Le speranze e le preghiere per il 2013 di un Paese ferito dalla guerra e dalle difficoltà
Salvatore Cernuzio
Solo poche ore e si concluderà il 2012. Poche ore ancora per fare bilanci, per ricordare gli avvenimenti importanti, per prepararsi a dare il benvenuto al nuovo anno e salutare quello passato, così intenso, così pieno, così difficile.
Poche ore e i cristiani reciteranno il
Te Deum,per ringraziare solennemente Dio, perché qualsiasi cosa sia accaduta loro negli ultimi dodici mesi, anche negativa, è comunque un Suo dono, un segno della Sua volontà che si manifesta nella vita umana.
È una certezza questa, radicata nel cuore di ogni fedele. Non si spiega altrimenti come i cristiani di una regione ferita come la Siria siano ancora capaci di dire grazie al Signore per l’anno passato e di tenere viva la speranza per quello futuro.
Lo conferma una fonte dell’Arcidiocesi siriana di Jazirah in una nota inviata a ZENIT, in cui racconta che “come i cristiani in ogni parte del mondo anche noi cristiani di Siria celebriamo la Natività del nostro Signore e il nuovo anno. Speriamo che il Cristo non possa mai dimenticare la gente siriana e tutta l'umanità per portare loro pace e giustizia”.
Questa zona storica della Siria, corrispondente all’antica Mesopotamia, dopo anni di serenità, vive oggi una situazione molto difficile. “Il nostro futuro è incerto - racconta la fonte - la gente teme che i combattimenti in molte parti della Siria potrebbero spostarsi un giorno nella nostra zona, portando morte e distruzione”.
Un sentore questo che è diventato quasi realtà quando, il 9 novembre 2012, i combattenti si sono spostati a Ras Al-Ayn, una piccola città al confine con la Turchia e a circa “un'ora di auto” dalla sede dell’Arcidiocesi di Jazirah in Hassaké. “Il 10 dicembre 2012 – si legge nella nota – abbiamo fatto un giro a Ras Al-Ayn con Padre Touma Qas Ibrahim ed è stata dura vedere la sua Chiesa di San Tommaso e le altre chiese della città vuote, danneggiate o addirittura distrutte”.
“Questa era una cittadina molto tranquilla, la gente ha vissuto in pace per molti anni, ma ora è una città di morte”. “La Chiesa ha fatto un grande sforzo fino ad oggi per creare armonia fra tutte le comunità, soprattutto tra arabi e curdi” spiega la fonte, raccontando del recente incontro ecumenico di preghiera per la pace presieduto dai sacerdoti cristiani nella Cattedrale siro-ortodossa di San Giorgio a Hassaké.
Per l’Arcidiocesi di Jazirah è stato questo “un evento significativo, che ci ha permesso di raggiungere sia arabi che curdi”, i quali “non avevano mai avuto un’occasione di stare insieme dal marzo del 2011”, da quando, cioè, sono cominciati i problemi in Siria. “Queste persone hanno partecipato alla veglia, hanno pregato con noi e hanno dato un vero messaggio di pace all’umanità”.
Sempre secondo quanto riferito nel comunicato, la regione di Jazirah ha accolto, inoltre, un gran numero di famiglie sfollate, venute a vivere nelle città di Hassaké e Kamishly. “Queste due città sono diventate ormai un rifugio sicuro per decine di migliaia di famiglie, fuggite dalle zone di combattimento, tanto che la popolazione di entrambe è quasi raddoppiata”. “Preghiamo quindi che queste due città possano stare lontane dal conflitto, per evitare una catastrofe umana definitiva” si legge.
La guerra in Siria, infatti, è ancora in corso, e il prezzo di morte, distruzione, miseria e dolore è spesso a carico di persone innocenti. L'assenza “locale e internazionale” di uno spirito di riconciliazione “ha portato il paese ad una situazione di caos totale” dichiara ancora la fonte di Jazirah: “La Chiesa in Siria, come tutte le altre comunità, ha sofferto tanto per questa guerra così empia”.
In aggiunta a tutte queste difficoltà, il popolo siriano è costretto a sottostare ad altri problemi: inflazione, povertà in crescita, vendetta, carenza di forniture di cibo e carburante, clima freddo, rapimento di bambini, uomini e anziani. E ancora: immigrazione, più di 12 ore di energia elettrica a breve taglio, rischi nel viaggiare, connessione ad internet quasi sempre assente e molto altro ancora.
“La Chiesa cattolica siriana cerca di fare il massimo per ‘riparare’ a questi danni, per ottenere la pace, per la carità verso i poveri e per ricostruire le Chiese di Dair Al-Zor, Ras Al-Ayne e Homs” conclude la nota.
Tutto questo non è una denuncia, né un grido di disperazione, ma solo la descrizione della tragica vita di un Paese dove la speranza cristiana resta accesa come un faro in una tempesta. E la richiesta è solo una: “Chiediamo solo le vostre preghiere incessanti per la pace in Siria. Speriamo che le immagini di distruzione spesso trasmesse dai media tocchino il cuore dell'umanità. Intanto auguriamo a tutti i nostri fratelli di proseguire nel successo e nella prosperità in questo nuovo anno che sta per iniziare”.
http://www.zenit.org/article-34792?l=italian
Fermare le armi, dare speranza alla pace
Sono passati più di 21 mesi dall’inizio della guerra in Siria, costata la vita
finora ad oltre 45 mila persone. Stamani, il ritrovamento a Damasco di 30
cadaveri sfigurati. Tra le vittime del conflitto anche molti cristiani. L’ultimo
- riferisce una suora carmelitana missionaria in Siria - è un tassista di 38
anni decapitato da estremisti islamici.
Sul versante politico, intanto, il primo
ministro siriano ha dichiarato che il governo è pronto a rispondere a qualsiasi
iniziativa che risolva la crisi attraverso il dialogo. Un appello per la pace in
Siria viene anche dalla Terra Santa, dove sono in pellegrinaggio i militari
italiani accompagnati dall’arcivescovo Vincenzo Pelvi, ordinario militare
per l’Italia. Il nostro inviato Luca Collodi lo ha intervistato:R. - Siamo
particolarmente sconvolti da quanto accade in Siria. Si fermino le armi, e si
apra la via diplomatica! Una guerra civile che - mi pare - non solo uccide la
pace, ma sta uccidendo l’uomo. E poi un appello non solo perché si concluda la
guerra al più presto, ma perché si pensi anche alle piccole comunità cristiane
presenti in quel martoriato territorio. Tanti credenti soffrono non solo per la
guerra e per la mancanza di dignità umana, ma anche per una forma di
indifferenza. Noi, famiglia cristiana nel mondo, dobbiamo essere solleciti nel
far arrivare messaggi e gesti concreti di attenzione che mettano in circolo la
fiducia.
.............http://it.radiovaticana.va/news/2012/12/31/guerra_in_siria._mons._pelvi_dalla_terra_santa:_fermare_le_armi,_dare_/it1-651819