da TEMPI: Intervista a suor Marta Fagnani, superiora del Monastero Trappista Nostra Signora della Pace di Azer, in Siria
A un anno dal cambiamento politico avvenuto in Siria, il clima è ancora molto teso. Occorre dire che la percezione della situazione cambia abbastanza da zona a zona, anche fra gli stessi cristiani, quindi anche la nostra non può essere che una visione relativa.
Cristiani e musulmani insieme a Natale
Ad Aleppo, ad esempio, dove non vive la minoranza alawita, e dove l’influenza turca si fa sentire, sembra che si percepisca una certa calma, anche se, ad esempio, la presenza dei soldati del governo a protezione delle chiese (dopo l’attentato di Damasco contro la chiesa di Mar Elias) risvegliano un senso di paura, di pericolo. Però ci sono gruppi misti che lavorano insieme nel sociale; all’accensione dell’albero di Natale ragazzi cristiani e musulmani hanno festeggiato insieme. Quindi ci sono segni positivi.
Ma la nostra impressione, da quanto ci dicono soprattutto i giovani, è che molti cristiani si sentano una minoranza tollerata, con poca possibilità di avere una voce reale nella vita del paese. Del resto questo vale non solo per i cristiani: anche molti sunniti moderati sembrano essere rimasti esclusi dalla direzione del paese.
L’epurazione degli alawiti
| oggi sanguinoso attentato nella moschea Imam Ali ibn Abi Talib nel quartiere |
Gli alawiti sono stati per la maggior parte licenziati dagli impieghi statali (scuole, uffici…), figuriamoci se possono avere una rappresentanza politica. I drusi hanno trovato la loro indipendenza, appoggiati da Israele. E i curdi stanno facendo lo stesso, con l’aiuto americano. Insomma una Siria divisa, nonostante i cartelloni pubblicitari nell’anniversario dell’8 dicembre recitassero: «Una sola Siria, un solo popolo».
Nella nostra zona, che è prevalentemente alawita, la situazione è molto tesa, incerta. A onor del vero dobbiamo dire che, almeno fino ad oggi, noi siamo rispettate, non abbiamo avuto difficoltà se non all’inizio con qualche gruppo armato, che minacciava i nostri operai cristiani che erano stati nell’esercito di Assad. Ma il governo stesso è intervenuto su nostra richiesta. Abbiamo avuto il rinnovo della nostra residenza senza difficoltà. Quando facciamo la spesa nel villaggio sunnita siamo trattate con molta gentilezza e c’è apprezzamento per la nostra presenza. Anche gli alawiti ci percepiscono come un elemento che garantisce sicurezza nella zona.
Sperare contro ogni speranza
Noi abbiamo e desideriamo avere buone relazioni con tutti, perché di fatto non abbiamo preferenze, siamo qui per tutti, e vorremmo che i siriani lavorassero insieme per il futuro del loro paese. Preghiamo molto per questo, ma onestamente è un po’ sperare contro ogni speranza. Ci vuole proprio una Luce dall’alto che tocchi le coscienze e i cuori.
Ma anche se noi stiamo bene, dalla nostra zona – dove sono presenti sia alwiti che sunniti – molte persone se ne sono andate, in Libano o anche più lontano. Molti vivono come sospesi, non si riesce a vedere un orizzonte; anche portare avanti il lavoro è faticoso, le persone non riescono a pensare al domani. Attorno a noi ci sono state violenze, purtroppo molte volte si è trattato di vendette.
L’orizzonte del perdono è assente
Oggi le parti si sono invertite: in passato erano i sunniti a sopportare il peso del governo, soprattutto delle mafie. L’orizzonte del perdono, della riconciliazione (anche se molti si stanno impegnando per questo) sembra assente dalle parole della gente, ed è questo che più preoccupa.
Ma, in fondo, è questo che molti paesi stranieri volevano. Sono anni che gli interessi internazionali cercano di frammentare la Siria, e ci sono riusciti. Si potrebbe obiettare che, se la popolazione adesso si è così divisa, significa che non era tanto unita neppure prima. Ed è vero. Ma di fatto qualcosa faceva sentire le persone prima di tutto siriane, e solo poi cristiane, sunnite, alawite, druse… C’era in qualche modo un sentimento nazionale comune. Oggi questa Siria non c’è più. La gente attorno a noi, in generale, non ha speranza che «la Siria possa tornare unita». E di fatto la maggior parte ha coscienza che non sono i siriani stessi a determinare la loro sorte, ma gli interessi internazionali. Lo stesso rovesciamento del governo è avvenuto dall’esterno, e questo è evidente per tutti.
Le mani straniere sulla Siria
Ora alcune sanzioni sono state tolte, le frontiere si sono aperte e molti beni prima introvabili e molto costosi ora sono presenti e accessibili. Ma la povertà è ancora altissima, il lavoro non ha avuto una ripresa, e sempre più persone indigenti ci chiedono aiuti economici e noi non ce la facciamo a rispondere alle varie necessità che ci circondano.
In questa situazione, si paventa la possibilità che la Siria sia divisa in varie parti confederate. Gli interessi sulle varie zone sono altissimi. Interessi politici ed economici. Qui le opinioni sono molto diverse. Da anni, ancora durante la guerra, si parlava di federazione, e noi siamo sempre state fortemente contrarie. Oggi non ne siamo più così convinte. Perché la gente attorno a noi non vede un’altra opportunità reale per un’esistenza sicura. Certo per i cristiani non è l’ideale, perché sono presenti in tutte le province siriane. E non è l’ideale per questo paese, sarebbe meglio una Siria unita, perché si potrebbe vivere insieme pensando al vero bene, alla vera fede che ci rende tutti uguali davanti a Dio, alla crescita del paese, alla cultura e alla formazione dei giovani. Ma c’è la possibilità che la Siria ritorni un paese per tutti? A questo forse potrebbero rispondere “da fuori”, ma non appare chiaro che cosa costoro vogliano veramente.
“Sprecare” la vita per il Vangelo
In questa situazione frammentata, che cosa ci facciamo noi qui, perché costruiamo un monastero di pietre e di persone? Facciamo quello che cerchiamo di vivere da ormai vent’anni: “sprecare” la nostra vita secondo la nostra vocazione e quanto ci dice il Vangelo, nella lode a Dio, nella preghiera per tutti, nel lavoro quotidiano. Cercando anche di immaginare un aiuto possibile, soprattutto nel lavoro e nella formazione, che sono l’urgenza vera in questa situazione. Ma soprattutto cerchiamo di vivere il Natale, cioè la contemplazione di un Amore tanto grande da essersi fatto uno di noi.
Nel desiderio che un giorno apriremo gli occhi per rendercene conto, accoglierlo per comprendere a quale speranza siamo chiamati, tutti. Possiamo solo essere qui, cercando di vivere l’oggi con cuore aperto e con la certezza dell’amore di Dio per l’uomo, al di là di tutto.
https://www.tempi.it/siria-suor-marta-fagnani-monastero-azer/

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