Intervista
di Terrasanta.net
Monsignor
Abou Khazen che Natale sarà quello che Aleppo si appresta a
vivere? Che Natale sarà… Noi speriamo sempre bene. Il
Natale ci ispira moltissimo. È la festa della speranza,
innanzitutto, e della pace. Della pace interiore, ma anche della pace
in tutta la Siria. Speriamo che la situazione migliori, perché nel
corso dell’ultimo mese è andata peggiorando. Ad Aleppo, nelle
settimane scorse, sono ripresi i bombardamenti alla cieca su alcuni
quartieri, a spese della popolazione civile. Gli ordigni partono
dalla zona di Idlib e dalla periferia occidentale di Aleppo. In
quell’area i militari turchi hanno messo un punto di osservazione e
l’esercito siriano esita a contrattaccare, per non innescare uno
scontro diretto con le forze turche. D’altronde molti gruppi
jihadisti hanno agganci con la Turchia. Questa nuova fase ha
provocato varie vittime in città: settimane fa abbiamo contato 7
morti in un solo giorno. Un altro giorno sono morti una madre e i
suoi due bimbi; l’indomani i bambini uccisi sono stati 5…
Aleppo
ha risentito dell’avanzata delle truppe turche nel nord est della
Siria? Certamente. Molte fabbriche stavano riprendendo le
attività, ma ora è tutto si è fermato di nuovo e ciò influisce
sulla disoccupazione e su tanti altri aspetti. Noi con i turchi
ottomani abbiamo una lunga storia, che non è stata sempre felice.
Nell’area di Afrin (a nord ovest di Aleppo – ndr), che hanno
occupato (nel gennaio 2018 – ndr), hanno allontanato i curdi
rimpiazzandoli con gruppi più omogenei alle loro prospettive. Nel
nord-est della Siria, nella Mesopotamia, non ci sono solo curdi, ma
anche, nella grande maggioranza, cristiani assiri, caldei, armeni e
così via. Quei cristiani sono figli e nipoti di gente massacrata
dagli ottomani tra la fine del Diciannovesimo secolo e l’inizio del
secolo scorso. Potete immaginare la paura di queste persone quando
vedono i turchi avvicinarsi. Sono migliaia e migliaia le persone in
fuga, molte volte senza portare nulla con sé, solo per sfuggire alla
morte. Nelle case questa gente conservava ancora le fotografie dei
genitori, nonni e bisnonni che furono ammazzati dai turchi.
Purtroppo, sta succedendo una sorta di pulizia etnica: allontanato i
curdi, stanno sostituendoli con altri gruppi, tra i quali turcomanni
o i musulmani uiguri della Cina.
Gli sfollati che avevano parenti ad Aleppo sono arrivati in città, altri sono finite in campi profughi. A noi dispiace, perché gli americani hanno montato la testa a questi poveri curdi e poi li hanno venduti. Gli americani hanno occupato tutti i campi di petrolio e di gas. Prima il governo otteneva qualcosa tramite i curdi (petrolio e gas); ora qualsiasi autocisterna si avvicini viene bombardata dagli americani.
Gli sfollati che avevano parenti ad Aleppo sono arrivati in città, altri sono finite in campi profughi. A noi dispiace, perché gli americani hanno montato la testa a questi poveri curdi e poi li hanno venduti. Gli americani hanno occupato tutti i campi di petrolio e di gas. Prima il governo otteneva qualcosa tramite i curdi (petrolio e gas); ora qualsiasi autocisterna si avvicini viene bombardata dagli americani.
Quali
notizie avete dall’area di Idlib? Anche lì la situazione è
molto confusa. L’area è ancora assediata. Vi si accede solo dalla
Turchia. C’è sì un transito ancora accessibile ai civili, ma da
lì servono 28 ore per arrivare ad Aleppo e non sempre il passaggio è
aperto. I bombardamenti aerei continuano. Nella sacca restano molti
profughi, sospinti lì da altre zone.
Ad
Aleppo, negli ultimi anni, lei ha dato impulso al progetto Un nome, un futuro per
sostenere i minori rimasti orfani e in difficoltà a causa della
guerra. Come procede l’esperienza? Il
progetto sta andando avanti. Devo ringraziare Dio e anche i nostri
benefattori. Sono grato anche al muftì Mahmoud Akkam che, con la sua
collaborazione, ci dà una copertura morale. I ragazzi vivono in
quartieri poverissimi, tutti distrutti. Non c’è nessun cristiano
tra di loro. L’avallo del mufti è importante per noi, e ci mette
al riparo dalle accuse di proselitismo. L’abbiamo portato a vedere
il nostro lavoro e si è molto commosso.
Di
che fascia d’età sono i ragazzi che accompagnate? Parliamo
di bambini piccoli, dai 3-4 anni, su su fino ai 17enni. I più
grandi, quando è cominciata la guerra, avevano già 6-7 anni e i
loro genitori sono morti. Abbiamo avviato anche un programma di
alfabetizzazione, soprattutto per le mamme. Stiamo anche aiutando le
mamme di alcuni di questi bambini ad imparare un mestiere perché
possano guadagnare qualcosa. L’équipe
è
mista, ne fanno parte cristiani e musulmani. Lavorare fianco a fianco
è un’esperienza positiva per la convivenza civile, è un mattone
per costruire la Siria del futuro. Ringraziamo Dio.
Dove
vivono questi minori? Alcuni
di loro continuano a vivere negli appartamenti distrutti; altri
abitano con lontani parenti. L’islam non ammette l’adozione, ed
io ho chiesto con insistenza al muftì di trovare una via d’uscita.
Lui ha studiato la sharia
e
ha visto che è praticabile una forma di semi-adozione: i parenti
dichiarano che il figlio non è loro; non potrà ereditare, anche se
potrà usare il cognome di famiglia che dovrà lasciare al compimento
dei 18 anni. Già così è una bellissima cosa. Molte famiglie si
rendono disponibili.
Lei
è vescovo di tutti i cattolici di rito latino in Siria. Oltre ai
francescani, quali altre espressioni di solidarietà sono messe in
campo da parte della Chiesa in Siria? I Maristi Blu stanno facendo un ottimo lavoro, nel loro centro e nei
campi profughi. C’è poi l’azione del Jesuit
Refugee Service e
della Caritas.
La Chiesa è molto presente. Mostriamo quello che c’è di più
bello nel cristianesimo: l’amore, la carità verso tutti i
bisognosi. Cerchiamo di essere un riflesso del volto di Dio amore; di
Dio che ama tutti i suoi figli, a prescindere dalla loro appartenenza
religiosa. I nostri concittadini musulmani stanno scoprendo questo e
ci dicono: «Ci state insegnando la carità». Per i musulmani è, in
qualche misura, una scoperta nuova, benché anch’essi conoscano
l’elemosina verso chi è povero, soprattutto nel mese di Ramadan.
All’inizio ci guardavano con un po’ di sospetto, ma da quando
hanno compreso che agiamo così perché gli vogliamo bene, le cose
stanno cambiando. Tanto è vero che ci dicono: «Non ci lasciate»,
perché hanno scoperto il nostro modo di vivere e la possibilità di
vivere in pace fra tutti quanti. La volontà di non escludere nessuno
crea un ambiente molto confortevole.
Non voglio dimenticare la presenza di molte congregazioni religiose che fanno riferimento al vicariato apostolico, in quanto congregazioni di rito latino. Stanno facendo un bel lavoro di assistenza e, soprattutto, di sostegno psicologico. Aiutano anche le parrocchie di altre Chiese e non solo le nostre. Alcuni di questi istituti ricevono e trasmettono la solidarietà concreta dei cristiani del resto del mondo. Altri restano tra la gente e fanno quello che possono con la loro presenza. Credo che sia molto. Ringraziamo Dio perché in Siria la Chiesa è stata sempre presente. Nessuno ha lasciato, nonostante il pericolo: né vescovi, né parroci, né religiosi o religiose. Sei dei nostri sacerdoti sono stati uccisi, altri sei (inclusi due vescovi ortodossi di Aleppo) sono stati rapiti e non ne abbiamo più notizie. Nonostante tutto siamo rimasti, e per la gente questo è stato un grande segno di incoraggiamento e di speranza.
Non voglio dimenticare la presenza di molte congregazioni religiose che fanno riferimento al vicariato apostolico, in quanto congregazioni di rito latino. Stanno facendo un bel lavoro di assistenza e, soprattutto, di sostegno psicologico. Aiutano anche le parrocchie di altre Chiese e non solo le nostre. Alcuni di questi istituti ricevono e trasmettono la solidarietà concreta dei cristiani del resto del mondo. Altri restano tra la gente e fanno quello che possono con la loro presenza. Credo che sia molto. Ringraziamo Dio perché in Siria la Chiesa è stata sempre presente. Nessuno ha lasciato, nonostante il pericolo: né vescovi, né parroci, né religiosi o religiose. Sei dei nostri sacerdoti sono stati uccisi, altri sei (inclusi due vescovi ortodossi di Aleppo) sono stati rapiti e non ne abbiamo più notizie. Nonostante tutto siamo rimasti, e per la gente questo è stato un grande segno di incoraggiamento e di speranza.
La
Chiesa ha sempre sostenuto quanto sia importante che i cristiani
restino in Medio Oriente e in Siria. Chi era fuggito dalla guerra sta
tornando o è ancora presto? Alcuni degli sfollati interni
stanno tornando alle loro case e alle loro terre, ma chi è
espatriato ancora non rientra. A riguardo ho qualche punto
interrogativo: ad esempio, chi è stato assistito dalle Nazioni Unite
non può rientrare prima di cinque anni. L’ho fatto osservare a
qualche funzionario dell’Onu: bisogna aiutare i profughi a
rientrare nel loro Paese, non a restarne lontano. È chiaro che, dopo
cinque anni, se uno ha trovato lavoro, non è invogliato a lasciarlo
[per tornare nell’incertezza]. In cinque anni, i figli crescono e
vanno a scuola… Anche questo rende meno agevole il ritorno.
Come
vanno le cose nella capitale Damasco? Lì
la situazione è molto più tranquilla, ma purtroppo bisogna fare i
conti con l’inflazione. Il cambio con il dollaro prima della guerra
era 48 lire siriane, più o meno. Ora supera le 900. L’euro che era
a 50 lire ora è a 1.000. Gli stipendi sono rimasti invariati e
quindi non bastano a fronteggiare il caro-vita. La ricostruzione è
stata avviata – qua e là – ma purtroppo, come dicevo, abbiamo le
sanzioni che colpiscono la povera gente. Molti beni sono razionati.
Faccio qualche esempio: ogni famiglia può avere una bombola di gas
da cucina ogni 23 giorni; di benzina se ne possono ottenere 100 litri
al mese. Procurarsi il gasolio è ancora più difficile. Chiediamo
che le sanzioni internazionali contro la Siria siano rimosse. Dal
nostro punto di vista sono un crimine.
Nessun commento:
Posta un commento
Invia alla redazione il tuo commento. Lo vaglieremo per la sua pubblicazione. Grazie
Nota. Solo i membri di questo blog possono postare un commento.