La capitale siriana è stata il teatro di scontri violenti, parte di un piano che avrebbe dovuto portare alla caduta del governo Assad
di Mario Villani
di Mario Villani
Ore drammatiche quelle vissute a Damasco e in altre città siriane nelle ultime due settimane. Qualcuno (l'opposizione armata?, l'Arabia saudita?, la Turchia ed i paesi occidentali?) ha ritenuto che il regime baathista al potere da oltre cinquant'anni fosse ormai sufficentemente indebolito, molti reparti dell'esercito pronti alla defezione e lo stesso Presidente Bashar Assad sul procinto di cercarsi un esilio dorato in un paese estero ospitale. Questo “qualcuno” ha quindi ha dato il via libera ad una operazione che avrebbe dovuto far precipitare gli avvenimenti e che è stata denominata: “Vulcano a Damasco e terremoto sulla Siria”.
L'operazione si è articolata in tre momenti principali.
In primo luogo gli organizzatori si sono assicurati l'appoggio mediatico. Non solo tutti i media occidentali e delle petro-monarchie hanno cominciato a ripetere il mantra secondo cui Assad aveva i giorni contati ed il regime stava per crollare, ma si è anche cercato di impedire che si levassero voci contrarie. Sono stati infatti bloccati i server dell'agenzia ufficiale SANA e spento il segnale satellitare della televisione di Damasco. Sono addirittura stati lanciati falsi programmi sulle frequenze utilizzate da quest'ultima. E' un aspetto della guerra in Siria che diventerà sempre più importante nel futuro. Qualcosa del genere è già avvenuto durante la guerra in Libia ed ha contribuito non poco a demoralizzare i simpatizzanti di Gheddafi. Una psico-guerra che sarà una componente essenziale di tutti i conflitti del futuro anche al di fuori dello scenario mediorientale.
Sul terreno poi l'operazione è stata preparata con cura. Appoggiandosi a simpatizzanti locali e facendo filtrare in Damasco centinaia di combattenti i capi dell'ELS (la principale formazione armata anti-regime)) hanno creato una fitta rete di rifugi e basi nei principali quartieri della capitale sirana. Damasco, lo dico per coloro che non l'hanno mai vista, ha un'estensione enorme in quanto le abitazioni sono prevalentemente a due o massimo tre piani e vi sono pochissimi grossi edifici. Non è quindi impossibile sfuggire al controllo delle Forze dell'Ordine e creare numerose piccole aree di fatto controllate da gruppi armati. L'operazione ha sicuramente richiesto alcuni mesi e forse per questo la città aveva goduto, nelle settimane precedenti, di una relativa calma. Il 18 luglio colonne di guerriglieri – molti dei quali non siriani – hanno attraversato i confini provenienti da Libano, Giordania e Iraq e si sono diretti verso Damasco dove le formazioni già presenti avevano in quelle ore scatenato una violenta offensiva che coinvolgeva praticamente tutti i quartieri della città con attacchi a posti di polizia, edifici governativi e caserme. Nelle stesse ore i movimenti di opposizione armata lanciavano un appello alla popolazione perchè scendesse in strada ovunque ad appoggiare l'insurrezione, circondando le caserme e impedendo i movimenti delle truppe con sit in e blocchi stradali.
Durante le ore convulse dei combattimenti strada per strada nella capitale siriana avveniva poi l'episodio che, secondo le previsioni di qualcuno, avrebbe dovuto avviare il definitivo disfacimento del regime di Assad. Una bomba è stata fatta esplodere nella sede nel Quartier Generale delle Forze di Sicurezza uccidendo il Ministro della Difesa il cristiano Generale Dawjiah ed il suo vice Affez Shawkat cognato dello stesso Presidente Assad. Nell'attentato trovavano la morte anche altri esponenti del regime e secondo alcune voci, poi smentite, veniva ferito lo stesso Assad. La perfezione tecnica dell'operazione ha subito indotto molti osservatori - soprattutto russi - a ritenere che l'attentato non fosse stato opera dei rivoltosi, da sempre piuttosto approssimativi dal punto di vista tecnico, ma di servizi segreti stranieri, probabilmente sauditi e qatarioti, forse con l'appoggio della CIA.
Malgrado fosse ben congegnato il piano falliva nel giro di pochi giorni. La popolazione non ha raccolto l'appello dell'opposizione e non solo non si è unita ai gruppi di insorti, ma anzi, quasi ovunque o è fuggita o addirittura ha appoggiato la reazione dell'esercito dimostrando ancora una volta che, con buona pace di padre Dall'Oglio (1), non è vero che la rivolta goda di un massiccio appoggio popolare. Le colonne penetrate da Giordania, Iraq e Libano sono state intercettate e disperse anche con l'uso dell'aviazione. La morte del Ministro della Difesa (peraltro sostituito nel giro di tre ore) e dei suoi collaboratori non ha indebolito l'efficacia della reazione militare ed i quartieri di Damasco sono stati riconquistati ad uno ad uno dalle Forze Armate siriane che dimostravano così una saldezza ed una capacità operativa probabilmente molto superiore a quella stimata dai registi dell'operazione (2). Infine il veto posto all'ONU da Russia e Cina ha impedito, almeno a breve termine, un intervento esterno a sostegno dell'insurrezione. Le perdite subite dai rivoltosi sono state pesantissime. Secondo il giornalista francese Thierry Meyssan all'operazione avrebbero partecipato oltre quarantamila guerriglieri (in prevalenza mercenari non siriani). Di questi oltre tremila sarebbero stati uccisi e tremilaquattrocento fatti prigionieri. Sono cifre forse esagerate (un funzionario dei servizi qatarioti fuggito in Venezuela ha parlato di sette/diecimila guerriglieri e l'agenzia Novosti ha indicato in duemiladuecento i “terroristi” eliminati). Certo è che le autorità siriane hanno presentato un elenco di ben seicentoquaranta caduti non siriani, vale a dire mercenari stranieri in prevalenza libici, afghani, sudanesi, tunisini, egiziani e certo è che, nelle ore immediatamente successive al fallimento dell'operazione, esponenti dell'ala politica della rivolta hanno per la prima volta dichiarato la disponibilità ad accettare un governo di transizione retto da esponenti del regime di Assad, segno che il colpo deve essere stato alquanto duro.
Le prospettive per il prossimo futuro? Sicuramente un'intensificazione della psico-guerra. Secondo molte fonti l'Emiro del Qatar – notorio campione della democrazia e principale sponsor della rivolta anti-Assad - sta sborsando cifre favolose per ricostruire le principali città siriane sul suo territorio. Veri e propri set cinematografici dove girare riprese che saranno spacciate al mondo intero come provenienti da Damasco e dai fronti più caldi della guerra. Nei giorni della loro breve offensiva sulla capitale siriana i “ribelli” hanno rapito uno dei più celebri annunciatori della TV di stato. Sempre che non venga ritrovato fatto a pezzi all'angolo di una strada lo rivedremo forse a presentare qualche trasmissione farlocca in una Tv con lo stesso logo di quella ufficiale di Damasco.
E' poi altamente probabile una offensiva contro Aleppo, la seconda città della Siria. Fallito l'obiettivo di conquistare la capitale i ribelli probabilmente vorranno fare di questo centro una sorta di Bengasi siriana dove installare un loro governo provvisorio, esattamente come è avvenuto in Libia. Aleppo ha il vantaggio di essere molto vicino al confine con la Turchia da dove quindi può arrivare un continuo afflusso di aiuti e rinforzi e dove eventualmente le formazioni armate possono trovare temporaneo rifugio evitando, in caso di insuccesso, l'annientamento come invece è avvenuto a Damasco. In quest'area potrebbe essere più difficile, per le Forze Armate Siriane, ripetere il successo ottenuto nella capitale.
Infine l'eliminazione fisica di Bashar Assad. Sono convinto che più dura la resistenza del suo regime e più questa ipotesi diventa credibile. Prima o poi si troverà una guardia del corpo o una persona del suo entourage che dimenticherà nel suo ufficio una valigia piena di esplosivo. Dubito però che persino la morte del giovane presidente siriano possa porre fine al conflitto.
Quindi solo guerra e distruzione nel futuro della Siria? Un debole speranza arriva da un movimento nato proprio a Homs per iniziativa di alcuni esponenti delle Chiese Cristiane. Si chiama “Mussalaha” che vuole dire Riconciliazione. Vi aderiscono ormai, in molte città siriane, migliaia di persone di tutte le confessioni religiose e ed ha come scopo quello di colmare i solchi di odio che si sono aperti nel tessuto sociale. “La pace deve venire dal basso, dalla gente comune che deve reimparare a non avere paura del vicino di casa” dicono gli esponenti del movimento. Riusciranno gli eroi di Mussalaha a ridare pace alle città siriane? Sarebbe un vero miracolo, ma da quelle parti i miracoli sono molto più frequenti che da noi anche perchè qualcuno ci crede ancora.
1) Padre Paolo Dall'Oglio è un gesuita fondatore (meglio rifondatore) del convento di Mar Musa in Siria. I suoi superiori gli hanno chiesto di lasciare il paese e tornare in Italia a causa delle sue posizioni in netto contrasto con quelle delle Chiese in Siria. Mi è stato descritto come persona dotata di una forte personalità ed estremamente intelligente. Probabilmente per questo è innamorato delle sue idee al punto che, quando queste sono in contrasto con l'evidenza dei fatti, preferisce negare quest'ultima piuttosto che rivedere le prime. Il suo pensiero è basato su alcuni assunti: primo, la grande maggioranza dei Siriani è contro Assad e appoggia la rivolta, secondo le vittime ed i danni sono conseguenza solo della repressione (comprese le Chiese di Homs che contro ogni testimonianza vuole bombardate dall'esercito regolare), terzo tra i rivoltosi la componente islamista è minoritaria. Di queste tre tesi solo l'ultima ha un parziale fondamento. In effetti tra i rivoltosi vi sono componenti differenti e movimenti che probabilmente auspicano il mantenimento del carattere pluralista della Siria. Il problema è che tale circostanza, considerato che i gruppi islamisti sono quelli che ricevono dall'estero più aiuti in armi, denaro e mercenari, pone solo la premessa perchè, dopo l'eventuale caduta del regime, la guerra continui tra gli islamisti e le altre componenti dell'opposizione.
2) Al contrario, fonti attendibili hanno riferito che, nei giorni della battaglia, numerosi riservisti dell'esercito siriano si sono spontaneamente presentati nelle caserme per aiutare gli ex-commilitoni nei combattimenti contro le bande armate.
http://www.appunti.ru/articolo.aspx?id=532
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