Il Sussidiario , 23 gennaio 2014
di ROBI RONZA
Per non compromettere
il buon esito del Salone dell’Orologeria, di importanza ovviamente cruciale per l’economia elvetica,
i colloqui per la pace in Siria che vanno
sotto il nome di “Ginevra 2” sono iniziati non nella sede dell’Onu a Ginevra bensì nel centro congressi di un
albergo della non lontana Montreux.
La seduta inaugurale, aperta alla stampa, non ha dato adito
a grandi speranze per il futuro di
questi negoziati, che continueranno a
Ginevra a porte chiuse.
Prima ancora che si aprissero, sulla loro sorte ha
pesato un’assurda pretesa, tuttavia non
priva di precedenti in quest’epoca di crisi - fra le altre cose - anche della diplomazia. La pretesa cioè
di escludere a priori dalla trattativa
alcune delle parti in causa, ovvero pretendere di aprire loro la porta ma solo a condizione che si impegnino a
uscire poi dalla scena.
Lunedì scorso il segretario generale dell’Onu, Ban Ki-moon,
sotto la cui égida i colloqui hanno
luogo, vi aveva invitato anche l’Iran, ma il giorno dopo si è rimangiato
l’invito su pressione degli Stati Uniti che si sono opposti sia a nome proprio, sia tramite la Coalizione
nazionale siriana, ossia il fronte di opposizione
al regime di Assad sostenuto da Washington.
La soluzione di una
crisi va trattata con tutte le parti in causa, con tutti quelli che di fatto
tengono il campo e non solo con i più belli e i più buoni (o presunti tali). Piaccia o non piaccia l’Iran
ha un ruolo tutt’altro che secondario
nella vicenda;
lasciarlo fuori quindi non ha giustificazione alcuna.
Se si comincia a pretendere che qualcuno che è sul campo non
sia anche al tavolo dei negoziati ciò
significa che non si mira alla pace ma a qualcos’altro. Poi magari non si
arriva alla pace anche avendo messo attorno al tavolo tutti quanti; lasciando
però fuori qualcuno non ci si arriva di sicuro. Diciamo perciò che c’è qualcosa di quanto meno paradossale nel fatto che alla conferenza partecipano circa trenta Paesi e altri
soggetti di diritto internazionale, ma non
l’Iran. C’è quasi tutta l’Europa occidentale, Italia compresa, tutti o quasi i
Paesi arabi, ovviamente gli Stati Uniti e la Russia, ma poi anche
l’Australia, il Sudafrica, l’India,
l’Indonesia, la Corea del Sud e così via, ma non l’Iran.
Dall’altro lato come si fa a porre l’impegno a uscire dalla
scena quale condizione preliminare a una
delle parti in causa, in questo caso il regime di Assad? Chi mai accetterebbe di trattare a
questo prezzo? Non lo accetterebbe neanche uno che avesse l’acqua alla gola, non
foss’altro che per vendere cara la pelle;
e tanto meno può accettarlo uno che, come Assad, sta resistendo con successo all’attacco di milizie talvolta
straniere e sempre finanziate dall’estero,
che, in quanto a rispetto dei civili e delle loro proprietà, non sono meglio, anzi spesso sono peggio, delle
sue truppe.
Peraltro per un verso il regime di Assad non poteva fare a
meno di esserci, e per l’altro non ci si poteva permettere di lasciarlo fuori.
Perciò sin dalla sessione inaugurale dei
negoziati il ministro degli Esteri siriano è entrato nella trattativa
attaccando Ban Ki-moon e respingendo a priori tale condizione.
Poi magari durante i colloqui a porte chiuse che inizieranno
domani a Ginevra si arriverà
imprevedibilmente a qualcosa di positivo. Siamo però appunto nel campo dell’imprevedibile.
La situazione è aggrovigliata oltre ogni dire, ma in fin dei
conti il bandolo della matassa è in mano
alle potenze che finanziano il conflitto: dalla parte di Assad la Russia e l’Iran, e da quella
dell’insurrezione gli Stati Uniti, ohimè l’Unione
Europea e alcuni Paesi arabi.
E’ innanzitutto
a questo livello che la trattativa deve
cominciare, e il nostro governo potrebbe, se volesse, fare qualcosa.
PAPA-HOLLANDE: Perché arruolare Bergoglio tra i ribelli
islamisti?
Il Sussidiario , 25 gennaio 2014
di ROBI RONZA
Parlando ieri a Roma alla stampa dopo il suo incontro con
Papa Francesco, il presidente francese François Hollande ha sorprendentemente
annunciato di aver chiesto al Pontefice che il Vaticano possa ricevere la
visita di una delegazione della coalizione democratica siriana, ovvero di quella parte
degli insorti contro Assad che sono sostenuti dall’Occidente. E dopo aver
ricordato che la Santa Sede partecipa alla conferenza Ginevra 2, ha aggiunto
di auspicare che essa contribuisca ad orientare tale conferenza verso una
soluzione dalla crisi siriana nel segno della “transizione” (ossia dell’uscita di
scena di Assad).
Nel comunicato diffuso sull’incontro la Sala stampa vaticana
non è invece entrata nei dettagli, limitandosi a riferire su quali argomenti
il Papa e Hollande si sono soffermati. Il video delle dichiarazioni di
Hollande è sul sito della presidenza della Repubblica francese, mentre il
comunicato della Sala stampa vaticana è sul sito della Santa Sede, dico per
chiunque voglia farsene direttamente un’idea.
Mentre insomma a Ginevra, come purtroppo era prevedibile, la
Conferenza internazionale sulla crisi in Siria rischia immediatamente
di fallire, Hollande non esita a cercare di forzare la mano a Papa Francesco
rendendo pubblico un appello che è di un’unilateralità sconcertante. Come ha
recentemente dimostrato nel caso di una sua vicenda personale ormai però divenuta di
notorietà planetaria, Hollande è capace di dire senza batter ciglio
qualunque cosa in qualsiasi situazione. Ascoltandolo c’è talvolta di che
esserne paradossalmente ammirati. Uno si domanda: “Ma come fa?”. E la domanda non
può che rimanere senza risposta.
Venendo al caso della Siria senza dubbio il presidente
francese aveva scelto l’interlocutore giusto, tanto più considerando il ruolo
importante, anzi molto probabilmente decisivo, che il Papa ha avuto nel blocco
all’ultimo momento di un attacco aereo americano che avrebbe avuto di certo
conseguenze catastrofiche.
Come si fa, però, nel momento stesso in cui si chiede una
mediazione di tale qualità e di tale livello, a pretendere di fissarne ciò che
in gergo diplomatico si chiama l’“agenda”? È una gaffe degna di un dilettante, e
tanto più grave considerando che, in quanto ad abilità politica, di tutto
può essere accusato Hollande meno che di essere un dilettante. Se lo fosse stato
non sarebbe giunto a una carica così più grande di lui.
Tra l’altro la Santa Sede è poi sempre riuscita a tenere
aperto, sia con flessibilità che con fermezza, un certo dialogo con l’Iran
khomeinista. Il suo costante e autentico impegno per la pace nel Levante è ben
noto essendo ad essa strettamente legata la causa della libertà dei cristiani
nell’area, e quindi di tutti.
Ad ogni modo, di positivo c’è che Hollande ha chiesto
esplicitamente l’attenzione della Santa Sede al problema. Nel prossimo
futuro si vedrà se anche altre importanti parti in causa, a partire dagli Usa e dalla
Russia, sono sulla medesima lunghezza d’onda.
Se ciò
fosse, la Santa Sede potrebbe fare molto per la pace in Siria.
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