Ringraziamo TV2000 per questo bel reportage, veritiero e commovente, che documenta la tragedia, la resistenza , la forza del popolo e della Chiesa di Aleppo
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martedì 5 settembre 2017
sabato 2 settembre 2017
100 milioni di dollari all'anno il ricavo dell'ISIS per il contrabbando di antichi reperti dall'Iraq e dalla Siria
di Callum Paton
I
jihadisti dello Stato islamico (ISIS) ricavano annualmente fino a 100
milioni di dollari trafficando le antichità rubate dall'Iraq e dalla
Siria e vendendole sul mercato nero. Il Wall Street Journal ha
riferito che, mentre non è stato possibile calcolare una cifra
precisa sull'ammontare delle entrate generate per l'ISIS dal
commercio degli artefatti, un funzionario francese della sicurezza non nominato, ipotizza che sia di circa 100 milioni di dollari. Le
stime provenienti da altre fonti variano da poche decine di milioni
in su.
Il
commercio di oggetti rubati dall'Iraq e dai siti storici della Siria
è diventato importante per l'ISIS, in quanto il territorio da esso
controllato, e come conseguenza la sua capacità di contare sui
ricavi petroliferi, diminuisce. "L'ISIS sta intensificando
questa linea di traffico per compensare la perdita dei ricavi
petroliferi", ha dichiarato a un quotidiano un funzionario
francese della sicurezza. Per molti affaristi siriani e
contrabbandieri, provati dalla "guerra civile" di sei anni,
la vendita di antichità è diventata una necessità. Un cosiddetto
intermediario, Muhammad Hajj Al-Hassan, ha descritto come l'ISIS
abbia invaso la sua casa in Siria e quasi lo abbia giustiziato
sospettando la sua simpatia per l'esercito siriano libero (FSA). In
seguito, con riluttanza, ha iniziato a commercializzare artefatti per
l'ISIS destinati ad acquirenti europei, su richiesta di Abu Laith
Al-Dairi, capo del gruppo che si occupa di questi reperti antichi.
L'importanza
che l'ISIS pone sul commercio delle antichità si riflette
nell'utilizzo di jihadisti stranieri da parte del gruppo per gestire
le sue operazioni. Il quadro dei combattenti internazionali è
considerato più fedele rispetto alle controparti locali. I locali
sono autorizzati da ISIS a scavare nei siti archeologici per estrarre
i reperti. I permessi erano inizialmente gratuiti, ma ora il gruppo
impone circa il 20 per cento del valore di ogni oggetto estratto.
ISIS chiede che tutti gli oggetti scoperti siano rivenduti
direttamente al gruppo militante stesso; poi raggiunge i
concessionari.
Hassan
descrive come abbia recentemente venduto due Bibbie antiche per
11.800 dollari ad un acquirente russo in una città nel sud della
Turchia. Le Bibbie provenienti dalla Siria orientale sono state poi
estradate dalla Turchia, nascoste in un camion pieno di verdure.
Hassan ha percepito una commissione del 25 per cento per mediare la
vendita. Il resto dei profitti è stato dato al commerciante che ha
trasportato le Bibbie in Turchia.
Un
altro intermediario ha descritto come abbia pagato 1.000 dollari a
una donna siriana che trasportava una statua di bronzo romana sul
confine tra la Siria e la Turchia. Il reperto proveniva da Raqqa e
potrebbe essere un falso.
Nel
mese di luglio, l'Hobby Lobby di Oklahoma City è stato multato di 3
milioni di dollari per il suo acquisto illegale di manufatti ritenuti
rubati nel 2010 e contrabbandati dall'Iraq. "Nel dicembre 2010
infatti, Hobby Lobby ha concluso un accordo per l'acquisto di oltre
5.500 manufatti, composti da tavolette e mattoni cuneiformi, sigilli
a bolla di argilla e sigilli cilindrici, per 1,6 milioni di dollari",
ha dichiarato al momento il Dipartimento di Giustizia.
"L'acquisizione degli artefatti era piena di bandiere rosse
(segnalazioni di rischio)".
trad Gb.P.
https://steemit.com/politics/@sarahabed/isis-makes-up-to-usd100-million-a-year-smuggling-ancient-artifacts-from-iraq-and-syria
giovedì 31 agosto 2017
Diario di viaggio di un gruppo di italiani in Siria
Le macerie, la distruzione della guerra. Ma anche la letizia di una comunità cristiana che non smette di sperare. Tra attività, progetti per dare una casa a giovani coppie, oratori...
Gianni Mereghetti Da Beirut il viaggio in auto per arrivare ad Aleppo è lungo. Il pericolo non si avverte, la strada è presidiata dai militari di Bashar al-Assad, ragazzi giovani ma che infondono comunque una certa sicurezza. I controlli sono superficiali, forse perché chi ci accompagna è molto conosciuto, l’impressione è che i due autisti facciano spesso questa tratta e sappiano il fatto loro. A Homs vediamo i primi segni della guerra. Attraversiamo un lago salato asciutto per arrivare alla nostra destinazione: Aleppo. I check point si infittiscono, se ne incontra uno ogni duecento metri. Si cominciano a vedere palazzi abbattuti, case sventrate, strade irriconoscibili. Dopo otto ore siamo nel cuore della città martire di questa guerra. Nella distruzione della guerra cominciamo a vedere gente che si muove: è la città che vive, che vuole continuare a vivere dopo l’orrore della guerra.
Arriviamo nella parrocchia dei Francescani e ad accoglierci c’è padre Ibrahim Alsabagh, insieme ai i suoi collaboratori. Ci colpisce subito ritrovare il sorriso che in questi anni abbiamo visto tante volte stampato sulla faccia di padre Ibrahim, sui volti delle persone che incontriamo. È il primo contraccolpo dei quattro giorni che passeremo ad Aleppo, un viaggio che don Luciano e don Andrea hanno voluto intraprendere, rispondendo a un invito di padre Ibrahim e alla grande amicizia coltivata in questi anni con lui, a cui si sono aggiunti anche Angelo, Paolo e Matteo.
Come è possibile che, in un luogo in cui si percepisce l’incombere della morte, sia presente una letizia più forte della distruzione provocata dalla guerra? Non abbiamo dovuto aspettare molto per trovare una traccia della risposta. Dopo aver pranzato, padre Ibrahim ci ha portato alla distribuzione dei pacchi alimentari per la comunità armena e lì, sui volti dei volontari, abbiamo rivisto la stessa letizia.
La distribuzione dei pacchi alimentari è certo la condivisione del bisogno di tante famiglie povere, ma ciò che muove questa risposta non è il loro pur encomiabile impegno, ciò che muove la risposta è la Presenza reale di Gesù. È l’esperienza dell’unità della fede, della sua capacità di abbracciare l’uomo per i bisogni che sente.
Con l’abbraccio alla Comunità armena e con il gesto di preghiera con cui inizia la distribuzione dei pacchi alimentari, padre Ibrahim ci fa cogliere la portata educativa di questo gesto: non come puro dare ma come capacità di attingere al Suo sguardo d’amore. Ogni giorno all’Oratorio dei francescani viene fatta la distribuzione dei pacchi alimentari e ogni giorno si coglie che sta accadendo qualcosa di più della pura distribuzione di viveri, sta accadendo il Suo amore, quello sguardo di cui ha bisogno tutta questa gente. Qui ad Aleppo incontriamo lo stesso metodo delle prime comunità cristiane, la certezza che Gesù abbraccia tutti e tutto, e per farlo non gli basta la sua potenza che pur avrebbe, domanda la nostra libertà.
Quando padre Ibrahim è arrivato, in parrocchia non c’era praticamente nulla. Poi, le diverse esigenze che sono emerse, come la gestione dei pacchi alimentari, l’aiuto a non cadere vittime delle banche, la ricostruzione di appartamenti e l’organizzazione dell’oratorio estivo, hanno fatto diventare la parrocchia un luogo vivo, un centro di assunzione del bisogno, ancor prima, una comunità cristiana.
Con padre Ibrahim siamo andati a vedere il centro della città, devastato dalla violenza degli jihadisti e dell’Isis: una operazione di devastazione sistematica, non è rimasto in piedi se non un cumulo di macerie. L’abbiamo guardata passo dopo passo e, ad ogni nuovo angolo che si apriva e che ci portava a vedere nuove macerie, ci sentivamo assediati da un’angoscia profonda, come la percezione che non fosse possibile ricostruire. Invece padre Ibrahim proprio nel cuore della città devastata ci ha fatto vedere in due momenti che la ricostruzione è già in atto, che la città sta rifiorendo.
Il primo è quello del sostegno che la parrocchia dà a chi vuol iniziare un nuovo lavoro. Abbiamo visitato un forno per fare i biscotti, una sartoria, un bar. Il metodo di questi progetti è semplice: la parrocchia sostiene economicamente l’inizio senza chiederne la restituzione, chiede solo che chi ha ricevuto questo aiuto possa proseguire con le sue energie e diventando sempre più protagonista.
Il secondo progetto è quello della ricostruzione di case, con lo scopo di convincere i cristiani a rimanere anche in questi quartieri rasi al suolo. È un giovane ingegnere, Noubar, ad accompagnarci tra le macerie il miracolo di appartamenti rimessi in piedi. Padre Ibrahim ci ha fatto conoscere le giovani famiglie e i fidanzati che sta seguendo in questo momento così difficile della ricostruzione. Queste giovani coppie hanno bisogno di una casa e di un lavoro, è di questo che bisogna occuparsi in primo luogo.
Padre Ibrahim ci porta a vedere il cimitero latino che stanno mettendo a posto e dove stanno cercando di mettere un nome su tutte le tombe. Perché è importante sfondare il muro di separazione che divide i vivi dai morti.
Nel Collegio dei Francescani, 800 bambini assieme ai loro genitori hanno vissuto un momento di festa per la conclusione dell’oratorio estivo. Le due ore di festa con canti, balli, rappresentazioni ci hanno commosso profondamente, perché ci hanno testimoniato un fiotto di vita, un fiotto che scorreva con tanta freschezza e inarrestabile energia.
Nel dialogo con il Vicario apostolico di tutta la Siria, Georges Abou-Khazen, e nell’incontro con le suore di Madre Teresa di Calcutta che vivono nel vicariato, è emerso in modo chiaro che la Chiesa fa rivivere l’umano, arrivando con la forza dello Spirito dovunque e ridando una speranza che sembrerebbe altrimenti impossibile.
È una forza che innanzitutto impatta con il nostro cuore, che dell’unità di vita che c’è ad Aleppo ha tanto bisogno.
https://it.clonline.org/news/attualit%C3%A0/2017/08/31/diario+di+viaggio+siria+aleppo+padre+ibrahim
Arriviamo nella parrocchia dei Francescani e ad accoglierci c’è padre Ibrahim Alsabagh, insieme ai i suoi collaboratori. Ci colpisce subito ritrovare il sorriso che in questi anni abbiamo visto tante volte stampato sulla faccia di padre Ibrahim, sui volti delle persone che incontriamo. È il primo contraccolpo dei quattro giorni che passeremo ad Aleppo, un viaggio che don Luciano e don Andrea hanno voluto intraprendere, rispondendo a un invito di padre Ibrahim e alla grande amicizia coltivata in questi anni con lui, a cui si sono aggiunti anche Angelo, Paolo e Matteo.
Come è possibile che, in un luogo in cui si percepisce l’incombere della morte, sia presente una letizia più forte della distruzione provocata dalla guerra? Non abbiamo dovuto aspettare molto per trovare una traccia della risposta. Dopo aver pranzato, padre Ibrahim ci ha portato alla distribuzione dei pacchi alimentari per la comunità armena e lì, sui volti dei volontari, abbiamo rivisto la stessa letizia.
La distribuzione dei pacchi alimentari è certo la condivisione del bisogno di tante famiglie povere, ma ciò che muove questa risposta non è il loro pur encomiabile impegno, ciò che muove la risposta è la Presenza reale di Gesù. È l’esperienza dell’unità della fede, della sua capacità di abbracciare l’uomo per i bisogni che sente.
Con l’abbraccio alla Comunità armena e con il gesto di preghiera con cui inizia la distribuzione dei pacchi alimentari, padre Ibrahim ci fa cogliere la portata educativa di questo gesto: non come puro dare ma come capacità di attingere al Suo sguardo d’amore. Ogni giorno all’Oratorio dei francescani viene fatta la distribuzione dei pacchi alimentari e ogni giorno si coglie che sta accadendo qualcosa di più della pura distribuzione di viveri, sta accadendo il Suo amore, quello sguardo di cui ha bisogno tutta questa gente. Qui ad Aleppo incontriamo lo stesso metodo delle prime comunità cristiane, la certezza che Gesù abbraccia tutti e tutto, e per farlo non gli basta la sua potenza che pur avrebbe, domanda la nostra libertà.
Quando padre Ibrahim è arrivato, in parrocchia non c’era praticamente nulla. Poi, le diverse esigenze che sono emerse, come la gestione dei pacchi alimentari, l’aiuto a non cadere vittime delle banche, la ricostruzione di appartamenti e l’organizzazione dell’oratorio estivo, hanno fatto diventare la parrocchia un luogo vivo, un centro di assunzione del bisogno, ancor prima, una comunità cristiana.
Con padre Ibrahim siamo andati a vedere il centro della città, devastato dalla violenza degli jihadisti e dell’Isis: una operazione di devastazione sistematica, non è rimasto in piedi se non un cumulo di macerie. L’abbiamo guardata passo dopo passo e, ad ogni nuovo angolo che si apriva e che ci portava a vedere nuove macerie, ci sentivamo assediati da un’angoscia profonda, come la percezione che non fosse possibile ricostruire. Invece padre Ibrahim proprio nel cuore della città devastata ci ha fatto vedere in due momenti che la ricostruzione è già in atto, che la città sta rifiorendo.
Il primo è quello del sostegno che la parrocchia dà a chi vuol iniziare un nuovo lavoro. Abbiamo visitato un forno per fare i biscotti, una sartoria, un bar. Il metodo di questi progetti è semplice: la parrocchia sostiene economicamente l’inizio senza chiederne la restituzione, chiede solo che chi ha ricevuto questo aiuto possa proseguire con le sue energie e diventando sempre più protagonista.
Il secondo progetto è quello della ricostruzione di case, con lo scopo di convincere i cristiani a rimanere anche in questi quartieri rasi al suolo. È un giovane ingegnere, Noubar, ad accompagnarci tra le macerie il miracolo di appartamenti rimessi in piedi. Padre Ibrahim ci ha fatto conoscere le giovani famiglie e i fidanzati che sta seguendo in questo momento così difficile della ricostruzione. Queste giovani coppie hanno bisogno di una casa e di un lavoro, è di questo che bisogna occuparsi in primo luogo.
Padre Ibrahim ci porta a vedere il cimitero latino che stanno mettendo a posto e dove stanno cercando di mettere un nome su tutte le tombe. Perché è importante sfondare il muro di separazione che divide i vivi dai morti.
Nel Collegio dei Francescani, 800 bambini assieme ai loro genitori hanno vissuto un momento di festa per la conclusione dell’oratorio estivo. Le due ore di festa con canti, balli, rappresentazioni ci hanno commosso profondamente, perché ci hanno testimoniato un fiotto di vita, un fiotto che scorreva con tanta freschezza e inarrestabile energia.
Nel dialogo con il Vicario apostolico di tutta la Siria, Georges Abou-Khazen, e nell’incontro con le suore di Madre Teresa di Calcutta che vivono nel vicariato, è emerso in modo chiaro che la Chiesa fa rivivere l’umano, arrivando con la forza dello Spirito dovunque e ridando una speranza che sembrerebbe altrimenti impossibile.
È una forza che innanzitutto impatta con il nostro cuore, che dell’unità di vita che c’è ad Aleppo ha tanto bisogno.
https://it.clonline.org/news/attualit%C3%A0/2017/08/31/diario+di+viaggio+siria+aleppo+padre+ibrahim
lunedì 28 agosto 2017
La geopolitica di ISIS
Piccole Note, 28 agosto
L’Isis fa politica, anzi geopolitica, a modo suo. L’attacco a Barcellona, infatti, non sembra casuale, ma dettato dal progetto di inserire una nuova variante nel braccio dii ferro che oppone la Catalogna a Madrid. Il primo ottobre, infatti, i leader indipendentisti catalani hanno indetto un referendum per decidere la secessione dalla Spagna. Referendum dichiarato illegale dalle autorità madrilene, che però ad oggi non è stato revocato.
Un referendum che fa paura non solo a Madrid ma anche alla leadership dell’Unione europea, che lo vede come una minaccia alla stabilità del sistema.
Si sta replicando un po’ quel che accadde con il quesito sulla Brexit. Una brexit in formato ridotto, certo, ché la Catalogna non è la Gran Bretagna per importanza e per storia. E però, il solo fatto che si possa svolgere la consultazione rappresenta un’insidia, dal momento che, peraltro, si rischia un effetto emulativo. Una querelle nella quale è entrata a suo modo l’Isis, compiendo strage sulle Ramblas.
L’azione destabilizzante avrebbe dovuto sortire l’effetto opposto: la Catalogna, da sola, non può assicurare la sicurezza dei suoi cittadini: da qui la tragica incertezza di un’avventura in solitaria. Peraltro sono argomentazioni che alcuni analisti e politici, spagnoli e non, hanno usato all’indomani della strage. Una convergenza parallela, quella tra Isis e oppositori della secessione catalana, che non deve stupire: non si tratta di scomodare chissà quali complotti. L’Isis, almeno le sue menti strategiche, sa bene che la globalizzazione è un brodo di coltura ideale per le sue manovre.
Senza globalizzazione non si dà terrorismo globale. Un assioma banale, che l’Isis tiene presente quando dispiega le proprie azioni. Così oltre al solito effetto-paura, l’attentato doveva servire per fiaccare le forze indipendentiste, meglio, convincere i cittadini catalani della pericolosità del loro progetto, dal momento che il referendum indipendentista è, per quanto piccolo, un vulnus alla globalizzazione, un’operazione oppositiva al processo di integrazione mondiale.
Non è andata così, come dimostra anche il netto contrasto tra gli inquirenti catalani, gli ormai noti mossos d’esquadra, e quelli spagnoli, che hanno pubblicamente duellato. Clamorosa la smentita all’annuncio iberico che avvertiva il mondo della chiusura dell’indagine. Niente affatto, hanno replicato da Barcellona, dove gli inquirenti hanno continuato a inseguire e arrestare, mentre il Ministero dell’Interno spagnolo si stracciava le vesti per la mancanza di coordinamento tra polizia catalana e guardia civil iberica , di fatto tagliata fuori dall’inchiesta.
Insomma, l’Isis ha fatto da catalizzatore a uno scontro che si sta dipanando a vari livelli, anche se pare che la sua azione abbia sortito l’effetto contrario a quanto sperato: almeno questo indica la pubblica contestazione diretta verso le autorità spagnole e lo stesso re, giunti a Barcellona a piangere le vittime dell’eccidio.
Ma al di là del dato politico, ancora in evoluzione, va accennato a un altro particolare della strage cui si è dato poco peso. L’attentato, spiegano tutti i giornali, avrebbe dovuto svolgersi in altro modo, ovvero attraverso una serie di deflagrazioni contemporanee.
Sarebbe stata una strage epocale. Tra l’altro la distruzione della Sagrada Familia, la chiesa capolavoro di Gaudì che doveva essere investita da camion bomba, avrebbe dato all’eccidio un valore simbolico, anti-cristiano, ancora più forte.
Poco rischioso procurarsi l’esplosivo adatto: si trattava di usare allo scopo delle bombole di gas, facili da reperire senza destare sospetti; le bombole dovevano essere modificate per ottenere l’effetto desiderato, ma un qualche errore umano ha mandato all’aria tutto. E la casa-covo di Alcanar, dove erano state stipate le bombole, è saltata in aria e con lei il piano originale (purtroppo non il proposito sanguinario).
Una nuova modalità stragista, anzi antica. Già, perché è stata perfezionata in Siria, dai cosiddetti ribelli siriani. come si vede nella foto che accompagna l’articolo, che vede questi “ribelli” all’opera. Tali ordigni sono stati lanciati a migliaia sui quartieri di Aleppo controllati dal governo, massacrando civili inermi, tra cui molte donne e bambini. Cannon Hell, erano stati battezzati i meccanismi di lancio di tali ordigni, per dare un tocco di simpatia al tutto.
Tutto ciò avveniva con la benedizione dei governi d’Occidente, pronti a denunciare i crimini di Damasco, ma miopi e afoni riguardo le malefatte sanguinarie dei “loro”ribelli di fiducia, quelli impegnati a combattere contro Damasco per porre fine al governo di Assad. Un martellamento durato anni, nel silenzio più totale delle cancellerie occidentali (rotto solo dagli inascoltati presuli locali, e pochi altri, che pure hanno denunciato ad alta voce lo scempio; sul punto vedi anche Piccolenote).
Cancellerie che si sono ridestate solo quando Assad ha iniziato a riprendere i quartieri di Aleppo in mano ai macellai diletti dall’Occidente, stavolta per invocare la fine delle operazioni belliche dell’esercito siriano (cosa che dava respiro e nuova libertà di manovra ai macellai incistati nei quartieri occupati di Aleppo).
Ma questa è storia vecchia, anche se prima o poi dovrà essere scritta scevra della propaganda occidentale, che ancora oggi non si rassegna al fallimento del regime-change siriano. Quel che conta in questa sede è sottolineare che la tecnica usata dai terroristi di Barcellona è stata messa a punto e ampiamente utilizzata dai terroristi che hanno insanguinato la Siria.
Come uguali sono le reti di riferimento degli agenti del Terrore di Barcellona e di Aleppo, anche se per necessità mimetiche si nascondono sotto altre e più fantasiose sigle.
Facile concludere che le cancellerie occidentali hanno seminato vento e ora raccolgono tempesta. Il problema è che la tempesta non tocca quanti hanno contribuito ad alimentare il mostro, ma poveri civili innocenti. A Barcellona oggi come in Siria allora.
Eppure, anche di fronte all’evidenza, si negano gli errori del passato, anzi si persevera ciecamente in essi, continuando a propalare narrazioni che vedono in Assad un macellaio e nei suoi antagonisti dei paladini della libertà.
Non è solo un tragico errore storico, è anche una questione di igiene. Anzitutto mentale, ché il sonno della mente produce mostri. Ma anche igiene delle parole, che diventano non più utili alla comprensione ma alla propaganda. Tutto ciò non aiuta a contrastare il Terrore, che si anzi nutre di queste oscure ambiguità.
lunedì 21 agosto 2017
I Patriarchi cattolici d’Oriente e la fine delle comunità cristiane orientali
“Sperando
contro ogni speranza” e rimettendosi nelle mani della “giustizia
di Dio”: con questa coscienza il Consiglio
dei patriarchi cattolici d’oriente
ha pubblicato il comunicato finale della sua sessione annuale (10-11
agosto 2017), tenutosi a Dimane (nord del Libano), sede estiva del
patriarcato maronita.
Non
senza tristezza, i patriarchi rimproverano la comunità
internazionale di assistere allo spegnersi - a causa dell’insicurezza
e dell’emigrazione - l’una dopo l’altra le Chiese orientali in
Iraq, Siria, ma anche in Palestina, Libano e perfino in Egitto, senza
che la loro reazione sia all’altezza della tragedia. Essi avvertono
che se questo stato di cose continuerà, si tratterà di un vero
“progetto di genocidio” e di un “affronto contro l’umanità”.
Il
loro messaggio coincide con la pubblicazione di cifre eloquenti sulla
diminuzione dei cristiani nei vari Paesi del Medio oriente, in
particolare in Iraq, Siria e Terra santa. In quest’ultimo spazio
condiviso dal punto geografico fra Israele e i Territori occupati, i
cristiani rappresentano solo l’1,2% della popolazione; in Siria,
per il fatto della guerra scoppiata nel 2011, il loro numero è in
caduta da 250mila a 100mila, secondo statistiche recenti. E intanto
anche il patriarca dei caldei fa fatica a convincere i cristiani
della Piana di Ninive a riguadagnare il suolo natale, riconquistato a
Daesh.
In
un “appello generale” un po’ confuso, forse per essere stato
scritto a più mani, dove la speranza di mescola alle grida e ai
lamenti, i patriarchi affermano: “È tempo di lanciare un appello
profetico a testimonianza della verità… siamo invitati a restare
attaccati alla nostra identità orientale e a restare fedeli alla
nostra missione. Assumendo la cura del piccolo gregge, noi patriarchi
orientali siamo afflitti nell’assistere all’emorragia umana dei
cristiani che abbandonano le loro terre natali in Medio oriente”.
“Gli
oppressori che agiscono in piena cognizione di causa, gli insensati
che abusano del nostro pacifismo, sappiano che la giustizia di Dio
avrà l’ultima parola. Ai nostri fedeli, diciamo che ormai noi
somigliamo al lievito nella pasta, alla luce che brilla in un mondo
assetato dello Spirito vivificante. Restiamo radicati nella terra dei
padri e degli antenati, sperando contro ogni speranza in un avvenire
in cui, come componenti di un patrimonio autentico e specifico,
saremo compresi come delle fonti di arricchimento per le nostre
società e per la Chiesa universale in Oriente e in Occidente”.
“Dobbiamo
rimanere attaccati alla proclamazione della verità nella carità, e
a proclamare con coraggio la legittimità della separazione fra Stato
e religione nella costituzione delle nostre patrie, e
dell’uguaglianza di tutti per diritti e doveri, senza badare
all’appartenenza religiosa o comunitaria. Si tratta di una
condizione sine qua non perché vengano rassicurati i cristiani e gli
altri piccoli componenti nazionali”.
Appello
alla comunità internazionale
“Alle
Nazioni Unite e ai Paesi interessati in modo diretto dalla guerra in
Sira, Iraq e Palestina, noi domandiamo di fermare le guerre, i cui
obbiettivi sono ormai chiari: distruggere, uccidere, spingere
all’esodo, rilanciare le organizzazioni terroriste, diffondere lo
spirito d’intolleranza e di conflitto fra le religioni e le
culture. Il prosieguo di questa situazione e l’incapacità a
stabilire una pace giusta, globale e duratura nella regione,
assicurando il ritorno dei rifugiati e degli sfollati al loro
focolare nella dignità e nella giustizia, rimarrà come uno stigma
di vergogna per tutto il XXI secolo”.
Appello
a papa Francesco
“Al
successore di Pietro, diciamo che siamo pronti a rispondere
all’appello per la santità, seguendo il Salvatore sul cammino
della Passione. Ma ricordiamo pure che noi rappresentiamo delle
Chiese fiorite in terra d’Oriente fin dall’epoca apostolica... e
la cui esistenza è in reale pericolo”.
“Abbiamo
tutti partecipato a conferenze, seminari, fatto incontri; abbiamo
cercato di trasmettere al mondo la bruttura della sorte inflitta al
popolo cristiano. Ma non siamo una “nazione” con larghe
frontiere, o che attiri l’attenzione dei giganti della finanza; noi
siamo ormai un ‘piccolo gregge’ pacifico! Un piccolo gregge che
non conta su nessun altro che voi per invitare i grandi che
presidiano ai destini del mondo, che continuano a spingere all’esodo
i cristiani del Medio oriente e, senza dubbio, a un progetto di
genocidio, una catastrofe umana, come pure uno scacco alla civiltà e
un affronto a tutta l’umanità”.
In
Libano scuole a rischio chiusura
In
altra parte, il comunicato registra la sequenza ecumenica
tradizionale, tenutasi al primo giorno, con la presenza dei
patriarchi orientali ortodossi e la visita al capo di Stato. Come è
ovvio, i patriarchi ortodossi orientali condividono le stesse
preoccupazioni e sono di fronte alle stesse sfide.
Il
comunicato esprime anche l’inquietudine del Segretariato delle
scuole cattoliche del Libano (che accolgono il 70% della popolazione
scolastica), di fronte all’approvazione della nuova griglia
salariale di cui beneficiano gli insegnanti e che andrà a gonfiare
almeno del 20% i costi del funzionamento. Il segretariato prevede che
numerose scuole gratuite, sovvenzionate dallo Stato, specie in
provincia e nel mondo rurale, saranno incapaci di far fronte agli
aumenti e dovranno chiudere. Essi hanno dunque espresso la loro
preoccupazione nel vedere “centinaia” di insegnanti lasciati
disoccupati e domandano allo Stato libanese di supplire agli aumenti
generati.
Il
comunicato non ha mancato di presentare il Libano come un modello
democratico, che tutti i Paesi arabi dovrebbero imitare, a causa del
principio della separazione fra lo Stato e la religione; ed ha infine
domandato il ritorno degli sfollati [siriani e palestinesi - ndr]
accolti dal Libano e divenuti “un pesante fardello e una minaccia
per la sicurezza politica, economica e sociale” del Paese.
Fra
i partecipanti al raduno vi sono: i patriarchi cattolici
Béchara-Raï (maroniti); Ignace Youssef Younan III (siro-cattolici);
Joseph Absi (greco-melchiti cattolici); Ibrahim Isaac Sidrak
(patriarca emerito copto cattolico, presidente del consiglio dei
patriarchi e vescovi cattolici d’Egitto); Louis Raphaël I Sako
(caldeo); Gregorio Bédros XX (armeno cattolico); William
Shomali (rappresentante di mons. Pierbattista Pizzaballa,
amministratore apostolico del patriarcato latino di Gerusalemme).
Fra
i capi religiosi presenti alla sessione ecumenica: patriarca Youhanna
X (greco-ortodosso); patriarca Ignatius Ephrem II
(Siro-ortodosso); Catholicos Aram I ( armeno ortodosso); Salim
Sahyouni (presidente della Comunità evangelica in Siria e Libano).
venerdì 18 agosto 2017
Noi siriani e l'attentato a Barcellona: di Claude Zerez
In occasione della vacanza in Italia
dell'amico siriano Claude Zerez con la sua famiglia, gli chiediamo di
esprimere a caldo la sua reazione rispetto all'attentato di
Barcellona e lo stato d'animo dei siriani.
“Noi abbiamo vissuto quotidianamente
il problema del terrorismo e, colpiti in particolare nella mia
famiglia con l'assassinio di mia figlia Pascale da parte delle
brigate jihadiste, ci rendiamo conto di come sono dimenticate le
centinaia di migliaia di vittime del terrorismo in Siria...
Ci sentiamo solidali e viviamo nella
nostra carne la tristezza delle famiglie di Barcellona colpite dal
terrorismo, quel terrorismo cominciato in Afghanistan e che si è
propagato in tutto il mondo, ma di cui Iraq e Siria sono diventate
le basi e le fonti.
Adesso la grande domanda che ci poniamo
è se il terrorismo non è diventato il pretesto per prendere le
risorse del paesi d'Oriente. Non si può non notare
in ciò che succede in Siria che, oltre al terrorismo, il grande
problema che colpisce il popolo innocente è quello delle sanzioni.
Faccio un esempio: malgrado Aleppo sia stata liberata nel dicembre
2016, il popolo è ancora oggi privato di acqua, di elettricità,
di medicinali, di carburante. Le sanzioni occidentali ci paralizzano.
Ancora più dolorosa poi in questa
situazione è la presenza di alcune milizie corrotte legate al governo che
rubano e sottopongono la gente ad angherie innumerevoli.
Di fronte ai fatti di Barcellona, di
Nizza e tutti gli altri attentati contro la popolazione innocente noi
siamo assolutamente solidali, ma la grande domanda che ci poniamo è
come si può risolvere tutto questo: con la forza? No, bisogna ad
ogni costo fermare il conflitto e il caos che il conflitto infiamma
in Oriente. Cioè bisogna ritornare al dialogo e lasciare che sia il
popolo siriano che decide della propria sorte, perché
attualmente sono degli stranieri quelli che decidono il destino della
Siria. Lasciate il popolo siriano gestire il proprio avvenire.
Per ricostruire avremo bisogno di
riconvertire i cuori dei giovani che sono stati radicalizzati e
istruiti ad ammazzare, sgozzare, schiacciare 'gli infedeli' in nome
di Allah. Ciò evidentemente richiederà il tempo di molte
generazioni e tanto lavoro. Ma questo è importante: abbiamo persone
di buona volontà, sia musulmani che cristiani, che credono nella
convivenza, abbiamo musulmani che vengono a dire ai cristiani: “noi
abbiamo bisogno di voi, voi siete lo specchio e senza di voi l'Islam non
potrà mostrare il suo volto tollerante e la Siria mantenere il suo
volto laico”.
Riprendere il dialogo inter-siriano
spingerà i musulmani non fanatici a rigettare le ideologie jihadiste
che non rappresentano l'Islam. Noi abbiamo bisogno di musulmani che
esprimano l' Islam moderato, tollerante, che rifiuta la violenza,
perché il terrorismo trova il suo terreno fertile tra le popolazioni
incolte e più povere che credono nel riscatto attraverso lo Stato
Islamico."
Claude Zerez
lunedì 14 agosto 2017
Maria è viva per tutta l'eternità (di san Giovanni Damasceno)
Oggi l`arca santa e vivente del Dio vivo, colei che portò in seno il suo stesso Creatore, riposa nel tempio del Signore, non costruito da mano d`uomo. Davide, suo antenato e progenitore di Dio, trasale di gioia; gli angeli danzano in festa, gli arcangeli applaudono e le potenze del cielo cantano gloria... Colei che fece scaturire per tutti la vera vita, come avrebbe potuto essere soggetta alla morte? E` vero: anch`essa si piega alla legge promulgata dal proprio figlio e, come figlia del vecchio Adamo, subisce la sentenza emessa contro il padre, poiché neppure suo Figlio, che è la Vita stessa, vi si è sottratto. Ma, come madre del Dio vivente, è giusto che sia portata presso di lui.
Perché, se Dio ha detto, a proposito del primo uomo creato: Che ora non stenda la sua mano per cogliere il frutto dell`albero della vita e, gustandolo, non viva in eterno (Gen 3,22), colei che ha ricevuto in sé la Vita stessa, infinita e illimitata, la Vita che non conosce né inizio né termine, come non sarebbe viva per tutta l`eternità?
Un tempo, il Signore Dio aveva scacciato dal paradiso dell`Eden e mandato in esilio i progenitori della nostra razza mortale, che erano come inebriati dal vino della disobbedienza, avevano gli occhi del cuore appesantiti dall`ebbrezza della trasgressione, lo sguardo dello spirito oppresso dallo stordimento della colpa, ed erano addormentati nel sonno della morte. Ma ora, il paradiso non riceverà forse colei che ha infranto in sé l`impeto delle passioni e ha portato alla luce il germoglio dell`obbedienza a Dio e al Padre, dando inizio alla vita di tutto il genere umano? Il cielo non le aprirà forse con gioia le sue porte?...
Se Cristo, che è la Vita e la Verità, ha detto: Dove sono io, là sarà anche il mio servo (Gv 12,26), a maggior ragione, come non abiterà con lui sua madre?... Poiché il corpo santo e puro che in lei si era unito al Verbo divino, si levò dal sepolcro il terzo giorno, bisognava che anche lei fosse strappata alla tomba e che la madre fosse assunta presso il Figlio.
Egli era sceso verso di lei: così essa, la creatura amata sopra ogni altra, doveva essere elevata in una dimora più grande e più perfetta, nel cielo stesso (cf. Eb 9,11.24). Era giusto che colei che aveva ospitato nel suo grembo il Verbo divino si stabilisse nella dimora del suo Figlio. E come il Signore disse che egli doveva essere nella casa del Padre (cf. Lc 2,49), così era necessario che la Madre abitasse nella dimora regale di suo Figlio, nella casa del Signore, negli atri del nostro Dio (Sal 134,2). Perché, se lì è la dimora di tutti quelli che sono nella gioia, dove mai dovrebbe risiedere colei che è la causa stessa della gioia?
Giovanni
Damasceno, Homilia
II in dormitionem B.V.M.
giovedì 10 agosto 2017
Quante guerre gli USA possono condurre simultaneamente?
Con
oltre 800 basi militari in tutto il mondo, la spesa militare che
impegna fino alla metà del bilancio federale, uno stato permanente
di guerra sostenuto da una propaganda di guerra pervasiva, i membri
del Congresso cosiddetti "neocons" che sostengono, giorno
dopo giorno, ulteriori interventi militari, bombardamenti, cambi di
regime, sanzioni (di recente contro la Corea del Nord, il Venezuela,
l'Iran, la Russia e per conseguenza la Germania e la Francia), armi
consegnate per le loro guerre per procura alle forze da essi usate
(nei giorni scorsi all'Ucraina occidentale) e per i progetti di
future guerre (Iran, Corea del Nord), gli Stati Uniti d'America, la
cui economia è strettamente legata alle guerre fin dalla seconda
guerra mondiale, cercano di perpetuare il loro sistema ad ogni costo,
anche a costo di mettere in pericolo l'intero pianeta. Inoltre, come
ogni sistema capitalistico, l'apparato bellico degli Stati Uniti ne
implica la crescita. Traduzione: sempre più guerre. Ma fino a che
punto e per quanto tempo?
nota introduttiva di Entekelekhia
di
Patrick J. Buchanan
Sabato,
Kim Jong Un ha testato un missile ICBM di portata sufficiente a
colpire il territorio degli Stati Uniti. Ora sta lavorando per
migliorarne la precisione e perché possa ospitare una testata
nucleare abbastanza piccola, che possa tenere sul missile e rientrare
nell'atmosfera.
A
meno che non crediamo che Kim sia un pazzo suicida, il suo obiettivo
sembra chiaro. Vuole ciò che ogni potenza nucleare vuole: mostrare
la capacità di colpire il territorio del suo nemico con un terribile
impatto, al fine di dissuadere quel nemico. Kim vuole che il suo
regime sia riconosciuto e rispettato, e che gli USA, che hanno
pesantemente bombardato il nord dal 1950 al 1953, lascino la Corea.
Dove
porta tutto questo? Cliff Kupchan del "Gruppo Eurasia" ha
dichiarato: "Gli Stati Uniti sono di fronte a una scelta
binaria: o accettare la Corea del Nord nel club delle potenze
nucleari o rischiare un'azione militare con la certezza che si
tradurrebbe in perdite civili impressionanti. "
Diciamoci
la verità. Le sanzioni statunitensi contro la Corea del Nord, come
quelle che sono state varate la scorsa settimana non impediranno a
Kim di fare progressi con i suoi missili. E' troppo vicino al suo
obbiettivo.
Qualsiasi
attacco preventivo contro il Nord potrebbe innescare un contrattacco
contro Seul che ucciderebbe decine di migliaia di sudcoreani e anche
soldati statunitensi di stanza nel paese e le loro famiglie.
Questo
equivarrebbe a scatenare una guerra totale contro la Corea del Nord,
ed è una guerra che il popolo americano non vuole.
Sabato
scorso, il presidente Trump ha "twittato" la sua
frustrazione sui fallimenti della Cina a togliere le castagne dal
fuoco per gli USA : «non fanno NIENTE per noi con la Corea del Nord,
solo parlare. Noi non permetteremo che ciò continui. La Cina
potrebbe agevolmente risolvere questo problema. »
Domenica
scorsa, i bombardieri B-1B degli Stati Uniti hanno sorvolato la
Corea e il comandante della US Air Force del Pacifico, generale
Terrence J. O'Shaughnessy ha detto che le sue unità erano pronte a
colpire la Corea del Nord con una «forza rapida , letale e
travolgente.»
Pertanto
sempre Domenica, Xi Jinping ha passato in rivista un'imponente
parata militare di carri armati, di aerei, di truppe e di missili,
con i funzionari cinesi che deridevano Trump: "un Presidente
novizio" e un "bambino viziato" che bluffa contro la
Corea del Nord. È vero? Lo sapremo presto.
Secondo
il primo ministro giapponese Shinzo Abe, Trump ha promesso di
"prendere tutte le misure necessarie" per proteggere gli
alleati degli Stati Uniti. E l'ambasciatrice USA alle Nazioni Unite,
Nikki Haley ha mostrato gli artigli dicendo: "il tempo delle
chiacchiere è finito."
Stiamo
andando verso un confronto militare con il Nord? I mercati, che hanno
continuato a registrare i record di lunedi, non sembrano pensarlo.
Dopo
che il Congresso ha approvato con maggioranza schiacciante un altro
round di sanzioni contro la Russia la settimana scorsa, e che Trump
ha firmato la legge che lo priva di qualsiasi diritto di revocare le
sanzioni senza l'approvazione del Congresso, la Russia ha abbandonato
ogni speranza di riavvicinamento con l'America di Trump. Domenica
scorsa, Putin ha ordinato all'ambasciata e al Consolato degli Stati
Uniti di ridurre il loro staff di 755 persone.
La
seconda Guerra Fredda, iniziata quando gli Stati Uniti hanno
posizionato la NATO al confine con la Russia ed hanno aiutato i
golpisti a rovesciare il governo filo-russo di Kiev, si va
raffreddando ad alta velocità. Stiamo aspettando una risposta da
Mosca all'ostilità del Congresso, quando gli Stati Uniti avranno
bisogno di assistenza in Siria o con la Corea del Nord.
Le
sanzioni varate la scorsa settimana hanno colpito anche l'Iran, dopo
che questi hanno testato un razzo destinato a mettere in orbita un
satellite, anche se l'accordo sul nucleare vieta solo i test di
missili balistici in grado di trasportare testate nucleari. Gli
iraniani hanno perciò fermamente replicato che i loro test
missilistici sarebbero continuati.
In
questi ultimi giorni si sono viste pure navi da guerra degli Stati
Uniti e motovedette iraniane in pericolosa prossimità, con le
imbarcazioni USA che mandavano segnali di avvertimento e colpi di
intimidazione. Aerei e navi degli Stati Uniti si sono incrociati con
frequenza sempre maggiore anche con le navi e gli aerei russi e
cinesi nel Mar Baltico e nel Mar Cinese Meridionale.
Mentre
gli USA sono titubanti a iniziare una guerra contro la Corea del
nord, Washington sembra stia sbavando per una guerra contro l'Iran.
Di fatto Trump ha minacciato di denunciare l'Iran per violazione
dell'accordo sulle armi nucleari e questo suggerisce un possibile
futuro confronto.
Ma
uno si chiede: Se il Congresso è determinato a confrontarsi con quel
cattivo che è l'Iran, perché non annulla la commessa dei Mullah
iraniani per l'acquisto di 140 aerei alla Boeing? Perché gli USA
vendono aerei di linea al “più grande sponsor del terrorismo del
mondo"? Lasciano che Airbus prenda soldi insanguinati?
A
quanto pare, le guerre americane in Afghanistan, Siria, Iraq, Yemen e
Somalia non sono sufficienti a saziare il Partito della guerra.
Adesso vuole istigare i Sunniti del Medio Oriente contro gli Sciti,
che sono dominanti in Iran, Iraq, Siria e Sud del Libano e sono una
maggioranza in Bahrein e nelle regioni produttrici di petrolio
dell'Arabia Saudita.
I
militari USA avranno lavoro. Il presidente Trump potrebbe avere
bisogno di truppe transgender, dopo tutto...
Uno
dei motivi per cui Trump ha sconfitto i suoi rivali repubblicani nel
2016 era che sembrava condividere il desiderio del popolo americano
di concentrarsi sulla politica interna. Tuttavia, oggi, i rapporti
USA con la Cina e la Russia sono così cattivi come mai sono stati in
decenni, mentre si parla di guerra contro l'Iran e la Corea del Nord.
E'
questo che l'America ha votato, o è contro questo che l'America ha
votato?
Articolo
originale in Inglese apparso su Buchanan.org con il titolo: Shall We
Fight Them All? il 31 Luglio 2017
Traduzione
dall'Inglese di Gb.P.
martedì 8 agosto 2017
Mons. Abou-Khazen, da Aleppo: "Qui le sfide sono molte e complesse, ma la volontà della gente di vivere e ricostruire trionferà sulle paure e sulle difficoltà"
Comunicato di mons Georges Abou-Khazen – francescano della Custodia di Terra Santa e Vicario apostolico di Aleppo
Pochi giorni prima del Natale 2016, Aleppo è stata liberata ed unificata dopo quattro anni di guerra e violenza. Città divisa, assedio quasi totale, bombardamenti alla cieca sui quartieri che hanno seminato morte e terrore tra i civili, disoccupazione, elettricitá del tutto tagliata e atavica mancanza di risorse idriche. La liberazione della cittá da parte dell’esercito regolare ha segnato una nuova tappa nella guerra siriana: la speranza e l’incentivo di liberare dai gruppi terroristici il resto del Paese, ed in modo speciale ha allontanato la paura della divisione della Siria, nonché la possibilità di creare uno Stato moderno dove i diversi gruppi etnici e religiosi possano vivere in pace ed in armonia. Il tempo di festeggiare un evento così importante come la liberazione della città deve lasciare ora il posto alle gradi sfide che ci aspettano per il nostro futuro:
1 – Dopo aver liberato e unito tra loro i quartieri attraverso le reti viarie, è necessario ri-unire e riconciliare gli abitanti.
2 – Superare il trauma della guerra e del terrore che ha colpito tutti gli abitanti, in un modo speciale i bambini e i giovani.
3 – Dare assistenza ai minori rimasti orfani dei genitori. Le statistiche, parlano di più di duemila bambini in questa condizione; il Governo sta cercando di registrarli fornendo loro i documenti necessari.
4 – Molti bambini non hanno potuto frequentare la scuola per quattro o cinque anni. Va colmato questo vuoto di educazione e insegnamento.
5 – C’è da occuparsi di un’intera popolazione rimasta senza lavoro né soldi a causa del perdurante conflitto.
6 – Ricostruzione degli edifici sventrati, compresi i mercati della città vecchia, gli edifici pubblici e religiosi, ad esempio tutto il patrimonio delle chiese di Aleppo, distrutte o parzialmente danneggiate.
7 – A questo problema si lega la necessità di fornire un alloggio alle famiglie rimaste senza casa.
8 – Una grande sfida è quella di far tornare la fiducia nelle persone e allontanare la diffidenza nei confronti delle altre comunità etniche.
9 – Molte famiglie, dopo essere emigrate, stanno già tornando ad Aleppo. Questo fenomeno va incentivato, aiutando chi aveva un’attività a ricominciare.
10 – All’interno della comunità cristiana ci stiamo ponendo interrogativi sul nostro futuro. Una cosa è certa: la Chiesa in Aleppo e in tutta la Siria non sarà più la stessa. Questo conflitto ha creato un prima e un dopo. Ad Aleppo stiamo pensando di organizzare un Sinodo inter-comunitario che coinvolga tutti i riti cattolici presenti nella città (sei riti con sei vescovi).
Le esigenze e le sfide sono molte e complesse, ma la volontà della gente di vivere e ricostruire trionferà sulle paure e sulle inevitabili difficoltà. Il Signore ci doni la sua Pace per il bene della Siria e di tutta la regione.
venerdì 4 agosto 2017
Siria, che ipotesi si possono fare per il dopo ISIS?
di Mario Villani
A conclusione del mio precedente articolo ho espresso il timore che la fine dell’ISIS non avrebbe comportato automaticamente la fine del conflitto in corso ormai da sei anni, ma solo il suo passaggio ad una fase differente. Qualche amico mi ha accusato di eccessivo pessimismo (e spero che abbia ragione) e mi ha comunque chiesto di spiegare sulla base di quali elementi ho formulato una simile previsione.
Vedrò di spiegarmi meglio.
In primo luogo devo però fornire alcuni aggiornamenti sulla situazione sui campi di battaglia.
L’offensiva lanciata sul Qalamoun da parte degli eserciti siriano e libanese, ma, soprattutto, dagli Hezbollah si è conclusa con la vittoria di questi ultimi e la completa disfatta degli islamisti che hanno dovuto abbandonare le loro posizioni attorno ad Arsal ed accettare di arrendersi pur di poter raggiungere incolumi la provincia di Idleb. Contemporaneamente è continuata, da due direzioni, la marcia di avvicinamento dell’esercito siriano alla città assediata di Der Ezzor. Quest’importante centro sull’Eufrate era stato scelto dall’ISIS (ma soprattutto dai suoi ispiratori) come capitale di uno stato wahabita che avrebbe dovuto nascere dalla disintegrazione della Siria. Per questa ragione, da tre anni, l’ISIS ha impegnato su questo fronte i suoi reparti migliori e più determinati lanciando centinaia di attacchi che però non sono riusciti a vincere la resistenza delle truppe siriane trincerate in alcuni quartieri della città ed intorno al suo aeroporto.
Quando su questo fronte tutto sarà finito bisognerà che qualcuno faccia conoscere al mondo come poche migliaia di paracadutisti, appoggiati da qualche volontario locale siano riusciti siano riusciti a tenere le loro posizioni, malgrado la scarsità dei rifornimenti, contro un nemico molto più numeroso e tanto determinato da lanciare centinaia di kamikaze contro le loro linee.
Perchè quindi, malgrado questi sviluppi positivi, continuo a non vedere vicina la fine del conflitto in Siria? Perchè, secondo me ci sono dei nodi che sono ben lontani dall’essere sciolti.
Vediamo quali sono.
Il primo: i Curdi. Di fatto il nord della Siria è in buona parte sotto il controllo di milizie curde che si comportano come se ormai fossero una nazione indipendente, addirittura arrivando a praticare una forma di pulizia etnica soft ai danni della popolazione araba. Se l’enclave curda situata a nord di Aleppo potrebbe forse accettare ancora l’autorità, almeno formale, di Damasco pur di essere difesa dalla minaccia dei Turchi, la più grande enclave situata a nord est è guidata da milizie che, sentendosi appoggiate dagli USA ed essendo protagoniste della presa di Raqqa, puntano senza mezzi termini ad una completa indipendenza che però il governo siriano non è disposto a concedere.
Secondo nodo: i Turchi. Ankara ha oggi in Siria due obbiettivi primari: impedire con ogni mezzo la nascita di uno stato curdo (a meno che non sia governato da sue marionette) e non uscire a mani vuote dal conflitto. Se le milizie che appoggia e finanzia non riusciranno a conseguirle questi due obbiettivi non è escluso che la Turchia decida di intervenire direttamente in maniera molto più massiccia di come ha fatto fin’ora.
Terzo nodo: Israele. Tel Aviv vede con preoccupazione il ritorno dell’esercito siriano (e di Hezbollah) sulle sue frontiere e preferisce di gran lunga che vi siano dei piccoli stati cuscinetto indipendentemente da chi governati. Qualcosa del genere fece, anni addietro, in Libano promuovendo, nelle regioni meridionali, la costituzione di una milizia denominata Esercito del Libano Sud che però si sciolse come neve al sole di fronte all’offensiva di Hezbollah.
Quarto nodo: la provincia di Idleb e regioni confinanti. In questa provincia sono ormai concentrate decine di migliaia di islamisti, fuggiti da altre aree del paese riconquistate dall’esercito siriano. Queste bande hanno i loro protettori internazionali che attualmente sono però in rotta tra di loro. Una eventuale offensiva siriana su Idleb potrebbe però ricompattare Arabia Saudita, Turchia e Qatar e spingerle a riprendere l’aiuto ai loro alleati sul campo.
Ultimo nodo: gli USA. Da anni perseguono in Medio Oriente quella che può essere definita una vera e propria strategia del caos. Non vi sono segni che questa strategia sia stata affossata. Sembrerebbe che Trump non la condivida, ma quanto comanda realmente Trump oggi? E soprattutto per quanto resterà ancora Presidente degli Stati Uniti? Di fatto la presenza (illegale) di truppe americane in Siria non solo non è diminuita, ma anzi negli ultimi mesi si è rafforzata.
A fianco di queste problematiche vi sono quelle che riguardano invece il campo opposto, quello dei sostenitori del Governo di Damasco.
Ne accenno solo a due.
1) Il regime Baatista non è compatto, ma è da sempre diviso in due anime. Una laicista, socialisteggiante, militarista, caratterizzata in passato per l’ammirazione verso l’Unione Sovietica. L’altra moderata, liberista, favorevole a caute riforme sia in campo economico che politico. Se Afez Assad era stato un’esponente della prima anima, Bashar Assad sembrerebbe protendere più verso la seconda. Queste due anime, a fronte del pericolo mortale corso dalla Siria, si sono ricompattate, ma le differenze rimangono ed anzi temo che qualcuno, in particolare nelle Forze Armate che oggi hanno acquisito un enorme prestigio e che hanno una tradizione di “interventi” in politica, mediti già una resa dei conti interna al partito Baath.
2) Per fronteggiare la minaccia delle bande islamiste in molte città e villaggi sono nate e si sono organizzate molte milizie locali. Alcune hanno svolto un’azione efficace e preziosa (basti pensare alle milizie cristiane di Maalula e Qamishli). Altre si sono dedicate più che altro a taglieggiare i propri concittadini suscitando malcontento e rancori. Non sarà facile, al termine del conflitto, far rientrare nei ranghi e convincere a riprendere una vita normale questi miliziani che da anni, di fatto, vivono di violenza.
Ovviamente mi auguro che questi miei timori si rivelino privi di fondamento e che per la Siria il giorno della Resurrezione sia vicino. Per questo ribadisco ci si debba affidare in egual misura a San Marone (che era siriano) ed alle capacità diplomatiche del Ministro degli Affari Esteri della Russia, Lavrov.
Mario Villani
PS
Il 31 luglio la Chiesa Maronita ha celebrato la Giornata dei Martiri delle Chiese d’Oriente. Qualcuno ha sentito qualcosa sui media mainstream?
http://www.appunti.ru/articolo.aspx?id=957&type=home
A conclusione del mio precedente articolo ho espresso il timore che la fine dell’ISIS non avrebbe comportato automaticamente la fine del conflitto in corso ormai da sei anni, ma solo il suo passaggio ad una fase differente. Qualche amico mi ha accusato di eccessivo pessimismo (e spero che abbia ragione) e mi ha comunque chiesto di spiegare sulla base di quali elementi ho formulato una simile previsione.
Vedrò di spiegarmi meglio.
In primo luogo devo però fornire alcuni aggiornamenti sulla situazione sui campi di battaglia.
L’offensiva lanciata sul Qalamoun da parte degli eserciti siriano e libanese, ma, soprattutto, dagli Hezbollah si è conclusa con la vittoria di questi ultimi e la completa disfatta degli islamisti che hanno dovuto abbandonare le loro posizioni attorno ad Arsal ed accettare di arrendersi pur di poter raggiungere incolumi la provincia di Idleb. Contemporaneamente è continuata, da due direzioni, la marcia di avvicinamento dell’esercito siriano alla città assediata di Der Ezzor. Quest’importante centro sull’Eufrate era stato scelto dall’ISIS (ma soprattutto dai suoi ispiratori) come capitale di uno stato wahabita che avrebbe dovuto nascere dalla disintegrazione della Siria. Per questa ragione, da tre anni, l’ISIS ha impegnato su questo fronte i suoi reparti migliori e più determinati lanciando centinaia di attacchi che però non sono riusciti a vincere la resistenza delle truppe siriane trincerate in alcuni quartieri della città ed intorno al suo aeroporto.
Quando su questo fronte tutto sarà finito bisognerà che qualcuno faccia conoscere al mondo come poche migliaia di paracadutisti, appoggiati da qualche volontario locale siano riusciti siano riusciti a tenere le loro posizioni, malgrado la scarsità dei rifornimenti, contro un nemico molto più numeroso e tanto determinato da lanciare centinaia di kamikaze contro le loro linee.
Perchè quindi, malgrado questi sviluppi positivi, continuo a non vedere vicina la fine del conflitto in Siria? Perchè, secondo me ci sono dei nodi che sono ben lontani dall’essere sciolti.
Vediamo quali sono.
Il primo: i Curdi. Di fatto il nord della Siria è in buona parte sotto il controllo di milizie curde che si comportano come se ormai fossero una nazione indipendente, addirittura arrivando a praticare una forma di pulizia etnica soft ai danni della popolazione araba. Se l’enclave curda situata a nord di Aleppo potrebbe forse accettare ancora l’autorità, almeno formale, di Damasco pur di essere difesa dalla minaccia dei Turchi, la più grande enclave situata a nord est è guidata da milizie che, sentendosi appoggiate dagli USA ed essendo protagoniste della presa di Raqqa, puntano senza mezzi termini ad una completa indipendenza che però il governo siriano non è disposto a concedere.
Secondo nodo: i Turchi. Ankara ha oggi in Siria due obbiettivi primari: impedire con ogni mezzo la nascita di uno stato curdo (a meno che non sia governato da sue marionette) e non uscire a mani vuote dal conflitto. Se le milizie che appoggia e finanzia non riusciranno a conseguirle questi due obbiettivi non è escluso che la Turchia decida di intervenire direttamente in maniera molto più massiccia di come ha fatto fin’ora.
Terzo nodo: Israele. Tel Aviv vede con preoccupazione il ritorno dell’esercito siriano (e di Hezbollah) sulle sue frontiere e preferisce di gran lunga che vi siano dei piccoli stati cuscinetto indipendentemente da chi governati. Qualcosa del genere fece, anni addietro, in Libano promuovendo, nelle regioni meridionali, la costituzione di una milizia denominata Esercito del Libano Sud che però si sciolse come neve al sole di fronte all’offensiva di Hezbollah.
Quarto nodo: la provincia di Idleb e regioni confinanti. In questa provincia sono ormai concentrate decine di migliaia di islamisti, fuggiti da altre aree del paese riconquistate dall’esercito siriano. Queste bande hanno i loro protettori internazionali che attualmente sono però in rotta tra di loro. Una eventuale offensiva siriana su Idleb potrebbe però ricompattare Arabia Saudita, Turchia e Qatar e spingerle a riprendere l’aiuto ai loro alleati sul campo.
Ultimo nodo: gli USA. Da anni perseguono in Medio Oriente quella che può essere definita una vera e propria strategia del caos. Non vi sono segni che questa strategia sia stata affossata. Sembrerebbe che Trump non la condivida, ma quanto comanda realmente Trump oggi? E soprattutto per quanto resterà ancora Presidente degli Stati Uniti? Di fatto la presenza (illegale) di truppe americane in Siria non solo non è diminuita, ma anzi negli ultimi mesi si è rafforzata.
A fianco di queste problematiche vi sono quelle che riguardano invece il campo opposto, quello dei sostenitori del Governo di Damasco.
Ne accenno solo a due.
1) Il regime Baatista non è compatto, ma è da sempre diviso in due anime. Una laicista, socialisteggiante, militarista, caratterizzata in passato per l’ammirazione verso l’Unione Sovietica. L’altra moderata, liberista, favorevole a caute riforme sia in campo economico che politico. Se Afez Assad era stato un’esponente della prima anima, Bashar Assad sembrerebbe protendere più verso la seconda. Queste due anime, a fronte del pericolo mortale corso dalla Siria, si sono ricompattate, ma le differenze rimangono ed anzi temo che qualcuno, in particolare nelle Forze Armate che oggi hanno acquisito un enorme prestigio e che hanno una tradizione di “interventi” in politica, mediti già una resa dei conti interna al partito Baath.
2) Per fronteggiare la minaccia delle bande islamiste in molte città e villaggi sono nate e si sono organizzate molte milizie locali. Alcune hanno svolto un’azione efficace e preziosa (basti pensare alle milizie cristiane di Maalula e Qamishli). Altre si sono dedicate più che altro a taglieggiare i propri concittadini suscitando malcontento e rancori. Non sarà facile, al termine del conflitto, far rientrare nei ranghi e convincere a riprendere una vita normale questi miliziani che da anni, di fatto, vivono di violenza.
Ovviamente mi auguro che questi miei timori si rivelino privi di fondamento e che per la Siria il giorno della Resurrezione sia vicino. Per questo ribadisco ci si debba affidare in egual misura a San Marone (che era siriano) ed alle capacità diplomatiche del Ministro degli Affari Esteri della Russia, Lavrov.
Mario Villani
PS
Il 31 luglio la Chiesa Maronita ha celebrato la Giornata dei Martiri delle Chiese d’Oriente. Qualcuno ha sentito qualcosa sui media mainstream?
http://www.appunti.ru/articolo.aspx?id=957&type=home
martedì 1 agosto 2017
Idlib, futura capitale dello Stato Islamico?
Pubblicato
il 27 Luglio 2017 da CHRÉTIENS DE SYRIE POUR LA PAIX
Nel
mese di aprile 2015, l'alleanza tra al-Nusra, (poi ribattezzato Fath
Al-Sham) e il gruppo islamista Ahrar al-Sham, che è anche il
co-fondatore con l'Esercito dell'Islam del "Fronte islamico",
ha permesso la creazione dell'Esercito della Conquista. In pochi
giorni, questo esercito ha preso il completo sopravvento in questa
provincia di Idlib. Come Daesh, entrambe le organizzazioni sostengono
la creazione di uno Stato islamico e le loro impronte settarie
appaiono su tutti i muri, marcando con le loro mani la conquista
della città e dei suoi abitanti. L'Esercito della Conquista è stato
ribattezzato: Tahrir al-Sham.
Bisogna
sapere che questa provincia è la meta preferita dei "jihadisti"
cacciati dalla città di Aleppo e dai villaggi liberati dall'esercito
siriano. Si trovano in questa provincia anche gruppi di miliziani di
diversi paesi: Turchi, Ceceni, Uighuri, Sauditi, Francesi, Belgi ...
Questi gruppi di individui, si sono impadroniti delle case e dei beni
dei siriani e vi si sono stabiliti con le loro famiglie. Turchia,
Qatar, Arabia Saudita e altri paesi del Golfo, hanno notevolmente
facilitato il loro arrivo e hanno fornito tutto il supporto logistico
necessario alla loro permanenza. E' in questa provincia che gli
abitanti dei villaggi sono stati macinati in frantoi di pietra, sotto
lo sguardo silenzioso e benevolo della comunità internazionale che
appellava in quel periodo al sostegno ai "ribelli" e ad
accogliere i rifugiati!
Ma
lì, la coabitazione felice tra questi gruppi non è durata. Negli
ultimi mesi, il vento è girato a Idlib e gli alleati di ieri son
diventati i nemici di oggi. Le tensioni sono aumentate tra i
jihadisti. E domenica, Fath al-Sham (al-Nosra) ha occupato la città
e ora controlla totalmente la provincia di Idleb. Questo atto di
forza è stato attuato in poche ore, senza combattere e ci ricorda
tanto la caduta di Raqqa nel 2013. A quel tempo, la coppia (Al-Nosra
/ Ahrar al-Sham) si è impadronita della città in 24 ore senza
combattere, per renderla poi un anno dopo la capitale di Daesh. I
disaccordi mostrati nelle ultime settimane tra l'Arabia Saudita e il
Qatar hanno qualche motivazione? O forse è stato l'annuncio della
cessazione degli aiuti degli Stati Uniti che ha dato fuoco alle
polveri?
Tahrir
al-Sham, è classificata come organizzazione terroristica da parte
delle Nazioni Unite, dagli Stati Uniti e dalla Russia. Dal 2015, la
Russia chiede agli occidentali di riconoscere anche altri gruppi
islamisti come organizzazioni terroristiche, purtroppo senza
successo. E le "teste pensanti" del Quai d'Orsay han
voluto forzare l'Unione europea ad aiutare questi "ribelli"
nella amministrazione della provincia!
Adesso
che la distinzione è chiara, che cosa diventerà la provincia di
Idleb? Andrà a sostituire Mosul per diventare il nuovo feudo di uno
Stato Islamico?
traduzione dal francese di GB.P
lunedì 31 luglio 2017
31 luglio “Giornata dei Martiri delle Chiese d'Oriente”
FIDES: La Chiesa maronita celebra il 31 luglio la "Giornata dei Martiri delle Chiese d'Oriente", nel quadro dell'Anno del Martirio e dei Martiri” proclamato dal Patriarca maronita Bechara Boutros Rai come tema speciale per fare memoria di quanti perdono la vita perchè portano il nome di Cristo.
La decisione di dedicare l'ultimo mese di luglio alla celebrazione dei martiri delle Chiese orientali e stata confermata venerdì 14 luglio, in occasione dell'incontro tra Presidente libanese Michel Aoun e un comitato patriarcale, ricevuto dal Capo di Stato nel Palazzo presidenziale di Baabda, a Beirut.
I membri del comitato patriarcale, presieduto da Mounir Khaïrallah, Vescovo di Batrun, si erano recati dal Presidente Aoun per invitarlo ufficialmente all'ncontro in programma domenica 30 luglio presso la sede patriarcale estiva di Diman, in occasione della presentazione dell'Enciclopedia dei martiri delle Chiese d'Oriente, opera di padre Elias Khalil.
L'Anno del Martirio e dei Martiri, proclamato dalla Chiesa maronita, è iniziato lo scorso 9 febbraio, giorno della Festa di San Marone, e concluderà il 2 marzo 2018. http://fides.org/it/news/62646-ASIA_LIBANO_ La_Chiesa_maronita_celebrera_il_31_luglio _la_Giornata_dei_Martiri_delle_Chiese_d_Oriente#.WX8yt4TyiM- |
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