Un
auspicio condiviso da padre Bahjat
Elia Karakach,
francescano della Custodia di Terra Santa. Originario di Aleppo, dal
2016 padre Karakach è il guardiano del convento della Conversione di
San Paolo, a Damasco, e parroco della locale comunità latina
composta da circa 250 famiglie, frequentata anche da molti cristiani
appartenenti ad altri riti. Con lui proviamo a fare il punto sulla
crisi siriana, che dopo la sconfitta militare dell’Isis, pare
essere giunta ad una svolta.
S.I.R. 14 novembre 2017
Padre
Karakach, sembra che la guerra stia lentamente finendo e che la Siria
possa riprendere a vivere. È davvero così? Qual è la situazione
nel Paese?
Oggi c’è più speranza rispetto a un anno fa, abbiamo un orizzonte. La svolta si è consumata dopo la presa di Aleppo (dicembre 2016, ndr.). Oggi avvertiamo un miglioramento della vita quotidiana, a Damasco, per esempio abbiamo di nuovo l’erogazione di energia elettrica per 24 ore, alcuni servizi pubblici stanno tornando alla normalità e questo rende più facile la vita quotidiana della popolazione. Tuttavia bisogna dire che la ripresa è lenta perché i nostri giovani sono ancora al fronte. Ci sono infatti ancora zone del Paese dove sono presenti gruppi terroristici.
Oggi c’è più speranza rispetto a un anno fa, abbiamo un orizzonte. La svolta si è consumata dopo la presa di Aleppo (dicembre 2016, ndr.). Oggi avvertiamo un miglioramento della vita quotidiana, a Damasco, per esempio abbiamo di nuovo l’erogazione di energia elettrica per 24 ore, alcuni servizi pubblici stanno tornando alla normalità e questo rende più facile la vita quotidiana della popolazione. Tuttavia bisogna dire che la ripresa è lenta perché i nostri giovani sono ancora al fronte. Ci sono infatti ancora zone del Paese dove sono presenti gruppi terroristici.
L’Isis,
con la caduta della sua ex roccaforte, Raqqa, sembra sconfitto militarmente.
Resta aperto l’altro fronte quello del conflitto tra governo e
ribelli, una partita importante per il futuro della Siria.
Lo
Stato islamico è stato sconfitto militarmente ma la sua ideologia
terroristica è ancora piuttosto diffusa e in futuro potrebbe trovare
spazio in altre sigle e nomi. Questa è la vera guerra che avvertiamo
quotidianamente.
Infondere
e promuovere una mentalità di apertura e di accoglienza dell’altro
è un compito di tutti, anche di chi si ritiene un oppositore aperto,
civile, che non imbraccia le armi e che sa dialogare e negoziare per
una Siria migliore.
Molti
analisti sostengono che in Siria si combatte una guerra per procura,
dove a fronteggiarsi sono gli interessi di potenze regionali e non.
Cosa prova nel vedere la sua terra trasformata da altri in un campo
di battaglia?
Sicuramente rabbia. Vedere questo mi fa capire quanto sia importante la Siria che per secoli ha rappresentato un modello di convivenza e di tolleranza. Ora qualcuno ha deciso che il mosaico deve essere rotto.
Sicuramente rabbia. Vedere questo mi fa capire quanto sia importante la Siria che per secoli ha rappresentato un modello di convivenza e di tolleranza. Ora qualcuno ha deciso che il mosaico deve essere rotto.
Per
evitare questa tragedia confido molto nei tanti siriani, uomini e
donne di buona volontà, capaci e coscienti, che hanno una visione
buona e positiva per costruire una Siria migliore.
Visti
i grandi interessi in gioco non teme per la sovranità futura della
Siria?
Un timore di questo tipo lo abbiamo avvertito maggiormente qualche anno fa.
Un timore di questo tipo lo abbiamo avvertito maggiormente qualche anno fa.
Oggi
mi pare che la Siria abbia vinto in termini di sovranità.
C’è
una verità innegabile ed è quella che il terrorismo si sta
riducendo e che la Siria, nonostante tutto, può tornare ad essere un
luogo in cui si può vivere, dialogare grazie a persone capaci di
farlo. Più che timore oggi ho molta speranza per il futuro del mio
Paese.
Bisogna riconoscere che se lo Stato islamico è stato sconfitto militarmente questo lo si deve anche agli interventi – da sponde opposte – di russi e americani. Non crede che le due potenze vorranno qualcosa in cambio, a questo punto?
Nei giochi politici ci sono spese da pagare. Indipendentemente da ciò, permane forte la volontà dei siriani di continuare a vivere in un Paese libero. Su questo non nutro alcun dubbio.
Prima
ricordava come la Siria sia sempre stata un crocevia di fedi e
culture. Cosa avete fatto in questi anni di guerra come comunità
cristiana per preservare questo mosaico?
Quello che abbiamo sempre fatto in tanti secoli di presenza in Siria: essere aperti e accoglienti verso tutti, senza distinzione di fedi, etnie, culture. Così facendo speriamo di essere un segno profetico non solo per la Siria del futuro, ma per tutto il Medio Oriente.
Quello che abbiamo sempre fatto in tanti secoli di presenza in Siria: essere aperti e accoglienti verso tutti, senza distinzione di fedi, etnie, culture. Così facendo speriamo di essere un segno profetico non solo per la Siria del futuro, ma per tutto il Medio Oriente.
La
Siria potrebbe tornare ad essere un modello di convivenza adottabile
da tanti altri Paesi della regione.
Parlando
di accoglienza non si possono dimenticare i milioni di rifugiati e di
sfollati interni provocati dalla guerra. Torneranno tutti? Vede un
futuro per i cristiani, e le altre minoranze, nella Siria che
verrà?
Bisogna essere realistici: non tutti torneranno. Ma c’è già chi comincia a fare rientro nelle proprie abitazioni.
Bisogna essere realistici: non tutti torneranno. Ma c’è già chi comincia a fare rientro nelle proprie abitazioni.
La
dispersione provocata da anni di conflitto potrebbe diventare una
risorsa per il Paese se venisse sfruttata in termini di apertura
culturale, sociale e religiosa. Quel mosaico che è la Siria potrebbe
così arricchirsi di nuovi pezzi e ampliarsi ulteriormente.
Molti
siriani che ora sono all’estero nutrono un forte desiderio di
tornare e di aiutare per ricostruire una Siria migliore.
Da
dove cominciare per ricostruire una Siria migliore?
Ricominciare
dai bambini. Bisogna ripartire dall’educazione, dall’istruzione,
dalla formazione perché un Paese che ha subito una tale violenza ha
anche difficoltà a rimettere in piedi un sistema educativo. Mi
auguro che anche noi, come comunità cristiana, possiamo dare il
nostro contributo per guarire le ferite causate dalla guerra. Molti
dei nostri bambini sono traumatizzati, hanno visto scene inaudite di
violenza, sono nati durante il conflitto. Nel nostro santuario della
Conversione di san Paolo abbiamo portato avanti un progetto di
sostegno psicologico per i più piccoli. Il 70% di loro erano
musulmani. Lo scopo era riportarli ad una vita normale, ma ci vorrà
tempo.
Ripartire
dai bambini è la garanzia migliore per il futuro della Siria. E poi
dal dialogo.
Stiamo
pensando ad una sorta di centro in cui persone di fedi ed etnie
diverse possano dialogare e condividere momenti di vita anche in
campi come l’arte, la musica, il teatro. Tutti quei valori umani
che possono garantirci una vita migliore.
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