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giovedì 22 marzo 2012

L'appello che da Aleppo mar Gregorios Yohanna Ibrahim lancia ai cristiani di tutto il mondo

Attentato ad Aleppo«Siria, noi cristiani sotto tiro»
di Giorgio Bernardelli 22/03/2012

«Ero in macchina ad appena un centinaio di metri da dove è avvenuta l'esplosione. Ho pensato che la mia ora di lasciare questo mondo fosse arrivata». In una lettera diffusa dal sito arabo cristiano abouna.org il metropolita siro ortodosso di Aleppo, mar Gregorios Yohanna Ibrahim, racconta così l'attentato che domenica ha seminato il terrore nel quartiere di Sulaimanya, il quartiere dei cristiani nella seconda città della Siria. Tre i morti, una trentina i feriti, nell'ennesimo salto di qualità nel dramma che da più di un anno ormai scuote il Paese.

Un attentato di domenica mattina nel quartiere dei cristiani. A trecento metri dalla casa del vescovo siro-ortodosso. E ancora più vicino all'oratorio del convento di Er Ram, della Custodia di Terra Santa, rimasto gravemente danneggiato con un muro della stessa chiesa crollato. I ragazzi sono usciti illesi solo perché - provvidenzialmente - padre Shadi Bader aveva deciso di mandarli a casa un po' prima.

Tutto questo è successo domenica mattina ad Aleppo ed è davvero difficile non leggerlo come un attacco premeditato contro i cristiani. Certo l'obiettivo era una sede delle forze di sicurezza che si trova nella zona.

Ma può essere un caso che sia stata scelta proprio la struttura di quella zona e sia stata colpita proprio alla domenica mattina? «Erano le undici, i nostri fedeli di Aleppo stavano rientrando a casa dopo aver partecipato alle liturgie nelle loro chiese - racconta il metropolita nella sua lettera -. La mia auto è stata scossa violentemente insieme alla strada sotto di noi; ho sentito il ruomore dell'esplosione come se fosse avvenuta dentro le mie orecchie. Non vedevo nulla, sentivo solo le voci intorno, i pianti e le urla da ogni parte: “Signore, Signore, abbi pietà di noi... aiutaci”. Mi è venuto in mente il brano del Vangelo che avevo commentato poco prima, durante la celebrazione. Era quello della donna cananea che si rivolge a Gesù perché guarisca sua figlia malata; gli dice proprio: “Figlio di Davide, abbi pietà di me”».
L'autobomba di domenica a Sulaimanya è stato il secondo attentato ad aver colpito Aleppo, la terza città del Medio Oriente - dopo Beirut e il Cairo - per numero di cristiani. Sono ben 300 mila qui i fedeli in un mosaico di riti e confessioni diverse. Già il 10 febbraio la guerra civile che scuote la Siria era arrivata a toccare con un attentato suicida che aveva lasciato dietro di sé 28 morti anche questa città da 3 milioni di abitanti, finora rimasta fedele al presidente Bashar al Assad. Attentati firmati da chi? Tutti gli indizi portano a pensare alle milizie islamiste che - come molteplici testimonianze raccontano - stanno prendendo sempre più il sopravvento in quel mondo estremamente composito che con una semplificazione parecchio grossolana viene definito dai media occidentali come l'«opposizione siriana».
«È stato il secondo attentato nel quartiere a maggioranza cristiana di Aleppo - commenta nella lettera mar Gregorios Yohanna Ibrahim -. Noi non vogliamo ancora credere che l'obiettivo specifico siano i cristiani, ma certo c'è qualcuno che sembra proprio voler fare di tutto per confermare quest'idea. Non dimentichiamo poi il martirio di tanti cristiani nell'assedio di Homs e le altre centinaia che sono rimasti feriti». L'altro volto di quella tragedia di cui nessuno parla.

«I cristiani oggi in Siria hanno di fronte a sé due gravi problemi - continua il metropolita siro ortodosso di Aleppo -. Da una parte lo spettro dell'emigrazione che rischia di decimare le nostre comunità come è già accaduto in Iraq: lì la metà dei cristiani ha già lasciato il Paese ed altri si apprestano a farlo. Ma il secondo spettro è proprio la diffusione dell'islamismo radicale, che promuove le voci del fondamentalismo e dell'estremismo nel mondo arabo, specialmente attraverso i salafiti e i wahhabiti dell'Arabia Saudita. Stanno rendendo pericolosa la vita dei cristiani in tutto l'Oriente, diffondono discordia sul ruolo delle chiese, mettono in discussione il diritto alla cittadinanza, minano quella cultura del pluralismo, della democrazia e delle libertà che sono un requisito fondamentale in ogni società di oggi».

Di qui l'appello che da Aleppo mar Gregorios Yohanna Ibrahim lancia ai cristiani di tutto il mondo:

«Scrivo per dirvi che i cristiani della Siria - insieme a tutti i musulmani che vogliono la pace - sperano che questa nuvola nera scompaia presto dei Paesi arabi scossi dal vento della primavera araba, che ha portato effetti negativi specialmente qui in Siria - conclude la sua lettera -. Noi speriamo e continuiamo a pregare con le parole della cananea: “Signore, abbi pietà di noi e aiutaci”».

http://www.labussolaquotidiana.it/ita/articoli-siria-noi-cristiani-sotto-tiro-4867.htm

mercoledì 21 marzo 2012

MOSCA SOSTIENE IL PIANO ANNAN, ACCUSE CONTRO OPPOSIZIONE

Gravi ripercussioni umanitarie della crisi
da Misna 20 marzo 2012

La Russia sostiene il piano di uscita della crisi proposto da Kofi Annan ed è pronta a votare una risoluzione al Consiglio di sicurezza dell’Onu “non nella forma di un ultimatum” ma come base di partenza per arrivare “a un accordo tra il governo siriano e tutti i gruppi di opposizione su punti chiave come i corridoi umanitari, la cessazione delle ostilità, l’avvio di un dialogo politico e l’accesso ai media”. A sostenere questa linea è stato oggi il ministro degli esteri russo Sergei Lavrov con una dichiarazione affidata alla stampa.
La posizione di Lavrov esprime un ulteriore sviluppo della politica russa sulla questione siriana. Mosca si è opposta per due volte insieme alla Cina a risoluzioni di condanna e ha sempre chiesto che governo e opposizione venissero considerate parimenti responsabili della recrudescenza degli scontri e del peggioramento della crisi.
Una linea che oggi è stata indirettamente rafforzata da una lettera aperta di Human rights watch (Hrw) al Consiglio nazionale siriano (Cns) e ad altri gruppi dell’opposizione siriana. Secondo l’organizzazione per i diritti umani statunitense, combattenti dell’opposizione si sono resi responsabili di gravi abusi che includono “rapimenti, detenzione e tortura di membri delle forze di sicurezza, di sostenitori del governo e di persone appartenenti a milizie filo governative”. Hrw ha anche ricevuto informazioni su esecuzioni di civili e membri delle forze di sicurezza compiute da gruppi armati di opposizione.
La crisi e gli scontri che in alcune regioni sono degenerati in qualcosa di molto simile a un conflitto civile stanno avendo gravi ripercussioni umanitarie. Di questo hanno discusso ieri Lavrov e il presidente del Comitato internazionale della Croce Rossa (Cicr), Jacob Kellenberger. Il Cicr chiede da tempo una tregua quotidiana dei combattimenti di alcune ore per consentire la consegna di aiuti alla popolazione e la presa in consegna di malati e feriti.
http://www.misna.org/economia-e-politica/mosca-sostiene-il-piano-annan-accuse-contro-opposizione/20-03-2012-813.html

Abusi delle forze di opposizione, “pulizia etnica” di cristiani a Homs, dove restano i Gesuiti

Il Vicario Apostolico di Aleppo, Mons. Giuseppe Nazzaro, a Fides: “Comincia a  crollare il muro di omertà fino ad oggi costruito dalla stampa in tutto il mondo"

Damasco (Agenzia Fides) –
Mentre le forze dell’opposizione siriana si sono macchiate di violenze, abusi, torture – come afferma un rapporto diffuso ieri dalla Ong “Human Rights Watch” – a Homs è “in corso una pulizia etnica dei cristiani”, operata da membri della “Brigata Faruq”, vicina ad Al Qaeda. Lo afferma una nota inviata all’Agenzia Fides dalla Chiesa ortodossa siriana, che comprende il 60% dei fedeli cristiani in Siria. Militanti islamismi armati – afferma la nota – sono riusciti a espellere il 90% dei cristiani di Homs e hanno sequestrato le loro case con la forza. Secondo fonti del Metropolita ortodosso, i militanti si sono recati casa per casa, nei quartieri di Hamidiya e Bustan al-Diwan, costringendo i cristiani alla fuga, senza dare loro la possibilità di prendere alcunchè dei loro beni. La “Brigata Faruq” è gestita da elementi armati di Al-Qaeda e da vari gruppi wahabiti e comprende mercenari provenienti dalla Libia e dall'Iraq.
Il Vicario Apostolico di Aleppo, Mons. Giuseppe Nazzaro commenta a Fides: “Non abbiamo fonti per confermare direttamente queste notizie, ma si può dire che tali rapporti cominciano a far crollare il muro di omertà fino ad oggi costruito dalla stampa in tutto il mondo. In questa situazione si stanno facendo strada i movimenti islamisti e terroristi”. Il Vicario ricorda con preoccupazione alcuni episodi recenti: “Domenica scorsa è esplosa ad Aleppo una automobile imbottita di tritolo, nelle vicinanze della scuola dei padri Francescani. Per miracolo è stata evitata una strage di bambini, nel Centro di catechesi della chiesa di San Bonaventura: solo perché il francescano responsabile, intuendo un pericolo, ha fatto uscire i bambini 15 minuti prima del solito orario. Altre bombe sono esplose a Damasco: sono brutti segnali per le minoranze religiose”. Sulle prospettive della situazione, il Vicario dice: “Ho fiducia che possa tornare la pace: per questo noi cristiani contiamo a pregare incessantemente”.
Intanto a Homs, raccontano fonti di Fides, stanno dando una testimonianza eroica alcuni Gesuiti rimasti in città: impegnandosi a portare conforto e aiuti umanitari a persone in stato di necessità di estrema miseria, compiono la loro missione di essere “costruttori di ponti”. I religiosi chiedono che le forze in campo si ispirino alla tolleranza, al pluralismo culturale e religioso, invitando al dialogo, rifiutando la violenza e chiedendo il rispetto della dignità umana e dei valori del Vangelo. I gesuiti in Siria sono impegnati nel servizio ai giovani, ai rifugiati, nell’istruzione di bambini e adulti, nel dialogo interreligioso, in progetti di sviluppo rurale. (PA)
(Agenzia Fides 21/3/2012)
http://www.fides.org/aree/news/newsdet.php?idnews=38727&lan=ita

Un altro pezzo di storia della Chiesa che rischia di finire cancellato per sempre.

Homs, la città simbolo del dramma siriano ha donato un papa alla Chiesa
di Giorgio Bernardelli
da Vaticaninsider 21/03/2012

Dimostranti nella città di Homs
Dimostranti nella città di Homs

Si chiamava Aniceto e fu il decimo successore di Pietro. Da quella terra arrivò anche il vescovo Nemesio, grande filosofo del IV secolo

Le immagini terribili dei corpi martoriati delle donne e dei bambini l'hanno trasformata nella città simbolo del dramma siriano. Quello che però ben pochi sanno è che Homs - la terza città più importante della Siria, dopo Damasco e Aleppo - ha una storia significativa anche dal punto di vista cristiano. Al punto da aver donato persino un Papa alla Chiesa di Roma.


Si chiamava Aniceto e fu il decimo successore di Pietro: veniva appunto da Emesa - come veniva chiamata Homs nell'antichità - e fu sulla cattedra di Pietro nel II secolo, in un periodo compreso tra il 155 e il 168. È venerato come santo e la sua festa liturgica ricorre il 17 aprile. Non è chiaro come dalla Siria fosse arrivato nell'Urbe: alcune fonti sostengono che avesse dovuto pagare con l'esilio la sua opposizione allo gnosticismo. Del resto il suo nome in greco significa «non conquistato» e il ministero di Aniceto come vescovo di Roma fu proprio contraddistinto da una ferma opposizione alle dottrine eretiche di Marcione, che aveva trovato molto diffuse. La sua guida fu quella di chi voleva ristabilire l'ordine nella dottrina, anche attraverso una particolare cura del ministero dei preti e dei diaconi. Si occupava persino del loro aspetto: il Liber Pontificalis racconta infatti che fu il Papa venuto da Homs a decretare che i sacerdoti non potessero portare i capelli lunghi.


Un altro episodio legato alla vita di Aniceto lo racconta Eusebio di Cesarea, uno dei maggiori storici del cristianesimo antico: fu durante il suo ministero sulla cattedra di Pietro che Policarpo di Smirne, grande vescovo dell'Oriente, si recò a Roma. Scopo del viaggio era discutere con Aniceto la questione della data della celebrazione della Pasqua, che già allora divideva i cristiani: Policarpo con tutto l'Oriente manteneva il 14 del mese ebraico di nisan, la data della Pasqua ebraica. Pio I, invece, il predecessore di Aniceto, aveva stabilito che la Resurrezione di Gesù fosse celebrata la prima domenica dopo il plenilunio di primavera. Neanche con un Papa siriaco si riuscì a trovare l'accordo: «Policarpo non poteva persuadere il Papa - annota Eusebio -, né il Papa persuadere Policarpo. La controversia non fu risolta, ma - precisa lo storico - le relazioni non furono interrotte». Non è chiaro se papa Aniceto sia morto davvero martire sotto l'imperatore Marco Aurelio: non si conosce nessun dettaglio sulla sua morte. Fu comunque il primo vescovo di Roma sepolto nelle catacombe di san Callisto. E lì le sue spoglie rimasero fino al 1604, quando vennero trasferite nella cappella di Palazzo Altemps, in piazza sant'Apollinare, dove tuttora riposano.


Accanto a questo Papa un'altra figura importante del cristianesimo dei primi secoli il cui nome è stato legato a quello di Homs è il vescovo Nemesio di Emesa, filosofo del IV secolo. È ricordato per il suo Peri physeos anthropou («Sulla natura dell'uomo»), il primo trattato in cui l'antropologia venne affrontata da un punto di vista cristiano; un'opera che ebbe una grande influenza sul pensiero teologico successivo, sia in Oriente sia in Occidente. Rigettando il mito platonico di un'anima separata dal corpo, Nemesio sosteneva che per comprendere davvero questo rapporto fosse necessario partire dalla Cristologia: tra anima e corpo, diceva, esiste la stessa relazione che in Cristo vede uniti nell'incarnazione il Verbo divino e la natura umana.


Al di là di questi due personaggi la vera gloria cristiana di Homs fu però legata a un altro evento prodigioso avvenuto nel V secolo: secondo un'antica tradizione, infatti, nel 452 a Emesa san Giovanni Battista apparve all'archimandrita del locale monastero indicandogli il luogo poco lontano dove era sepolta la sua testa. Nel posto dove fu rinvenuta la reliquia fu costruita la chiesa di san Giovanni Battista che per alcuni secoli fu meta di pellegrinaggi cristiani. Quando, poi, nel 637 la città fu conquistata dagli arabi metà della chiesa venne trasformata in moschea. Ma i pellegrinaggi cristiani a Emesa finirono solo nel IX secolo, quando la reliquia della testa di san Giovanni Battista fu poi trasferita a Costantinopoli.


Non significò comunque la scomparsa del cristianesimo da Homs, che qui finora era rimasto sempre una presenza significativa. Nel XX secolo - ad esempio - fu da questa città che i fedeli di rito assiro riorganizzarono la loro presenza dopo gli anni difficili della persecuzione ottomana. Lo stesso cardinale Ignace Moussa Daoud, prefetto emerito della Congregazione per le Chiese Orientali, è stato dal 1994 al 1998 archieparca di Homs prima di essere eletto patriarca di Antiochia dei Siri. Di qui la domanda inquietante: che cosa sopravviverà di questa grande storia dopo la tragedia che Homs sta vivendo in questi mesi? Le notizie diffuse qualche settimana fa da l'Oeuvre d'Orient - una ong francese particolarmente vicina alle Chiese d'Oriente -, parlavano di una comunità in fuga dalle violenze, provenienti non solo dall'esercito ma anche da alcune milizie fondamentaliste sunnite. Esiste, dunque, anche un dramma tutto cristiano dentro la tragedia di Homs. Con un altro pezzo di storia della Chiesa che rischia di finire cancellato per sempre.

lunedì 19 marzo 2012

CRISTIANI IN SIRIA: "È tempo di vivere il nostro compito e dare il nostro contributo, riappropriandoci della nostra dignità e della nostra identità"

Nunzio vaticano: Per la Chiesa in Siria è tempo di uscire all'attacco e non stare a guardare
di Bernardo Cervellera

In un'intervista con AsiaNews, mons. Mario Zenari, da tre anni nunzio a Damasco, descrive tutti gli elementi che compongono l'ingarbugliata matassa siriana. La profonda divisione fra sunniti e alawiti (sciiti) e l'odio che cresce. I cristiani troppo timidi devono impegnarsi a costruire una società dove vi sia rispetto per l'uomo e i suoi diritti, parità per le donne, uguaglianza fra tutti i cittadini, libertà religiosa e di coscienza. Essere in Siria è una missione. A Homs un sacerdote dialoga con i ribelli e con l'esercito per garantire aiuti ai poveri, salvare la vita degli abitanti, seppellire i morti che nessuno vuole toccare. In un anno di violenze sono stati uccisi almeno 800-900 bambini. La maggioranza è stata colpita in strada da sconosciuti cecchini. La Siria sta cambiando e non si torna indietro.
Damasco (AsiaNews) - "Questa è l'ora dei cristiani"; è iniziato "un nuovo processo storico in Siria" da cui non si torna indietro e "i cristiani non possono perdere questo appuntamento con la storia": parla in modo quasi concitato mons. Mario Zenari, da tre anni nunzio vaticano a Damasco, mentre ricorda l'impegno missionario dei cristiani, che è essere "come agnelli in mezzo ai lupi", ma con un'identità e un compito. Proprio perché in Siria il fossato fra le diverse componenti sociali si sta allargando sempre più, egli vede con urgenza che i cristiani escano nella società e costruiscano ponti di riconciliazione, difendendo i valori tipici della dottrina sociale detla Chiesa: dignità umana, rifiuto della violenza, uguaglianza fra uomo e donna, le libertà fondamentali, libertà di coscienza e di religione, la separazione fra religione e Stato. " È urgente - dice - uscire all'aperto, all'attacco e non stare a guardare". Mons. Zenari, 66 anni, racconta storie di ordinario eroismo di alcuni sacerdoti rimasti a Homs durante questo mese di bombardamenti e violenze. Partecipando alla commozione per la tragedia dei bambini belgi uccisi in un incidente stradale in Svizzera, ricorda che in Siria sono già stati uccisi 800-900 bambini, in maggioranza colpiti "alla testa e al cuore" da sconosciuti: "La loro uccisione è un'atrocità" ed è necessario che la comunità internazionale garantisca "giustizia a questi piccoli". Ecco l'intervista completa che mons. Zenari ha rilasciato al telefono di AsiaNews.

leggi l'intervista  su ASIA NEWS
http://www.asianews.it/notizie-it/Nunzio-vaticano:-Per-la-Chiesa-in-Siria-è-tempo-di-uscire-all'attacco-e-non-stare-a-guardare-24257.html

domenica 18 marzo 2012

Intervista esclusiva a Jocelyne Khoueiry sulla situazione siriana



  Intervista esclusiva per “Ora pro Siria” a cura di Mario Villani, redattore di APPUNTI Attualità Politica Cultura


Jocelyne Khoueiry è nata a Beirut il 15 agosto 1955. Maronita, è laureata in Teologia e giornalismo. Nel 1975, allo scoppio della guerra in Libano ha preso le armi per difendere i quartieri cristiani di Beirut mettendosi al comando di un gruppo di ragazze che si sono battute con coraggio non inferiore a quello degli uomini. A partire dagli anni '80, seguendo un suo processo di maturazione interiore e di approfondimento della Fede, ha lasciato le armi ed ha fondato un'associazione mariana chiamata “La Libanaise: Femme du 31 mai” con il compito principale di promuovere la formazione cristiana della donna. L'associazione ha avuto l'appoggio delle Suore Carmelitane del convento di Harissa (tra le quali vi era allora Suor Agnes Marie de la Croix).

Da allora ha agito su tre piani:1) ha tenuto migliaia di conferenze in tutto il mondo (di cui molte in Italia) per far conoscere e comprendere la situazione del Libano e, in generale, della regione; 2) ha svolto un'incessante opera di formazione cristiana delle donne e delle ragazze che aderiscono al movimento; 3) ha avviato un'opera di assistenza morale materiale a famiglie in difficoltà, con particolare riguardo per i bambini. A tal fine ha costituito un centro, dedicato a Giovanni Paolo II°, dove operano anche psicologi infantili e operatori sociali. Attualmente sta anche curando la ristrutturazione di un antico convento  a Jouniè che dovrebbe diventare un centro di spiritualità e ospitare pellegrini da tutto il paese. Conosce molto bene la situazione siriana, anche perchè è amica di suor Agnese ed ha con lei frequenti contatti.


Le ho rivolto alcune domande

1) Da quello che trasmettono in media libanesi che idea Ti sei fatta sulle cause della guerra in Siria ?

I media libanesi trasmettono quotidianamente i dettagli della guerra in Siria. Da quanto ci viene mostrato possiamo constatare che vi è in corso una crisi complessa che si sviluppa a diversi livelli. Il primo è quello delle rivendicazioni di riforme concernenti la costituzione del paese, in particolare in materia di libertà e pluralità politica. Il secondo è quello degli islamisti sunniti, o almeno delle sue fazioni più estremiste, che stanno cercando di prendere il potere. Questo livello non è più allo stadio di una richiesta di riforme, ma piuttosto ha l'aspetto di un colpo di stato armato e molto violento che non fa differenza tra civili e militari e che non esita a terrorizzare la popolazione per raggiungere i suoi scopi. D'altra parte abbiamo avuto un esempio di queste agitazioni anche in Libano, nelle regioni del nord, tra l'anno 2000 e il 2008, quando le operazioni terroriste di questi gruppi, legati a quelli siriani, si sono rivolte contro reparti dell'esercito libanese.

Il terzo livello della crisi è di ordine regionale e internazionale ed è allo stesso tempo politico e confessionale. Politico perchè strettamente legato al conflitto israelo-palestinese che ha diviso la regione in due fronti: il fronte israelo americano ed i suoi alleati sunniti (paesi dei petrodollari e Giordania) che vogliono un nuovo Medio Oriente segnato dalla supremazia di Israele, una predominanza sunnita ed una pace imposta secondo le condizioni (e gli interessi) di Israele. Questo progetto prevede la neutralizzazione di tutte le potenze che possono costituire un ostacolo alla sua realizzazione e che costituiscono il secondo dei fronti di cui ho parlato.

Secondo diverse analisi della situazione siriana, ed in considerazione agli avvenimenti della cosiddetta « primavera araba », la Siria sta affrontando un'operazione multidimensionale manipolata da una volontà straniera, ormai scoperta, che ha fissato il « timing » dell'azione, finanziato la sua realizzazione, fornito le armi ed i gruppi armati che provengono dalla Libia, attraverso il territorio turco, e dal nord del Libano. D'altra parte questo spiega perchè figure pacifiche e stimate dell'opposizione ( che da tempo chiedono legittimamente una riforma ed un cambiamento del regime) hanno contestato la violenza armata e l'ingerenza straniera.

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2) Quale è la posizione della Chiesa libanese (in particolare del Patriarca Maronita Bechara Rai) sulla situazione siriana?


La posizione della Chiesa libanese, ed in particolare il Patriarca Maronita Bechara Rai prende in considerazione la totalità degli elementi che presenta la situazione. Dopo aver osservato e sperimentato le conseguenze della politica occidentale ed americana e dei suoi alleati sulla presenza cristiana in Iraq, Terra Santa ed Egitto; e dopo aver ascoltato i diversi interventi dei Vescovi orientali al Sinodo nell'ottobre 2010, i responsabili della Chiesa in Libano e in tutta la regione sono obbligati a essere più vigili nei loro giudizi che non devono andare contro la ragione ed i fatti reali. La Chiesa afferma la necessità di un cambiamento, di riforme e di un rispetto delle libertà, ma quello che sta avvenendo in Siria rischia di mandare al potere un regime teocratico e salafita che sarà molto diverso dagli slogan dietro ai quali ha nascosto le sue azioni. Un regime ideologicamente contrario alla libertà ed alle diversità culturali. La Chiesa vuole attirare l'attenzione su questo pericolo e considera che l'attuale regime ha ancora la possibilità di realizzare i cambiamenti richiesti da una grande parte del popolo siriano. Per questo la Chiesa ritiene che sia imperativo fermare la violenza, avviare un dialogo ed arrivare ad un minimo di intesa perchè una guerra civile in Siria si trasformerà immediatamente in una guerra confessionale che potrà incendiare tutta la regione e non solo il Libano.

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3) Quali possono essere le conseguenze per il Libano della crisi in Siria?

La situazione politica, economica, confessionale e della sicurezza in Libano è direttamente influenzata dalla situazione siriana. Questo spinge i responsabili libanesi a voler controllare i movimenti del traffico di armi e il passaggio di gruppi armati tra i due territori. Non mi riferisco a quella parte della classe politica libanese che attende una sconfitta del regime siriano e che è stata paradossalmente la sua alleata privilegiata, contro i libanesi liberi, quando l'esercito siriano occupava il Paese dei Cedri.

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4) Come sono i rapporti tra le comunità cristiane libanesi e quelle siriane?

I rapporti sono ottimi. Sono vissuti in uno spirito di scambio e di comunione ecclesiale e pastorale. D'altra parte le strutture dell'APECL (Assemblea dei Patriarchi e dei Vescovi Cattolici) facilita questa comunione nel quadro delle differenti attività. Noi pensiamo che questi rapporti possono costituire una realtà positiva e pacificante all'interno del conflitto. Sarà un passaggio non facile da realizzare, soprattutto nelle condizioni attuali, ma che potrebbe non essere impossibile in un futuro non troppo lontano

 Mario Villani

sabato 17 marzo 2012

Mère Agnès Mariam de la Croix intervistata alla TV francese Europe 1

IL PUNTO DI VISTA DELLA MADRE SULLA SITUAZIONE IN SIRIA
L'intervista di Jean-Pierre Elkabbach  risale al febbraio 2012, ma è ancora di estremo interesse
Traduzione in italiano a cura della Fraternità Maria Gabriella

 Jean-Pierre Elkabbach: Oggi Homs è una città ferita,  insanguinata, ripetutamente colpita ; è bombardata dall’ esercito regolare che sta battendo casa per casa. Perché Homs è tanto presa di mira ?
Madre Agnès-Mariam della Croce : E’ diventata il bastione, il simbolo della resistenza ed è anche divenuta un ghetto dove la comunità internazionale promette tantissimo  ma in realtà è incapace di portare aiuto alle persone in pericolo.
J-P E. : Perché dice ghetto ?
M.A-M : Perché è accerchiata e comincia a mancare tutto.
J-P E. : Dunque dice « il ghetto di Homs »?
M. A-M : Il ghetto di Homs, di Bab Amra più esattamente.
 J-P E. : Vuole dire che non è tutta la città che é colpita, ma i nuovi quartieri. Che ci abita ?
M. A-M : Sono ribelli a maggioranza confessionale sunnita che vi si sono nascosti per portare avanti la resistenza.
 J-P E. : E’ una svolta militare? in che cosa è diverso delle settimane precedenti dove si parlava dell’esercito che era già presente ?
M. A-M : Penso che nel passato si trattava un pò di un gioco come « il gatto e il topolino » ma niente era ancora deciso, ma si lasciava deteriorare la situazione  da entrambe le parti, mentre oggi  il semaforo verde è stato dato per annientare la ribellione.
J-P E. : E dato da chi ?
M. A-M : Penso che sia stato dato dal governo siriano.
J-P E.. : Vuole dire dal présidente Bachar el Assad ?
M. A-M : Si certo, niente si può fare senza di lui.
J-P E. : Vi sono altre città accerchiate dall’ esercito in questo momento ?
M.A-M : L’esercito accerchia città con velleità di resistenza, sia per negoziare, sia per annientare.
J-P E. : Il regime attuale della Siria è denunciato dal mondo intero, tranne che da Russia e Cina. Il regime usa la forza contro una parte del popolo. Può tenere ancora molto tempo così ?
M. A-M :Personalmente credo che il regime fondato da Hafez el Assad è già caduto, dato che il multipartitismo è già in vigore in Siria. I giovani hanno domandato che nuovi  partiti fossero fondati e si può dare la propria opinione senza esser repressi. Perché il presidente Bachar el Assad è spinto ad operare aperture verso la democrazia.
 J-P E. : Sì, è forse l’effetto della primavera araba ; ma il regime non crollerà da solo.
M.M-A : Il regime è già crollato nella sua parte ideologica.
 J-P E. : Oggi lei ritorna in Libano, luogo del suo esilio, e vedremo perché lei è esiliata. Lei ha sempre vissuto a Homs, è vero che alle quindici la città si ferma e cominciano gli spari?
M. A-M : Ho visto questo coi miei propri occhi. Questa cosa ci ricorda lo scenario della guerra civile in Libano. Homs è in gran parte simile a Beyrouth durante gli anni della guerra civile.
J-P E. : Si conosce il quartiere dove Edith Bouvier si rifugia. Il suo fotografo è riuscito a entrare in Libano a 30 chilometri di lì. Come salvare Edith Bouvier ? Come salvarla, come farla evacuare, come farla uscire di lì ? ( Nota dei traduttori : Il 1 marzo ha lasciato la Siria ed è  arrivata all'ambasciata francese a Beirut, in Libano, E. B. la giornalista ferita che era rimasta intrappolata a Homs)
M.A-M :Credo che non ci sia un altro modo che l’intervento della Croce Rossa internazionale con l’accordo della Croce Rossa siriana.
 J-P E. : Ma Damasco rifiuta di lasciare intervenire né la Croce Rossa internazionale né quella locale.
M.A-M : Bisogna veramente insistere perchè vi sia un momento di pace, di stabilità perché si possa entrare.
 J-P E. : Una sorta di cessate il fuoco..
M.A-M : Sì perfettamente.
J-P E.. Questo è ciò che domanda il governo francese e Alain Juppé.
Conosce questo tunnel di cui parlava il giornale Libération ?
M. A-M : Sì. E’ molto famoso. Sono costruzioni sanitarie, che erano usate peraltro per il contrabbando e che oggi sono davvero un mezzo di comunicazione con il mondo esterno, in particolare il Libano nord.
J-P E. : Vuole dire che conduce al Libano. E quali cose passano di lì ?
M.A-M : Allora : prima passa l’alimentazione, i medicinali, ma anche armi.
 J-P E. :.E’ questo il solo tunnel oppure ne esistono altri ?
M. A-M : Ce ne sono altri.
 J-P E. : Si dice, madre Agnès –Mariam che questa guerra è una guerra civile. E’ anche una guerra etnica e religiosa ?
M. A.M : Credo piuttosto che siamo dirigendoci verso una guerra confessionale, poiché si esacerbano da entrambe le parti inimicizie confessionali, e questo è molto male.
 J-P E. :Certo non è tanto semplice. Ma le due comunità esistevano, alaouite e sunnite, coabitavano. Oggi stanno uccidendosi, ma hanno coabitato.
M. A-M : Ecco, il tessuto sociale è stato scosso e la fiducia mutua è stata smussata. Ecco la componente. Non è tutta la popolazione, certo, ma almeno una parte della popolazone ha accettato di entrare in una mentalità di confronto confessionale.
 J-P E. : E sono tutti armati..
M.A-M : Si sono armati. Sì, purtroppo una componente è armata. Quella della resistenza, mentre  per l’altra le armi sono l’esercito del governo.
 J-P E. : E’ vero che vi sono rapimenti in ogni campo e che  si moltiplicano ?
M. A-M : Siamo stati di questo testimoni e a volte abbiamo negoziato tra le comunità religiose che purtroppo sono antagoniste. Ma attualmente quelli che vogliono fare il gioco dell’ antagonismo dico che non è la maggioranza del popolo siriano…
 J-P E. : Ma vi sono rapimenti, me lo raccontava…
M. A-M : Sono rapimenti e antirapimenti.
 J-P E. : Vuole dire…scambi ?
M. M-A : Perfettamente.
 J-P E. :…Prendo tuo padre e io vengo a cercare tuo figlio, tua sorella, la tua famiglia…
M. A-M : Ecco. Per evitare il massacro, oppure evitare una riscatto troppo oneroso.
 J-P E. :  Si mette un prezzo per ogni testa ?
M A-M : Si, tra 20.000 e 40.000 euro.
 J-P E. : Una sola persona ?!
M. A-M : Sì e si svolge nel corso di parecchi mesi e purtroppo non è stato scoperto dalla stampa.
 J-P E. : Lei stessa, ha visto i primi morti negli ospedali di Homs oppure no ?
M. A-M :Sono andata 3 volte a Homs e vi ho anche passato delle notti. Ho visto con i miei propri occhi gli ospedali di Homs pieni di cadaveri che arrivano al ritmo di 3 o 4 per ora. In una sola giornata abbiamo contato 100 cadaveri e non vi era più posto nell’ obitorio.
Erano accatastati fino  fuori. Non vi era nemmeno un posto sulle barelle.
 J-P E. : Li ha visti lei stessa ?
M.A-M :Li ho visti con i miei propri occhi e credo che le cifre che vengono diffuse sono fittizie: vi sono più morti in Siria e ciò non è riportato dalla stampa internazionale che è troppo unilaterale.
 J-P E. : Ma ogni morto ha un volto e un nome ! Si sa l’identità di chi è morto ?  
M.A-M :Ho chiesto alla Croce rossa siriana e agli ospedali sirani, soprattutto della mia diocesi, di darmi i nomi e abbiamo fatto delle liste di nomi, ci sono dei «  veri vivi » che sono divenuti dei «  veri morti », mentre le cifre anonime non dicono niente della situazione reale che prevale in Siria.
 J-P E. : Allora, Madre Agnès-Mariam, dicevo poco fa, lei è un personaggio abbastanza controverso, lei è in esilio in Libano. Il suo nome è su delle liste nere, lei è minacciata di morte, da chi ?
M. A-M :Attualmente credo che la minaccia viene da ogni parte, perché quando si entra nella sfera pubblica, si trova sempre qualcuno che cerca di utilizzarti.
 J-P E. : I ribelli e i rivoltosi di una parte, ma anche il regime di Bachar el Assad ?
M. A-M : Sì certo,  forse non direttamente, ma vi sono sempre manovre che potrebbero essere usate per fare luce su dei cristiani che sono in pericolo e allora potremo essere presi di mira.
 J-P E. : Lei sa che diverse voci circolano a proposito della sua persona ?
M. A-M : Sì
 J-P E. : Si dice che era vicina al regime di Damasco, di Bachar el Assad e di sua moglie.
M. A-M . Purtroppo, mi dispiace.
 J-P E. : Si dice , oppure è la verità ?
M. A-M : No, non è la verità. Si fa di me una caricatura. Non si capisce niente della mia azione e non voglio giustificarmi. I fatti diranno ciò che faccio e perché lo faccio.
 J-P E. : Ma si criticano per esempio, i suoi contatti con i servizi segreti siriani,
M. A-M :…Sa che in Siria con 23 milioni di abitanti, sono ben la metà nei servizi segreti ! Se parlo con il negoziante, lo è forse…e va forse a dare informazioni.
 J-P E. : Ma adesso, lei è favorevole  alla caduta reale di Bachar el Asaad ?
M.A-M :Sono favorevole a questo : che il popolo siriano sia ascoltato nella sua totalità e decida egli stesso del suo avvenire senza che vi siano ingerenze intempestive che non fanno che  aggravare la situazione.
 J-P E. :Ma questo si può fare se Bachar el Assad  rimane al suo posto ?
M. A-M : Io domando che vi sia davvero una posizione responsabile per fermare l’effusione di sangue.
 J-P E. :Su domanda di France2 , lei aveva aiutato Gilles Jaquier e la sua equipe d’ «envoyé spécial » a ottenere dei visti d’ingresso a Damasco e a Homs. Non l’ha accompagnato a Homs. Il governo e l’esercito siriano sapevano dove era la stampa ?
M. A-M : Quel giorno, no. Perché erano entrati senza voler essere accompagnati e sono arrivati al luogo dove sono stati bombardati, dunque da persone armate non identificate, sono arrivati per caso.
 J-P E. : E’ caduto in una trappola ?
M. A-M : No, era una manifestazione pro regime che è stata  bersaglio di un attacco.
 J-P E. : Si sente, lei che l’ha sostenuto ma non accompagnato, in parte responsabile ?
M. A-M : No, no, no, credo che Gilles Jaquier è arrivato lì per caso e poi ha davvero condiviso  il destino di una popolazione che è stata quotidianamente bombardata.
 J-P E. : Spero che la sua famiglia e la Francia conosceranno presto la verità.
Lei pensa che bisogna  consegnare le armi ai ribelli?
M. A-M . No. Sono contro. Alla signora Hillary Clinton, dico che non bisogna consegnare delle armi ma fermare l’effusione di sangue.
 J-P E. : Ma quale è la soluzione ?
M. A-M : La soluzione è il dialogo e il pluralismo in Siria e lasciare il popolo siriano decidere di se stesso.

TRADUZIONE :Fraternità Maria Gabriella

venerdì 16 marzo 2012

ANNIVERSARIO: MILIONI DI SIRIANI NON VOGLIONO LA RIBELLIONE VIOLENTA AD ASSAD

16 marzo 2012: Nell'imminente pericolo di un intervento armato ONU o del sostegno occidentale ai gruppi ribelli armati, ascoltiamo la volontà del popolo siriano

Millions of Syrians Stress Support to Reform Program, Adherence to Syrian Leadership
Mar 16, 2012

PROVINCES, (SANA) - In a national scene conveying a message to the whole world of the Syrian people's commitment to national unity away from foreign interferences and dictates, millions of Syrians on Thursday streamed into the homeland's streets and squares throughout the provinces in a global march for Syria.
Waving Syrian flags and banners with national slogans on them, the jubilant participants voiced rejection of foreign interference in the Syrian people's internal affairs and support to the comprehensive reform program led by President Bashar al-Assad to build the renewed Syria.
The reverberating echoes of pro-Syria and pro-leadership chants were heard all through the Umayyad square in Damascus, and Saba Bahrat Square in Deir Ezzor, Saadallah al-Jaberi Square in Aleppo, al-Mohafazeh Square in Lattakia and al-Raqqa, along the cornice in Tartous, the President Square in Hasaka, al-Baladieh in Misyaf, the main street of Salhab, the Post roundabout in Daraa and the neighborhoods of al-Zahra, al-Nuzha, al-Hadara and al-Sheirat in Homs.
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Syrian Communities Worldwide Stress Support to Reforms, Rejecting Foreign Interference in Syria's Affairs

English Bulletin

Perché alla primavera non segua l’inverno

Dall' Osservatore Romano del 16 marzo 2012

Intervista ad Al Jazeera del cardinale Tauran

ROMA, 15. Se i cristiani saranno costretti ad abbandonare il Medio Oriente sarà una «tragedia»: è uno scenario di desolazione che va assolutamente scongiurato quello che il cardinale presidente del Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso, Jean-Louis Tauran, delinea in un’intervista ad Al Jazeera, l’emittente televisiva più seguita nel mondo islamico.

Un’occasione inedita per affrontare temi spinosi come le persecuzioni religiose e l’esodo dei cristiani dal Medio Oriente, la complessa situazione dei Luoghi Santi, come pure le prospettive della cosiddetta Primavera araba e l’intolleranza verso i musulmani immigrati in Europa, dove lo «scontro di civiltà » rischia di diventare uno «scontro di ignoranze».

I contenuti dell’intervista, realizzata il 24 febbraio scorso a Roma dal giornalista saudita di nazionalità britannica Sami Zeidan, sono stati anticipati oggi sul «Corriere della Sera» da Marco Ventura, il quale sottolinea come sia «la prima volta che un ministro della Curia si rivolge all’universo arabo-musulmano in un faccia a faccia televisivo». In pratica, «una svolta comunicativa» afferma Ventura.

La parte centrale dell’intervista — che da sabato andrà in onda per tre giorni nel programma «Talk to Al Jazeera» e sarà accessibile gratuitamente sul sito (http: // english. aljazeera. net/ programmes/ talktojazeera) — riguarda le violenze subite dai cristiani in diversi Paesi. Spariranno, dunque, le comunità cristiane dal Medio Oriente? «I cristiani — dice il cardinale nell’intervista secondo le anticipazioni del quotidiano italiano — condividono il destino dei popoli di quella regione e dove non c’è pace, la gente soffre.

Damasco, un anno di rivolte. I cristiani nel Paese diviso

AsiaNews - 15/03/2012 12:53

di Nabil Hourani*

L'Iran porta "aiuti sanitari" a Damasco. Arabia saudita e Qatar vorrebbero armare i ribelli. Ma intanto il Paese è sbriciolato. Un testimone, sacerdote cattolico, racconta l'odio e la paura che cresce fra le comunità, ma anche i segnali di collaborazione fra cristiani e musulmani nell'aiutare i colpiti. Le Chiese divise fra un appoggio cieco ad Assad e un'opposizione non violenta per far maturare uno Stato di diritto, dove cristiani e musulmani sono uguali davanti alla legge.

Damasco (AsiaNews) - Il 15 marzo di un anno fa le strade di Damasco si sono affollate per esigere anche in Siria i cambiamenti che la "primavera araba" stava portando in Nord Africa e nel Medio oriente.  Giorni dopo a Deraa vi sono state proteste per la tortura e l'uccisione di alcuni bambini, colpevoli di aver scritto sui muri slogan anti-Assad.

Da lì è iniziato il confronto sempre più duro fra l'esercito e molta parte della popolazione in varie città della Siria, fino al bombardamento durato un mese della città di Homs. Dopo un anno di proteste, la Siria è profondamente divisa da violenze molto vicine alla guerra civile. Perfino l'opposizione è sbriciolata in militari disertori, gruppi politici all'estero, gruppi politici all'interno. Il governo di Assad attua un disegno spietato contro tutti, mentre offre correzioni attraverso un referendum costituzionale e il lancio di nuove elezioni. Intanto i morti, secondo l'Onu sono almeno 8500 e sono migliaia i profughi in Turchia e in Libano. Il problema è pure che la Siria è divenuto un caso internazionale, uno scacchiere su cui combattono diversi interlocutori i cui interessi poco hanno a che fare con i bisogni della popolazione.  L'Iran difende a spada tratta il suo alleato e oggi ha fatto giungere al governo degli "aiuti sanitari" attraverso la Croce rossa siriana. Arabia saudita e Qatar vogliono il cambiamento di regime e il contenimento dell'influenza iraniana e per questo sono pronti ad armare i ribelli. Il Consiglio di sicurezza dell'Onu è diviso, con Russia e Cina che appoggiano Assad per frenare l'influenza degli Stati Uniti nella regione. I cristiani, talvolta timorosi di fronte al regime, temono la sua caduta, che verrebbe sostituita da un governo fondamentalista islamico. Ciò non toglie che molti di loro, pur non imbracciando le armi, sostengono una trasformazione non violenta della società siriana. La testimonianza che presentiamo sotto, mostra che proprio la divisione e le ferite della popolazione è il nuovo campo di missione della Chiesa in Siria. Per ragioni di sicurezza, l'autore viene designato con uno pseudonimo.

giovedì 15 marzo 2012

ANNIVERSARIO. Un anno dopo l’inizio della crisi siriana

Un testimone racconta....  Intervista di Silvia Cattori

L’ingegnere di cui abbiamo raccolto la testimonianza viveva nella città di Homs fino a che, nel giugno 2011, terrorizzato dagli orrori commessi nel suo quartiere, è fuggito dalla città con la famiglia per rifugiarsi presso i genitori in un villaggio vicino. Le sue affermazioni in questa intervista con Silvia Cattori contraddicono tutti i resoconti comparsi sui nostri principali media. Non divulgheremo il nome dell’intervistato per proteggerlo.

Silvia Cattori: La città di Homs, il quartiere di Baba Amro, sono stati oggetto di numerosi reportage di giornalisti entrati illegalmente in Siria, «nel cuore dell’esercito siriano libero». Vorremmo conoscere il vostro punto di vista su quanto è accaduto a Homs da un anno a questa parte.
Risposta: Sono originario di Homs. Vivevo nel quartiere di Bab Sebaa. A metà aprile del 2011, gruppi di persone hanno cominciato a riunirsi pacificamente nel centro di Homs, sulla via Al-Kowatly, per chiedere riforme. Ben presto, però, la gente ha cominciato a sospettare di queste manifestazioni, c’era qualcosa di strano, di poco chiaro: taluni avevano comportamenti provocatori, estranei al sentire comune del nostro paese, ad esempio lanciavano slogan che incitavano alla Jihad. Molto rapidamente tutte le persone che conoscevo hanno smesso di manifestare, non si sentivano più a loro agio e concordi con questo genere di proteste del venerdì, all’uscita dalle moschee.
A giugno sulla strada di Hadara [a Bab Sebaa], sono stati ritrovati una quindicina di corpi di alauiti, fatti a pezzi, teste e membra tagliate, con un cartello: « vendita carne ». Sconvolti da questo eccidio, degli alauiti hanno incendiato dei negozi appartenenti a sunniti. Persone raccontavano di atti orribili di cui erano stati testimoni. Macchine di alauiti sono state date alle fiamme. L’inquietudine montava. A quel punto alauiti e cristiani hanno cominciato a marcare i loro negozi e macchine con delle croci ben visibili. Un giorno ho visto sotto il cofano di un camion, appartenente a sunniti, un carico di armi e munizioni. Ho visto sunniti armati sparare contro alauiti, sparare all’impazzata per uccidere. Si udivano di continuo detonazioni, spari, e le urla « Allah Akbar ». I miei bambini erano turbati, avevano paura. Così ho preso la decisione di lasciare Bab Sebaa e con la mia famiglia mi sono rifugiato dai miei genitori, in un villaggio vicino Homs.
Non avevamo mai visto questo genere di cose in Siria. Fino ad allora avevamo vissuto in perfetta armonia, non c’era mai stato nessun problema tra Siriani di diverse religioni. Per la prima volta ho sentito parlare di salafiti...
Sono tornato a Bab Sebaa due volte, a luglio e agosto. Il quartiere si stava svuotando, lentamente stava cessando di vivere. La maggior parte delle famiglie è fuggita, i bambini non c’erano quasi più, le scuole sono state chiuse. Poche famiglie sono rimaste solo perché non sapevano dove andare. L’ultima volta sono tornato a novembre. Homs era ormai diventata una città fantasma. Nessuno osava più avventurarsi in certi quartieri, la città era morta.
Silvia Cattori: Anche i sunniti sono stati perseguitati? Anche loro erano fuggiti?
Risposta: Sì, certamente. La grande maggioranza dei sunniti si è opposta a questi estremisti ed era contraria alle milizie armate. Il mio medico era sunnita e non era d’accordo con la loro violenza, ne aveva paura. Andava a pregare in moschea ma non partecipava alle manifestazioni. Poco a poco tutti i suoi pazienti sunniti hanno cominciato a disertare il suo studio. Si è sentito minacciato e ha lasciato Homs. Nella via dove abitavo solo due famiglie sunnite sono rimaste. I Siriani che sostengono gli oppositori armati sono una piccola minoranza. Gli oppositori armati hanno comportamenti inumani che spaventano gli stessi sunniti, non solo i cristiani o gli alauiti.
A maggio, Fadi Ebrahim, un giovane sunnita di 25 anni, è stato visto mentre scattava delle foto, cosa che era stata proibita dai miliziani, ed è stato rapito. Tempo dopo il suo cadavere è stato ritrovato in mezzo alla spazzatura a Bab Sebaa, nel mio quartiere.
Silvia Cattori: Temporalmente, a quando risale la rottura tra questa minoranza di manifestanti e la popolazione inquietata dai loro comportamenti?
Risposta: Credo fosse la fine di aprile quando la grande maggioranza delle persone, tra cui moltissimi sunniti, ha smesso di manifestare con loro. Solo i più fanatici hanno continuato ad andare a queste manifestazioni che partivano il venerdì dalla moschea. Sunniti che si erano rifiutati di manifestare sono stati rapiti, taglieggiati, uccisi. Queste manifestazioni anti-Bashar el-Assad non hanno mai raccolto più di qualche migliaio di persone, ma hanno beneficiato di una enorme risonanza mediatica all’estero.
Poco a poco si è preso coscienza del vero pericolo che correva il nostro paese. Certamente il timore che un intervento esterno facesse accadere anche a noi ciò che era successo al popolo libico, ha contribuito. A quel punto sono cominciate grande manifestazioni di milioni di persone in tutto il paese a sostegno di Assad, che chiedevano un cambiamento progressivo e pacifico, e soprattutto si opponevano a qualunque intervento straniero.
Silvia Cattori: Suoi parenti hanno subito violenze di cui ha la prova che siano state commesse dalle milizie armate?
Risposta: Sì. Due cugini della famiglia di mia moglie, originari di Al Qusayr, un villaggio vicino Homs abitato da cristiani e sunniti. Il primo, un ingegnere di 24 anni, è stato ucciso nel febbraio del 2012 mentre usciva da casa sua. L’altro, di 30 anni, è stato rapito dieci giorni fa e poi ritrovato impiccato ad un albero. È proprio ad Al Qusayr che l’esercito regolare si sta concentrando ora per sgominare i ribelli.
Dal lato della mia famiglia, in dicembre, un cugino di 33 anni è stato rapito a Baba Amro. È stato ritrovato due settimane dopo tra la vita e la morte a causa delle torture che aveva subito. È rimasto in ospedale per due mesi. Altri tre uomini erano stati presi con lui. Ad uno di loro, sunnita, hanno straziato le gambe. Gli altri due erano alauiti: sono stati sgozzati. Pensiamo che nostro cugino non sia stato ucciso perché è cristiano.
A gennaio, un mio vicino - l’unico che era rimasto a Bab Sebaa con la famiglia - mentre usciva dal suo palazzo in compagnia della figlia per accompagnarla all’università, è finito sotto il fuoco di cecchini. Lui è rimasto ucciso sul colpo, la figlia ferita.
Silvia Cattori: Vorremmo davvero capire chi sono questi che sgozzano, torturano, rapiscono. Nel caso di suo cugino, ad esempio, lui è tornato, cosa ha potuto testimoniare?
Risposta: Lui e i suoi amici sono stati fermati all’entrata del quartiere di Baba Amro ad un posto di blocco militare da uomini mascherati che indossavano uniformi dell’esercito regolare. Hanno mostrato i loro documenti ai militari dicendo di essere dalla loro parte, gli uomini mascherati li prendevano in giro, dicevano: « Sì, sì, lo vediamo che siete nostri amici...! ». A quel punto hanno capito che quegli uomini mascherati erano miliziani dell’«Esercito libero» (ESL). Qui da noi, dal nome e dalla regione di provenienza, si può capire a che religione si appartiene. Gli uomini mascherati hanno immediatamente sgozzato i due alauiti. Poi hanno torturato alle gambe il sunnita ma l’hanno liberato dopo aver minacciato la sua famiglia. Mio cugino è stato portato via, gli dicevano che sarebbe stato liberato se veniva pagato un riscatto. Sono cominciati dei negoziati tra i miliziani e le forze governative per ottenere il suo rilascio. Come dicevo, è stato ritrovato due settimane dopo in uno stato spaventoso.
Silvia Cattori: Credo a quanto mi racconta, ma i nostri media - facendo affidamento sui resoconti di giornalisti entrati illegalmente in Siria - imputano sistematicamente al governo di el-Assad gli atti barbari che lei attribuisce agli estremisti sunniti. Come può capire il pubblico da che parte sta la verità?
Risposta: Le violenze e gli orrori che subiamo da ben un anno sono commessi dalle milizie. Conosciamo il nostro popolo; la nostra gente, i nostri soldati, non sono violenti. Fanno ciò che possono. Rischiano la vita per proteggerci da queste milizie armate che rapiscono, taglieggiano, uccidono. Più di 3.000 soldati sono morti nel corso dell’ultimo anno.
La situazione è diventata crudele, la vita quotidiana dei Siriani è sconvolta dal caos e dall’insicurezza provocata da queste milizie. È duro, molto duro, vedere le persone costrette ad andarsene, il popolo cadere nella miseria. Molti hanno perso il lavoro. Le sanzioni dell’Onu aggravano la situazione.
Silvia Cattori: Abbiamo appreso ascoltandola che Baba Amro era un quartiere abbandonato dai suoi abitanti da molto tempo. Nessuno dei nostri media ha raccontato questo. Quando l’esercito ha dato l’assalto all’ESL [Esercito Siriano Libero], quindi, non c’erano civili presi in ostaggio, come pretendeva l’informazione nostrana?
Risposta: Mio fratello è rientrato due volte a Baba Amro nel mese di novembre per trasportarvi delle merci. Ci ha raccontato che la quasi totalità degli abitanti aveva lasciato il quartiere, che tutto era stato distrutto, i negozi erano chiusi. C’era ancora acqua ed elettricità, ma pochissime persone; cento o duecento famiglie al massimo. Si pensi che a Baba Amro vivevano 90.000 persone prima dell’arrivo delle milizie armate.
Silvia Cattori: Quante persone sono fuggite da Homs?
Risposta: La grande maggioranza degli abitanti di Homs e dei sobborghi della città è scappata [4]. Penso diverse centinaia di migliaia di persone. Quando sono tornato a Bab Sebaa a novermbe, nella via dove abitavo solo due famiglie, su cinquecento, erano ancora lì. Tutti sono scappati, cristiani, sunniti, alauiti.
Silvia Cattori: Quando ha sentito che i combattenti dell’ESL erano stati cacciati da Baba Amro, cosa ha provato?
Risposta: Un grande sollievo. Da tempo aspettavamo l’intervento dell’esercito. Le immagini mostrate durante l’assalto di febbraio possono far credere che sia stato l’esercito governativo a distruggere Baba Amro. Ma come ricordavo prima, Baba Amro era stato stato distrutto molto prima dalle milizie.
Silvia Cattori: A Baba Amro ora la popolazione può rientrare, i gruppi armati sono stati cacciati. Che ne è degli altri quartieri?
Risposta: Uno dei quartieri più problematici, ora, è quello di Al Hamidia. Vi si trova una piccola minoranza di sunniti. I cristiani che vi sono rimasti hanno passato dei momenti molto duri. Sono stati vittime di aggressioni, furti, rapimenti, da mesi ormai. La gente non osava più uscire di casa. L’esercito non poteva andare in loro aiuto perché i miliziani controllavano le vie di accesso, avevano occupato le case dei cristiani e li tenevano in ostaggio.
L’unico quartiere di Homs da cui la gente non sia fuggita in massa è quello di Akrama [come invece nel caso di Al Hamidia]. È ad Akrama, dove cristiani e alauiti sono in maggioranza, che le persone in cerca di maggiore sicurezza cercavano di trovare un alloggio. Gli abitanti si sono organizzati per proteggersi. Qui gli abitanti si sentivano più sicuri rispetto le altre zone di Homs, almeno fino a gennaio.