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giovedì 7 luglio 2022

Commosso saluto della comunità cristiana siriana a Mons Abou Khazen

Il 28 giugno scorso papa Francesco ha accolto le dimissioni per limiti di età di mons. Abou Khazen. In questi anni ha vissuto in prima persona il conflitto, la povertà e l’emigrazione. Ad AsiaNews racconta il “buio della morte”, cui fa da contraltare “l’impegno per il vicino” anche fra cristiani e musulmani. L’invito a continuare la testimonianza di fede e il legame con la terra. 

'Ora pro Siria' si unisce con gratitudine alla comunità latina della Siria che ha avuto mons Georges come tenero padre e coraggioso testimone della verità, indomito promotore  della carità di Cristo nella terra siriana  benedetta , percorsa da Maria Santissima e dagli Apostoli.

Aleppo (AsiaNews) - Ha vissuto in prima persona gli anni peggiori della guerra, cui è seguita la “bomba della povertà” che ancora oggi colpisce la popolazione, acuita da sanzioni internazionali che bloccano la ripresa. Ma in questo clima di enormi criticità ha sperimentato la “luce della carità, della solidarietà” e “l’ecumenismo del bisogno” che ha portato le varie Chiese a unirsi e collaborare. È quanto racconta ad AsiaNews il vicario apostolico di Aleppo dei Latini, mons. Georges Abou Khazen, le cui dimissioni per raggiunti limiti di età sono state accolte il 29 giugno da papa Francesco. Il pontefice ha nominato amministratore apostolico sede vacante di quella che un tempo era la capitale economica e commerciale della Siria il francescano p. Raimondo Girgis O.F.M., finora vicario generale. ”La fase peggiore del conflitto è alle spalle - sottolinea il prelato - ma la situazione resta difficoltosa, si fatica ad avere il pane quotidiano e la gente si sente spesso impotente e disperata”. 

“Il cibo si trova - prosegue - ma è molto caro, lo stipendio è rimasto invariato ma prima un euro veniva scambiato con 55 lire siriane, oggi vale 4.500. Manca anche il lavoro, la gran parte delle famiglie è costretta ad arrangiarsi per racimolare il minimo necessario per comprare un po’ di pane. Vi è grande stanchezza, si moltiplicano gli inviti a emigrare. Per molti senza gli aiuti, e per i cristiani senza la presenza della Chiesa, sarebbe impossibile sopravvivere. Sarebbero letteralmente morti di fame o di malattie, visto che molti farmaci non si possono importare a causa delle sanzioni. E ancora il gas, la benzina… ecco perché il primo passo è allentare le misure punitive e promuovere investimenti, progetti, dare prospettive per il futuro bloccando l’esodo”.

Mons. Abou Khazen è nato il 3 agosto 1947 ad Aïn Zebdeh, in Libano. Egli ha fatto il suo ingresso nella congregazione dei francescani in occasione del 25mo compleanno, il 3 agosto 1972 e professato i voti perpetui ricevendo l’ordinazione sacerdotale il 28 giugno dell’anno successivo. Papa Francesco lo ha nominato vicario apostolico di Aleppo il 4 novembre 2013, in seguito alle dimissioni di mons. Giuseppe Nazzaro. L’ordinazione episcopale è avvenuta l’11 gennaio del 2014, per mano del prefetto della Congregazione per le Chiese orientali card. Leonardo Sandri.

A oltre 11 anni dall’inizio della guerra nella primavera del 2011, la situazione ad Aleppo come in tutta la Siria continua a essere difficile, sebbene le fasi più cruente sembrano essere passate e le attenzioni della comunità internazionale volgono altrove, soprattutto in Ucraina dove è in atto “una nuova Siria”. Ad oggi contano quasi 400mia vittime (oltre 300mila civili), decine di città sono state rase al suolo e metà della popolazione risulta sfollata interna o profuga. A mordere è soprattutto la crisi economica e la mancanza di lavoro con un tasso elevato di disoccupazione, in particolare quella giovanile. L’85% della popolazione vive al di sotto della soglia di povertà, oltre 14 milioni - su un totale di abitanti poco superiore ai 18 milioni - necessitano di sussidi e l’inflazione ha determinato una impennata nei prezzi. Alla crisi economica e alla guerra, si sommano le sanzioni occidentali, compreso il famigerato Caesar Act, che colpisce soprattutto poveri e gente comune. 

“La comunità cristiana - racconta mons. Abou Khazen - vive le difficoltà di tutti. Noi come Chiese cerchiamo di aiutare le persone a rimanere, ma come si può trattenere un padre di famiglia che si alza alle 4 del mattino e si mette in fila per un tozzo di pane che riesce a recuperare, forse, alle 9 per poi andare a lavorare”. In questa criticità “abbiamo sperimentato un ecumenismo di fatto, con un incontro ogni mese fra vescovi e capi religiosi di varie confessioni e riti cristiani. Abbiamo promosso progetti, aiuti collaborando per renderli attuali, aiutato le famiglie, lanciato progetti sanitari, borse di studio per scolari dalle elementari all’università, quattro mense per i poveri, cesti alimentari… Contribuiamo a dare un po’ di luce e speranza, con uno spirito ecumenico”. 

Di questi anni da vicario, egli sottolinea “il buio della guerra, la morte e la distruzione, la condivisione delle sofferenze”. E ancora, la “bellezza della solidarietà” anche fra cristiani e musulmani, “l’impegno per il proprio vicino”. Dalla sua gente dice di aver imparato il valore “della pazienza e della fede”, che non è mai venuta meno e ha rappresentato “la forza che ci ha salvato”. Nelle prossime settimane il passaggio di consegne, poi il vicario intende ritirarsi in un convento in Libano, non prima di rivolgere un saluto finale alla comunità: “Li vorrei ringraziare - conclude - e dire loro di continuare il cammino, restando legati alla loro terra e testimoniando la fede”. 

https://www.asianews.it/notizie-it/Vicario-di-Aleppo:-l%E2%80%99ecumenismo-della-solidariet%C3%A0-fra-guerra-e-povert%C3%A0-56163.html

giovedì 11 marzo 2021

10 anni di guerra in Siria, e continuano le sofferenze del popolo siriano

 

Aleppo (AsiaNews)  

La Siria “è una nazione lacerata, a pezzi, cui manca un po’ di tutto e il popolo vive in condizioni di estrema povertà e di crescente disperazione”.  È il grido d’allarme lanciato ad AsiaNews dal vicario apostolico di Aleppo dei Latini, mons. Georges Abou Khazen, secondo cui la gente “avrebbe voluto celebrare non l’anniversario della guerra” a 10 anni dall’inizio, ma “l’anniversario della pace e della riconciliazione, invece va tutto al contrario”. Inoltre, le sanzioni internazionali e il Caesar Act imposto dagli Usa “hanno contribuito a peggiorar la situazione”. 

“Da tempo - racconta mons. Abu Khazen - non distribuiscono più gasolio alle famiglie, in pochissime hanno ricevuto 100 litri, poi le scorte si sono esaurite. Adesso hanno anche cessato di distribuire il gas da cucina, per il quale bisogna aspettare fino a 60 giorni. Per 20 litri di benzina si resta in coda anche due giorni al distributore, abbandonando la macchina in attesa del rifornimento, e lunghe file - anche di ore - sono necessarie per l’acquisto di un po’ di pane a prezzo calmierato”. 

“Senza viverle sulla propria pelle, non è possibile immaginare le difficoltà che è costretta a subire la povera gente” denuncia il vicario apostolico di Aleppo. “Anche l’elettricità è diminuita e viene erogata solo una o due ore al giorno. Questa è la condizione generale di tutto il Paese e dire che la Siria è ricca di petrolio, gas e frumento, ma non può beneficiare di tutto questo, perché le è stato espropriato”. 

Il conflitto è divampato nel marzo 2011 come rivolta popolare nel contesto dei moti di piazza della Primavera araba, che hanno coinvolto alcune nazioni del nord Africa e del Medio oriente. Da scontro interno, esso si è trasformato nella peggiore guerra - per procura fra potenze rivali - del ventunesimo secolo, cui si sono unite derive jihadiste che hanno insanguinato ancor più il Paese. In nove anni si sono registrate quasi 400mila vittime, decine di città sono state rase al suolo e metà della popolazione risulta sfollata interna o profuga in cerca di riparo all’estero.

Ripensando alla Siria prima della guerra, il prelato ricorda “un Paese che stava sperimentando un processo di sviluppo enorme, una realtà di pace, di convivenza, un bel mosaico, un luogo sicuro in cui si poteva andare dappertutto. Anche le ragazze all’una di notte potevano uscire in tutta tranquillità, prendere un taxi e girare senza disturbo”. Il popolo, prosegue, “si ricorda ancora come era prima, ma col passare del tempo sta perdendo la speranza” di tornare ai fasti di un tempo. “E poi ci sono i profughi, sempre più persone dicono di aver sbagliato a restare in Siria e questo è indice di sfiducia generalizzata e di una disperazione diffusa di questa povera gente”. 

A mancare di più, afferma il vicario di Aleppo, “sono gli elementi primari, della vita di tutti i giorni: il gas, la benzina, il pane... la pace! La gente non ha grandi pretese, ma solo la preoccupazione di poter vivere, di andare avanti con un dollaro che prima valeva 50 lire e ora 4mila, mentre la paga è rimasta la stessa. Questo significa che gran parte delle famiglie è costretta a campare con 30 dollari al mese, sotto la soglia di povertà. Senza l’aiuto di varie ong e della stessa Chiesa la gente morirebbe di fame”. A questo si uniscono “le distruzioni, il crollo delle infrastrutture, l’esodo dei profughi per una nazione che ha perso la metà della propria popolazione, le minoranze che soffrono senza che si veda la fine di questo tunnel”. 

In questo dramma, “non vogliamo che finisca la speranza, ma dobbiamo mantenerla viva” afferma mons. Abu Khazen, anche se resta una sfiducia diffusa “per un cammino che non va nella direzione della pace ed è complicato dagli interessi contrapposti“ dei vari attori in gioco: americani, russi, turchi, curdi, arabi. 

“In questo quadro - aggiunge - chi rischia di pagare un prezzo altissimo sono i cristiani, che sono sempre stati un fattore di unità e di dialogo mentre la Siria viene spinta a passi sempre più spediti verso la partizione, verso una divisione che nessuno di noi vuole e avrebbe effetti devastanti. Ma noi vogliamo che resti unita”. “Uno dei pochi elementi di forza - conclude - è la vicinanza mostrataci in questi anni da Papa Francesco, le cui preghiere sono sempre state elemento di gioia e di coesione. Il viaggio in Iraq ha dato grande speranza anche a noi, speriamo che un giorno possa venire qui in Siria ed essere testimone di pace per celebrare un anniversario che non sia di guerra, ma di vera riconciliazione”.

http://www.asianews.it/notizie-it/Vicario-di-Aleppo:-guerra-e-sanzioni-hanno-distrutto-il-mosaico-siriano-52576.html

sabato 19 dicembre 2020

Aleppo, un Natale tra Covid e sanzioni

  da : AsiaNews 

Un Natale “semplice”, che richiama la Sacra Famiglia nella grotta di Betlemme con poche luci e addobbi, ma partecipato e con chiese gremite  dai fedeli in un contesto ”drammatico per le sanzioni, che uccidono più delle bombe durante la guerra”. 

È quanto sottolinea ad AsiaNews il vicario apostolico di Aleppo dei Latini, mons. Georges Abou Khazen, raccontando il clima dell’Avvento nella metropoli del nord del Paese, per anni epicentro del conflitto siriano sino alla liberazione nel dicembre del 2016. Il prelato conferma che “abbiamo abolito i ricevimenti ufficiali”, perché sarebbe stato “impossibile stare in piedi cinque ore e fare gli auguri a tutti i rappresentanti religiosi e istituzionali al tempo del Covid-19. Si celebra la messa, poi un saluto sulla porta della chiesa con maschere, distanziamento e disinfettanti”. 

In quella che un tempo era la metropoli economica e commerciale della Siria quest’anno la festa è in tono minore, non tanto per la paura di contrarre il nuovo coronavirus quanto per le sanzioni e l’embargo di Stato Uniti ed Europa. “Alle misure punitive ordinarie - spiega mons. Abu Khazen - si è aggiunta anche il Caesar Act imposto dagli Usa, che colpisce la popolazione nella vita di ogni giorno, assieme all’inflazione”. 

La nascita di Gesù, racconta il vicario apostolico, è sempre “fonte di speranza e di gioia. Tuttavia, in Siria oggi c’è poco da festeggiare non tanto per il virus, quanto per l’impoverimento generale della popolazione. Un tempo un euro era scambiato a 50 lire siriane, oggi a 3600. Le paghe sono rimaste uguali, i prezzi saliti alle stelle con file enormi ai forni per un pezzo di pane, razionato dal governo. E con il freddo, molte famiglie non hanno ricevuto nemmeno la loro parte di gasolio. In passato le forniture, anche in tempo di guerra, ogni ventina di giorni arrivava una bombola di gas mentre oggi ne trascorrono almeno 60. La luce viene un’ora e mezza, poi sparisce per nove, altrettante file di auto in coda per la benzina e così via”.

“Il Natale in passato - ricorda il prelato - sotto la guerra, nonostante l’assedio e le bombe, non presentava le stesse difficoltà. Per le persone era forse più facile soddisfare i bisogni della vita quotidiana. Oggi molte cose non si possono comprare, dalla frutta alla carne che resta un sogno per la grande maggioranza”. 

Il blocco occidentale, in primis gli Stati Uniti, si è accorto “di non poter vincere la guerra sul piano militare, quindi ha scelto di strozzare la Siria da un punto di vista economico. Ma questo è un crimine contro l’umanità, perché questo popolo non ha colpe. Inoltre, non è vero che i combattimenti sono finiti, mentre quello che è certo è l’aumento della povertà e la mancanza di medicinali, doppiamente grave in questo momento di pandemia”. 

Mons. Abou Khazen ricorda che la Siria è una nazione “ricca di frumento, di risorse minerali, di petrolio e di gas, cui viene impedito di usarlo, soprattutto quello del nord-est controllato dagli americani, persino per riscaldare le abitazioni private”. 

In questo contesto “il coronavirus, a differenza di molti altri Paesi, non è ‘il’ problema ma uno dei tanti cui dobbiamo far fronte e chi può lavora, per mandare avanti la famiglia”. Fra le poche voci che si levano a favore della Siria vi è quella di papa Francesco, con i suoi ripetuti appelli per la pace l’ultimo dei quali l’11 dicembre ad un incontro di 50 agenzie cattoliche. “Il pontefice - sottolinea - parla sempre a favore del popolo siriano e la decisione, forte e coraggiosa, di visitare l’Iraq può avere risvolti positivi anche per noi perché lancia un messaggio forte al mondo, soprattutto verso quanti vogliono disgregarne Stato e società”. 

“Il più bel regalo di Natale - conclude - sarebbe la cancellazione delle sanzioni verso il popolo siriano”.

domenica 23 febbraio 2020

Incontro pubblico con il Vescovo di Aleppo: Il grande investimento umano per il futuro della Siria *ANNULLATO

⛔️⛔️⛔️ A causa dell'ordinanza della regione Emilia Romagna e su indicazione del Sindaco l'incontro è annullato ⛔️⛔️⛔️



All’amata e martoriata Siria” è il pensiero che porta all’incontro con S.E. Mons. Georges Abou Khazen
 Il 24 febbraio ore 20,45 alla sala del Carmine via Garibaldi,16 a Lugo lo incontreremo insieme all’inviato speciale di Tempi, Rodolfo Casadei.

Un legame fortissimo con Aleppo nato con Mons. Giuseppe Nazzaro, precedente Vescovo latino in Siria, ed ora consolidato con Mons. Georges Abou Khazen. Una amicizia cominciata dalla commozione fraterna di amore e responsabilità verso l’umanità violata.
Una popolazione che è costretta ad abbandonare le proprie case a causa di azioni militari, moltissime sono le famiglie cristiane. 
L’impegno del Circolo JH Newman “liberailpresente” ha portato alla sensibilizzazione dei lughesi, di tutta la diocesi e si è allargato alla Regione e molte zone d’Italia tessendo una rete di sostegno cercando soluzioni. Dai medicinali, al gasolio, ai computer per gli studenti, all’acquisto e la riparazione di appartamenti fino al gas per la cucina e l’acquisto di frigoriferi. Azione resa possibile dall’impegno di don Leonardo Poli insieme alla Parrocchia e alla Caritas locale, oltre 70.000 euro solo nel 2019 e il sostegno è attivo da diversi anni.
Noi francescani abbiamo un carisma speciale- dice Padre Georges- privi di tutto eccetto dell’amore di Dio e per il prossimo. Rifiutiamo il nome di minoranza, tutti gli uomini sono uguali davanti a Dio. Uguali in diritti, uguali in doveri. Ad Aleppo ci siamo trovati insieme e la necessità ci ha riunito.”

Fate l’ecumenismo del sangue, diceva San Francesco. Con Rodolfo Casadei la possibilità di dialogare e conoscere le minacce che dallo scenario siriano arrivano fino all’Unione Europea. La Turchia, Erdogan, le polemiche di Trump, i curdi, dalla logica dell’odio e della vendetta al desiderio di pace, stabilità e prosperità in Siria. 
 UN NOME E UN FUTURO è il progetto per sostenere i bambini abbandonati di Aleppo voluto fortemente dal Vicario Apostolico Mons. Georges Abou Khazen, da fra Firas Lutfi e dal Gran Mufti di Aleppo, proposto nei mesi scorsi, portare l’attenzione ai loro bisogni essenziali, rinforzarli psicologicamente e sostenere le madri. L’occasione di una presentazione delle 500 famiglie coinvolte e dei 2.000 bambini aiutati.
Con il Patrocinio del Comune di Lugo, il Sindaco Davide Ranalli si è fatto portavoce verso gli imprenditori per aprire una possibilità di collaborazione alla ricostruzione di Aleppo, prima della guerra centro economico della Siria, paragonabile a Milano.
Wasp, azienda di Massalombarda, leader nel settore della stampa in 3D, ha donato all’Università di Damasco un laboratorio attrezzato, dove insegnanti e studenti sono continuamente al lavoro per realizzare protesi ai bambini mutilati che sono oltre 50.000.

Nove anni di guerra non hanno sfinito il popolo siriano che rimane tenace e pieno di speranza. Questa collaborazione, Università e mondo imprenditoriale, è un punto di riferimento che desideriamo fare crescere . Perché il popolo desidera la pace, questa guerra serve solo a chi desidera che la Siria diventi terreno di conquista.
L’intervento di Rodolfo Casadei, supportato dalle foto da lui raccolte, è preziosissimo perché l’opinione pubblica occidentale non è messa in condizione di capire cosa accade realmente in Siria, la maggioranza dei mass media propone una rappresentazione deformata della realtà.
La formidabile testimonianza di Padre Georges aiuterà a capire l’intensità di umanità, i gesti di condivisione che sono il grande investimento umano per il futuro della Siria. Con la certezza che ciò che “libera il presente” è la costruzione, da oggi, di un’esperienza che la renda sperimentabile e credibile.

Paola Paoletti, Circolo JH Newman “liberailpresente”

AI MARTIRI DI OGGI
 celebrazione della Santa Messa, ore 18,30 Chiesa della Collegiata di Lugo dal Vescovo di Imola Mons. Giovanni Mosciatti e Mons. Georges Abou Khazen
Invito alla cittadinanza, ai benefattori e alle oltre 200 famiglie che sostengono mensilmente le attività in Siria attraverso la Caritas

mercoledì 25 dicembre 2019

Aleppo, un altro Natale con la guerra alle porte

Con che animo celebreranno il Natale quest'anno i cattolici rimasti ad Aleppo e in Siria nonostante tutto? Ce lo spiega il vescovo cattolico di rito latino, monsignor Georges Abou Khazen, (francescano della Custodia di Terra Santa nato in Libano 72 anni fa) che svolge da Aleppo il suo ministero di vicario apostolico per i cattolici di rito latino che vivono in Siria.
    Intervista di Terrasanta.net

Monsignor Abou Khazen che Natale sarà quello che Aleppo si appresta a vivere?  Che Natale sarà… Noi speriamo sempre bene. Il Natale ci ispira moltissimo. È la festa della speranza, innanzitutto, e della pace. Della pace interiore, ma anche della pace in tutta la Siria. Speriamo che la situazione migliori, perché nel corso dell’ultimo mese è andata peggiorando. Ad Aleppo, nelle settimane scorse, sono ripresi i bombardamenti alla cieca su alcuni quartieri, a spese della popolazione civile. Gli ordigni partono dalla zona di Idlib e dalla periferia occidentale di Aleppo. In quell’area i militari turchi hanno messo un punto di osservazione e l’esercito siriano esita a contrattaccare, per non innescare uno scontro diretto con le forze turche. D’altronde molti gruppi jihadisti hanno agganci con la Turchia. Questa nuova fase ha provocato varie vittime in città: settimane fa abbiamo contato 7 morti in un solo giorno. Un altro giorno sono morti una madre e i suoi due bimbi; l’indomani i bambini uccisi sono stati 5…

Aleppo ha risentito dell’avanzata delle truppe turche nel nord est della Siria?  Certamente. Molte fabbriche stavano riprendendo le attività, ma ora è tutto si è fermato di nuovo e ciò influisce sulla disoccupazione e su tanti altri aspetti. Noi con i turchi ottomani abbiamo una lunga storia, che non è stata sempre felice. Nell’area di Afrin (a nord ovest di Aleppo – ndr), che hanno occupato (nel gennaio 2018 – ndr), hanno allontanato i curdi rimpiazzandoli con gruppi più omogenei alle loro prospettive. Nel nord-est della Siria, nella Mesopotamia, non ci sono solo curdi, ma anche, nella grande maggioranza, cristiani assiri, caldei, armeni e così via. Quei cristiani sono figli e nipoti di gente massacrata dagli ottomani tra la fine del Diciannovesimo secolo e l’inizio del secolo scorso. Potete immaginare la paura di queste persone quando vedono i turchi avvicinarsi. Sono migliaia e migliaia le persone in fuga, molte volte senza portare nulla con sé, solo per sfuggire alla morte. Nelle case questa gente conservava ancora le fotografie dei genitori, nonni e bisnonni che furono ammazzati dai turchi. Purtroppo, sta succedendo una sorta di pulizia etnica: allontanato i curdi, stanno sostituendoli con altri gruppi, tra i quali turcomanni o i musulmani uiguri della Cina.
Gli sfollati che avevano parenti ad Aleppo sono arrivati in città, altri sono finite in campi profughi. A noi dispiace, perché gli americani hanno montato la testa a questi poveri curdi e poi li hanno venduti. Gli americani hanno occupato tutti i campi di petrolio e di gas. Prima il governo otteneva qualcosa tramite i curdi (petrolio e gas); ora qualsiasi autocisterna si avvicini viene bombardata dagli americani.

Quali notizie avete dall’area di Idlib?  Anche lì la situazione è molto confusa. L’area è ancora assediata. Vi si accede solo dalla Turchia. C’è sì un transito ancora accessibile ai civili, ma da lì servono 28 ore per arrivare ad Aleppo e non sempre il passaggio è aperto. I bombardamenti aerei continuano. Nella sacca restano molti profughi, sospinti lì da altre zone.

Ad Aleppo, negli ultimi anni, lei ha dato impulso al progetto Un nome, un futuro per sostenere i minori rimasti orfani e in difficoltà a causa della guerra. Come procede l’esperienza?  Il progetto sta andando avanti. Devo ringraziare Dio e anche i nostri benefattori. Sono grato anche al muftì Mahmoud Akkam che, con la sua collaborazione, ci dà una copertura morale. I ragazzi vivono in quartieri poverissimi, tutti distrutti. Non c’è nessun cristiano tra di loro. L’avallo del mufti è importante per noi, e ci mette al riparo dalle accuse di proselitismo. L’abbiamo portato a vedere il nostro lavoro e si è molto commosso.
Di che fascia d’età sono i ragazzi che accompagnate?  Parliamo di bambini piccoli, dai 3-4 anni, su su fino ai 17enni. I più grandi, quando è cominciata la guerra, avevano già 6-7 anni e i loro genitori sono morti. Abbiamo avviato anche un programma di alfabetizzazione, soprattutto per le mamme. Stiamo anche aiutando le mamme di alcuni di questi bambini ad imparare un mestiere perché possano guadagnare qualcosa. L’équipe è mista, ne fanno parte cristiani e musulmani. Lavorare fianco a fianco è un’esperienza positiva per la convivenza civile, è un mattone per costruire la Siria del futuro. Ringraziamo Dio.
Dove vivono questi minori?  Alcuni di loro continuano a vivere negli appartamenti distrutti; altri abitano con lontani parenti. L’islam non ammette l’adozione, ed io ho chiesto con insistenza al muftì di trovare una via d’uscita. Lui ha studiato la sharia e ha visto che è praticabile una forma di semi-adozione: i parenti dichiarano che il figlio non è loro; non potrà ereditare, anche se potrà usare il cognome di famiglia che dovrà lasciare al compimento dei 18 anni. Già così è una bellissima cosa. Molte famiglie si rendono disponibili.

Lei è vescovo di tutti i cattolici di rito latino in Siria. Oltre ai francescani, quali altre espressioni di solidarietà sono messe in campo da parte della Chiesa in Siria?  I Maristi Blu stanno facendo un ottimo lavoro, nel loro centro e nei campi profughi. C’è poi l’azione del Jesuit Refugee Service e della Caritas. La Chiesa è molto presente. Mostriamo quello che c’è di più bello nel cristianesimo: l’amore, la carità verso tutti i bisognosi. Cerchiamo di essere un riflesso del volto di Dio amore; di Dio che ama tutti i suoi figli, a prescindere dalla loro appartenenza religiosa. I nostri concittadini musulmani stanno scoprendo questo e ci dicono: «Ci state insegnando la carità». Per i musulmani è, in qualche misura, una scoperta nuova, benché anch’essi conoscano l’elemosina verso chi è povero, soprattutto nel mese di Ramadan. All’inizio ci guardavano con un po’ di sospetto, ma da quando hanno compreso che agiamo così perché gli vogliamo bene, le cose stanno cambiando. Tanto è vero che ci dicono: «Non ci lasciate», perché hanno scoperto il nostro modo di vivere e la possibilità di vivere in pace fra tutti quanti. La volontà di non escludere nessuno crea un ambiente molto confortevole.
Non voglio dimenticare la presenza di molte congregazioni religiose che fanno riferimento al vicariato apostolico, in quanto congregazioni di rito latino. Stanno facendo un bel lavoro di assistenza e, soprattutto, di sostegno psicologico. Aiutano anche le parrocchie di altre Chiese e non solo le nostre. Alcuni di questi istituti ricevono e trasmettono la solidarietà concreta dei cristiani del resto del mondo. Altri restano tra la gente e fanno quello che possono con la loro presenza. Credo che sia molto. Ringraziamo Dio perché in Siria la Chiesa è stata sempre presente. Nessuno ha lasciato, nonostante il pericolo: né vescovi, né parroci, né religiosi o religiose. Sei dei nostri sacerdoti sono stati uccisi, altri sei (inclusi due vescovi ortodossi di Aleppo) sono stati rapiti e non ne abbiamo più notizie. Nonostante tutto siamo rimasti, e per la gente questo è stato un grande segno di incoraggiamento e di speranza.

La Chiesa ha sempre sostenuto quanto sia importante che i cristiani restino in Medio Oriente e in Siria. Chi era fuggito dalla guerra sta tornando o è ancora presto?  Alcuni degli sfollati interni stanno tornando alle loro case e alle loro terre, ma chi è espatriato ancora non rientra. A riguardo ho qualche punto interrogativo: ad esempio, chi è stato assistito dalle Nazioni Unite non può rientrare prima di cinque anni. L’ho fatto osservare a qualche funzionario dell’Onu: bisogna aiutare i profughi a rientrare nel loro Paese, non a restarne lontano. È chiaro che, dopo cinque anni, se uno ha trovato lavoro, non è invogliato a lasciarlo [per tornare nell’incertezza]. In cinque anni, i figli crescono e vanno a scuola… Anche questo rende meno agevole il ritorno.

Come vanno le cose nella capitale Damasco?   Lì la situazione è molto più tranquilla, ma purtroppo bisogna fare i conti con l’inflazione. Il cambio con il dollaro prima della guerra era 48 lire siriane, più o meno. Ora supera le 900. L’euro che era a 50 lire ora è a 1.000. Gli stipendi sono rimasti invariati e quindi non bastano a fronteggiare il caro-vita. La ricostruzione è stata avviata – qua e là – ma purtroppo, come dicevo, abbiamo le sanzioni che colpiscono la povera gente. Molti beni sono razionati. Faccio qualche esempio: ogni famiglia può avere una bombola di gas da cucina ogni 23 giorni; di benzina se ne possono ottenere 100 litri al mese. Procurarsi il gasolio è ancora più difficile. Chiediamo che le sanzioni internazionali contro la Siria siano rimosse. Dal nostro punto di vista sono un crimine.

mercoledì 4 dicembre 2019

Vescovo Abou Khazen: la sofferenza, la guerra e la speranza


di Davide Malacaria e Matteo Carnieletto


  • INSIDE OVER

    Quasi 3mila giorni di guerra, mezzo milione di morti (questa è la cifra ufficiale anche se il vero numero dei caduti lo conosce solo la terra che li custodisce) e un Paese in ginocchio. Sono questi alcuni numeri della guerra che da oltre otto anni sta colpendo la Siria. Una guerra che ora non uccide solamente a colpi di mortaio o di bombe che piovono dal cielo, ma anche, e soprattutto, che stermina per mancanza di medicine e di beni di prima necessità, come ci spiega monsignor Georges Abou Khazen, a margine di un incontro organizzato dall’Associazione Pro Terra Sancta“Le sanzioni sono un crimine perché non toccano né il governo né i ricchi, ma tutti, soprattutto la gente povera. La benzina è razionata, la gente ha una bombola di gas ogni 23 giorni e spesso non arrivano neanche le medicine e il cibo per sfamare le famiglie”.
    Difficile pensare al futuro in condizioni simili. Chi ha potuto ha lasciato il Paese per cercare di farsi una nuova vita in Libano, oppure in Europa o in Canada. Chi è rimasto (ed è sopravvissuto) ora si trova bloccato in una rete infernale, quella delle sanzioni: “Le grandi potenze, Stati Uniti e Europa – spiega Abou Khazen -, hanno deciso di sanzionare la Siria. Noi abbiamo progetti, ma realizzarli è difficile. Per questo chiediamo di togliere l’embargo alla Siria, soprattutto per quanto riguarda le medicine: siamo in carenza di cure per il cancro e manca pure il necessario per le dialisi”.
    Oggi in Siria l’inflazione galoppa, i quattrini valgono poco o niente e vivere è sempre più difficile. E questo nonostante il Paese si trovi in una situazione di relativa calma, eccezion fatta per le zone al confine con la Turchia, colpite dall’offensiva di Ankara e dalle continue minacce dei jihadisti di Idlib, che hanno aperto un nuovo fronte: “Prima c’è stata l’invasione turca e poi gli americani, con i loro alleati, hanno occupato tutti i campi di petrolio. Prima il governo riusciva a rifornirsi ogni tanto, ma oggi ogni cisterna che manda viene bombardata dagli americani e dai loro alleati”. Questo è ciò che accade a est dell’Eufrate.
    Nel nord del Paese, invece, si registrano quotidiani massacri e, come se ciò non fosse sufficiente, si assiste a una situazione paradossale: i discendenti dei cristiani assiri e caldei che sono scampati al genocidio degli ottomani si trovano faccia a faccia con i nipoti dei carnefici dei loro avi: “Ci siamo ritrovati il boia in casa”, aggiunge Abou Khazen. E i curdi? Fino a poco tempo fa sembravano esser pronti a trovare un accordo con Damasco, ma ora le lancette sembrano essere tornate indietro nel tempo, a prima dell’invasione turca: “Fanno poco o nulla per ritrovare un collocamento all’interno del governo siriano. Si parlano, ma ci sono poche speranze che la situazione torni alla normalità perché gli americani hanno prima montato la testa ai curdi e poi li hanno venduti ai turchi”. Senza scampo, senza un futuro, la comunità curda si trova in un vicolo cieco, da cui non sa più uscire.
    A preoccupare maggiormente monsignor Abou Khazen, però, sono i gruppi jihadisti che si trovano ancora alla periferia di Aleppo e che, solamente poche settimane fa, hanno bombardato la città. “Hanno sparato i colpi non lontano da un punto di osservazione curda e sai perché?”, ci chiede il prelato che, subito dopo, risponde, “perché se i governativi avessero risposto ci sarebbe stata una rappresaglia di Ankara”. È quello che sperano i terroristi asserragliati a Idlib e che, ora, il governo di Damasco non può permettersi. E questa connivenza di Ankara permette ai terroristi di sopravvivere.
    Ma non ci sono solo la sofferenza e la guerra. C’è anche la speranza, come tiene a sottolineare Abou Khazen: “Il nostro destino non è nelle mani dell’uomo, ma in quelle del nostro Padre celeste. L’uomo ha dei margini di manovra, ma la storia è condotta da lui”. Ed ora sono in molti, in Siria, a sperare in quel Padre celeste per la cui fede sono morte migliaia di persone. Lo Stato islamico e le milizie jihadiste legate alla galassia ribelle hanno distrutto quella convivenza che per secoli ha reso la Siria un sistema perfetto di culture e religioni che hanno costruito un Paese unico tra il Mar Mediterraneo e il deserto. La Siria è sopravvissuta e con essa i cristiani. Ma la vera guerra, quella della rinascita, deve ancora iniziare.

    L’associazione Pro Terra Sancta ha lanciato oggi un’iniziativa lodevole per sostenere i bambini di Aleppo, che ci permettiamo di consigliare: 
    - Con carta di credito, online
    www.proterrasancta.org

    domenica 22 settembre 2019

    Contro le sanzioni alla Siria anche i Vescovi dell'Europa


    Ho visto tanta distruzione ma anche tanta fede”: così l’arcivescovo di Genova, card. Angelo Bagnasco, racconta al Sir il suo viaggio in Siria. Partito lunedì 16 settembre, il porporato, che è anche presidente del Consiglio delle Conferenze episcopali europee (Ccee), è rientrato oggi a Genova e al telefono prova a raccogliere le tante emozioni e immagini vissute in questi giorni trascorsi ad Aleppo, città simbolo di un conflitto entrato ormai nel suo nono anno.
    Ho accolto senza esitazioni un invito da parte delle comunità cristiane di Aleppo e del parroco, padre Ibrahim Alsabagh – spiega il porporato –. Ho visto un Paese mezzo distrutto e una città martoriata, uno scempio in tutti i sensi compiuto dai gruppi armati in lotta. Ma nello stesso tempo, a fronte di questa situazione veramente difficile e grave,
    ho potuto conoscere delle comunità cristiane decise a risorgere e ad aiutare il Paese a ricostruirsi. Questo attraverso una maggiore coesione interna tra le diverse comunità cattoliche, che sono di diversi riti, e cristiane, in particolare con le ortodosse. Insieme cercano di infondere speranza e fiducia e dare coraggio a resistere, oggi come ieri, nel tempo della distruzione e in quello della ricostruzione”.

    Eminenza cosa altro l’ha colpita di questa visita in Siria?
    Sono rimasto colpito da alcune famiglie che ho potuto incontrare nelle loro case ricostruite grazie agli aiuti, in particolare, della Cei provenienti dai fondi dell’8×1000. Accompagnato dal loro parroco padre Ibrahim ho benedetto i locali rinnovati e le famiglie che vi hanno fatto ritorno, con i loro piccoli. Ho notato la felicità nei loro volti. Ho visto anche una grande dignità davanti al lavoro che manca. La casa è fondamentale così come un’occupazione. Diversi papà mi hanno confidato di avere tanta difficoltà a mettere insieme il pranzo con la cena per le loro famiglie.
    L'immagine può contenere: 7 persone, persone che sorridono, persone in piedi

    Nei giorni trascorsi in Siria è riuscito a farsi un’idea del perché di questa guerra?
    Molti siriani si domandano il perché di questa guerra. Tutti si interrogano, sono consapevoli di non avere la verità in mano. Certamente riconoscono alcuni elementi di questo conflitto ma ciò che sfugge è il disegno complessivo e reale di quanto sta accadendo. In mezzo a tanta nebulosità politica, dove diverse forze esterne e internazionali sono entrate in gioco, ho rilevato – e lo vorrei sottolineare con chiarezza – la durezza delle sanzioni.
    Finché ci saranno le sanzioni temo che la ricostruzione economica e sociale del Paese sarà molto difficile.
    Credo che le sanzioni siano una forma di guerra per affossare un Paese. Se così fosse sarebbe assolutamente ingiusto e inaccettabile.

    Ora che è rientrato come pensa di tenere vivo il ricordo di questo viaggio?
    Ho promesso ai fedeli, ai sacerdoti, religiosi e ai vescovi che ho incontrato in Siria, insieme al nunzio apostolico, card. Mario Zenari, di raccontare ciò che ho visto e udito questi giorni e di testimoniare il buon esempio di queste comunità siriane segnate da tanti morti e da tanti martiri. È necessario continuare a dare il nostro aiuto. Lo Stato, infatti, non riesce a fare fronte alla ricostruzione, e nemmeno la Chiesa locale. Quest’ultima cerca di darsi da fare con aiuti che giungono da altre conferenze episcopali, come la nostra, e da benefattori, innanzitutto per ricostruire case e appartamenti da riconsegnare alle famiglie proprietarie che le abitavano già prima della guerra.

    Porterà la sua testimonianza al Consiglio episcopale permanente del 23 settembre?
    Lunedì al Cep farò un piccolo accenno a questo viaggio anche perché mi hanno incaricato di ringraziare la Cei per la sua vicinanza e generosità. In Siria ho visto un grande entusiasmo e tanta riconoscenza da parte dei fedeli. Sono visite importanti perché non li fanno sentire abbandonati. La Siria è Terra Santa, grazie a san Paolo. Andare sulle orme dell’Apostolo come pellegrini non farà altro che aiutare questo martoriato Paese a risollevarsi.

    https://www.agensir.it/mondo/2019/09/20/siria-card-bagnasco-ad-aleppo-ho-visto-tanta-distruzione-ma-anche-tanta-fede-sanzioni-durissime/


    Vicario di Aleppo: Le sanzioni contro la Siria, un crimine che affossa la popolazione 
     Le sanzioni economiche contro la Siria “sono un crimine” che colpisce prima di tutto “la popolazione” e impedisce, di fatto, la ripresa di una nazione “ancora in difficoltà” dopo otto anni di guerra. È quanto sottolinea ad AsiaNews il vicario apostolico di Aleppo dei Latini, mons. Georges Abou Khazen, secondo cui “da un conflitto militare” si è passati a una “guerra economica e commerciale” e a soffrire “è sempre la gente comune. Ecco perché - aggiunge - vanno tolte subito, prima che la situazione precipiti”. 
    Uno dei segnali più evidenti della stretta delle potenze occidentali verso la Siria è il crollo della valuta locale. “prima della guerra - ricorda il prelato - un dollaro statunitense equivaleva a 48, massimo 50 lire siriane. La scorsa settimana è arrivato a sfiorare quota 700 lire e oggi il tasso di cambio è attorno alle 630 lire”. Questa inflazione, avverte mons. Abou Khazen, “blocca l’economia e tocca le persone comuni, prime vittime del caro-vita”. 

    Oggigiorno - racconta il vicario di Aleppo - si fatica a trovare beni e risorse, anche quelle di prima necessità. Soprattutto la merce che viene da fuori, le persone non sanno come acquistarla perché mancano i soldi e le risorse a disposizione scarseggiano. Mancano tante cose che, prima della guerra, si potevano trovare con facilità”. Al contempo, avverte, “le persone devono sopravvivere con la stessa paga del periodo pre-bellico, ma è ovvio che oggi il potere di acquisto dei salari è di gran lunga inferiore. Oggi, di fatto, non si vive”. 
    Analisti ed esperti concordano nel ritenere che il crollo della lira sia uno dei segnali più evidenti delle gravissime difficoltà attraversate da un Paese che cerca a fatica di uscire da un drammatico conflitto. Dopo più di otto anni la situazione a Damasco, Aleppo e altri grandi centri sembra essere “migliorata da un punto di vista della sicurezza” come conferma il vicario apostolico, ma molto resta da fare “sotto il profilo economico e alcune sacche di conflitto, come quella tuttora in atto a Idlib, preoccupano ed è grande il timore di una nuova escalation per la presenza nell’area di interessi contrastanti fra curdi, turchi, Stati Uniti e alleati regionali. 

    Fra le cause del crollo della lira l’elevata richiesta di moneta statunitense nel vicino Libano, il cui sistema bancario viene utilizzato dagli importatori siriani per le transazioni. Il governo sta cercando di intervenire per bloccare l’inflazione e fermare il mercato nero, ma le risorse messe in campo sinora si sono rivelate insufficienti. La crisi valutaria ha messo in ginocchio soprattutto gli importatori, costretti a commerciare in dollari. “Vi sono un sacco di prodotti - racconta il 58enne Haytham Ghanmeh, commerciante in cosmetici nella città vecchia a Damasco - che non si trovano più nei mercati, perché abbiamo molti timori a comprare visti i prezzi attuali”. 
    Il nodo centrale, torna a sottolineare il vicario di Aleppo, restano le sanzioni che, fra l’altro, hanno “quasi azzerato l’importazione di farmaci salvavita come i chemioterapici per la cura del cancro o i medicinali necessari per la dialisi nei malati di diabete. Alcuni farmaci fra i più ordinari vengono prodotti in Siria e non se ne avverte la mancanza. Ma se si parla di quelli per curare il cancro o altre patologie importanti, la situazione è ben diversa”. 
    La gente è sempre più stanca e non sa cosa fare” ammette sconsolato mons. Abou Khazen. “Dopo la guerra militare - sottolinserea - ora dobbiamo affrontare quella economica per le sanzioni Usa ed europee. Ogni famiglia può disporre di soli 100 litri di benzina al mese, una bombola di gas che basta a malapena per cucinare e non parliamo del gasolio per riscaldare, in vista dell’inverno”. “Arrivati a questo punto - conclude il prelato - si fa sempre più fatica ad andare avanti e la gente sta perdendo la speranza”. 

    sabato 27 aprile 2019

    Monsignor Abu Khazen agli italiani: “pregate perché le sanzioni vengano tolte e ci venga restituito il diritto di vivere in pace”.

    Monsignor George Abu Khazen è dal 2014 il vescovo latino di Aleppo. In quella città ha trascorso con i suoi fedeli i momenti più difficili della guerra. Eppure – come spiega in questa intervista esclusiva a Sputnik Italia - oggi la situazione è quasi peggiore di quando i ribelli jihadisti e l’Isis circondavano la città.

      Intervista di Gian Micalessin

    “La guerra forse è finita, o sta per finire, ma qui ad Aleppo e in tutto il resto della Siria il peso delle sanzioni sta diventando insopportabile. Manca tutto. Noi cristiani, come tutti i siriani, viviamo in condizioni impossibili. Ogni cosa, anche la più essenziale, è razionata. La bombola del gas si può cambiare solo una volta ogni venti giorni. Le automobili private hanno diritto a venti litri di benzina ogni cinque giorni, i tassisti possono comprarne venti ogni secondo giorno. Le ripercussioni, credetemi sono assai pesanti. Molti mezzi pubblici non circolano più e i pullman delle scuole sono quasi tutti fermi così molti bimbi, soprattutto quelli dei quartieri più lontani e disagiati non riescono a raggiungere le aule. Se a tutto questo aggiungete un caro vita inarrestabile capite quanto la situazione sia difficile. Per la prima volta proviamo un peso quasi insopportabile”.

    “La situazione è quasi peggiore perché allora c’erano la speranza e la voglia di reagire. Oggi invece c’è solo confusione. Quando ad Aleppo si combatteva la gente era motivata, aveva uno slancio interiore che la spingeva a sopportare le avversità. Oggi invece la gente è stanca e depressa….sta perdendo la speranza…non sa più come andrà a finire”.


    – E’ solo colpa delle sanzioni?
    – Sì, le sanzioni sono il principale ostacolo al ritorno alla normalità. La Siria grazie ai suoi giacimenti di petrolio e gas potrebbe essere autosufficiente, ma quei giacimenti sono nel nord est e lì ci sono i curdi e gli americani. Gli americani sono i primi sostenitori del blocco economico. Per questo ci impediscono non solo di utilizzare il nostro petrolio e il nostro gas, ma anche di ricevere combustibili da altri paesi. L’intervento di americani e turchi rende tutto molto confuso, non sappiamo proprio come andrà a finire.
    – Ma almeno non si spara più…
    – Neanche questo è vero… intorno ad Aleppo si è tornato a combattere. Non sono grandi battaglie, ma si spara. Ogni sera si sentono di nuovo le bombe, le raffiche di mitragliatrice, le esplosioni dei missili. I ribelli di Jabhat Al Nusra, la costola siriana di Al Qaida ormai controllano tutta la provincia di Idlib. Quindi sono praticamente alle porte di Aleppo. La Turchia dice di voler collaborare per mandarli via, ma in verità è il loro principale alleato. E poiché conosciamo i turchi e sappiamo che sono abituati a promettere una cosa e farne un'altra siamo molto inquieti.
    – C’è stato un ritorno della comunità cristiana dopo la fine dell’assedio?
    – Purtroppo no! I cristiani ritornati ad Aleppo sono pochissimi. Ma quel che più ci preoccupa è il malessere quelli rimasti. Per la prima volta li sento dire “abbiamo sbagliato a restare qui”. Durante la guerra nessuno diceva mai una cosa del genere. Ora, invece, lo dicono in tanti.. E non solo fra i cristiani. Questo è un pessimo segnale.
    – C’è il rischio che la presenza cristiana non torni più quella di un tempo?
    – Noi non abbiamo perso la speranza neanche nei momenti più bui della guerra. Sperare fa parte della nostra fede….. dunque non posso credere che la presenza cristiana vada perduta. Il nostro destino non è nelle mani degli uomini, ma nelle mani di Dio. Lui è il nostro unico salvatore e quindi la speranza non può e non deve andar mai perduta.
    – Vi sentite appoggiati dal Vaticano?
    – Noi siamo grati alle istituzioni della Chiesa che ci aiutano e a tutti i benefattori. Solo grazie a loro riusciamo a mantenere i cristiani e tanti altri fratelli siriani.
    – E dell’Europa e dei suoi paesi cosa pensate? Avete l’impressione che si siano scordati di voi?
    – Magari si scordassero di noi...purtroppo si ricordano di noi solo per colpirci e farci del male imponendoci le sanzioni. Tolte Ungheria e Polonia tutte le altre nazioni europee sembrano volerci fare del male.
    – E l’Italia?
    – L’Italia deve fare un esame di coscienza e riflettere sulle conseguenze del blocco economico imposto alla Siria. Gli italiani devono capire che le sanzioni non toccano gli alti funzionari dello Stato e non contribuiscono a fermare le importazione di armi. Le sanzioni toccano solo la povera gente. A noi cristiani delle armi non importa nulla. A noi interessano le condizioni della povera gente. Che colpa hanno milioni di famiglie con anziani, malati e bambini a carico. Perché bisogna farli soffrire? Voi italiani dovete rendervi conto che la guerra forse è finita, ma le sanzioni volute dagli americani rendono sempre più difficile la nostra vita. Il nostro messaggio agli italiani è uno solo “pregate perché le sanzioni vengano tolte e ci venga restituito il diritto di vivere in pace”.
    – Ma ci sarà qualcuno che vi aiuta?
    – La Russia è la sola che ci ha sempre aiutato. Solo grazie a Mosca i jihadisti non hanno preso il potere in tutta la Siria. Solo grazie alla Russia oggi si discute pace.

    DALLE MONACHE TRAPPISTE DI AZEIR , UNA CONFERMA
    "Volevo raccontarvi un po' anche delle sanzioni, ora che si ripresenta ancora una volta a giugno la votazione, e dirvi quanto incidono, perchè è la prima volta in tutti questi anni che vediamo la gente veramente scoraggiata perchè le sanzioni stanno ancora una volta incidendo pesantemente: non c'è gas, non c'è benzina, non c'è gasolio e , nella nostra regione che è soprattutto agricola, la gente coltiva  e poi non c'è possibilità di portare frutta e verdura a Damasco o sui mercati , quindi è tutto fermo. Anche tutte le piccole attività, per esempio da noi molte cose si conservano ancora col ghiaccio e chi fa il ghiaccio non riesce a produrre, non c'è elettricità per i freezer nè benzina per portare in giro i blocchi di ghiaccio, è tutto così... Il pane è la stessa cosa, il pane è razionato perchè i forni funzionano col gasolio... insomma questa realtà e davvero pesante e la gente è veramente scoraggiata. Non era mai successo fino ad oggi di sentire le persone dire "quanto mai non siamo partiti!". 
    Davvero queste voci non sono ascoltate agli alti livelli, quello che non si è riusciti ad ottenere con la guerra lo si sta ottenendo facendo stancare le gente: penso che dobbiamo reagire, perchè tutto diventa difficile..., non c'è gas, noi possiamo cucinare perchè abbiamo i pannelli solari, abbiamo il fornellino elettrico e le donne del villaggio vengono a cucinare su da noi, sul nostro fornello elettrico, ma come si può pensare che il Paese riparta, con una vessazione così pesante? Ci sono dei militari di leva che stanno magari ad Homs, finiscono il loro turno e non possono tornare semplicemente a casa per le ore di congedo perchè non ci sono pulmini. La gente che deve andare a prendere qualcosa non trova le macchine oppure la benzina ha costi talmente alti che rinunciano a spostarsi, quindi anche il lavoro diventa più impegnativo e diventa più costoso. La merce triplica i prezzi. Davvero è una situazione insostenibile."
    Da una comunicazione di Suor Marta delle Trappiste di Azeir

    martedì 20 novembre 2018

    Insieme per ridare un nome e un futuro alla Siria. Intervista a Mons. Abou Khazen


    “Siamo un po’ preoccupati per il futuro, ma stiamo bene”. Il tono di voce è ottimista, lo sguardo è vivace. Fa un certo effetto sentire il vicario apostolico di Aleppo, mons. Abou Khazen, parlare della guerra in Siria e avere la percezione che sia quasi un problema lontano. “Ad Aleppo la situazione è più calma. I servizi funzionano, l’elettricità arriva per 16 ore al giorno. E’ una città viva, con il traffico che ha ripreso a intasare le strade”.

    Eccellenza, da quello che dice Aleppo sembra davvero rinata…

    Ci stiamo riprendendo. So che 2400 fabbriche hanno aperto negli ultimi mesi. E altre si stanno preparando a riaprire. E’ un segnale importante, anche se molti sfollati non stanno tornando: non basta il lavoro, bisogna anche ricostruire le case.

    Dopo otto anni di guerra, a che punto siamo secondo lei?

    Rimangono due grandi problemi: la presenza dei combattenti stranieri (a decine di migliaia) e il ruolo delle potenze straniere implicate in questa guerra. Ma dopo anni siamo tutti abbastanza ottimisti  e confidiamo che si arrivi presto a una soluzione politica.

    Quanto manca alla fine?

    Ci sono ancora troppi interessi politici ed economici in campo. E le continue tensioni internazionalinon aiutano. Ad esempio, il fatto che Trump abbia ripristinato le sanzioni contro l’Iran inciderà negativamente sul conflitto e sullo scontro confessionale ancora vivo nella regione.

    Eppure lei parla di una pace possibile…

    Sempre, vissuta nella nostra vita e testimonianza di ogni giorno. Noi cristiani cerchiamo di essere ponte tra i vari gruppi, non abbiamo problemi con nessuno. Ai nostri fedeli cerchiamo di infondere la speranza, perché vogliamo aiutare tutti nel cammino della riconciliazione.

    Ci sono dei segni particolari di quanto sta testimoniando?

    In particolare un progetto nato dall’amicizia personale con il Muftì. Finita la battaglia di Aleppo ci siamo accorti delle migliaia di bambini abbandonati e nemmeno iscritti all’anagrafe, di cui non si conosce né la madre né il padre. Spesso nati da stupri e violenze, sono i figli dei jihadisti, i segni più terribili che ci sta lasciando questa guerra. Bambini senza nome, e perciò senza futuro. La ONG ATS pro Terra Sancta ci ha fornito i finanziamenti necessari per iniziare e ci sta ancora aiutando a creare gli spazi necessari per accogliere più di 2000 bambini. Lavoriamo insieme perché questi piccoli possano avere – un giorno – le stesse possibilità di chiunque altro.  E il progetto si chiama – appunto – “Un nome e un futuro”.

    Come vi occupate di loro?

    Per prima cosa li aiutiamo a iscriversi all’anagrafe, così che possano frequentare la scuola. Il parlamento sta ancora studiando una legge ad hoc per registrarli, ma non è facile. Mi consola però che ci sia un’ipotesi di legge,  perché altrimenti questi ragazzi – quando cresceranno – quali possibilità avranno, se non esistono per nessuno? Noi li aiutiamo poi in tutti gli aspetti, prevediamo un accoglienza e un percorso psicologico perché possano, un giorno, superare i traumi ben visibili sui loro volti.

    Tra i bambini che avete accolto, c’è qualcuno che le è rimasto nel cuore?

    Qualche mese fa, quando mi sono avvicinato a uno di questi bambini, si è spaventato. Aveva paura di ogni uomo, non voleva parlare con nessuno ed era chiuso al mondo. Quando ho potuto stargli accanto per qualche minuto mi sono accorto che non riusciva a sorridere. Ha cominciato a frequentare il centro, e dopo qualche settimana ha ricominciato a giocare con gli altri, a parlare, a studiare. Qualche tempo dopo sono tornato a trovarlo. Oggi è un’altra persona. Finalmente sorride,  e un bambino che sorride è il futuro della Siria.
    Per sostenere il Progetto UN NOME UN FUTURO per i bambini abbandonati di Aleppo :   https://www.proterrasancta.org/it/aiuta-la-terra-santa/aiutaci/?pr=lappello-del-custode-di-terra-santa-emergenza-siria