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giovedì 29 ottobre 2015

Viaggio in Siria (1)

  Dal 17 al 26 ottobre mi sono recata in Siria, ospite delle monache Trappiste di Azeir, un villaggio cristiano affacciato sulla valle verdeggiante in cui scorre il fiume che separa la Siria dal Libano, non lontano da Tartous.
Su questa collina boscosa cinque suore italiane (a cui presto si uniranno due postulanti locali) stanno costruendo un luogo bellissimo e semplice dedicato alla preghiera, al silenzio, all'incontro personale con Dio, che offra agli ospiti l'occasione di incontro con un'esperienza che ogni giorno vive nell'orizzonte della libertà, cioè della coscienza di chi è l'uomo e per quale ragione sta al mondo.

   Tra gli ospiti, incontro Layla, insegnante e poetessa di Aleppo che tra queste mura silenziose cerca di curare la ferita profonda della devastazione della sua città. Mi racconta dei palazzi sventrati, tra le cui macerie, con le mani, lei e i suoi famigliari cercavano i corpi dei vicini. Layla parla italiano e mi aiuta a comunicare con i cristiani del luogo e a superare la barriera insormontabile della lingua araba; con lei vado a visitare e portare un messaggio di amicizia ai bambini della scuola statale del villaggio, a cui dono del cioccolato che ho portato con me. Il giorno successivo, l'autista del taxi che mi conduce nella Valle dei Cristiani e papà di due alunni della scuola mi racconta che i suoi due bimbi sono tornati trionfanti tenendo come una reliquia la barretta di cioccolato che non vogliono che nessuno mangi perché “l'hanno portato dall'Italia proprio per me!”...   La scuola è povera ma dignitosa e organizzata con ordine; il maestro George mi dice con uno sguardo luminoso: “noi cerchiamo di rendere la vita più bella con tutti gli strumenti che abbiamo”.

   'Rendere la vita più bella' è veramente la sfida di oggi: scopro con sconcerto che proprio tutti se ne vogliono andare. Il ritornello comune è: “non c'è più niente per me, non c'è possibilità per il mio futuro”.    Nell'incontro con una famiglia cristiana di Bayda emerge tutto il dramma degli sfollati da Aleppo: la mamma rimasta vedova si reca tre volte alla settimana a lavorare a Latakia, la figlia Miriam di 16 anni frequenta con impegno il liceo artistico, il piccolo Daoud va alla scuola elementare, deve restare lunghe ore in casa da solo ma si comporta con piena responsabilità; poche frasi dicono la durezza della condizione di sfollati: “eravamo benestanti ora siamo quasi dei miserabili … Non siamo né vivi né morti...”. E Miriam si domanda: “per cosa restare qui? Restiamo per morire?”.

   La difficoltà principale a cui tutti devono far fronte è l'aumento spropositato del costo della vita: gli alimenti, le medicine, qualsiasi servizio costa 10 volte più di quanto era prima della guerra. Tutti vogliono andare in Germania, convinti che come rifugiati avranno il servizio sanitario, la previdenza, la sovvenzione da parte dello Stato e la certezza di ottenere prima o poi un lavoro dignitoso. Anche la prospettiva di finire in fondo al mare non è così terribile dopo aver vissuto i bombardamenti giorno e notte ad Aleppo o a Homs: “se muoio in mare sarà lo stesso che morire sotto le bombe” ... “viviamo nella paura: adesso arrivano! Ed ogni uomo armato che viene nella nostra direzione ci fa sussultare”.
Le sanzioni internazionali strangolano ogni impresa locale e favoriscono il proliferare delle mafie  e dei profittatori di tutti generi, sulla pelle degli sfollati e della gente comune.
Anche il vescovo di Tartous mons. Antoine Shbeir mi conferma che, pur essendo la cittadina di mare al riparo da bombardamenti, i giovani e le famiglie se ne vanno perché non reggono il costo della vita: lo stipendio mensile ormai basta solo a malapena a pagare l'affitto. Ma, aggiunge: “ora con l'intervento dei russi hanno ripreso un po' di speranza e alcuni che erano decisi ad andarsene stanno ripensandoci”.

   Il lavoro della ricostruzione umana sarà enorme, si è davvero rotta la convivenza e si è instaurata la sfiducia e il sospetto, Quello che prima della guerra era normale - stare fianco a fianco sunniti, alawiti, cristiani- ora è diventato tremendamente difficile: la ferita di tanta violenza, dei tradimenti, delazioni, di inimmaginabili vendette, lascia un rancore e una diffidenza che ai più pare impossibile sanare. Tra i bambini della scuoletta di Azeir,  ci sono gli orfani di due panettieri locali che si erano trasferiti a Homs per fare funzionare il forno ogni giorno e sono stati uccisi dai 'musallaheen', cioè i ribelli, solo perché ogni giorno lavoravano e quindi erano considerati sostenitori del governo. E gli abitanti delle cittadine cristiane situate sotto il Castello (il Crack des Chevaliers) ricordano con raccapriccio i massacri efferati che tra quelle mura sono stati compiuti dalle bande e il tormento dei proiettili che piovevano su di loro notte e dì.
I cristiani che prima erano l'elemento di moderazione nella società ora sono considerati, dai seguaci del Califfato, dei kuffar: infedeli; un 'Califfato' il cui sogno alberga nei pensieri di molti più sunniti di quanto si pensi ... Come del resto 'infedeli' sono considerati anche i sunniti 'laici' come il Mufti Hassoun o il ministro al Moallem..   I cristiani mi parlano con sdegno della devastazione e sfacelo operato da quelli che noi ora chiamiamo 'ribelli moderati' nelle chiese di Rableh e di Qaryatayn, da cui tutte le antiche bellissime sacre immagini sono state rubate prima della distruzione..
Lo slogan scandito nei primi giorni della 'rivoluzione' “alawiti nella tomba, cristiani a Beirut” si è rivelato realtà, e ormai non vi sono più remore nel ribadirne l'intento.


  Su ogni casa campeggia almeno un poster con la foto del 'martire': non c'è famiglia in cui manchi un figlio, o fratello, o marito, morto tra le fila dell'esercito siriano.  All'entrata di Tartous sussulto passando sotto interi muri tappezzati da questi volti, soprattutto di ragazzi, che rappresentano il tributo del popolo a questa guerra che non ha voluto, e di cui 'non ne può più'.

   Eppure piccoli segni  di speranza col passare dei giorni si presentano (e concordiamo di promuovere in Italia il modo per supportarli) :  gente che ancora osa credere nella possibilità di guardare l'altro con rispetto, di rinnovare in sé la speranza e la decisione della convivenza sperimentata in passato e da affermare ancora nel futuro:
- l'insegnante cristiana di musica che ogni mattina va a a fare lezione nel vicino villaggio sciita e anche nel villaggio sunnita
- i cristiani di Homs che tornano nel quartiere al Hamidiyah e il pellegrinaggio di musulmani e cristiani al convento gesuita in cui riposa padre Frans Van der Lugt
- le suore che gestiscono egregiamente la scuola 'al Amal' ( La Speranza) di Marmarita aperte agli sfollati provenienti da ogni parte di Siria
- i cooperanti salesiani sfollati da Aleppo che vogliono rimettere in piedi piccole attività lavorative: l'inizio di possibili attività di promozione della donna, laboratori di cucito, stamperie …
- la professoressa sfollata che non vuole vedere i suoi figli emigrare e vorrebbe allestire un salone vicino alla Parrocchia come biblioteca e centro di incontro giovanile 

  Percorriamo l'incantevole valle di Myssiaf (come sarà bella la Siria senza guerra!), ad  uno degli innumerevoli posti di controllo il militare restituisce alle suore e a me i documenti con questo saluto: "La Siria è illuminata dalla vostra presenza".


Aiutateci a restare. Questo grande compito , ridestare la speranza dei cristiani per trovare le ragioni per restare e radicare la speranza in un fondo umano più vero, è l'impegno che si assumono le Monache: perchè tutto ricomincia da una testimonianza che rimette in moto il riconoscimento della ragione per cui val la pena rimanere e sperare che ci sia un futuro. O come dice suor Marta: “Adesso basta piangerci addosso, muoviamoci! Anche qui , dove non c'è certamente l'ottimo delle condizioni, puoi dare un senso alla tua vita, sostenendo gli altri, operando per la dignità della vita e per la bellezza, che è dono gratuito!”.

Fiorenza
(segue)

mercoledì 28 ottobre 2015

Siria, dove i genitori non sanno se i figli torneranno da scuola...

La testimonianza di Samaan Daoud, profugo cristiano siriano che insieme alla sua famiglia è fuggito in Italia, al convegno 'Genocidio dei Cristiani. La Jihad da Oriente a Casa nostra'.

Roma,  (ZENIT.org)  , di Federico Cenci 

“Io sono un siriano e un cristiano, sono di Damasco, nato e cresciuto a pochi metri di distanza dal luogo in cui San Paolo si è convertito. Sono fierissimo della mia appartenenza”. È con parole solenni e dense di emozione che Samaan Daoud, profugo cristiano siriano, ha iniziato il racconto della sua esperienza nel corso del convegno La jihad da Oriente a casa nostra, che si tiene questo pomeriggio, 19 ottobre, nell’Aula dei Gruppi parlamentari, a Roma.
Samaan, padre di famiglia, in un perfetto italiano ha spiegato di essersi trasferito alla periferia di Damasco una volta sposato. Viveva in una zona residenziale, tranquilla almeno fino al marzo 2011, data d’inizio del conflitto che sta falcidiando la Siria.
Ma l’impeto d’odio non ha risparmiato nemmeno i luoghi lontani dai centri di potere della capitale siriana. La sua casa, in particolare, si trovava in un punto nevralgico dello scontro tra l’esercito regolare e i gruppi ribelli. “I colpi di mortaio sono arrivati fin dentro il mio giardino di casa”, ha raccontato.
Soprattutto, metaforicamente sono arrivati fin dentro il suo cuore procurandogli ferite che il tempo non potrà cancellare. L’uomo ricorda che un colpo di mortaio un giorno ha sfiorato uno dei suoi due figli ed ha colpito a morte un altro bambino all’uscita da scuola. “Ogni giorno, in Siria, quando i genitori mandano i bambini a scuola sanno che potrebbero non tornare più a casa”, spiega.
D’altronde tra le decine di migliaia di morti che la guerra ha provocato in Siria, molti sono bambini. Dei quasi 4milioni di rifugiati, circa la metà sono bambini. Numeri che testimoniano come le vittime principali della guerra siano i più innocenti.
E che testimoniano, al contempo, l’insopprimibile stato di tensione in cui si trovano a vivere i siriani. “Il grido Allah akbar è diventato per noi una maledizione, perché ogni volta che lo ascoltavamo capivamo che stavano arrivando i gruppi terroristi a portarci guerra, e non la benedizione del Signore”, afferma Samaan.
Il sinistro grido è diventato sempre più ricorrente nelle orecchie sue e dei suoi vicini di casa, anche una volta che si era trasferito di nuovo nel centro di Damasco. Da circa un anno e mezzo a questa parte, infatti, i ribelli hanno cominciato ad usare missili più potenti, di lunga gittata, capaci di colpire anche il cuore della capitale siriana da luoghi assai distanti.
La situazione era diventata insopportabile tanto che, non senza patimenti d’animo, lui e la sua famiglia hanno deciso di abbandonare la propria terra per trasferirsi in Italia, dove Samaan ha vissuto alcuni anni nel corso degli studi universitari.
La famiglia Daoud si trova da un mese nel nostro Paese, ma ha lasciato il cuore e la mente in Siria. È quasi commosso Samaan, quando ricorda la condizione in cui versa la Siria oggi. Quando era a Damasco ha spesso accompagnato cronisti italiani per far loro da interprete. I suoi occhi hanno visto lo sfacelo causato dall’Isis, “in villaggi non solo cristiani, ma anche musulmani”, ci tiene a precisare. E aggiunge: “Perché questi terroristi sterminano tutti coloro che non sono disposti ad accettare la loro linea”.
In futuro il Medio Oriente potrebbe ritrovarsi senza più presenza cristiana. In Siria - la riflessione di Samaan - i cristiani erano “il lievito”, perché pur rappresentando solo il 10% della popolazione, era all’interno delle loro comunità che pulsavano la cultura e il fermento industriale.
Da un lato Samaan afferma di invidiare coloro che sono rimasti in Siria, perché “sono martiri viventi, che ancora camminano - dice -. Sono persone che non sono state ancora uccise ma che portano la croce ogni giorno”. Croce che si manifesta in questi mesi sotto forma di mancanza di acqua e di luce elettrica, in ampie zone popolari di Damasco vessate dai colpi di mortaio.
In conclusione del suo intervento Samaan ha citato lo scrittore e filosofo libanese Kahill Gibran, il quale nel suo libro Le tempeste in modo poetico descrive le persecuzioni del passato e prefigura l’esperienza tragica che sta vivendo ancora oggi il Medio Oriente: “Ma la mia famiglia non è morta ribellandosi, e nemmeno è stata distrutta dalla guerra e nemmeno travolta dalle macerie durante un terremoto. La mia famiglia è morta in croce”.

lunedì 26 ottobre 2015

Ci ha lasciato quest'oggi mons. Giuseppe Nazzaro, fu padre dei cattolici latini ad Aleppo


E' scomparso questa mattina nell’ospedale San Giovanni Moscati di Avellino il vescovo Giuseppe Nazzaro, già vicario apostolico latino di Aleppo, in Siria, e, prima ancora, Custode di Terra Santa. Monsignor Nazzaro era nato il 22 dicembre 1937 a San Potito Ultra (Avellino) ed era entrato nel seminario minore della Custodia di Terra Santa, a Roma, nel 1950.
Vestì il saio francescano nel 1956 ed emise la professione solenne nel ‘60. Ad Aleppo giunse per la prima volta nel 1966, un anno dopo l’ordinazione sacerdotale. Vari incarichi in seno alla Custodia lo condussero però ben presto a Roma (1968), ad Alessandria d’Egitto (1971) e al Cairo (1977).
Nel corso del Capitolo custodiale del 1986 venne nominato segretario della Custodia. È del 1992 la sua nomina a Custode di Terra Santa. Al termine del mandato, nel 1998, fu trasferito in Italia. Ma nel 2001 venne nuovamente inviato in Siria. Un anno dopo venne scelto come vicario apostolico d’Aleppo da san Giovanni Paolo II e ordinato vescovo il 6 gennaio 2003 dal Papa stesso nella basilica di San Pietro.
Monsignor Nazzaro lasciò l’incarico nel 2013, al compimento dei 75 anni, quando ormai la Siria era già da due anni stravolta da disordini e moti di piazza contro il governo centrale, ben presto trasformatisi in un vero e proprio conflitto. 
Padre Nazzaro ha speso le ultime energie della sua vita viaggiando, pronunciando discorsi e rilasciando interviste per sensibilizzare l’opinione pubblica, i media e i politici sulla tragedia del popolo siriano.
I funerali si svolgeranno domani pomeriggio, alle 15.30, nel suo paese natale.


INFINITAMENTE GRATI A DIO DI AVERLO DATO ANCHE A NOI , 
ORA PRO SIRIA, COME PADRE E AMICO 

venerdì 23 ottobre 2015

I poveri del Libano


Ottobre 2015 n° 7

Notiziario di un gruppo di volontari libanesi membri di “Oui pour la vie”, associazione di volontariato con sede a Damour in Libano, legalmente riconosciuta e operante in favore dei più poveri.


La guerra ha ridotto le case di quelli che oggi sono profughi della Siria ad un cumulo di macerie e in molti casi si è presa anche gli affetti più cari. Senza più nulla e con la paura di rimanere vittime delle bombe, fuggono dal loro paese alla ricerca di una speranza e di una vita migliore oltre il confine con il Libano.
Una situazione al limite, che rischia di esplodere e creare tensioni in un Paese grande quanto l’Abruzzo, che conta circa quattro milioni di abitanti e che non riesce ad accogliere tutti i migranti in arrivo, fornendo loro l’assistenza necessaria: accesso alle strutture ospedaliere, servizi di accoglienza e inserimenti scolastici. Sono stati tanti i profughi che lo scorso inverno sono morti di freddo e di stenti.

Dal 30 giugno a oggi militari libanesi hanno sgomberato 95 campi in oltre 12 località sulla regione costiera a nord di Tripoli, a ridosso del confine con la Siria. Con un caldo torrido, in tende di plastica e sovraffollate, i rifugiati devono fare i conti con mancanza di acqua e pochissimo cibo. Si vive in una tenda di nylon.
In tutto i profughi di Siria e Iraq in Libano sono, di fatto, circa 2 milioni. Niente elettricità e niente ventilatori, acqua sporca e zanzare. Continuiamo, come “Oui pour la Vie” ad aiutarli con le nostre rinunce e visitandoli continuamente nei luoghi dove vivono cercano di sopravvivere, cercando anche di coinvolgerli nella nostra attività gratuita e di supporto per tutti. Sono enormi le necessità perché praticamente vivono su strada, e dato che non possiamo dare loro troppi contenitori di cibo, perché non hanno lo spazio per conservarli, avremmo pensato di attrezzare un paio di stanze come cucina, nel loro quartiere,  al costo di circa 400 dollari al mese, per poter loro preparare qualcosa di caldo, direttamente sul posto. Si chiede sempre a tutti di aiutarli e di farne pubblicità.

Una delle nostre volontarie aveva preparato un dolce per il suo ragazzo. Poi ha pensato, invece, di offrirlo a un bambino povero, senza dire niente a nessuno. Più tardi la mamma di questo ragazzo le ha confidato che suo figlio, ricevuto il dolce, lo aveva nascosto e lo mangiava un poco al giorno per conservarlo per più tempo. La nostra volontaria è stata contentissima di questa rinuncia fatta ad un momento personale di festa e sente il suo cuore ancora più sereno per continuare il suo impegno e anche il suo cammino verso il matrimonio.

Alcuni volontari entrati al Mc Donald avevano notato alcuni bambini che andavano là solo per giocare ma non avevano i soldi per mangiare. Hanno comprato loro dei sandwich e li hanno difesi da alcuni più grandi che li trattavano male.
Una famiglia vive in una baracca ed tutti dormono per terra sopra un telo. Uno dei nostri volontari ha regalato un pallone ai ragazzi e si è intrattenuto molto con tutta la famiglia, molto disagiata. Giocando, uno dei ragazzi che prima aveva male allo stomaco, poi stava molto meglio. La settimana successiva, questi ragazzi non avevano più il pallone perché lo avevano regalato ad un bambino vicino, che moriva dalla voglia di giocarci.

Chi è interessato a maggiori informazioni o a conoscere le modalità per una testimonianza in Italia o un  contributo in favore della nostra opera può inviare un sms al 333/5473721 in Italia o al 0096171509475 (Libano) 
o scrivere un email a:          info@ouipourlavielb.com

P. Damiano Puccini 

lunedì 19 ottobre 2015

Non abbandoniamo i Cristiani d'Oriente: sono le nostre radici...non dimentichiamolo

author :Nikola Sarić




APPUNTI
ottobre 2015

Melchiti, siriaci, caldei, assiri, maroniti... dietro questi nomi vi è un mondo la cui ricchezza spirituale e culturale raggiunge altezze che la Cristianità in occidente, ormai immersa in una realtà puramente orizzontale, non è in grado di comprendere e di apprezzare. 
Proprio per questo abbiamo un disperato bisogno di loro, forse addirittura più di quanto loro abbiano bisogno di noi. La ragione è semplice, quelle comunità sono le eredi dirette delle persone che videro, conobbero e amarono Nostro Signore Gesù Cristo. Vi è una corrente di fede profonda che, attraverso i secoli, sgorga dai primi Cristiani ed irriga tutte le generazioni che si sono succedute permettendo loro di far fiorire una Fede talmente profonda da consentire il superamento di tutte le durissime prove che la convivenza con il mondo islamico ha loro imposto.


Chi ha avuto modo di frequentare quei luoghi, il Libano, la Siria, la Palestina, ha sicuramente percepito questa qualità straordinaria delle locali comunità cristiane. Per loro Gesù non è un personaggio mitologico o una leggenda tramandata nei secoli, ma l'Uomo/Dio di cui i loro antenati hanno visto le gesta ed ascoltato le parole. Faccio solo due esempi: il primo è Malula, una cittadina siriana di cui già ci siamo più volte occupati. A Malula , unico luogo al mondo, si parla ancora l'Aramaico orientale, vale a dire la stessa lingua utilizzata da Nostro Signore. Gli abitanti di Maalula quindi, quando recitano ad esempio il Padre Nostro, utilizzano gli stessi identici termini che ha pronunciato duemila anni fa il Salvatore. 
Un secondo esempio: nel sud Libano (una volta chiamato alta Galilea) c'è un villaggio chiamato Cana. Molti ritengono sia il luogo dove Gesù ha operato il suo primo miracolo (significativamente trasformando l'acqua in vino, con buona pace di certi fanatici salutisti odierni), ma la circostanza è controversa perchè vi sono altri villaggi con lo stesso nome in Palestina. Di certo vi è che il villaggio venne visitato più volte da Gesù che vi veniva a predicare “alloggiando” in una grotta posta a circa un chilometro dal centro abitato. Dopo la Sua morte, gli abitanti del villaggio che erano divenuti suoi seguaci scolpirono sulle rocce a fianco del sentiero che portava dalla grotta a Cana diverse scene della vita del Salvatore. Quei bassorilievi sono ancora là, vero e proprio Vangelo scolpito sulla pietra prima ancora di essere scritto sulla carta. 

Questi esempi aiutano a capire perchè, da quelle parti, la Fede è ancora una cosa seria, che forgia tutta la vita di una persona e per la quale si può anche decidere, in situazioni estreme, di impugnare un'arma o affrontare il martirio. E' grazie a questo virile atteggiamento che le comunità cristiane d'oriente sono sopravvissute a tutti i tentativi di islamizzazione, fino ad arrivare a guadagnarsi la stima ed il rispetto delle componenti più tolleranti ed aperte del mondo musulmano. Stima e rispetto che hanno permesso, per esempio, ai musulmani libanesi di accettare che il Presidente della Repubblica fosse un cristiano o a quelli siriani che lo Stato ponesse tutte le confessioni religiose su un piano di uguaglianza, garantendo a tutte i medesimi diritti...


Oggi però, la rapida diffusione di un Islam fanatico e totalitario -incarnato da organizzazioni come Daesh o Al Qaeda e appoggiato da Stati come la Turchia e l'Arabia Saudita e, paradossalmente, da potenze laiche e massoniche come Stati Uniti e Francia- pone un drammatico interrogativo sulla sopravvivenza dei Cristiani in Oriente. Dove arrivano le bande islamiste le Chiese vengono sistematicamente distrutte (a partire, significativamente, dagli altari) e la vita dei cristiani diviene impossibile. Il progetto è tragicamente chiaro: cancellare ogni presenza cristiana dal Medio Oriente, di più, cancellare dalla regione ogni presenza che non sia quella di un Islam retrogrado e fanatico. 
Rendiamoci conto però che la cancellazione delle comunità cristiane d'oriente non è fine a se stessa. E' un gesto con un alto valore simbolico e, nelle menti degli intellettuali islamisti, con un tremendo valore strategico. Per distruggere la Cristianità bisognare tagliarne le radici spirituali. Quando non si celebreranno più messe in Medio Oriente, quando a Malula non si parlerà più l'aramaico, quando i segni visibili del passaggio del Figlio di Dio su questa terra saranno cancellati, allora la Cristianità tutta sarà svuotata e diverrà facile preda dei fanatici del Daesh e di Al Qaeda. 
La difesa di queste radici quindi è un dovere morale che incombe oggi su ogni Cristiano in ogni parte del mondo...


venerdì 16 ottobre 2015

"Come il 7 ottobre 1571, anche ora la preghiera comune e solidale della Cristianità ci verrà in aiuto" : padre Daniel


Lettera di padre Daniel da Qara
Venerdì 9 Ottobre, 2015

C'è di più tra cielo e terra
Di tanto in tanto sentiamo un grande boato, un'altra volta colpi di pistola o aerei in lontananza . Quello che prima provocava un incubo, ora non è più tanto minaccioso . Questa volta, noi sappiamo che si lavora veramente per la sicurezza del territorio e delle persone. Comunque eravamo abbastanza sorpresi dal fatto che i combattenti ISIS si trovano adesso molto vicini a noi , cioè sia a destra sia a sinistra . Tanti antichi monasteri sono già rasi al suolo , senza che l'Occidente abbia mosso un dito. Sembrava che presto sarebbe accaduta la stessa cosa al nostro monastero. Ora, tuttavia, la situazione è cambiata . Allo stesso tempo, qualche visitatore sta già arrivando – alcuni giovani francesi di "SOS chrétiens de l'Orient" che hanno organizzato un viaggio attraverso la Siria durante il Natale dello scorso anno ora sono tornati e sono venuti da noi. C'è anche una regista italiana che sta facendo un documentario sulla nostra comunità e c’è anche una giornalista francese con alcune amiche. Questa giornalista faceva parte del primo gruppo di giornalisti internazionali che sono venuti qua in novembre 2011 per fare un reportage di ciò che realmente accadeva in Siria. Da quell’incontro lei è rimasta in stretto contatto con noi. Infine, ospitiamo anche regolarmente coppie libanesi - che ci comunicano notizie delle famiglie del Libano. Abbiamo voluto ringraziare in modo particolare una di queste coppie, perché ci ha aiutato molto. Dopo il marito ci ha chiesto in cambio di pregare purché sua moglie possa rimanere incinta. Per tanti giorni infatti abbiamo pregato per quel motivo. E questa settimana, il marito ci ha telefonato. Come ha detto Gesù: “Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino, convertitevi e credete al vangelo”. (Mc 1, 15).

Omaggio a un buon imprenditore
La fabbrica di candele è finalmente stata lanciata nella nostra comunità. Due operai sono già in formazione e ne arriveranno di più. Le cose non sono andate senza intoppi e ci vorrà del tempo prima che le macchine funzionino a tutto vapore. A causa delle molte interruzioni di corrente elettrica in Siria, le candele sono diventate la "luce dei poveri", e la cara madre Agnes-Mariam voleva già cominciare la produzione. Quando un’organizzazione ha richiesto migliaia di candele, Madre Agnes-Mariam ha subito accettato quest’ordine, cosi ci voleva assolutamente la fabbrica di candele. Ha saputo che in Libano, in Mroudj, un uomo voleva vendere due macchine, perché aveva intenzione di emigrare. Dopo diversi contatti, noi, i frati, siamo partiti per lavorare da lui per 2/5 settimane – ogni giorno dalle 9:30-15:00 - per imparare il mestiere. Per non perdere tempo abbiamo soggiornato nel vicino monastero ortodosso di S. Elie. Così abbiamo fatto per la prima volta un confronto approfondito con i monaci greco-ortodossi, che era un’esperienza istruttiva per entrambi. Perché il nostro confratello americano doveva aspettare per diversi mesi per il visto per la Siria, siamo dovuti rimanere in Libano e in Qleiaat abbiamo già cominciato con la preparazione per la produzione delle candele. Quando all’improvviso è stato concesso il visto, siamo ritornati insieme a Mar Yakub in Siria, aspettando l’arrivo delle macchine. Come si fa per trasportare due colossi di macchine con annessi serbatoi di acqua, serbatoio di paraffina di 30 tonnellate e tutto questo attraverso le montagne in una zona in piena guerra? E' stato fatto in modo molto prudente e molto lento e sotto la protezione di San Michele, che preghiamo ogni giorno. Infatti, a Nord di Damasco il convoglio era finito in una battaglia. Ma se fosse successo prima, sarebbe stato fatale. Eppure il convoglio ce l’ha fatta. La mattina del 14 settembre, festa dell'Esaltazione della Croce e, allo stesso tempo la festa della nascita della comunità, il convoglio è arrivato a Mar Yakub.
Una delle macchine aveva subito lievi danni e l’hanno dovuta riparare. Il nostro laboratorio non aveva elettricità ed era da installare. I serbatoi di acqua sono stati trasportati dentro e collegati, così anche la vasca per la fusione della paraffina. Una delle macchine non sembrava essere di livello, perché perdeva paraffina. Quando finalmente tutto è stato installato in modo giusto, abbiamo iniziato un "giro di prova" e tutto funzionava, il che ha causato un forte grido di gioia. Le prime candele, fabbricate durante la notte, sono state accese per l’intenzione di tutti i benefattori che hanno pagato per questo macchine. Ora c’è ancora da collegare un motore in tal modo che possiamo lavorare anche quando non c’è corrente elettrica. Aspettiamo ancora uno stock di bobine, fili e stoppini. Al momento c’è elettricità nel pomeriggio e perciò gli operai lavorano ora anche nel pomeriggio. Infine dobbiamo ancora preparare e arredare i magazzini con attrezzature necessarie.
Tutto questo è solo la metà della storia. Per la prima volta abbiamo vissuto da vicino quanto sia prezioso un buon imprenditore. Un cristiano fervente e padre di famiglia con due figli è stato ufficialmente nominato per cercare di fondare diverse piccole imprese e  dare una mano per l’organizzazione. La fabbrica di tappeti a Qara, che abbiamo già descritto in precedenza, è in pieno funzionamento. Le donne operaie, che hanno avuto bisogno di tre mesi di formazione, hanno ricevuto nel frattempo un pagamento e ora hanno già manufatto sei tappeti. Il nostro imprenditore sta installando nella nuova costruzione del nostro monastero un laboratorio di cucito. Lui ha già trovato i primi clienti per la produzione di candele della nostra fabbrica. Ciò richiede un imballaggio e un logo adeguato. A proposito del logo siamo tutti d'accordo, produciamo una candela che illumina a forma di stella e il nome è "nedjmet alsabah" = stella del mattino! Si tratta di un piccolo contributo per la nuova alba per la Siria. Come cristiani possiamo anche dare un'interpretazione più profonda religiosa. Nell’Apocalisse 22, 16 Gesù dice: "Io son la radice e la progenie di Davide, la lucente stella". E 2 Pietro 1,19: "... Abbiamo pure la parola profetica, più ferma, alla quale fate bene di prestare attenzione, come a una lampada splendente in luogo oscuro, finché spunti il giorno e la stella mattutina sorga nei vostri cuori”. E ancora, la stella del mattino nella tradizione cristiana è il simbolo della Vergine Maria. Alla fine, il nostro imprenditore prevede già che tra un anno sarà necessario acquistare una nuova macchina. Siamo consapevoli che un buon imprenditore è simile a un pastore ardente in una parrocchia dinamica.
(Nota: sul nostro sito internet in inglese: http:// www.maryakub.net c’è una relazione completa della fabbrica di candele con diverse foto.)


Come l'Occidente è preoccupato ora per la Siria!
In solo tre giorni la Russia ha fatto grande danni a Daech e altri terroristi in Siria. Ora si è scoperto che durante tre anni l'esercito più potente degli USA, insieme con un’alleanza di mezzo mondo, ha piuttosto aiutato i terroristi a conquistare  più territori possibile della Siria. Come si spiega che IS aveva a sua disposizione 800 nuovi fuoristrada Toyota Hilux  e Land Cruise, con cui avevano fatto l’ingresso trionfante in Iraq con migliaia di terroristi nell'estate del 2014 (sono stati consegnati con l’aiuto dei servizi segreti turchi -MIT-, insieme con armi pesanti, pagati dall'Arabia Saudita!)? 
Adesso I russi hanno distrutto gli impianti di Al Qaeda e di Ahrar al-Sham.
Ahrar al-Sham è l’organizzazione dei Fratelli Musulmani, che non è il risultato della cosiddetta guerra civile siriana (come ha gridato il presidente francese Hollande), ma è un’organizzazione che è stato costituita prima, esattamente per provocare la guerra contro la Siria. Nel nord, nel centro e parte orientale della Siria, i russi hanno distrutto depositi di munizioni e carburante, flotte, centri di comando e bunker sotterranei dei ribelli. Il ponte di comando dell’IS in Raqqa sta crollando e migliaia di IS-combattenti stanno fuggendo o si rifugiano nelle moschee. La Russia, insieme con l'esercito siriano e con l’Iran opera in modo sistematico. Stanno anche purificando la nostra regione (Homs-Hama-Yabroud), e perciò viviamo in un elevato stato di allerta. Non c’è alcuna minaccia diretta, ma dobbiamo rimanere molto cauti. L'intervento russo dimostra almeno determinazione, unità, chiarezza e la legalità. Operano in modo molto efficiente e in piena collaborazione con il governo legittimo siriano e il suo esercito. L’operazione è concentrata su tutti i gruppi che hanno come scopo di continuare a uccidere e distruggere la Siria, da chiunque questi gruppi siano appoggiati, e tutto secondo il diritto internazionale e la Carta delle Nazioni Unite.  
Tutto questo è positivo? Sì e no. Se le grandi potenze, che durante cinque anni si sono concentrate sul crollo della Siria aumentano l’armamento dei gruppi ribelli contro gli attacchi dei russi, la situazione si potrebbe aggravare abbastanza. Inoltre, essi possono fare quello che hanno già fatto tante volte prima, cioè causare una catastrofe maggiore (come il massiccio attacco di gas tossico in Ghouta o abbattere l'aereo MH17 di Malesia ...), e incolpare – senza problemi - la Russia. In questo modo essi potrebbero provocare una guerra apocalittica. Noi speriamo e preghiamo che – prima che l’Occidente (e anche il gruppo Bilderberg) preso dall’imprevisto  cominci a organizzare il suo prossimo round di distruzione - l'orso russo avrà già fatto il suo lavoro di liquidazione .
La reazione dell’Occidente non tarda. Oh, adesso tutti sono così preoccupati per la Siria. Obama ha già dichiarato che "Gli attacchi aerei russi sono una ricetta per una catastrofe," e probabilmente Obama ha ragione se intende dire "per la mia catastrofe". La Turchia, che ha in pratica distrutto quasi tutta la ricca provincia di Aleppo, è "molto preoccupata" perché ora non è più in grado di continuare in piena libertà le sue distruzioni in Siria. Aerei russi continuano a violare lo spazio aereo turco, che significa quasi una dichiarazione di guerra per la Turchia. E Jens Stoltenberg, il Segretario generale della NATO vi aderisce subito come un robot, ma speriamo che alla fine usi il suo buon senso e decida di rimanere a casa.  La Russia ha ucciso subito gli ufficiali turchi che giravano in modo illegale in Siria e non sembra che abbia l’intenzione di risparmiare i campi di terroristi che si trovano al confine. Cameron chiama l’intervento russo “un grande sbaglio”, perché è chiaro che i gruppi terroristi sostenuti pure dall’Occidente riceveranno grandi colpi dall’esercito russo. La Russia ha chiesto all'America di fornire tutte le informazioni sull’IS, cosa che l'America ha rifiutato. Ciò dimostra chiaramente che l'America non vuole che la Russia faccia una pulizia dell’IS. 
Se l'Occidente è così preoccupato per il popolo siriano, perché non tolgono le sanzioni economiche soffocanti ? E l'Arabia Saudita, il campione e l’amico favorito dell'Occidente, ha infatti minacciato la guerra alla Russia, all'Iran e alla Siria.

Con tutto ciò è diventato chiaro che i grandi valori dell'Occidente (USA-Israele, l'Europa e gli alleati) sono ridotti a quattro: l'ipocrisia, la menzogna, le divisioni interne e soprattutto la russo-fobia. Anche l’'articolo del nostro "redattore diplomatico del VRT-News" è pieno di questi "non-valori" ("la polvere dei bombardamenti russi", 05.10.2015). Quell'uomo non sa ancora che le cosiddette "bombe" con cui che il governo siriano avrebbe bombardato il suo proprio popolo, sono pura propaganda occidentale. La stessa presunta fonte ha distribuito fotografie - del 25 settembre!- per dimostrare che i russi hanno recentemente di nuovo bombardato il popolo siriano (una presunta azione ancor prima che i russi non avessero  neanche cominciato i loro bombardamenti!). Ma nostro redattore/giornalista è apparentemente ignorante di tutto questo.  E' vero, l'ONU ha infatti diffuso questi messaggi, ma poi ha ammesso in modo onesto: c’è stato un inganno perché loro non avrebbero controllato in modo sufficiente i messaggi. 
Nessun capo di stato o di governo è perfetto. Tuttavia, il governo siriano e il presidente hanno scelto di non proteggere i pozzi di petrolio nel vasto deserto ma invece di proteggere la popolazione. E perciò non hanno bisogno di essere protetti da una potenza straniera. Il popolo siriano se la caverà da solo e la maggioranza sostiene il governo e l’esercito. 
Invece hanno bisogno di aiuto nella lotta contro i terroristi che inondano il paese. Sono infatti le bugie quelle che danno all'Occidente la libertà di continuare ad incoraggiare i terroristi. Questi gruppi terroristi causano ogni giorni stragi, in cui scorre sangue innocente. Ogni giorno civili e soldati siriani, che sono nient’altro che militari ordinari, sono stati rapiti, uccisi e feriti da questi terroristi. Molti ragazzi che sono sopravvissuti ai combattimenti, hanno ferite gravi o mancano di un occhio, un piede o un braccio. Anche coloro che ora apertamente difendono o proteggono la terra siriana e il popolo sono sistematicamente sospettati e le loro vite sono spesso in pericolo. Nel frattempo, i nostri giornalisti continuano a diffondere le "menzogne politicamente corrette". 
Più che sedici secoli fa Agostino protestava già contro le menzogne ​​e l’inganno imposte a lui: "Quello che io denuncio è che pur sapendo l’ambiguità di quel vino del peccato, che in essi ci veniva propinato da maestri ebbri e che dovevamo sorbire, pena le busse, senza possibilità di appellarci a un giudice "(Confessioni I, XVI, 26)
Continuiamo a denunciare i pasticci incompetenti e senza scrupoli dei nostri media, finché non vengano dalla parte del popolo siriano sofferente!

P. Daniel
( traduz. A.  Wilking)

martedì 13 ottobre 2015

fra Ibrahim da Aleppo: "L’Europa deve accogliere i profughi, e insieme riconoscere le ragioni vere di questa emigrazione"

Un grido di dolore da Aleppo, città martire



Avvenire,
12 ottobre 2015

di fra Ibrahim Sabbagh

La Siria sta vivendo una tragedia nel presente e sta perdendo il futuro. Questo è particolarmente evidente qui ad Aleppo, città martire di questa sporca guerra. Non ci sono cifre precise a livello nazionale, ma nella nostra realtà locale in questi ultimi tre mesi – i più difficili, finora – circa il 10% dei miei parrocchiani sono andati via, in un processo inarrestabile di emigrazione interna (verso altre città) ed esterna (fuori dalla Siria).
In tutte le strutture portanti della convivenza civile si assiste a uno svuotamento del Paese, soprattutto di giovani maschi: ingegneri, medici, direttori delle scuole e insegnanti di ogni ordine e grado. Anche nella nostra parrocchia di San Francesco vediamo questo stillicidio che coinvolge tutti i gruppi parrocchiali e le associazioni. Un piccolo esempio: in questi ultimi mesi abbiamo dovuto nominare nuovi responsabili del coro, in sostituzione di quelli che ci hanno progressivamente lasciato, accontentandoci di persone sempre meno preparate. Adesso sappiamo che cosa vuol dire la mancanza di collaboratori esperti, coloro che "hanno tirato il carro" per molti anni in parrocchia.
Questa migrazione che coinvolge così tante persone e famiglie intere è spontanea e disordinata. Le persone che fuggono si espongono a pericoli non meno gravi del rimanere ad Aleppo sotto le bombe, finanche al rischio della morte, come testimoniano le tragedie che si consumano in mare o lungo le rotte di terra. In parecchi casi di famiglie emigrate, una volta in salvo, si verifica la "rottura" della famiglia stessa in quanto i genitori non riescono a superare la prima durissima fase dell’adattamento, quella dello "choc culturale". Oppure perché il cambiamento repentino delle condizioni di vita influisce pesantemente sulla sfera psicologica, con la perdita della pace interiore, rendendo le persone fortemente vulnerabili.


Noi frati che siamo i responsabili di questa parrocchia in Aleppo cerchiamo di fare l’impossibile per frenare questa emorragia, sostenendo sia le singole persone sia le famiglie in tutti i modi possibili. Non possiamo però costringere nessuno a rimanere e nemmeno, d’altro canto, incoraggiare alcuno ad andarsene. 
Con il prolungarsi di questa situazione di caos totale e di mancanza di sicurezza, di elettricità e di acqua, di gasolio, di cibo, di lavoro, non è certamente difficile comprendere perché così in tanti decidano di lasciare.
L’Europa deve saper accogliere la parola franca e diretta di papa Francesco che più volte, a sua volta, ha invitato ad accogliere i profughi, e insieme ha insistito sul dovere di riconoscere le ragioni vere di questa emigrazione per poter tentare di risolvere i drammatici problemi che ne sono alla radice.
Questo è fondamentale poiché significa cambiare il modo di fare politica, passando attraverso una profonda "conversione" del pensiero e dell’azione. Purtroppo però diversi Paesi si soffermano – quando lo fanno – solo all’ascolto della prima parte del richiamo del Papa, chiudendosi ed ignorando del tutto la (più difficile) seconda parte.
Riguardo al tema dell’accoglienza dei profughi il nostro giudizio, fondato sull’esperienza, ci fa dire che bisogna esprimere la carità, ma la carità nella verità. Bisogna aprire le frontiere e prendersi cura di tutte le persone sofferenti senza distinzioni, ma è anche necessario non smettere mai di discernere e di valutare: tanti nostri fratelli cristiani che si sono trasferiti in Europa ci hanno raccontato di essersi trovati durante il viaggio vicini anche a persone che erano migranti come loro, ma che portavano dentro di sé i "semi" dello Stato Islamico, ed erano così certi dell’impunità da parlarne ad alta voce senza alcuno scrupolo.
Noi non ci stanchiamo di ripetere che abbandonare la Siria al suo destino, così come tutto il Medio Oriente, sarebbe un dramma per l’umanità intera. Ma anche che questa situazione è già un danno incalcolabile per la testimonianza della presenza storica di Cristo, una ferita lancinante inferta all’annuncio del Vangelo, che mai dovrebbe cessare di risuonare in questa terra. A nessuno il Signore ha dato il permesso di sradicare l’albero del cristianesimo innestato e radicato qui da duemila anni, irrigato dal sangue dei martiri e dalla testimonianza di innumerevoli santi. Dicendo "nessuno", mi riferisco non solo al fondamentalismo islamico ma anche a noi, che siamo la bimillenaria Chiesa d’Oriente.

 Con questa consegna c’è in noi la certezza che Dio è presente anche oggi, anche qui tra le macerie di Aleppo, che «le porte degli inferi non prevarranno…» e che il Signore fa scaturire sempre un "di più" di bene per chi lo ama, anche dal male. 
Noi continuiamo a incoraggiare la nostra gente a «sperare contro ogni speranza», portando con coraggio la croce di ogni giorno. 
Come diceva san Giovanni Crisostomo in una lettera scritta durante il suo ultimo esilio, le nuvole nere e le tempeste che attraversano l’intera storia della Chiesa annunciano già il «bel tempo» che arriverà l’indomani. Nella nostra preghiera assidua troviamo l’energia per continuare a vedere con gli occhi del cuore che c’è qualcosa di bello e luminoso che spetta, dopo questa tempesta, alla Chiesa d’Oriente: è l’attesa, non vana, di un tempo nuovo per la testimonianza e l’espansione del Regno di Dio.
*frate francescano e parroco della chiesa di San Francesco ad Aleppo

domenica 11 ottobre 2015

"Non c'è amore più grande...." : in memoria di Andrea

Giunge alla redazione di Ora pro Siria la lettera del papà di un bambino morto improvvisamente questa estate. Di Andrea tutto è stato donato. Le offerte di amici e di colleghi di lavoro dei genitori sono state destinate ai bisogni della popolazione siriana: esse hanno soccorso gli abitanti assetati attraverso il progetto 'Acqua per Aleppo',  e inoltre 7 malati che non potevano pagarsi il costo dell'operazione, e 60 scolari che hanno così potuto iniziare l'anno scolastico con il materiale necessario.
"E così volando volando anche un piccolo cuore se ne andava...
attraversando il cielo verso il Grande Cuore... "






Il  14 luglio di quest'anno il nostro secondo figlio Andrea di 13 anni è morto, portato via da una emorragia al cervello in soli 3 giorni. 
Se è vero che con questo avvenimento Dio ha chiesto tanto alla nostra famiglia, è pur vero che ci ha aiutato, attraverso fatti e persone, a non chiuderci nella disperazione e a mantener viva quella domanda di bene e significato per la nostra vita. 
Anche la decisione di donare le offerte raccolte in memoria di Andrea a favore della vostra associazione per aiutare i cristiani perseguitati in Siria, ci ha dato l'opportunita' di incontrare persone, ascoltare testimonianze di fede (come quella commovente di padre Ibrahim al Meeting di Rimini) e conoscere realta' con le quali possiamo condividere il nostro cammino. 
Solo ora è piu' chiaro che sia a noi, sia ai cristiani in Siria che soffrono a causa della loro fede è chiesta la stessa cosa: dire il nostro sì a Cristo attraverso la circostanza dolorosa che viviamo.Molte volte mi sono detto: "ci sara' un bene anche per noi...".Ora penso che questo bene non sia qualcosa che deve ancora venire, ma sia Andrea stesso che ora ci accompagna a dire il nostro sì.
La nostra speranza è partire da un bene che già c'è e cercare di seguirlo come meglio possiamo, anche con tutte le nostre fragilita', i nostri dubbi, i nostri tradimenti.
Vi saluto come padre Ibrahim ci ha salutato al Meeting:  "uniti nella preghiera". 
Gilberto e famiglia.
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DEO GRATIAS!  libero!


http://www.fides.org/it/news/58566-ASIA_SIRIA_Padre_Jihad_della_Comunita_di_Deir_Mar_Musa_ringraziamo_cristiani_e_musulmani_che_hanno_pregato_per_la_liberazione_di_padre_Murad#.Vhuk7_ntmko

Padre Murad parla al Tg2000

  “Dicevano che m’avrebbero sgozzato se non avessi abiurato la mia fede cristiana”. E' un racconto drammatico, ma pieno di fede e serenità, quello che abbiamo raccolto poco fa, al telefono, da padre Murad, il sacerdote siro-cattolico sequestrato dall’Isis e rilasciato sabato scorso in un villaggio siriano. Ecco dunque il diario della sua prigionia.

venerdì 9 ottobre 2015

Mons. Hindo ribadisce: Le operazioni statunitensi sono "solo di facciata, in realtà hanno lasciato liberi di agire i jihadisti"

Asia News 
09/10/2015


Vescovo siriano: 
L’ambigua politica Usa favorisce lo Stato islamico. Questa guerra di Daesh nasconde solo interessi economici ed è finalizzata a dividere il Paese, contro la volontà di un popolo.
Timori per i cristiani rapiti. 


I raid aerei americani in Siria sono operazioni di facciata, che in realtà non colpiscono le milizie dello Stato islamico (SI) le quali sono libere di agire sul terreno; solo gli attacchi dei russi degli ultimi giorni si sono rivelati efficaci, costringendo i jihadisti a ripiegare verso il deserto irakeno. 
È quanto racconta ad AsiaNews mons. Jacques Behnan Hindo, alla guida dell’Arcieparchia siro-cattolica di Hassakè-Nisibi, che riferisce le testimonianze raccolte dalla gente che vive nelle aree teatro del conflitto. “L’intervento di Mosca si è rivelato positivo - spiega il prelato - perché stanno colpendo davvero Daesh e i miliziani cominciano a fuggire. In una zona sono scappati a bordo di 20 auto in tutta fretta in direzione dell’Iraq, lasciando altre 20 auto sul posto. Segno di una vera e propria ritirata”. 
Il vescovo di Hassakè-Nisibi vive egli stesso sotto la minaccia dello SI: “Sono a meno di tre chilometri dalla città - racconta - un mese fa una loro offensiva è stata respinta e hanno ripiegato nei dintorni della città. Nelle ultime due settimane, grazie anche agli attacchi dei russi, hanno cominciato a ritirarsi”. 

Di contro, mons. Hindo riserva invece parole durissime verso gli Stati Uniti, i quali starebbero bombardando non le postazioni delle milizie jihadiste ma reparti e mezzi dell’esercito governativo siriano. “Non è questione di essere pro o contro il governo - racconta - ma la gente non ha mai creduto agli attacchi americani. Solo i curdi hanno davvero combattuto sul terreno, ma per difendere le proprie posizioni” e non è plausibile che possano, essi soli, risolvere l’emergenza. Inoltre Stati Uniti, Francia, Gran Bretagna parlano solo di “attaccare Daesh, ma non parlano di al Nusra e di altre milizie fondamentaliste legate ad al Qaeda. Anzi, vi sono gruppi estremisti che hanno cambiato nome per rifarsi una verginità, e questi non vengono nemmeno menzionati. Anche questo è un grosso problema”.
Il presule denuncia una “ambiguità di fondo” nell’atteggiamento di Washington;  come emerge anche dal comportamento tenuto dagli americani durante il sequestro di centinaia di cristiani originari dei villaggi della valle del fiume Khabur. “La notte del 23 febbraio, quando Daesh ha attaccato, gli aerei americani hanno sorvolato a lungo la zona senza intervenire. Poi per tre giorni non si è più visto alcun caccia, lasciando campo libero ai miliziani. Questo ci fa pensare che in qualche modo sono stati aiutati dagli americani, che tengono un atteggiamento ambiguo”. 

In queste ore i media dello Stato islamico hanno diffuso un video (clicca qui per vedere alcuni estratti diffusi dalla tv libanese Otv e rilanciati da Aina) che mostra l’esecuzione di tre degli oltre 200 cristiani assiri ancora nelle mani dei miliziani jihadisti. 
“Ne hanno giustiziati tre - racconta mons. Hindo - e ne stanno preparando altri tre per una prossima esecuzione. In un primo momento hanno chiesto una somma enorme per la liberazione, quasi 120mila dollari per ciascuna delle 203 persone. Hanno respinto la proposta di un milione per il rilascio di tutti, ora è stata fatta una nuova proposta e stiamo aspettando una risposta”. 
Il prelato spiega che è difficile trattare con i rapitori, i contatti “sono brevissimi” e “non lasciano molti margini di manovra”. “Rispondo sì o no - racconta - e poi agiscono di conseguenza. Ora è rientrato nella zona anche il vescovo assiro, che si trovava a Erbil [per l’elezione del nuovo patriarca], per proseguire nelle trattative e seguire la vicenda in prima persona”. Nei giorni scorsi hanno liberato un anziano di 89 anni per comunicare la notizia dell’avvenuta esecuzione, poi la diffusione del video che sarebbe stato girato attorno al 23 settembre, festa islamica del sacrificio. “Analizzando il video - spiega mons. Hindo - si vede che il sole era ancora forte, mentre negli ultimi 10 giorni è calato di intensità. Questo fa ritenere plausibile la data del 23 come momento dell’esecuzione anche se non ci sono riferimenti alle celebrazioni”. 

Alla vicenda dei cristiani si associa anche il dramma vissuto dalla popolazione di Deir el-Zor, città di 250mila abitanti a est della Siria, da tempo assediata dalle milizie dello Stato islamico. “La gente muore di fame - denuncia il vescovo - mancano cibo e medicinali. Pensate che oggi un sacco di 50 kg di zucchero ha raggiunto il valore di una vettura o di una casa. La gente vende la macchina per comprarselo. Lo SI ha imposto un vero e proprio blocco, uomini, donne, anziani e bambini ridotti alla fame”. Per questo egli rilancia l’appello agli Stati Uniti, all’Arabia Saudita, al Qatar perché facciano “davvero qualcosa” per fronteggiare l’emergenza e salvare una popolazione civile allo stremo delle forze. 


In realtà, accusa mons. Hindo, i governi occidentali “stanno lavorando per la sicurezza di Israele e per dividere la Siria e l’Iraq, per mettere così le mani sulle ricchezze di questi Paesi. E non si tratta solo di petrolio, perché al largo delle nostre coste è stato da poco scoperto un importante giacimento di gas naturale. E ancora, sono in ballo - aggiunge - gli oleodotti che dall’Arabia Saudita e dal Qatar dovrebbero arrivare in Occidente. Damasco non ha accettato il passaggio sul proprio territorio, e questa è la conseguenza”. 
È una questione “molto complessa” , conclude mons. Hindo, dietro la quale “vi è l’economia; in Occidente si parla di religione, di sunniti e sciiti, di cristiani e musulmani ma questa guerra di Daesh e degli altri gruppi nasconde solo interessi economici ed è finalizzata a dividere il Paese”, contro la volontà di un popolo che in maggioranza “è unito e che vuole restare unito”.

http://www.asianews.it/notizie-it/Vescovo-siriano:-L%E2%80%99ambigua-politica-Usa-favorisce-lo-Stato-islamico.-Timori-per-i-cristiani-rapiti-35543.html


LEGGI ANCHE : Siria: Russia e Occidente ai ferri corti

giovedì 8 ottobre 2015

Il dramma dei profughi nella testimonianza di un siriano cristiano, che finisce detenuto in Turchia

" solamente il mare ha avuto pietà dei siriani" 

Ci racconta Yousef, un cristiano arrestato in Turchia, come è iniziata la sua fuga dalla guerra in Siria,  come è stata affondata la barca che portava 150 persone, il 15 di settembre 2015, e come sono finiti tutti in un campo di detenzione in Turchia vivendo in condizioni pessime.
Con lui ci sono 65 cristiani tra cui bambini e donne, con loro stanno pure gli integralisti

Ascoltiamo la sua storia inviata  attraverso Whatsapp:

" Studiavo alla facoltà di ingegneria meccanica a Damasco, ma sono andato fuori dal paese perchè la situazione si era fatta molto pericolosa. 
Prima sono andato in Libano, e da li sono andato nei Paesi del Golfo, spostandomi in continuazione perchè nessuno di essi mi ha voluto dare un permesso di soggiorno. Dopo di che sono partito per la Turchia e sono rimasto circa 6 mesi, ma non sono riuscito a trovare un lavoro. Così sono rientrato in Libano dove sono rimasto 2 anni, lavorando in una casa farmaceutica, ma ultimamente la situazione in Libano e' diventata pessima per i siriani, quindi sono ritornato di nuovo in Turchia con i miei cugini. Siamo atterrati ad Adana e dopo ci siamo diretti verso Bodrum, abbiamo tentato di scappare verso l'Europa col gommone ma non siamo riusciti. E nel secondo tentativo il motore si e' spento mentre eravamo a poca distanza dalle acque greche,  nel terzo tentativo il gommone ha perso l'equilibro. Allora abbiamo deciso di partire con lo yacht perchè è più sicuro. Eravamo un gruppo di 7 persone (io , i cugini più un amico con la sua famiglia e sua sorella).
Eravamo in un albergo dove c'erano pure altri siriani (circa 300), tra di loro c'erano circa 50 cristiani, poi si sono aggregate altre due famiglie. Così eravamo in totale circa 75 cristiani. 
Ci hanno divisi in gruppi (ogni gruppo di 30 o 40 persone) ed ogni gruppo l'hanno fatto salire dentro un camion chiuso, che viene utilizzato per il trasporto della carne. Siamo rimasti dentro il camion per circa un' ora e mezzo, in quel tragitto pensavamo di morire dentro. Con il GPS seguivo tutto il tragitto, alla fine siamo arrivati a Sorba. Da li e' iniziata la durissima camminata per due ore e mezzo tra le rocce e le spine fino ad arrivare al mare. Eravamo distrutti dalla stanchezza, alcuni di quelli che erano con noi hanno provato a tornare indietro, ma i camion erano già andati, ormai eravamo nelle mani dei trafficanti turchi che ci hanno trattato malissimo, ma non potevamo fare niente. Siamo arrivati ad una scogliera d circa 200 m2, e lì abbiamo aspettato 3 ore. Alla fine e' arrivato lo Yacht che era un po' malandato. Siamo saliti tutti, le famiglie erano messe nel piano sotto mentre i giovani nel piano sopra. Quando e' arrivato lo Yacht l'autista turco e' andato via ed e' salito uno siriano di Lattakia che era uno di noi e voleva come noi scappare in Europa. 
Abbiamo fatto un' ora di navigazione ed andava tutto bene, finchè abbiamo visto una barca della guardia costiera turca. La guardia ha puntato una luce contro di noi ed ha iniziato a girare intorno al nostro Yacht. Non abbiamo voluto fermare, ma la barca della guardia ha iniziato a girare velocemente intorno al nostro Yacht causando delle onde forti. La gente ha iniziato a sentire il panico perchè la barca cominciava a perdere l'equilibrio. Abbiamo fatto vedere alla guardia turca che non avevamo niente di pericoloso, e che abbiamo con noi dei bambini. Abbiamo chiesto all'autista di fermare. Ma la guardia ha iniziato a sparare, non sappiamo se hanno sparato contro di noi o in aria, perchè al momento della sparatoria ci siamo buttati in terra. Quelli che erano sotto hanno sentito un grande rumore che usciva dal motore della Yacht, non sappiamo se era il motore colpito dalla guardia o se e' stato un guasto. Le guardie hanno continuato a girare intorno a noi ed avevano nelle loro mani delle telecamere per filmare tutta la scena. Alcuni di noi parlavano il turco ed hanno detto loro che abbiamo dei bambini ma nessuno ci dava retta. Alla fine si sono fermati ma nel frattempo l'acqua ha cominciato a salire dentro la barca, in poco tempo ci siamo trovati nell'acqua. Alcuni bambini, donne e uomini sono stati salvati grazie ad una piccola barca era dentro lo Yacht. Alcuni avevano un salvavita, alcuni si sono buttati nell'acqua senza niente, ma alcuni di quelli che erano rimasti nel piano sotto sono morti. Sono morte circa 30 persone tra di loro c'erano 13 bambini. Una famiglia intera è finita nella bocca del mare. 
La situazione era drammatica, nel frattempo sono arrivati altri Turchi a guardare la scena avendo delle telecamere, e mentre cercavamo di avvicinarci loro si allontanavano. Dopo di che si sono avvicinati ed hanno cominciato a tirarci su filmando tutto anche da un elicottero. Ci hanno lasciti sotto il sole per 2 o 3 ore. Dopo un'ora di navigazione siamo arrivati al centro di polizia di Bodrum dove ci hanno lasciati per 4 ore. Dopo ci hanno divisi in 3 o 4 gruppi. Siamo finiti in un centro di polizia dove ci hanno lasciato li per 20 ore all'aperto, senza una coperta dandoci poco da mangiare e non bastava per tutti, anzi, alcuni del nostro gruppo non hanno avuto niente da mangiare. Ci hanno dato un po' di acqua dopo che abbiamo perso la pazienza. Eravamo sotto un forte controllo fino all'ora di dormire. 
Al secondo giorno sono arrivati dei bus, e ci hanno detto che ci portano a Mugla (dista 60 km), ma siccome qualcuno di noi capisce il turco, abbiamo saputo che ci volevano portare ad un campo di profughi, allora abbiamo protestato ed abbiamo creato un muro di donne e bambini e noi uomini ci siamo messi dietro, sperando che non ci caricassero, ma la polizia ha iniziato a colpirci e ci hanno messi nei bus per forza. Con noi solo saliti dei poliziotti armati vestiti in borghese, molto probabile che erano dei servizi segreti turchi. I bus hanno viaggiato per circa 20 ore senza che nessuno ci dicesse dove ci portano. Ci siamo fermati una volta sola per mangiare e bere, abbiamo chiesto a loro "dove ci portate?” ma nessuno ci rispondeva.
Alla fine siamo arrivati in un campo che si chiama Uthmanya nella regione di Doschi. Quando siamo entrati dentro abbiamo capito che ci hanno portato dentro un campo di detenzione e non un campo di profughi. Un campo dove c'è una sorveglianza forte, torri, telecamere, filo spinato. Ci hanno messo dentro delle carovane (non erano male) ma non ci proteggeva dal caldo durante la giornata o dal freddo della notte (eravamo in una zona di montagna). Il cibo non era nè di buona qualita' e nè di quantita', il pasto e' Burgul o riso sia al pranzo che alla cena.
La grande sorpresa è che ci hanno messi in una prigione con gli estremisti islamici, abbiamo visto alcuni di loro feriti per le battaglie in Siria. Ci sono pure dei mendicanti, la nostra accusa era quella di mendicanza, ma senza darci nessun tipo di spiegazione, noi dobbiamo solamente obbedire.
Quando siamo arrivati nel campo di detenzione abbiamo saputo che un giovane è morto perchè ha rifiutato di mangiare (protestando), questo giovane siriano e' morto dopo tre giorni della sua protesta ed i suoi amici lo hanno portato fuori dalla camera .
Ieri e' arrivato un gruppo dal UN che ha fatto delle interviste. Non ci hanno promesso niente, ma ci hanno detto che faranno un verbale e lo portano alla UN. "




Video:   Siria, il patriarca di Antiochia: 
"La Russia fa bene a intervenire"