Nota redazionale. Tutto sarà dimenticato?
Dopo dodici anni di guerra, terrorismo, isolamento, sanzioni e il recente terremoto come sale sulle ferite, quali spiragli si intravedono per il futuro della Repubblica Araba Siriana? I Paesi della regione, quegli stessi che negli anni hanno contribuito alla distruzione del paese, lasciando passare terroristi provenienti da mezzo mondo o finanziandoli e armandoli, sembrano volersi lasciare alle spalle i crimini inauditi da loro perpetrati, e perfino discostarsi dai tradizionali alleati occidentali.
Pur auspicando, come necessari per la sopravvivenza e la ricostruzione, sia la riammissione della Siria nella Lega araba (dalla quale era stata espulsa dal 2012) che una generale ripresa di rapporti diplomatici ed economici, non dobbiamo dimenticare quello che i paesi del Golfo e la Turchia hanno fatto, insieme a Stati Uniti, Israele ed Europa. La Siria non è stata la loro prima vittima: fin dal 1991 con la guerra del Golfo all’Iraq, le petromonarchie hanno alimentato la belligeranza; dal 2011, poi, la Turchia di Erdogan ha assunto un ruolo distruttivo di primo piano, prima facendo da autostrada per il terrorismo e poi occupando intere porzioni della Siria.
E adesso, con l’apparente svolta, almeno da parte di alcuni paesi arabi? Tutto sarà dimenticato? L’impunità legale ed economica per crimini e danni di guerra trionferà? Gli aggressori degli anni scorsi approfitteranno anzi della ricostruzione?
Ed è scongiurato per sempre il rischio che simili aggressioni si ripetano? E davvero l’alleanza di ferro fra quei paesi mediorientali e i burattinai di Washington sta tramontando?
Nota di Marinella Correggia
Colloquio di Steven Sahiounie con l’analista Elijah Magnier
Le
sabbie mobili del Medio Oriente sono state coinvolte in un turbine il
mese scorso, quando è stato annunciato l’accordo tra Arabia
Saudita e Iran in Cina. Le due potenze rivali della regione si sono
impegnate a lavorare per la pace e la prosperità di entrambe le
nazioni.
Quali saranno gli effetti di questa nuova relazione
su Siria, Stati Uniti, Israele, Turchia e Lega araba? Per
approfondire questo sorprendente sviluppo nella regione, Steven
Sahiounie di MidEastDiscourse ha intervistato
Elijah J. Magnier, veterano corrispondente da zone di guerra e
analista politico con oltre 35 anni di esperienza in Medioriente e
Nordafrica.
Magnier ha coperto molte delle guerre e degli
scontri militari più importanti della regione, tra cui l’invasione
israeliana del Libano nel 1982, la guerra Iraq-Iran, la guerra civile
libanese, la guerra del Golfo del 1991, la guerra nella ex Jugoslavia
tra il 1992 e il 1996, la guerra in Afghanistan del 2001, l’invasione
dell’Iraq da parte degli Stati Uniti nel 2003 e la successiva
guerra e occupazione, la seconda guerra del Libano nel 2006 e le più
recenti guerre in Libia (2011) e Siria (2011-2019). Avendo vissuto
per molti anni in Libano, Bosnia, Iraq, Iran, Libia e Siria, Elijah
J. Magnier possiede una conoscenza unica degli affari culturali e
tribali locali, delle realtà e delle tendenze geopolitiche e della
storia di una regione che continua a porre sfide ai suoi abitanti e
al mondo.
Il
ministro degli Esteri dell’Arabia Saudita si recherà a Damasco per
invitare il presidente siriano Assad al prossimo vertice della Lega
araba previsto per il 19 maggio a Riad. Quanto è significativa
questa fine dell’isolamento per la Siria e cosa significa per le
relazioni degli Stati Uniti con l’Arabia Saudita?
È
chiaro che l’Arabia Saudita non considera più solo l’interesse
degli Stati Uniti, ma anche l’interesse saudita di porre fine a
tutti i conflitti in Medioriente e di avviare un nuovo rapporto con i
suoi vicini, anche quelli colpiti da illegali sanzioni unilaterali da
parte degli Stati Uniti e dell’Unione europea. Dal 2015, l’Arabia Saudita ha smesso di finanziare i jihadisti in Siria. Da allora, ci
sono stati diversi incontri tra funzionari dei due paesi a livello
politico e di sicurezza. Naturalmente, gli Stati Uniti non vedono di
buon occhio questo riavvicinamento, poiché mina l’efficacia delle
loro sanzioni e separa l’Occidente dal Medioriente. Tuttavia, è
prudente non precipitarsi a una normalizzazione completa tra Siria e
Arabia Saudita, a meno che i sauditi non siano disposti a contribuire
alla ricostruzione di oltre un decennio di guerra, in cui Riad è
stata parte attiva e provocatrice. È troppo presto per giudicare
finché non vedremo i risultati.
Riportare
la Siria nella fratellanza delle nazioni arabe sembra una mossa
coraggiosa da parte del principe ereditario Mohammed bin Salman. Come
reagiranno le altre nazioni arabe a questa nuova politica?
L’Arabia Saudita non è la prima a tornare alle relazioni con la Siria. Gli
Emirati Arabi Uniti (EAU) hanno riaperto la loro ambasciata e
ripristinato le relazioni anni fa. Tuttavia, la mossa saudita di
accogliere nuovamente la Siria nel vertice e nella Lega araba ha
implicazioni significative per tutti quegli arabi che hanno
boicottato la Siria e continuano a finanziare i jihadisti, come il
Qatar. Anche in questo caso, resta da vedere come questo
riavvicinamento sarà tradotto dagli altri Stati del Golfo, al di là
delle foto di gruppo al prossimo vertice.
L’Arabia
Saudita intende invitare sia l’Iran che la Turchia al vertice della
Lega araba. Il recente ripristino delle relazioni diplomatiche tra
Riad e Teheran ha aperto la strada a questo invito. E la Turchia
quale ruolo avrà nella nuova politica sulla Siria?
La Turchia
è preoccupata per le elezioni presidenziali e l’attuale presidente
Erdogan vorrà capitalizzare il suo incontro con il presidente Assad.
Finora la condizione che i siriani hanno posto è stata l’impegno a
un completo ritiro di Ankara dalla Siria. E’ un obiettivo difficile
da raggiungere per Erdogan, perché significherebbe che decine di
migliaia di jihadisti e takfiristi gli si rivolterebbero contro,
essendo rimasti senza sponsor e copertura. Inoltre, gli Stati Uniti
faranno pressioni sulla Turchia perché sperano che il presidente
Assad non riprenda il controllo dell’intero territorio. Ecco perché
Assad per ora tiene duro, nonostante le pressioni russe e iraniane
per convincerlo a incontrare Erdogan. Non vedo cosa potrebbe
guadagnare il presidente siriano dall’incontro con il suo omologo
turco quando la Turchia è a un mese appena dalle elezioni.
Quali
sono i vantaggi economici per il mondo arabo che derivano dal ritorno
della Siria al tavolo del vertice?
La Siria ha bisogno di
circa 300-500 miliardi di dollari per ricostruire il paese e
sviluppare le sue risorse naturali. Se gli Stati Uniti lo
consentiranno, le monarchie del Golfo avranno molto da guadagnare
dalla partecipazione alla ricostruzione della Siria. Alla fine, il
Golfo sta compiendo un passo positivo verso la Siria, ma questo non
significa che gli Stati Uniti siano diventati un nemico. Al
contrario, le conseguenze della guerra tra Stati Uniti e Russia in
Ucraina hanno portato molti Stati ad adottare un approccio
equilibrato e ad ampliare le proprie opzioni. È quello che stanno
facendo gli Stati arabi: aprirsi all’Iran e alla Siria, ma tenere
sotto controllo il livello di rabbia degli Stati Uniti.
Che
dire delle nazioni arabe che hanno stretto patti di normalizzazione
con Israele; accetteranno la posizione della resistenza siriana? E il
Qatar: si è opposto al ripristino dei legami con la Siria. Come
reagiranno?
Israele è il maggior perdente nel riavvicinamento
tra sauditi, iraniani e siriani. Siria e Arabia Saudita sono stati
nemici per oltre dieci anni, e Tel Aviv ha beneficiato di questa
narrazione. Ora che la situazione sta cambiando, lo Stato Ebraico si
sente a disagio e più isolato, soprattutto perché visite ufficiali
programmate sono state rimandate a data ignota. Man mano che le
conseguenze della guerra in Ucraina diventeranno più evidenti, gli
Stati del Golfo si avvicineranno alla Siria e saranno coinvolti nella
ricostruzione del paese. Esiste un notevole potenziale per una piena
normalizzazione in prossimità delle elezioni statunitensi. Per
quanto riguarda il Qatar, i sauditi devono trovare un equilibrio per
la riconciliazione. Damasco non chiuderà le porte a Doha, ma questa
dovrebbe interrompere il proprio sostegno finanziario ai jihadisti
nella Siria occupata a nord-ovest.
Steven Sahiounie è un giornalista pluripremiato