquemila.
Domenica 7 luglio ho incontrato ancora i miei confratelli siriani. Conosco bene il loro impegno ma ho potuto vedere di persona il grande lavoro svolto anche nel recupero del Terra Sancta College, imponente complesso requisito dalle autorità siriane e tornato in possesso da pochi anni dei Francescani della Custodia.
Ora il Terra Sancta College è di nuovo un luogo di incontro, un luogo di sostegno concreto ai bisogni della gente. Una parte del collegio è stata destinata alla creazione di un forno che produce un pane buonissimo, profumato e saporito: in quel forno ho sentito anche il profumo di Gesù che si dona nell'Eucarestia e dona vita nuova, anche nella sofferenza. Ho rivisto la piscina, messa in sicurezza e attrezzata per dare sollievo nei giorni caldi e momenti di serenità a chi soffre da anni l'angoscia della guerra.Nel pomeriggio abbiamo partecipato alla prima Santa Messa dei novelli sacerdoti: una celebrazione commovente, durante la quale è emersa la condivisione e la cura del servizio sacerdotale. Padre George ha presieduto e padre Johnny ha tenuto l'omelia. Ogni momento della Santa Messa è stato vissuto intensamente ed è stato allietato da canti molto belli: i due gemelli sono anche validi musicisti e hanno lodato il Signore anche con la musica.
In un territorio devastato e offeso dalla tragedia della guerra, la famiglia della Custodia di Terra Santa ringrazia Dio per il dono della vocazione e prega affinché i suoi amati figli continuino ad essere missionari di pace nella Terra di Gesù e nel mondo intero.
Agenzia Fides 10/7/2024
domenica 21 aprile 2024
LIBANO: si vogliono riattizzare i conflitti settari?
Esiste un tentativo di destabilizzare il Libano, riattizzando conflitti settari? È quanto ci si chiede nel Paese dei Cedri dopo alcuni fatti di cronaca che hanno alzato la tensione locale mentre tutta la regione mediorientale è segnata dal conflitto a Gaza e dal lancio di centinaia di ordigni verso Israele da parte dell’Iran e dei suoi alleati regionali [ a seguito del raid aereo di Israele -dell' 1 aprile- sul consolato iraniano a Damasco che ha ucciso almeno 11 persone tra cui il generale Mohammad Reza Zahedi e altri ufficiali delle Forze Quds. NDR ]
L’uccisione di Pascal Sleiman, coordinatore a Jbeil (Byblos) delle Forze Libanesi, è stato attribuito a una “gang siriana” di ladri di automobili .
Durante l'interrogatorio, i rapitori hanno affermato di aver agito per rubare l'auto di Sleiman. Tuttavia, le loro confessioni sono state subito ritenute false, poiché hanno abbandonato il veicolo e trasportato il corpo di Sleiman in Siria dopo che era morto a causa delle ferite riportate. Secondo i media siriani, questi ultimi hanno attraversato il confine siriano attraverso valichi non autorizzati, entrando in un'area controllata da Hezbollah. Questi eventi hanno sollevato numerose domande sulle motivazioni dell'operazione e sui suoi sponsor.
Si teme che gli eventuali ignoti sponsor dell’operazione abbiano voluto da un lato, avviare una guerra tra cristiani e musulmani accusando potenti forze locali di essere dietro il crimine e, dall’altro, seminare discordia tra cristiani e siriani. Ricordiamo che il Libano accoglie circa 1 milione e mezzo di rifugiati siriani in fuga dalla guerra civile scoppiata nel loro Paese nel 2011. Una presenza non sempre ben vista dalla popolazione libanese, piagata dalla crisi economico-finanziaria.
Sempre il 9 aprile, Mohammad Ibrahim Srour, un cambiavalute libanese, sanzionato dalle autorità statunitensi con l’accusa di aver trasferito fondi ad Hamas per conto dei Guardiani della Rivoluzione dell’Iran, è stato ritrovato morto in una villa nel villaggio di Beit Meri ad est di Beirut. Secondo la sua famiglia, Srour era scomparso da una settimana prima che il suo cadavere fosse ritrovato colpito da diversi proiettili e con segni di tortura. Le autorità libanesi accusano il Mossad, il servizio segreto israeliano, del crimine, che sarebbe stato materialmente commesso da agenti mercenari siriani e libanesi.
A tutto questo si aggiungono una serie di attacchi contro la sede del Partito social nazionalista siriano (SSNP) a Jdita, nella regione della Bekaa. I colpevoli hanno lasciato sulla scena una bandiera della Forze Libanesi, alimentando così le tensioni ed esacerbando le divisioni settarie, alimentate sui social network da schiere di troll e di provocatori.
Agenzia Fides 16/4/2024
giovedì 11 aprile 2024
La guerra rende oscuro anche il futuro dei cristiani nella Terra di Gesù
I cristiani a Gaza, Cisgiordania e Israele soffrono con i compagni di cammino e di destino appartenenti a altre comunità di fede. E la guerra - racconta all’Agenzia Fides il francescano egiziano Ibrahim Faltas, Vicario della Custodia di Terra Santa - getta anche nuove ombre sulla permanenza futura delle comunità di battezzati nella terra di Gesù. Una umanità ferita che nel tempo della prova – ripete padre Ibrahim – dona la testimonianza della propria fede mendicante, anche nei gesti semplici di condivisione del dolore e della sofferenza.
Padre Ibrahim, le comunità cristiane di Terra Santa come stanno vivendo questo momento buio?
IBRAHIM FALTAS: Le comunità cristiane di Terra Santa stanno vivendo male. La guerra è sempre una sconfitta, come dice Papa Francesco, e per i cristiani che in Terra Santa sono una minoranza, diventa una tragedia veramente difficile da affrontare.
A Gaza, circa ottocento cristiani hanno trovato rifugio nella parrocchia della Sacra Famiglia, altri duecento nella chiesa greco ortodossa. Tanti sono morti, i sopravvissuti hanno perso tutto. Devono condividere gli stessi spazi per tutte le necessità e manca il cibo, l’acqua, le medicine. Qualche giorno fa mi ha colpito il sorriso del vice parroco che ha mostrato una mela rossa, il primo frutto rivisto dopo sei mesi di guerra e che lui ha condiviso con altri parrocchiani.
Cosa accade in Cisgiordania e Israele?
FALTAS: In Cisgiordania i cristiani, impegnati soprattutto nel turismo, non hanno lavoro per la mancanza di pellegrinaggi. Non vedono futuro per le loro famiglie e in tanti vorrebbero lasciare la Terra Santa. Anche in Israele, le comunità cristiane vivono e subiscono le conseguenze della guerra. Anche al nord, a Nazareth e in Galilea, sono molto vicini ad un altro fronte di guerra. Tutti i cristiani di Terra Santa stanno comunque testimoniando la loro fede in modo esemplare.
In che modo le comunità cristiane di Israele e Cisgiordania sono in contatto con fratelli e sorelle di Gaza?
FALTAS. Purtroppo le comunità cristiane di Terra Santa non possono avere contatti fra di loro, nonostante la vicinanza fisica di questi luoghi. Subivano già prima della guerra tante limitazioni e da sei mesi è impossibile pensare ad iniziative che possano dare sostegno a Gaza. Grazie a Dio la tecnologia ha dato la possibilità di poter avere notizie reciproche e di potersi sostenere nella preghiera.
Israele ha detto che obiettivo di guerra era “eliminare Hamas”. Quello che sta succedendo è giustificabile come “effetto collaterale” per raggiungere quello scopo?
FALTAS: Non posso fare un’analisi politica di questa guerra ma, come tutti, vedo le conseguenze di questa assurdità. I bambini, come tutti i bambini del mondo, sono le prime vittime di queste atrocità. Migliaia hanno perso la vita, migliaia sono ancora sotto le macerie, migliaia hanno subito gravi amputazioni e migliaia porteranno a vita i segni fisici e morali della guerra. Chi cancellerà i traumi psicologici dei bambini, di tutti i bambini, senza distinzione di nazionalità e di credo religioso? Un segno importante è l'accoglienza per la cura negli ospedali italiani di tanti bambini di Gaza. Da gennaio sono arrivate in Italia circa 160 persone, bambini e accompagnatori, e di questo occorre ringraziare di cuore la generosità del popolo italiano.
Cosa sta succedendo a Gerusalemme?
FALTAS: A Gerusalemme abbiamo vissuto una Santa Pasqua senza pellegrini e senza i cristiani della Cisgiordania che non hanno avuto i permessi per uscire e per partecipare alle celebrazioni pasquali nella Città Santa. Il clima è triste e sta venendo meno la speranza. I cristiani, soprattutto in Cisgiordania, subiscono tante limitazioni e anche la mancanza di lavoro è veramente fonte di grande preoccupazione. Colpisce soprattutto la sfiducia nel futuro dei giovani, la tristezza di non poter costruire la loro vita nella Terra in cui sono nati.
Come vengono percepiti i discorsi del Papa sulla guerra e le richieste di cessate il fuoco?
FALTAS: Gli appelli di Papa Francesco sostengono e danno forza ai cristiani di Terra Santa e, credetemi, non solo ai cristiani. Lui è stato il primo e, per molto tempo, l’unico a chiedere il cessate il fuoco. È un uomo di pace e soffre tanto per la guerra. Quando l’ho incontrato ho sentito e ho visto la sua sofferenza, nelle parole e negli occhi. Nella lettera che ha inviato ai cristiani di Terra Santa per la Santa Pasqua, traspare la tenerezza di un padre buono che soffre per i suoi figli. Spero che i potenti della terra accolgano concretamente i suoi appelli che chiedono pace, verità e giustizia.
Lei come valuta le scelte e le mosse della comunità internazionale davanti alla guerra a Gaza?
FALTAS: Non sono un analista politico ma vivo in Terra Santa da trentacinque anni e posso dire di conoscere bene la situazione. Da anni ritengo che sia necessario un intervento della comunità internazionale per cercare di portare equilibri di pace in questa parte del mondo così bisognosa di pace. La guerra ha portato distruzione, morte, sofferenza a Gaza e non solo a Gaza. Solo con l’intervento reale e concreto della comunità internazionale si potrà tornare a negoziare. Nonostante le recenti risoluzioni per il cessate il fuoco, non vedo ancora possibilità vicina di una soluzione definitiva di questa guerra devastante.
In mezzo a tanta distruzione, quali testimonianze di fede che l’hanno colpita di più?
FALTAS: Il Signore è grande e misericordioso e sostiene questa umanità ferita. Lo vedo negli occhi dei bambini e degli indifesi di questa martoriata Terra Santa. Lo vedo nei gesti semplici di condivisione del dolore e della sofferenza. È questa la forza della fede dei cristiani di Terra Santa. La loro vita qui è una continua testimonianza, e si deve continuare a sostenerli.
lunedì 16 ottobre 2023
I cristiani siriani sono vicini alla gente che soffre in Terra Santa
"Siamo vicini alla gente che soffre per la violenza e per la guerra in Terra Santa. Non possiamo che pregare per la pace. Ci uniamo spiritualmente e concretamente a tutti i fedeli che il 17 ottobre e nei giorni successivi vivranno giornate e momenti di preghiera e digiuno per la pace. Desideriamo la pace per la Terra Santa, come il bene più grande, come dono di Dio", dice all'Agenzia Fides mons. Mounir Saccal, Vicario generale dell’eparchia siro-cattolica di Aleppo e Direttore nazionale delle Pontificie Opere Missionarie in Siria.
Il popolo siriano, provato da anni di guerra, racconta mons. Saccal, “comprende nel profondo le difficoltà, i disagi, le sofferenze della popolazione civile sconvolta e affranta in Palestina. Il popolo siriano vive ancora una situazione post bellica, in un fase di ripresa molto, molto lenta. A livello economico c'è ancora scarsità di carburante e i servizi sociali come le scuole funzionano a singhiozzo e con difficoltà. I passi avanti sono lenti e si procede con difficoltà, ma la speranza resta. Oggi è raro trovare una famiglia intera, le famiglie si sono frammentate per l'emigrazione, dopo dodici anni di guerra. E sono i giovani a risentirne di più. Questa situazione si riflette anche sulle nostre Chiese, sulle persone che partecipano alla vita della comunità e ha conseguenze sulle vocazioni al sacerdozio e alla vita religiosa. Gli ultimi quattro anni sono stati i più difficili”.
"Oggi – aggiunge – vediamo con dolore il sorgere di una nuova guerra in Medio Oriente, e consideriamo con grande preoccupazione i rischi di un possibile allargamento regionale del conflitto. Viviamo in una terra martoriata. Ma ora, purtroppo, non possiamo fare nulla per la gente che soffre in Terra Santa. E' impossibile pensare di organizzare e portare aiuti umanitari. E’ possibile alimentare la comunione spirituale. Preghiamo per la pace e confidiamo in Dio onnipotente, che può cambiare e convertire i cuori”.
Conclude mons. Saccal: "Da battezzati in Siria, attendiamo e seguiamo le raccomandazioni dei nostri Patriarchi per dare una risposta di fede, speranza e carità, come comunità cristiane di tutte le confessioni, in questa terra dove è vissuto Cristo Gesù. Tutto questo accade nel mese missionario e mentre ci prepariamo alla Giornata Missionaria Mondiale del 22 ottobre. Diciamo allora, con Papa Francesco: viviamo questo tempo difficile di violenza e di guerra con i cuori ardenti, accesi dalla Parola di Gesù, e con i piedi in cammino, per annunciare il suo amore”.