“Preghiera, preghiera, preghiera”: al telefono da Damasco Gregorios III
Laham, patriarca di Antiochia dei greco-melkiti, riferisce al Sir di
“una situazione tranquilla nella capitale, dove solo in lontananza si odono dei
colpi. Aleppo, invece, è un campo di battaglia. Quanto sta avvenendo lì è
terribile”. Con voce rotta dall’emozione il patriarca racconta che “le comunità
cristiane stanno abbastanza bene, i combattimenti avvengono lontano dal centro,
dove vive la maggior parte dei fedeli, in località periferiche e di campagna.
Sono in contatto con altri confratelli vescovi, oggi ad Aleppo c’è una riunione
con vescovi e laici che ha lo scopo di organizzare aiuti per non farsi trovare
impreparati se le cose dovessero volgere al peggio”. Sono tre giorni che
l’esercito siriano e i ribelli del Free Syrian Army (Fsa) si danno battaglia
nella più popolosa città della Siria e centro economico più rilevante. Secondo
la responsabile degli Affari Umanitari delle Nazioni Unite, Valerie Amos, nel
weekend sono scappate da Aleppo circa 200 mila persone dirette nei villaggi
vicini e in Turchia. Non si conosce, invece, il numero di coloro che sono
bloccati nei luoghi dove si combatte.
Le parole del Papa. A mitigare la pena del patriarca sono
giunte le parole di Benedetto XVI ieri all’Angelus, da Castel Gandolfo:
“Riceviamo molta forza dal Pontefice che ha detto di seguire con apprensione ‘i
tragici e crescenti episodi di violenza in Siria con la triste sequenza di morti
e feriti, anche tra i civili, e un ingente numero di sfollati interni e di
rifugiati nei Paesi limitrofi’. La sua vicinanza ci conforta e c’incoraggia ad
andare avanti a ricercare il dialogo tra le parti, per fermare le violenze e
permettere il rientro e l’assistenza di sfollati e rifugiati. Il suo pressante
appello, ‘perché si ponga fine ad ogni violenza e spargimento di sangue’ ha
avuto una vasta eco nel Paese, tutti i media lo hanno ritrasmesso. Chi ha
responsabilità, ricordava il Papa ieri, non deve lesinare sforzi per aprire un
negoziato e lo stesso deve fare la comunità internazionale”. “Molto apprezzata”
per Gregorios III, è stata anche la recente dichiarazione del Consiglio delle
Conferenze episcopali europee (Ccee), in cui il presidente, card. Péter Erdő, e
i due vicepresidenti, il card. Angelo Bagnasco e mons. Jozef Michalik,
ribadivano la necessità di far “cessare tutte le ostilità, deporre le armi e
intraprendere la via del dialogo, della riconciliazione e della pace”. “Siamo in
pena per le sorti del nostro Paese – ammette Gregorios III – quando in alcuni
Paesi occidentali si sente dire che il regime è alla fine, sta per crollare,
questo non fa altro che accendere ulteriormente gli animi e rinfocolare il
conflitto. Gli Usa, l’Europa, e gli altri Paesi devono fare più pressione non
per favorire il regime o l’opposizione, ma per metterli entrambi seduti a un
tavolo a cercare il dialogo e soluzioni pacifiche. Devono calmare gli animi e
non scatenare vendette. Il regime è molto forte, come l’opposizione. Ciò che fa
paura al popolo sono le bande di criminali che con rapimenti, omicidi, abusi e
violenze seminano il panico. Un nostro sacerdote ha visto due suoi fratelli
rapiti e da venti giorni non ha più notizie. Abbiamo paura di questa
criminalità. La via negoziale è quella da intraprendere senza riserve. Musulmani
e cristiani, insieme, devono impegnarsi in questa direzione. Il 1° agosto, i
cristiani si uniranno nel digiuno ai musulmani, impegnati nel mese di Ramadan.
Sarà per noi un digiuno in preparazione alla festa dell’Assunzione della beata
Vergine Maria del 15 agosto e un momento di condivisione e preghiera per la
Siria”.
“Non mandate armi”. Da Aleppo giungono le parole
di mons. Jean-Clement Jeanbart, l’arcivescovo greco-melkita
della città, che ribadisce al Sir la sua preoccupazione “per quello che sta
accadendo. Chiediamo a tutti di pregare per una soluzione di dialogo. Le diverse
comunità cristiane di Aleppo (ortodossi, cattolici e protestanti) hanno deciso
di unire le loro forze per venire incontro alle necessità dei profughi e di
tutti coloro che si trovano in difficoltà”. “Nel centro della città la
situazione appare tranquilla - racconta mons. Jeanbart - il conflitto coinvolge
alcuni quartieri periferici. Molti abitanti sono andati via. Oggi si sentono
meno spari rispetto a ieri”. Caritas Siria è da tempo impegnata ad assicurare
assistenza a centinaia di famiglie, non solo nelle grandi città come Damasco,
Aleppo e Homs, ma anche nei villaggi delle campagne. Il numero di rifugiati
siriani ormai supera le 120 mila unità - stando alle cifre dell’Unhcr -
suddivisi tra Giordania, Libano, Turchia e Iraq. Nel solo Libano sono 30 mila,
numero che non contempla quelli arrivati nelle ultime ore. “La riunione odierna
ha visto riunirsi un gruppo di laici scelti da tutte le comunità religiose del
Paese - spiega l’arcivescovo - da questo incontro ha preso le mosse un comitato
di emergenza per vagliare ogni passo da fare per fornire aiuto e assistenza alle
nostre comunità. Dobbiamo fare in fretta perché la situazione peggiora ogni
giorno di più”. “Abbiamo bisogno di preghiere ma anche dell’impegno degli Stati
a spingere al dialogo le due parti in lotta, come chiesto dal Papa domenica”.
Alla comunità internazionale l’arcivescovo chiede di “non mandare armi, non
istigare alla guerra. Dialogare non è impossibile come testimoniato dall’Appello
di Roma dell’opposizione pacifica, siglato grazie alla Comunità di Sant’Egidio”.
“Nel prossimo futuro potremmo aver bisogno di cibo e medicine - conclude mons.
Jeanbart -, per questo chiediamo la solidarietà di tutti gli uomini di buona
volontà che si possono attivare usando i canali della Caritas. Potrebbe servire
ad aiutare la popolazione in questo periodo di grave emergenza”.
http://www.agensir.it/pls/sir/v3_s2doc_a.a_autentication?target=3&tema=Anticipazioni&oggetto=244598&rifi=guest&rifp=guest
Nessun commento:
Posta un commento
Invia alla redazione il tuo commento. Lo vaglieremo per la sua pubblicazione. Grazie
Nota. Solo i membri di questo blog possono postare un commento.