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mercoledì 24 ottobre 2012

Perchè le Sorelle rimangono in Siria? Diario dalla Trappa di 'Azeir


'Azeir Siria
29 agosto 2012

Dalle lettere delle Monache Trappiste in Siria



 

Vi ringraziamo immensamente per le vostre preghiere per noi e per la pace qui in Siria. Speriamo, speriamo presto la Pace, il Signore, la Sua e nostra Madre siano propizi.

Noi stiamo bene, ma la gente è stanca di una guerra così iniqua e atroce…. La Siria è bagnata di sangue: incredibile perché non si capisce una guerra così insensata e iniqua. Preghiamo, preghiamo perché tutto è possibile al Signore!!!

Continuiamo la vita normale e regolare, anche se le cose diventano più difficili perché è come tutto paralizzato, gli spostamenti e i viaggi è meglio non farli e quindi la gente e gli operai non possono venire e lavorare ecc….

L’orto intanto produce tanti frutti di ogni genere, tantissime le fragole che abbiamo utilizzato per marmellate le abbiamo date anche agli operai…

I giardini sono stupendi, abbiamo sempre dei fiori e rose tutto l’anno, bellissime in Chiesa e poi tutte le piante che diventano grandi e crescono…. E gli uccelli cantano le lodi di Dio con noi.

Sta per suonare e devo terminare.

A vicenda preghiamo e supplichiamo anche tutti i santi del Cielo che vengano in nostro aiuto. Un caro abbraccio.


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La cosa più importante da dirvi non è una novità per voi: pregate per la Siria! Perché questo popolo, ormai unificato nel nome di una patria comune, non perda questa coscienza di essere un popolo unico, anche se composto da etnie e religioni diverse, che non si spacchi, che non perda i tradizionali valori di tolleranza e ospitalità verso il diverso e lo straniero che vive accanto….

Anche se i nostri vicini, specie quelli a Sud e a Nord, aiutano ben poco, per non dire di peggio. Continuamente mi stupisco dalla pazienza con cui la gente è riuscita fino ad ora a portare la situazione, nonostante le sanzioni che tolgono il pane dalla bocca ai più poveri (e sono tanti!), e l’ostilità aperta, e cieca ad ogni evidenza, delle Potenze che contano. La Siria, ormai da tempo cerca di resistere ad invasori prezzolati che agiscono spietatamente nei riguardi di tutti, dei militari in primis, ma anche contro le minoranze e persino contro i loro stessi correligionari, se non si piegano alle loro pretese. Tutto questo in una tempesta informatica che purtroppo coinvolge anche testate che dovrebbero invece essere garanti della verità dei fatti.

Noi, ci chiediamo continuamente: ma possibile che non si rendano conto, all’estero di come le cose sono manipolate? E tutte, convergono verso la distruzione della Siria, verso l’asservimento totale, civile e religioso, di questo popolo che amiamo sempre di più!.

La gente semplice in mezzo a cui viviamo è sconfortata. Già il nostro villaggio, così piccino, può contare dei morti, sia tra i civili che tra i giovani in servizio militare. Ed altri ne stanno partendo, richiamati per combattere in questa guerra che ormai è chiaramente una guerra di invasione. La Siria è diventata un campo di battaglia per avversari che sono più grandi di lei, e vengono a combattere qui, servendosi di questa terra e della gente (e di altri ancora: sapeste tutti i mercenari, quanti sono e da quante parti del mondo arrivano!) per dirimere i loro grandi conflitti.

Pregate! Grazie.


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Le cose sembrano aggravarsi sempre più e non resta che implorare sempre più la pace per questa nazione e per tutte le nazioni in guerra.

Quanto sangue versato!!! E per che cosa??? Per interessi politici che ci sono dietro?? Quanti giovani ragazzi, bambini innocenti, donne…. E di morti atroci….

Preghiamo, preghiamo per tutto il mondo, ora mi sto rendendo conto di che cos’è la guerra.

 

 

 

Le sorelle vi avranno già detto dell’assurdità che vediamo attraverso questa guerra – ma già lo sapete – Io, vi chiedo di pregare prima di tutto per il nostro custode /uomo di fiducia – perché non lo richiamino alle armi…. Per lui, per noi.

E per i giovani qui….. Cominciano a rivolgersi un po’ a noi, hanno bisogno di qualcuno che li aiuti a pensare, a crescere, a riflettere….

…. Pregate come già fate, per noi, e per tutta la Siria.

…. Siamo molto grate alla Madre che ci permette di rimanere. E’ molto importante, anzi, direi che fa parte dell’essere qui, ma non solo: è il senso della stabilità. E’ nella logica dell’Incarnazione. Abbiamo una vita che ci lega a un popolo, una terra, ciascuna delle nostre comunità.
 
                               le vostre Sorelle di 'Azeir


Perchè le Sorelle restano in Siria?
Risponde  Madre  Monica, la Superiora della casa-madre, la Trappa di Valserena




Tutto ciò che è stato detto nella circostanza della visita del Papa in Libano sull’importanza della presenza dei cristiani in Siria, e ancora prima quello che è stato detto in occasione del Sinodo per il Medio Oriente, costituisce l’esatta motivazione del nostro rimanere lì.
Siamo andate sulla traccia dei fratelli di Algeria, che avevano costruito a Tibhirine una convivenza pacifica tra un insediamento cristiano contemplativo, il monastero appunto, e una popolazione autoctona musulmana, religiosa e naturalmente contemplativa, che accoglieva con rispetto e anche con gratitudine la loro presenza solidale e fraterna.
Sappiamo il seguito della storia ad opera di gruppi fondamentalisti; ma rimane in noi la convinzione che sia possibile una convivenza costruttiva e pacifica fra popoli e fedi diverse. In Siria, lo abbiamo detto molte volte, abbiamo trovato una cultura antichissima nata dall’incrocio di molte civiltà e aperta, abituata all’accoglienza e alla convivenza, desiderosa di mantenere questa sua identità.
Le forze negative che tentano di distruggere tutto questo, e che provengono per la maggior parte dall’esterno del paese, checché ne dica una certa congiura mediatica della disinformazione, sono all’opera ora anche in Siria.
Ma le sorelle che sono partite per fondare un monastero, come è nella logica dei nostri insediamenti, sono partite per rimanere, e per divenire, se Dio vorrà e col tempo che ci vorrà, decenni o secoli, non importa, parte di quel popolo.
Sono partite (siamo partite, perché fondare un monastero è la decisione di tutta una comunità sia di chi parte sia di chi resta) siamo partite nella fiducia che un punto di preghiera, un luogo dove Dio è adorato nella sua presenza reale, sia eucaristica che ecclesiale nella preghiera e nella comunione fraterna, nella vita cristiana di una sia pur piccola comunità, sia una benedizione per tutti.
Abbiamo trovato, come ho detto, una popolazione accogliente e pacifica, capace di apprezzamento e rispetto reciproco.
Abbiamo trovato, più specificamente, nella zona in cui siamo stabilite, un piccolo villaggio cristiano, una chiesa e una comunità civile che ci ha accolte. Questa comunità è ora duramente provata, come tutto il popolo siriano. Gli abitanti del villaggio non hanno un altro luogo dove andare, un altro paese in cui riparare, a meno di scegliere la sorte dei profughi. Se ormai facciamo parte di questa comunità, a prescindere da una nazionalità italiana e dalle risorse ad essa connesse che possiamo ancora avere, non possiamo andarcene nel tempo della prova. La loro sorte è la nostra sorte. Restiamo per chiedere per tutti la protezione del cielo, per chiedere la pace, anche per essere un piccolo segno di speranza: siamo venute e restiamo. Andarsene ora, sarebbe una desolazione.
La nostra fiducia nell’uomo viene dalla speranza cristiana – Dio ci ha creati e Cristo ci ha redenti –ed è più forte di tutti gli orrori. Il cristiano è chiamato a testimoniare questo nel mondo, noi siamo state chiamate in Siria, adesso. Perché andarcene?
Fuggiremmo nel momento in cui si trattasse solo di salvare la vita, momento in cui tutta la popolazione dovesse fare questa scelta. Dio non voglia.
                                                                                            madre Monica
 

 "Le donne di Dio."
  VIDEO - di Gian Micalessin
 
 ll mio reportage sulle suore trappiste del convento di 'Azer in Siria. Nel monastero costruito per ricordare i sette monaci trappisti uccisi nel 1996 a Tibherin dai fondamentalisti algerini cinque suore italiane rivivono, nel cuore della guerra, l'esperienza della fede e del sacrificio personale.





Testimonianza da un monastero di Trappiste

Pregare, vivere e sperare con tutti i siriani

 

 AVVENIRE- 23 ottobre 2012

Pregare per tutti. Vivere la nostra vita monastica qui, in Siria, oggi, è avere nel cuore e nella preghiera i civili, cristiani e musulmani, da qualunque parte stiano; le autorità politiche e religiose; i militari; persino i mercenari, nella loro cieca illusione di combattere per Dio. Persino i grandi responsabili di questa tragedia, quelli che stanno dietro le quinte e giocano con la vita e il destino di un’intera nazione. Non perché "siamo buone ", o "sappiamo come stanno in verità le cose". Ma pregare perché ci si trova davanti al mistero del Male, così evidente, palpabile, feroce, menzognero. Preghiamo per l’uomo, l’uomo creato ad immagine di Dio, a volte addormentato nella sua fede, a volte così sfigurato dal suo asservimento a falsi idoli, persino a false religiosità.

Vivere con tutti. Ci sentiamo grate verso questo popolo che ci ha accolte, che ci ospita. Dal quale stiamo imparando tanto. Coraggio di resistere, amore per la propria nazione, fede di fronte alla vita e alla morte. Viviamo con loro, nel desiderio della normalità della vita quotidiana. Può sembrare banale: come ci si può accontentare? Ci vuole giustizia, libertà, democrazia, certo. Ma la gente vuole poter lavorare, poter uscire serenamente di casa con la propria famiglia, andare a trovare i parenti, studiare, godere dell’amicizia con i vicini. Tutto questo lo avevamo. Non è abbastanza nobile? Peccato. Perché questa è la realtà: camminare umilmente in pace con il proprio Dio.

Continuando la nostra vita quotidiana – fatta di preghiera, lavoro nei campi, meditazione della Parola, ascolto e accoglienza – cerchiamo di restare fedeli alla verità che è la presenza di Dio, dell’Emmanuele, qui e oggi. Diamo lavoro a qualcuno del villaggio… Cerchiamo di dare speranza impegnandoci per la bellezza del luogo… Le rose che crescono nel nostro giardino, segno della benevolenza di Dio, un sorriso a chi soffre, un silenzio attento a chi porta un dolore.

Sperare per tutti. Sperare la libertà vera. Non sappiamo quanto risalto abbia avuto nelle coscienze la frase del Papa, pronunciata durante la sua visita in Libano: «La libertà religiosa non è una fra tante libertà». Noi l’abbiamo raccolta: questa è la nostra speranza, ciò che speriamo per tutti. E non vuol dire solo che i cristiani possano continuare ad essere presenti in Siria (cosa non affatto scontata), e a esserlo con pieno diritto, ma che si possa continuare a vivere tutti di fede, nella fede (la propria fede, cristiana o musulmana o altra), insieme. Facciamo fatica, in Occidente, a capire cosa significhi: così preoccupati di fare della libertà un valore assoluto, siamo diventati perfino liberi da Dio. Liberi da Lui, per farci schiavi di tante realtà inconsistenti, i nostri nuovi dei. In Siria eravamo liberi, ciascuno di credere, e di vivere della sua fede, gli uni accanto agli altri. Oggi la paura, la vendetta, la rabbia, il dolore, rischiano di creare fratture senza ritorno. Rendiamo grazie, ogni volta che sentiamo la gente colpita (cristiani, musulmani) manifestare un’indefettibile speranza: «Distruggono? Noi ricostruiremo…». «Questa non è la fede, questo non è l’islam». Parole pronunciate nelle piazze dove sono scoppiati ordigni devastanti. Si fanno incontri, nelle città, fra tutte le componenti. Si parla, si discute, si prega insieme. Si cerca la pace. La si chiede a Dio: la pace dei cuori e delle coscienze; la pace del perdono e della verità. La pace dei figli davanti a un solo Padre.
                       Suor Marta e le sorelle trappiste in Siria
 
AVVENIRE© riproduzione riservata
http://www.avvenire.it/Commenti/Pagine/pregare-vivere-e-sperare-con-tutti-i-siriani.aspx
 

martedì 23 ottobre 2012

I cristiani sono usati come oggetti in una sfida al governo. COSA FA IL MONDO CRISTIANO OCCIDENTALE?

Due fedeli rapiti e uccisi. Il Patriarca Laham: “I cristiani sono strumentalizzati nel conflitto”

Agenzia Fides 23/10/2012

Due fedeli cristiani sono stati rapiti e uccisi ieri a Damasco, mentre un’autobomba è esplosa ieri sera nei pressi della chiesa di Sant’Abramo, nel quartiere di Jaramana, nel Nord di Damasco. I due fedeli uccisi sono il fratello e il cugino del giovane sacerdote p. Salami, parroco greco-cattolico di Damasco. Come riferito a Fides, ieri i due stavano viaggiando da Qusair a Damasco. Un gruppo armato li ha fermati e sequestrati, poi ha chiesto un riscatto di circa 30mila dollari alla loro famiglia. Dopo due ore, i sequestratori hanno comunicato di averli uccisi.
Nella tarda serata di ieri il terrore ha sconvolto i cristiani e i drusi residenti nel quartiere di Jaramana, già noto per aver subito circa un mese fa altri attentati dinamitardi. Fonti locali di Fides comunicano che una violenta esplosione è avvenuta nei pressi della chiesa greco-cattolica di Sant’Abramo, danneggiando gli edifici circostanti, ma non è tuttora chiaro se vi siano vittime e feriti.
Interpellato dall’Agenzia Fides, il Patriarca greco cattolico Gregorio III Laham, in Vaticano per il Sinodo sulla nuova evangelizzazione, spiega: “I cristiani sono usati come oggetti in una sfida al governo. Non c’è persecuzione, non sono uccisi per la loro fede, ma sono vulnerabili e vengono strumentalizzati per raggiungere altri obiettivi”. Il Patriarca ricorda con preoccupazione che “anche il fratello del Rettore del nostro Seminario maggiore in Libano è stato rapito dal 15 luglio e non se ne hanno più notizie. Questi episodi creano grande angoscia fra i fedeli”.
http://www.fides.org/aree/news/newsdet.php?idnews=40151&lan=ita

Il vescovo gesuita caldeo Antoine Audo racconta la persecuzione che i cristiani stanno subendo in Siria a opera dei ribelli islamici.

 
di Marco Tosatti
Aleppo in rovina, a Homs tutte le chiese cristiane sono state sconsacrate: è questo il quadro desolante disegnato dal vescovo gesuita caldeo Antoine Audo al Parlamento inglese il 18 ottobre scorso. I vescovi di Aleppo hanno deciso di restare con i cristiani ancora presenti in città. “Non vogliamo lasciarli soli. Se mi allontano dalla città per troppo tempo, la gente si sente sola”. “Non siamo andati in Libano per incontrare il Papa per dirgli che siamo in pericolo” ha aggiunto, riferendosi al viaggio che Benedetto XVI ha compiuto in Libano dal 14 al 16 settembre. “Gli abbiamo scritto una lettera chiedendo il suo appoggio”.
Audo ha accettato di viaggiare per qualche giorno in Gran Bretagna per accrescere la consapevolezza della prova dei cristiani siriani e per chiedere aiuto. Ad Aleppo scuole, ospedali e gli altri servizi pubblici non funzionano. L’80 per cento delle persone non hanno lavoro. La povertà sta diventando un problema molto serio, a causa del rialzo dei prezzi.
“E’ il caos. Non c’è sicurezza, tutto è sporco, non ci sono autobus né taxi”.“Nella città di Homs, che ospitava la seconda più numerosa comunità cristiana del Paese, quasi tutti i cristiani sono stati obbligati a fuggire dopo un’ondata di persecuzione. Tutte le chiese sono state sconsacrate”. I ribelli islamici hanno minacciato di morte la popolazione cristiana della città, obbligandola a lasciare le loro case.

 DONNE, BAMBINI E ANZIANI CRISTIANI RAPITI

 22 ottobre 2012 - Passeggeri  cristiani che si trovavano in un minibus che li portava dai tre villaggi Jdaydeh , Yacoubieh e Qnayeh ad Aleppo, sono stati rapiti quando il loro minibus si trovava a 35 km dalla sua destinazione.

 A bordo del veicolo pubblico vi erano donne, bambini e anziani, perchè gli uomini giovani e maturi non si muovono più, per paura di essere rapiti.

L'autobus avrebbe dovuto giungere alle 11 ad Aleppo. Non vedendolo arrivare, una madre ha preso contatto telefonico con il suo giovane figlio, ed ha così saputo che è stato preso in ostaggio insieme con gli altri passeggeri.

Comment peut-on encore admettre et tolérer ce genre de délits ? Mais qu'attend donc le monde chrétien pour se lever et s'élever contre ce mal que représente la barbarie idéologique et confessionnelle ?
Oui vous avez bien lu...Qu'attend le monde chrétien pour décréter la mobilisation générale de toutes les forces caritatives et spirituelles ?
Que fait-il ? Dort-il ? Ronfle t-il ?
 

Témoignage d’une famille chrétienne de Damas qui a fui le pays


« Il nous reste la foi ».
Pour une raison qu’ils qualifient de « miraculeuse », Fadi, Myriam et Teresa*, un couple de Syriens chrétiens et leur petite fille, ont obtenu leur visa pour l’Europe. Ils attendent aujourd’hui la reconnaissance de leur statut de réfugiés. Anciens résidents de Bab Touma, le principal quartier chrétien de Damas qui vient d’être touché par un attentat sanglant pour la première fois depuis le début de la guerre, ils évoquent douloureusement ce qu’ils viennent de quitter : un pays en guerre certes, mais aussi parents et amis. Nous les avons interrogés quelques heures avant l’attentat du 21 octobre qui a fait 13 morts et des dizaines de blessés dans leur quartier.
Comment se déroulait le quotidien avant votre départ ?
Fadi
: La vie a évidemment beaucoup changé à Bab Touma. Avant, il y avait du monde dans les rues jusqu’à minuit. Aujourd’hui, vers 20h, il n’y a plus un chat. Chacun se terre chez soi. La moitié des restaurants sont fermés, il n’y a plus d’activité. Nous avons souvent des problèmes d’alimentation de pain. Devant les boulangeries, les gens font la queue dès 6h du matin. Une fois, nous n’avons pas eu de pain pendant trois jours. Bab Touma est un quartier protégé par les soldats de l’armée. En revanche, les quartiers voisins sont bombardés. Dès qu’une bombe explosait, c’était toute notre maison qui tremblait.
Mais la vie civile suit son cours ?
Myriam
: A Bab Touma, une partie des écoles sont encore ouvertes, mais les parents y amènent de moins en moins les enfants. A Damas, de manière plus générale, la plupart des institutions sont maintenant fermées. Les hommes armés font pression pour que la vie civile s’arrête. A Jaraman, un quartier voisin, une de mes amies est allée inscrire sa fille à l’école, en septembre. Une voiture piégée a explosé à côté de la mère et la fille et les a tuées toutes les deux.
Fadi : Les opposants disent aux écoles de fermer. Ils veulent mettre fin à toute vie normale. L’armée dit aux gens de continuer à vivre normalement, qu’elle les protège. Les gens sont entre deux feux. Ils doivent obéir aux deux s’ils veulent rester en vie. Ma tante était institutrice à Homs. Elle disait à ses élèves de continuer à venir. Elle militait pour que la vie continue coûte que coûte. Son mari l’a retrouvée égorgée. Sur le mur, ils avaient marqué, avec son sang, « Allah akbar ».
Les chrétiens osent encore aller à la messe ?
Myriam
: En Syrie, une des grandes fêtes de l’année, c’est les Rameaux. Tout le monde va à l’église, on habille les enfants en blanc. Cette année, à Bab Touma, beaucoup ne sont pas allés à la célébration. A la fin, le prêtre a dit aux fidèles de se disperser en petits groupes, silencieusement. Les groupes supérieurs à quatre étaient obligés de se séparer. Evidemment les chrétiens se sentent visés. L’année précédente, pour les rameaux, une des églises avait été taguée avec cette petite phrase : « chrétiens, c’est à votre tour ». Au début dans les manifestions de l’opposition au régime, on entendait : « Les alaouites au tombeau et les chrétiens à Beyrouth ». Maintenant, c’est plutôt « les alaouites et les chrétiens au tombeau ».

lunedì 22 ottobre 2012

Damasco: colpito il luogo-simbolo della cristianità siriana

L'Arcivescovo maronita di Damasco: domande, paure e le preghiere dei cristiani di Siria dopo la strage di Bab Touma
Agenzia Fides 22/10/2012
 
la casa di Anania

L'attentato stragista perpetrato domenica 21 ottobre nel quartiere di Bab-Touma, alla vigilia della missione di pace che porterà in Siria Cardinali e Vescovi delegati del Sinodo dei Vescovi, rinnova per i cristiani siriani angosce e domande a cui solo “i giorni che verranno potranno portare una risposta”. Ma intanto “molti hanno già preso la via dell'esodo. Altri si preparano all'eventualità di una partenza precipitosa”. E una Chiesa senza fedeli è destinata a diventare come “un testimone muto”. Così, in una nota fatta pervenire all'Agenzia Fides, l'Arcivescovo maronita di Damasco, Samir Nassar, racconta a caldo le prime reazioni registrate tra i cristiani della capitale siriana dopo che un'auto-bomba fatta esplodere nella zona cristiana della Città Vecchia ha lasciato sul terreno 13 vittime e decine di feriti. 
L'Arcivescovo Nassar descrive le scene di panico di cui è stato testimone, con i genitori che corrono angosciati “a cercare i loro piccoli nelle scuole del quartiere”, mentre le sirene delle ambulanze accentuano la sensazione insostenibile di vivere in un tempo apocalittico. “Alcuni fedeli – racconta - si sono messi in ginocchio per recitare il rosario implorando Nostra Signora della Pace, prima della Messa, che è iniziata con 20 minuti di ritardo... Io ho celebrato la Messa solenne di domenica alle ore 18, per 23 persone soltanto, pregando per le vittime della mattina e per i musulmani che in Siria si preparano a celebrare la festività di Eid al Adha, il prossimo 26 ottobre, nel dolore e nel silenzio”.
Il quartiere di Bab -Touma è un luogo-simbolo anche per il martirologio della cristianità siriana. Qui – ricorda l'Arcivescovo Nassar -, negli stessi vicoli che San Paolo ha dovuto percorrere al tempo della sua conversione e del battesimo ricevuto da Anania, “11 mila martiri nel 1860 hanno arrossato col loro sangue ogni centimetro quadrato”. Finora Bab-Touma era stato risparmiato dalle violenze che sconvolgono la Siria dal 15 marzo 2011. Adesso – si chiede Nassar – quale messaggio si è voluto dare con una strage programmata di domenica, proprio nella parte della Città Vecchia dove sono concentrate le chiese cristiane? “E' la violenza gratuita che bussa alla porta per terrorizzare gli ultimi cristiani già prostrati?”
Davanti al terrore e alla violenza – conclude l'Arcivescovo maronita – l'annuncio cristiano si manifesta più che mai come quello “della Croce redentrice, dell'amore e del perdono”. E i cristiani di Damasco e della Siria hanno bisogno dell'amicizia e della preghiera di tutti per farsi carico di una condizione segnata da una “solitudine caotica e amara”.

http://www.fides.org/aree/news/newsdet.php?idnews=40144&lan=ita

domenica 21 ottobre 2012

Gregorios III Laham, patriarca di Damasco: incontro a Roma su “Musalaha. I cristiani siriani e il ministero della riconciliazione”

 
Chiesa che è nell'Islam
S.I.R. Domenica 21 Ottobre 2012
Esplosione nel quartiere cristiano di Damasco Bab Touma il 21 ottobre 2012
“Quando sento dire che dobbiamo introdurre la democrazia in Siria, io rispondo che non ce n’è bisogno”. Sua beatitudine Gregorios III Laham, patriarca di Damasco, ha aperto così, ieri pomeriggio a Roma nell’aula Pio XI del Palazzo San Calisto, l’incontro su “Musalaha. I cristiani siriani e il ministero della riconciliazione” organizzato dalla fondazione di diritto pontificio “Aiuto alla Chiesa che soffre”.
Dove tutti sono uguali. Secondo le statistiche, in Siria, finora, “sono state 30mila le vittime della più grande guerra in termini di bugia e ipocrisia”, ha detto il patriarca che guida 350mila fedeli. Nel panorama del mondo arabo, “la Siria è il Paese meno povero, benché senza petrolio, con meno analfabetismo”, e basti pensare che nel “civile” Egitto a non saper leggere e scrivere è il 50% della popolazione, “gli ospedali e l’insegnamento nelle scuole sono gratuiti, il commercio è libero, la donna pure, e partecipa alla vita politica, sociale, religiosa ed economica. Dal 2012, con la crisi, sono nati dodici partiti, abbiamo una nuova costituzione, un business bancario, l’economia è molto sviluppata. Quello siriano è uno stato socialista laico credente, migliore di molti stati europei che non vogliono riconoscere le loro radici cristiane. La Siria è un Paese in cui tutti sono uguali, musulmani, cristiani. È l’unico stato musulmano senza religione di stato, e il primo ministro è pure un cristiano”.

Una via “altra”. Quanto al ministero della riconciliazione (“musalaha”), “è un segnale di apertura in questa Siria così maltrattata”, sottolinea il patriarca di Damasco: “La crisi della Siria è frutto della divisione del mondo arabo, che principalmente ha bisogno di riconciliazione. Noi siamo la Chiesa incarnata nel mondo arabo. Siamo la Chiesa degli arabi - ha proseguito - ed essendo questi a maggioranza musulmani, siamo di conseguenza la Chiesa dei musulmani. La Chiesa è nell’islam, con l’islam e per l’islam. Gran parte della cultura cristiana è musulmana e viceversa. Purtroppo la stampa dice che solo i cristiani hanno privilegi ma non è vero: tutti, senza discriminazioni, in Siria hanno pari diritti e doveri”. Allo stato attuale, però, “c’è bisogno di tempo: la rivoluzione ha bisogno di evoluzione, sennò diventa distruzione. Il Paese è preparato, ha una storia e una tradizione, ha un patrimonio. Quanto a noi cristiani, non siamo migliori di altri, siamo qualcos’altro, cerchiamo un’altra via, e la riconciliazione per me è questo ‘something else’, qualcos’altro. Non abbiate paura, dico ai miei fedeli, di essere gregge, sale e lievito della società”.

Una parte del problema. All’incontro è intervenuta anche madre Agnès-Mariam de La Croix, coordinatrice del gruppo di supporto internazionale al movimento “Musalaha”: “Lavoriamo per il popolo siriano nella sofferenza terribile per questa guerra che nessuna stampa ha sottolineato e per le pressioni dei grandi interessi internazionali. Questo popolo un anno fa, in un grande incontro con mille rappresentanti associativi, ha fatto il patto di non prendere le armi uno contro l’altro. Il patto del popolo siriano non è politico, ma nazionale, per questo è nata la Musalaha”. A fianco del movimento nato dal basso si colloca il “gruppo internazionale di supporto al Musalaha in Siria, con sede a Sidney e uffici in Francia, Italia, Inghilterra e Irlanda. Tra le attività, relazioni e negoziazioni con organizzazioni non governative e legislatori, deputati, senatori. L’intera comunità internazionale, così come l’Unione europea, vuole una soluzione pacifica al conflitto in Siria. E molte persone pregano perché si fermi la violenza, che non è la soluzione, ma una parte del problema”.

Edificare ponti. “Vengo da una famiglia ortodossa, ma il Signore mi ha chiamato ad essere francescano”, ha raccontato padre Ibrahim Alsabagh, siriano. “A Damasco nello stesso edificio vivono famiglie di tutte le religioni, quand’ero alle elementari avevo amici ebrei e tanta gente, anche oggi, quando passa un religioso, di qualunque tipo egli sia, si alza in piedi in segno di rispetto. Quando sono andato a studiare all’università ebraica Gerusalemme avevo paura, ma giravo con l’abito: noi abbiamo un’identità cristiana, il Signore ci spinge ad esternarla, non possiamo rimanere entro noi stessi, esistere o vivere in qualche posto senza edificare ponti con la gente con cui viviamo”. Secondo padre Ibrahim “la gente ha capito che il fondo della riconciliazione è il ritorno in sé, come ha fatto il figliol prodigo. È una lettura teologica, spiega veramente quella che può essere la riconciliazione. La nostra presenza è molto importante ma anche molto minacciata. Senza questa presenza, chi dovrà edificare ponti?”.
http://www.agensir.it/pls/sir/v3_s2doc_a.a_autentication?target=3&tema=Anticipazioni&oggetto=248563&rifi=guest&rifp=guest

La Chiesa in Siria, «nell’islam, con l’islam e per l’islam»
Il patriarca di Antiochia Gregorios III Laham racconta l'esperienza del movimento "Musalaha" (riconciliazione) nell'unica nazione «laica» tra gli stati arabi. Svelando la bugia di una guerra «falsamente civile»
da RomaSette.it - di Elisa Storace

“Musalaha” in arabo vuol dire “riconciliazione”. In Italia questo termine suona familiare solo a pochi addetti ai lavori, ma in Siria in questo momento è molto conosciuto ed è sinonimo di speranza. È infatti il nome di un movimento interreligioso di iniziativa popolare, nato spontaneamente qualche mese fa per dire no alla guerra civile che insanguina il Paese. Un movimento formato da musulmani e cristiani, laici e religiosi, uomini e donne. Un gruppo eterogeneo, unito da un desiderio di pace che, ormai da mesi, rappresenta l’unica aspirazione della maggioranza silenziosa del popolo siriano.
Leggi su:
http://www.romasette.it/modules/news/article.php?storyid=9154

sabato 20 ottobre 2012

"Alcuni gruppi della opposizione, dove si annidano anche gruppi jiahadisti, sparano sulle case e sugli edifici cristiani, per costringere gli occupanti a fuggire per poi prenderne possesso”

Mentre a Parigi  e negli USA si incoraggia, invece che dialogo e soluzione politica, l'opposizione intransigente ....
Les conseils révolutionnaires syriens reçus à Paris
Paris a voulu faire une démonstration de soutien politique à l’opposition syrienne. Le Quai d’Orsay a accueilli, mercredi 17 octobre, une réunion de soutien aux conseils révolutionnaires civils qui administrent les zones dites "libérées" par l’opposition"
http://www.france24.com/fr/20121017-France-syrie-rebellion-revolote-revolutionnaires-liberte-aide-humanitaire-fabius
The Obama administration took a small step in this direction last summer by authorizing the Syrian Support Group to help the rebels. Leaders of the group fanned out inside Syria looking for army defectors who could establish new military councils to coordinate the flow of weapons and money.  Closer links with the rebels have helped fill the intelligence gap.
The funding situation has improved slightly this month. About two weeks ago, Saudi Arabia and Qatar are said to have created a small “Gulf Fund” to be disbursed by the military councils. The commanders will be paid $150 for each named fighter (including the serial number of his weapon). Col. Abdul-Jabbar Akidi in Aleppo is receiving about $2.5 million under this program; Col. Afif Suleiman in Idlib is getting about $4.5 million. The U.S. should consider adding money for nonlethal assistance, including training, communications and intelligence.
The Free Syrian Army has a long shopping list. It claims “minimum” needs for 1,000 rocket-propelled grenades to attack tanks, 500 SAM-7 surface-to-air missiles to destroy Syrian helicopters and jets, 750 machine guns, 50,000 gas masks, 250 vehicles. Commanders claimed they are forming special units that would operate the anti-aircraft missiles, perhaps under supervision by contractors from the Gulf countries.  
David Ignatius (The Daily Star :: Lebanon News :: http://www.dailystar.com.lb) http://www.dailystar.com.lb/Opinion/Columnist/2012/Oct-20/192102-a-war-chest-for-syrias-opposition.ashx#ixzz29qMAKaxh

“Vivere da cristiani nell’inferno di Aleppo”: la testimonianza di un sacerdote

i ribelli si impadroniscono delle residenze civili
 Agenzia Fides 19/10/2012 - Aleppo  – I cristiani di Aleppo sono vittime di morte e distruzione per i combattimenti che, da mesi, stanno interessando la città. I quartieri cristiani, negli ultimi tempi, sono stati colpiti dalle forze dei ribelli che combattono contro l’esercito regolare e questo ha causato un esodo di civili. Lo dice in un accorato messaggio inviato all’Agenzia Fides un sacerdote greco cattolico di Aleppo, a cui Fides preferisce garantire l’anonimato per ragioni di sicurezza.
Il messaggio, titolato “Vivere da cristiani nell’inferno di Aleppo”, spiega: “Da molto tempo i cristiani di Aleppo vivono in quartieri molto vicini tra loro: Sulaymaniyah, Aziziyah, Villas,Telefon Hawaii, Al Jabiriyah, Al Maydan, Al Surian, Al Tilal. Queste aree sono attualmente sotto il controllo dell'esercito regolare siriano, mentre aree vicine sono occupate dall’opposizione armata. Per questo i nostri quartieri sono quotidianamente oggetto di bombardamenti e dei tiri dei cecchini fra i ribelli. I bombardamenti sono a volte ciechi, senza uno scopo, e questo causa forti danni alle case, o vittime innocenti come i passanti”.
Il sacerdote elenca a Fides le ultime vittime nella comunità: “I nostri ultimi martiri sono Fadi Samir Haddad, Elias Abdel Nour, Nichan Vartanian, Vartan Karbedjian, Maria Fahmeh e il piccolo Joëlle Fahmeh, tutte vittime innocenti”. Passa poi in rassegna i danni alle strutture: “E’ stato colpito l’Arcivescovado greco cattolico a Tilal, con forti danni e il ferimento di p.Imad Daher. Colpi di mortaio hanno danneggiato la chiesa di San Michele Arcangelo e un importante monastero delle suore a Aziziyya; un edificio pastorale della comunità greco-cattolica, chiamato “La Speranza” è stato colpito, uccidendo tre persone e causando decine di feriti fra i civili”. Anche il convento dei padri francescani a Sulaymaniyah è stato colpito e in parte è inagibile.
Intanto, prosegue il testo, “bombe continuano a cadere sul quartiere di Almidan, a maggioranza armena, lanciate da gruppi dell’opposizione armata che è posizionata a Bustan el-Bacha: hanno ucciso diverse persone, ne hanno ferite molte e hanno distrutto molte case”. Alcuni gruppi, nella frastagliata opposizione, dove si annidano anche gruppi jiahadisti, “sparano sulle case e sugli edifici cristiani, per costringere gli occupanti a fuggire per poi prenderne possesso” conclude il testo. (PA)
http://www.fides.org/aree/news/newsdet.php?idnews=40125&lan=ita

Commissione Onu: Centinaia di jihadisti in territorio siriano

17/10/2012 ASIA NEWS

Gruppi legati ad Al Qaeda ricevono armi da Arabia saudita e Qatar e rischiano di "radicalizzare" il conflitto. Per l'Onu la loro presenza è "pericolosa" perché "non combattono per la democrazia e la libertà, ma per una loro agenda". I tentativi di Brahimi per una tregua durante la festa di Eid al-Adha. A Damasco si attende la delegazione vaticana, voluta dal Papa per esprimere la vicinanza della Chiesa ai cristiani siriani e alla popolazione. L'unica via è "una soluzione politica".


Ginevra (AsiaNews) - In Siria vi sono centinaia di "islamisti radicali o jihadisti", molto pericolosi, che combattono contro Assad per i loro progetti e non in funzione della democrazia nel Paese. Lo afferma Paulo Sergio Pinheiro, a capo di una Commissione Onu per la verifica sugli abusi dei diritti umani in Siria. Nel primo rapporto dopo un mese di verifiche, egli afferma che vi è "una crescita drammatica di tensioni confessionali" causati da combattenti stranieri. Essi - sottolinea Pinheiro - non sono un grande esercito, ma "non combattono per la democrazia e la libertà, ma per una loro agenda".

Da tempo diverse fonti mettevano in guardia la comunità internazionale sulla presenza in Siria di centinaia di combattenti islamici vicini ad al Qaeda, provenienti da diverse parti del mondo islamico: Iraq, Libia, Egitto, Afghanistan, Cecenia, Ucraina, Mali e Somalia.

Anche il governo di Damasco ha spesso accusato "gruppi terroristi" presenti fra le file del Free Syrian Army, responsabili di molti attentati sanguinari. Secondo il governo ve ne sono almeno migliaia.

Pinheiro ha fatto notare che la presenza di jihadisti "può contribuire alla radicalizzazione... e questa presenza è particolarmente pericolosa" nel conflitto.
Le preoccupazioni dell'Onu avvengono proprio mentre Lakhdar Brahimi, l'inviato Onu per il processo di pace, sta tentando di varare una tregua che coinvolga tutte le parti in lotta e i loro sponsor. La tregua dovrebbe avvenire per la festa di Eid al-Adha, che si celebra alla fine di ottobre. Il timore è che i gruppi jihadisti non rispondano all'appello e continuino a lottare.

Nella comunità internazionale si è pure cauti dopo le rivelazioni del New York Times, secondo cui, molte delle armi che Arabia saudita e Qatar inviano ai ribelli, cadono nelle mani dei jihadisti.

Parlando durante la sessione del Sinodo in corso in Vaticano, il card. Bertone ha spiegato che lo scopo della visita della delegazione è di esprimere la "fraterna solidarietà" del papa e della Chiesa a tutta la popolazione siriana, "con una offerta personale dei Padri Sinodali, oltre che dalla Santa Sede", come pure la vicinanza spirituale "ai nostri fratelli e sorelle cristiani" e "i nostri incoraggiamenti a quanti sono impegnati nella ricerca di un accordo rispettoso dei diritti e dei doveri di tutti, con una particolare attenzione a quanto previsto dal diritto umanitario". "Non possiamo - ha proseguito il porporato - essere semplici spettatori di una tragedia come quella che si sta consumando in Siria".

Per il Segretario di Stato "la soluzione della crisi non può essere che politica" e deve tener conto delle "immani sofferenze della popolazione" e della "sorte degli sfollati" e del "futuro di quella nazione".
http://www.asianews.it/notizie-it/Commissione-Onu:-Centinaia-di-jihadisti-in-territorio-siriano-26111.html


Damasco - Rapito il Parroco  di Katana

 
Damasco – Mercoledì 17 Ottobre 2012 (14h04) - Apprendiamo ora la notizia del rapimento di Padre Fadi Haddad, Parroco di Katana, quartiere situato al Sud di Damasco.

Martedì 16 ottobre 2012 (Aleppo) - 12:05 - La situazione ad Aleppo è sempre molto grave. I combattimenti tra l'armata siriana e l'Esercito Syriano "Libero" sono incessanti. La popolazione è terrorizzata dal possibile uso, da parte dell'ESL, di armi anti-aeree sofisticate che  sono state loro fornite dai Paesi che li sostengono. I civili continuano a  cadere.
I Vescovi preparano una celebrazione ecuménica per la memoria e il riposo dell'anima dei martiri cristiani; i rapimenti e i furti si moltiplicano;  ancora peggio per le persone che non hanno più nè tetto nè cibo da mendicare.

venerdì 19 ottobre 2012

IN EVIDENZA: Roma Sabato 20 ottobre, ore. 17.00
Aula Pio XI - Palazzo San Calisto
Piazza San Calisto 16 - ROMA (zona Trastevere)

Musalaha: i cristiani siriani e la riconciliazione
incontro con
Sua Beatitudine Patriarca Gregorios III Laham

giovedì 18 ottobre 2012

APPELLO PER PASCALE E PER TUTTE LE VITTIME DELLA GUERRA SIRIANA

E' apparsa su molti giornali francesi in questi giorni la "Lettera Aperta al Presidente della Repubblica Francese e  al suo Ministro degli Affari Esteri" scritta dal padre di Pascale Zerez, una ragazza cristiana di 20 anni, sposata da soli 3 mesi e uccisa sul bus che la trasportava da Lattakia ad Aleppo nell' attacco delle bande dell'Armata Siriana "Libera".

Di seguito, alcune notizie inviate dagli amici cristiani di Aleppo e la richiesta di preghiere diffuso dal Monastero di Mar Yacub tramite "Vox Clamantis in deserto Damasco".
 

Domenica 14 ottobre 2012

Lettera aperta al Presidente della Repubblica Francese e al Ministro degli Affari Esteri.

Signor Presidente della Repubblica Francese,
Signor Ministro degli Esteri,

Proprio come molti siriani, mi ritrovo padre di una vittima della guerra in atto nel nostro paese. Pascale aveva venti anni quando, il 9 ottobre, il bus pubblico su cui viaggiava è stato oggetto di un attacco in cui è morta, assassinata da una banda armata riconosciuta come parte dell'Esercito Siriano "Libero" a cui Lei dà supporto, incoraggiamento e che Lei alimenta fin dall'inizio del movimento.
Ragioni di Stato forse La spingono a prendere posizione a favore dell'Esercito Siriano "Free" (ASL)  ma non è certo nell’intento di liberare il popolo siriano dalla dittatura. L'attuale regime siriano e il suo apparato politico non è tenero, noi lo sappiamo bene e da molto tempo, ma le "bande" dell’ ASL associano ugualmente la brutalità alla arbitrarietà: il movimento porta con sé i semi di una nuova dittatura che sicuramente ci farà rimpiangere la precedente.
Sotto slogan generosi di libertà, di democrazia e di partecipazione al potere, Lei, con i suoi alleati, ha incoraggiato l'introduzione sul nostro territorio di gruppi estremisti salafiti, e altri elementi del movimento di Al Qaeda che vengono a uccidere e ad essere uccisi qui da noi, distruggendo ciò che possono sulla loro strada; perché dunque averceli inviati? Gli Occidentali non avrebbero avuto il coraggio di affrontarli essi stessi? Se il vostro obiettivo è quello di distruggere la Siria per proteggere Israele, credete veramente che ridurre il popolo siriano alla rovina e alla miseria potrà pacificare e dare sicurezza ad Israele?
I vostri predecessori, tra cui i rivoluzionari del 1789 hanno sempre fornito supporto e protezione per le minoranze cristiane in Siria e in Oriente. Oggi le vostre prese di posizione hanno l'effetto opposto e portano alla loro eliminazione. Credete che sradicare i cristiani porterà la civiltà?
E 'sorprendente come in breve tempo la politica francese sia riuscita a farci dubitare del significato della sua rivoluzione e il suo emblema: "Libertà, Uguaglianza, Fraternità"!
In Siria, la vostra politica nel senso della pratica del potere, ha introdotto l'arbitrarietà; così si può riassumere con un altro slogan: libertà e uguaglianza in Siria, mentre in Qatar oligarchia e privilegi. E circa la fraternità, che regnò da noi in mezzo alla gente, ecco che avete incoraggiato la guerra settaria, ignorando le palesi discriminazioni che vengono praticate in altri paesi arabi, tra cui l'Arabia Saudita.
Ci è stato detto che il cristianesimo non ha più gran credito nel Suo paese, ma al momento non si vede apparire una filosofia  più generosa e più evoluta di quella religione che ha costruito le cattedrali. In pochi mesi, Lei è arrivato con i suoi alleati a trasformare la fratellanza siriana musulmano-cristiana, che dobbiamo a queste due religioni, in una guerra quasi confessionale. E tuttavia, questo accordo religioso è la garanzia di un Islam tollerante che potrebbe diffondersi in tutto il mondo.
In cambio, la guerra che viviamo per volontà dell’ESL e dei suoi alleati sembra trasformare la  convivenza in ostilità, che si diffonderà in tutto il mondo con una maggiore rapidità rispetto al progetto. Può esserne certo: gli sconvolgimenti che ora viviamo noi, li verrete a vivere al più presto pure voi. Che cosa si sente echeggiare per le strade di Aleppo? "Dopo la Siria, l'Europa."

mercoledì 17 ottobre 2012

«Solo la riconciliazione può arginare il caos»: l'intervista a Gregorio III Laham, patriarca della Chiesa greco­melchita- cattolica e a mons. Jean-Clement Jeanbart

«Non si può andare avanti così. Con le armi non si arriva ad alcuna soluzione E l’opposizione è divisa» 
 
AVVENIRE martedì 17 ottobre 2012 - di Lucia Capuzzi
 

Civili massacrati mentre fanno la fila per la distribuzione del pane. Medici arrestati insie­me ai figli dal regime mentre curano i feriti. Famiglie utilizzate come scu­di umani dai ribelli nei centri citta­dini. Decine e decine di vittime. E profughi: un fiume umano in fuga da morte e orrori che si fa sempre più numeroso. È sufficiente leggere le no­tizie giunte dalla Siria solo negli ulti­mi tre giorni per restare quantome­no senza parole. «La violenza si è fat­ta inaudita. Basta pensare che nel 2011, la stampa locale parlava di 5mi­la morti. Da febbraio ad ora sareb­bero il quintuplo», dice il patriarca della Chiesa greco-melchita- cattolica in Siria, Gregorio III Laham, in questi giorni in Italia per il Sinodo e impegnato in una serie di iniziati­ve col sostegno della Rete No War. Il Patriarca vuole lanciare un appello al mondo perché «fermi il massacro». Non, però, con un intervento milita­re o con forniture d’armi a una delle fazioni in lotta, ma attraverso la pro­mozione del dialogo. Quello che da mesi ormai fa il movimento Mussa­laha, nato all’interno della società ci­vile siriana e sostenuto da rappre­sentanti delle differenti confessioni religiose. Iniziativa popolare che, fin dall’inizio, Gregorio III appoggia e promuove.
È possibile costruire la pace in Siria?

Una cosa è certa: non è possibile an­dare avanti così. Abbiamo visto che
con le armi non arriviamo a niente. È giunto il momento di trovare un’al­tra strategia. Mussalaha funziona: lo abbiamo visto a livello locale. Attra­verso il dialogo e la riconciliazione si riescono a ricomporre i conflitti nei villaggi. Sarebbe ora di ripro­porre la medesima strategia a livel­lo nazionale.
L’escalation di violenza si fa di gior­no in giorno più feroce...

Spesso, media e analisti parlano di guerra civile siriana. Nel mio Paese, in realtà, non c’è un conflitto, c’è il caos. Perché non ci sono due parti in lotta, ma una serie di gruppi con interessi diversi e spesso contrappo­sti. L’opposizione non è movimento unico. Ai dissidenti si uniscono spes­so bande armate che approfittano
della situazione confusa per regola­re vecchi conti, saccheggiare villaggi, attuare vendette. A farne le spese so­no i civili, intrappolati nei combatti­menti. I cristiani, che sono le vittime più fragili in quanto minoranza, stan­no affrontando indicibili sofferenze.
Può fare qualche esempio?

Una degli ultimi casi è avvenuto a in un sobborgo di Damasco. Gruppi ar­mati si sono presentati e hanno inti­mato alla popolazione – quasi tutta cristiana – il pagamento di 25mila dollari al mese. Una cifra enorme per chi sta perdendo tutto a causa degli scontri.

Che cosa sta facendo la Chiesa per assistere la popolazione?

La Chiesa cerca di stare il più possi­bile accanto alla gente. A tutti, cri­stiani e musulmani, ribelli e filo-go­vernativi. La Chiesa non propende per nessuna parte politica ma cerca di difendere la popolazione dagli a­busi. Per questo, pur con pochi mez­zi, distribuiamo cibo e aiuti, acco­gliamo gli sfollati interni, che sono tantissimi. E promuoviamo il dialo­go. Con la violenza non si mette fine alla violenza. Noi siriani dobbiamo spezzare questo circolo vizioso.

AVVENIRE © RIPRODUZIONE RISERVATA


Il soffio della speranza

Mons. Jeanbart (Aleppo) sulla visita della delegazione inviata da Benedetto XVI

SIR 17 ottobre 2012

 Su questa notizia Daniele Rocchi, per il Sir, ha raccolto le dichiarazioni di mons. Jean-Clement Jeanbart, arcivescovo greco-melkita di Aleppo, città martire al centro, da settimane, di intensi scontri tra forze governative e di opposizione. Solo 5 giorni fa bombardamenti e razzi delle forze armate dell’opposizione e dei ribelli hanno provocato danni all’arcivescovado e il ferimento grave di un sacerdote, trasferito in Libano per le cure necessarie. Mentre l’arcivescovo parla al telefono, si sentono nitidamente i colpi e le deflagrazioni degli scontri.

Eccellenza, che significato assume l’arrivo di una delegazione apostolica di alto profilo in Siria, in questo momento?“Si tratta di una bellissima notizia che ci procura gioia e consolazione. Ma il suo significato non è solo pastorale ma anche sociale e politico. I componenti della delegazione, infatti, potranno rendersi conto di quanto veramente sta accadendo in Siria e che i media non riportano sempre correttamente. Le forze armate del Governo si sono macchiate certamente di abusi, violenze e di comportamenti dittatoriali, non tanto quanto i ribelli e i terroristi appartenenti a movimenti fondamentalisti. Sono più numerosi i combattenti stranieri che quelli siriani dell’esercito siriano libero. Sono centinaia i gruppi combattenti mercenari arrivati dall’estero”.

Può essere un’occasione utile anche per portare avanti una “missione di pace”?
“È quello che tutti speriamo. L’auspicio è che la delegazione del Papa, di alto profilo visti i nomi che la compongono, possa incoraggiare governo e opposizione ad accettare il dialogo arrivando anche a un compromesso. Sarebbe importante per porre fine alle violenze. Solo cinque giorni fa il nostro arcivescovado è stato bombardato dai ribelli con razzi katiuscia. Io e il mio vicario generale ci siamo salvati per miracolo, mentre un mio sacerdote è rimasto gravemente ferito e ora si trova in Libano per le cure del caso. La paura cresce ogni giorno di più. Non credo sia questo il modo di liberare un Paese, per me è terrorismo”.

Qualcosa però sembra muoversi: il governo siriano sarebbe pronto a valutare l’eventualità di una tregua militare per la festa del sacrificio, che inizia il 26 ottobre. Cosa ne pensa?
“Una cosa molto importante, purché non sia l’occasione per l’opposizione di riorganizzarsi e armarsi. L’intenzione del governo di valutare un simile atto è positiva. Spero si faccia. La situazione è delicata, mi auguro che l’opposizione possa rendersi conto di questo e trovare un accordo”.
http://www.agensir.it/pls/sir/v3_s2doc_a.a_autentication?target=3&tema=Anticipazioni&oggetto=248361&rifi=guest&rifp=guest

martedì 16 ottobre 2012

IL PAPA INVIA UNA DELEGAZIONE IN SIRIA

Lo ha annunciato il card Bertone al Sinodo. “Porteranno la nostra solidarietà e un’offerta personale dei padri sinodali alla popolazione”

da Vatican Insider , 16 ottobre

"Consolamini, consolamini popule meus..."
Benedetto XVI ha «disposto che una Delegazione si rechi nei prossimi giorni a Damasco con lo scopo di esprimere, a nome Suo e di tutti noi: la nostra fraterna solidarietà a tutta la popolazione, con un’offerta personale dei Padri Sinodali, oltre che della Santa Sede». Lo ha annunciato il card. Tarcisio Bertone al Sinodo.

«Non possiamo essere semplici spettatori di una tragedia come quella che si sta consumando in Siria: alcuni interventi sentiti in aula ne sono la prova. Convinti che la soluzione della crisi non può essere che politica e pensando alle immani sofferenze della popolazione, alla sorte degli sfollati nonchè al futuro di quella nazione, alcuni di noi hanno suggerito che la nostra assemblea sinodale possa esprimere la sua solidarietà», ha detto il cardinale segretario di Stato nel suo intervento pomeridiano al Sinodo dei Vescovi.
  
«Il Santo Padre - ha proseguito - ha così disposto che una Delegazione si rechi nei prossimi giorni a Damasco con lo scopo di esprimere, a nome Suo e di tutti noi: la nostra fraterna solidarietà a tutta la popolazione, con un’offerta personale dei Padri Sinodali, oltre che della Santa Sede; la nostra
vicinanza spirituale ai nostri fratelli e sorelle cristiani; i nostri incoraggiamenti a quanti sono impegnati nella ricerca di un accordo rispettoso dei diritti e dei doveri di tutti, con una particolare attenzione a quanto previsto dal diritto umanitario».
  
Della delegazione, ha annunciato Bertone, fanno parte: il cardinale Laurent Mosengwo Pasinya, arcivescovo di Kinshasa; il cardinale Jean-Louis Tauran, presidente del Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso; il cardinale Timothy Dolan, arcivescovo di New York; monsignor Fabio Suescun Mutis, ordinario militare in Colombia; monsignor Joseph Nguyen Nang, vescovo di Phat Diem; monsignor Dominique Mamberti, segretario per i Rapporti con gli Stati della Segreteria di Stato; monsignor Alberto Ortega, officiale della Segreteria di Stato.
  
«Si presume - ha concluso il card. Bertone - che esperite le formalità necessarie con il nunzio apostolico e con le autorità locali, la delegazione si recherà a Damasco la settimana prossima. Nel frattempo preghiamo perchè prevalgano la ragione e la compassione».


Il Vescovo armeno-cattolico Marayati: la visita della delegazione del Sinodo “motivo di speranza per i cristiani e per tutti gli abitanti della Siria”

Aleppo (Agenzia Fides) - “La notizia che una delegazione del Sinodo dei Vescovi in corso a Roma verrà in Siria è un motivo di speranza per i cristiani e per tutti gli abitanti della Siria. Tutti ci auguriamo che la visita assuma il profilo di una vera e propria missione di pace, per chiedere la riconciliazione tra le parti che si combattono”. Così dichiara all'Agenzia Fides l'Arcivescovo di Aleppo degli armeni cattolici, Boutros Marayati. Nella città martire da mesi al centro dei bombardamenti e degli scontri tra esercito governativo e milizie degli insorti, l'eventualità di essere visitati da una delegazione di Cardinali e Vescovi provenienti da Roma rappresenta già di per sé un segno potente: “La visita annunciata fa capire quanto la Santa Sede e i Vescovi di tutto il mondo abbiano a cuore le sorti di tutti i popoli del Medio Oriente. Sarebbe bello che venissero a Aleppo. Li aspettiamo. Se vengono a trovarci saremo contenti” commenta Monsignor Marayati.

Secondo il capo della comunità armeno-cattolica di Aleppo, la missione dei Pastori cattolici in Siria può realisticamente aprire uno spiraglio inedito per la soluzione del conflitto siriano, proprio in virtù del suo profilo sui generis: ”Finora - spiega a Fides l'arcivescovo Marayati - ci sono state perdite terribili, per tutti. Morti, distruzioni, sfollati, vite in fuga. La storia insegna che a volte i nemici possono trovare un'intesa e col tempo riconciliarsi. Anche in Europa i popoli si sono fatti la guerra, e ora sono amici e collaborano in pace. Ma questo chiede un intermediario che sappia parlare anche al cuore ferito delle persone, non usando solo il linguaggio del calcolo politico. La delegazione del Sinodo può avere questa funzione diplomatica, in senso umano. Testimoniando la passione per la dignità umana condivisa da musulmani, ebrei e cristiani, possiamo provare a salvare gli uomini, le donne e i bambini che qui soffrono e aspettano salvezza, in una situazione che sembra senza via d'uscita”.
Riguardo ai motivi che alimentano il conflitto, Boutros Marayati invita a evitare letture superficiali e fuorvianti: “l Vescovi - spiega a Fides - conoscono bene la situazione. Ormai non è più solo questione di riforme democratiche richieste o osteggiate. In questa situazione disastrosa è entrato di tutto. La situazione è complicata. E tra le altre cose, quello che preoccupa è l'emergere del fanatismo religioso. Quando la religione diventa violenta e si combatte in nome di Dio, viene messa a repentaglio l’intesa con i fratelli delle altre religioni, che qui abbiamo condiviso per tanto tempo. Anche per questo attendo con speranza l'arrivo qui in Siria dei Cardinali e dei Vescovi provenienti da Roma: tutto quello che si muove in favore del popolo siriano, da qualunque parte venga, sarà benedetto dal Signore”.
http://www.fides.org/aree/news/newsdet.php?idnews=40100&lan=ita

Mother Agnes: "ENOUGH WITH THE VIOLENCE, WE WANT PEACE"



About two million Syrians, or ten per cent of the population are Christian. One of the more outspoken members of the Christian community there is a Lebanese-born nun Mother Agnes Mariam of the Cross who lived in Homs for 18-years. She's been travelling the world recently, drawing attention to the civil war in her adopted country and says the Syrian situation is not as simple as it's being reported claiming rebel forces are to blame for attrocities against minority groups including Christians, and for threats which forced her from her own Syrian home.
Mother Agnes says the path to freedom and democracy is through peaceful dialogue not violence.
SBS reporter Luke Waters spoke with Mother Agnes Mariam in Melbourne. 4 October 2012

lunedì 15 ottobre 2012

L'ALTRA FACCIA DELLE SANZIONI: i religiosi cristiani in Siria raccontano...

Siria, nuove sanzioni Ue contro Assad: Il consiglio dei ministri degli Esteri dell’Unione ha varato un nuovo pacchetto di misure contro Aleppo,
il 19imo dall’inizio delle ostilità.
 http://www.lastampa.it/2012/10/15/esteri/siria-nuove-sanzioni-ue-contro-assad-distrutta-la-grande-moschea-di-aleppo-VMsPL1yWjHEwUePDa003RL/pagina.html


Ancora una volta (13 ottobre 2012) attaccato dai terroristi l'arcivescovado melchita di Aleppo, stavolta 2 feriti gravi oltre i danni ingenti.
L'arcivescovo Jeambart (che è tornato a Aleppo) ribadisce : "siamo i figli di questo Paese da 2000 anni , qui resteremo"


RICEVIAMO E PUBBLICHIAMO LA  LETTERA DI RELIGIOSI OPERANTI IN SIRIA, TESTIMONI DEL RISULTATO DELLE SANZIONI DELLA UE
 CHE IN REALTA' COLPISCONO IL POPOLO
 
Due sole cose vorremmo sottolineare: la prima, l’urgente necessità di rivedere il sistema delle sanzioni internazionali, in generale, ed in particolare di quelle applicate ora alla Siria. Un’arma davvero iniqua, utilizzata dai governi cosiddetti democratici per non sporcarsi le mani, ma che colpisce duramente i più poveri e distrugge la vita, e la speranza di vita. Occorre che questa palese ingiustizia sia  messa in discussione da chi ha i mezzi per farlo.
La seconda: la necessità di fermare, impedire, l’arrivo nel paese di armi e gruppi armati (che sono già ad un livello quantitativo e qualitativo inimmaginabile). Non è tollerabile che dei paesi possano apertamente ed impunemente dichiarare di voler fornire materiale bellico, e che lo facciano di fatto, fornendo anche addestratori ed esperti militari (e kamikaze). Speriamo che si levino sempre più voci, e che l’indignazione si trasformi in azioni efficaci, per disarmare una guerra civile che è già innescata.

Intanto le sanzioni pesano, i prezzi sono triplicati anche per i generi di immediato necessità, la gente non ha più lavoro, non c’è commercio, non c’è ovviamente turismo; mancano gasolio, gas, generi alimentari. Non ci sono i mangimi per l’allevamento… o sono importati e costano carissimi: la vendita del latte non rende, perché si guadagna meno di ciò che si spende in alimenti per le bestie. I pozzi di acqua lavorano un giorno su tre, perché non c’è gasolio per farli funzionare…e quindi si fa fatica anche a coltivare… In campagna, ancora ancora la gente ce la fa, con un po’ di coltivazioni, qualche mucca…ma in città? la bombola del gas costava 300, 400 lire. Ora, in città, 2000. E anche così non si trova. Sapete quant’è la paga giornaliera di un nostro operaio? 800 lire (ed è una buona paga). Fate un po’ il conto. E noi almeno diamo ancora lavoro, a qualcuno. Ma poco a poco tutto si ferma.


Ciò che era un movimento interno al paese (rivendicazioni e proteste legittime per una maggiore libertà e democrazia), si è trasformato in uno scacchiere internazionale, dove si gioca a più mani un gioco sporchissimo, che nulla ha a che vedere con il bene della Siria e dei siriani, e che a questo punto rischia non solo di metter in ginocchio il paese e il suo governo, ma anche di vanificare le aspirazioni pacifiche dei veri dimostranti, in una logica di violenza, intolleranza e guerra civile che passa sopra la testa (e attraverso il sangue versato) di tutti.
Troppi interessi in gioco, troppa informazione unilaterale che circola in Occidente.

Si aggiunge ora il terrorismo fondamentalista, con le esplosioni devastanti che conoscete, e che si preannuncia lungo a sconfiggere, dato l’appoggio logistico ed ideologico che riceve da Arabia Saudita, Qatar, e non solo.

Cos’altro si può fare? coltivare la speranza vuol dire anche continuare con fedeltà nei propri compiti. Lasciando tutto nelle mani di Dio. “Bi eyn Allah “, come continuano a dire qui…siamo sotto gli occhi di Dio).

La cosa più difficile, per noi ma anche per tutta la gente, è lo stato di incertezza, di sospensione… Il continuo non sapere come evolvono le cose. Per qualche giorno la speranza che la situazione stia migliorando. E poi di colpo un altro giorno di scontri, l’uccisione di qualcuno, un attentato…E poi l’aumento della violenza, della criminalità ;  i furti, i rapimenti per estorsione, le strade sempre più insicure. E le violenze senza motivo, vere barbarie e vessazioni.

E dall’estero, continue condanne, sanzioni che hanno reso la vita difficilissima. Più viene chiesto dai paesi occidentali che il regime si ritiri, più i civili hanno paura e si armano, e con armi anche pesanti, per proteggere le proprie famiglie, i propri villaggi.
Ormai la situazione si deteriora di giorno in giorno, grazie anche alla presenza massiccia di Al Qaida nel paese…La stampa internazionale, da quanto ci dicono, è sempre univoca. O meglio, cominciano da un po’ a girare notizie alternative, ma incredibilmente quasi nessuno le raccoglie. Una cosa è certa: appare sempre più evidente che la vera preoccupazione non è la libertà e la democrazia dei siriani (e ancor meno la situazione dei cristiani), ma un grande giro di interessi che ormai si gioca fra le varie “potenze” mondiali. Qualcun altro dice che non si deve sempre fare “dietrologia”, ma ormai non è più necessario: è una “davantilogia” talmente evidente…
E noi? Continuiamo la nostra vita.
Come vi dicevamo, questi avvenimenti, vissuti con i nostri vicini, ci hanno legato molto alla gente. Con loro condividiamo l’attesa, l’incertezza, la stanchezza, la pazienza. Portiamo nella preghiera il desiderio di pace per tutti, e cerchiamo di essere un segno di speranza. Piantare fiori, migliorare le costruzioni, pensare al domani vivendo semplicemente l’alternarsi della preghiera, del lavoro, del servizio, ... questa è la nostra speranza, cioè la certezza che in tutto questo la Pasqua del Signore non è vana, anzi…
Sì, ne siamo certi: Cristo è davvero risorto. Tu, Re vittorioso, donaci la tua salvezza.
arcobaleno su Aleppo, 11 ottobre 2012





In luoghi abbandonati noi costruiremo con mattoni nuovi... Seconda parte

I MARISTI DI ALEPPO: ATTIVITA' CON I RIFUGIATI


Haaj! Basta!
Il viaggio di un salesiano tra i cristiani di Damasco, Kafroun e Aleppo
Il racconto di don Munir El Rai, ispettore dei salesiani del Medio Oriente, siriano che vive a Gerusalemme ed ha visitato nelle ultime settimane le comunità salesiane della Siria

... A Beirut ho potuto trattare a lungo con i Salesiani la questione delle famiglie cristiane di Aleppo che chiedono di essere accolte in Libano. Molte famiglie di cristiani siriani vorrebbero trovare rifugio dalla guerra emigrando in Libano, paese molto ambito a causa della forte presenza cristiana e della possibilità di trovare lavoro, e quindi di emigrare in altri paesi, grazie alle numerose ambasciate straniere. L’alto costo della vita in Libano è però un ostacolo per queste famiglie che si rivolgono alle comunità salesiane siriane, chiedendo di essere accolti presso i Salesiani del Libano. Ho quindi chiesto ai Salesiani del Libano di preparare un progetto di emergenza per l’accoglienza dei profughi siriani, come si era fatto con i libanesi durante la guerra libanese.
La mattina di mercoledì 26 settembre ho intrapreso il viaggio via terra per Damasco con un’auto di servizio pubblico. Durante il viaggio ho potuto dialogare con le persone che condividevano l’auto con me, ed abbiamo parlato a lungo della condizione dei profughi siriani il Libano, della sofferenza in cui ora vive la popolazione.
Il mio arrivo a Damasco, alle ore 12.30, è coinciso con la fase finale dell’attacco al Ministero della Difesa: l’intera città era in allerta e piena di posti di blocco dell’esercito. Questo mi ha dato un assaggio del clima di paura, tristezza e insicurezza che si respira nella capitale siriana. A causa dell’attacco, solo con grande difficoltà sono riuscito a raggiungere il Centro Salesiano. A Damasco ho incontrato i confratelli della comunità e ho potuto dialogare a lungo con loro. La comunità è composta di quattro confratelli: il direttore egiziano, due italiani, e un giovane sacerdote venezuelano. Abbiamo parlato a lungo della vita comunitaria a Damasco in questi momenti, delle loro attività con i giovani, e delle attività con gli sfollati, ospitati in varie scuole governative.
La comunità si trova in una zona abbastanza sicura e stanno cercando di dare segni di speranza ai giovani e alle famiglie, cercando di organizzare incontri formativi, spirituali e ricreativi. Il Centro sta diventando un’oasi di pace, condivisione e accoglienza, sempre più prezioso per i giovani della zona. Tutti i confratelli mi hanno confermato la loro ferma volontà di rimanere in Siria e di servire i giovani.
 In occasione della mia visita abbiamo rilanciato le visite nelle case delle famiglie dei bambini e dei ragazzi più giovani che non si recano al Centro per paura dei pericoli che incontrano lungo il cammino, cercando di sostenerli sia al livello spirituale che morale e materiale.
A Damasco ho avuto modo di incontrare vari giovani e le loro famiglie. Molti mi dicono “Haaj”, cioè “basta”. Basta violenza e tristezza, vogliamo solo la pace. Ho anche costatato che molti di loro hanno il forte desiderio di lasciare il paese. Questa visione di molti giovani che hanno perso tutte le loro speranze nell’avvenire e nel futuro del loro paese mi ha molto rattristato, in quanto costituisce il crollo di una vita di insegnamenti basati sulla fiducia nell’avvenire e mi ha rimandato all’immagine di una Siria senza cristiani e senza futuro, come sta capitando in altre zone del Medio Oriente.
 Il sabato 29 settembre sono partito con un bus dalla stazione di Damasco per recarmi a Tartous, città che si affaccia sul Mar Mediterraneo. Il viaggio in autobus é stato complicato da un’avaria al motore del mezzo di trasporto che è andato a fuoco e ci ha lasciati in una zona di intensi scontri, da cui siamo partiti grazie all’intervento dell’esercito siriano che ha assicurato la prosecuzione del nostro viaggio con vari mezzi di fortuna.
 A Tartous ho incontrato il vescovo dei maroniti e il suo parroco, che ci hanno ringraziato dell’attività svolta dai Salesiani di Kafroun, che fanno parte della loro diocesi. Dopo pranzo sono partito per il nostro Centro di Kafroun, attraversando vari villaggi e trovando innumerevoli immagini di «martiri», morti negli scontri.
 Sono arrivato a Kafroun lo stesso giorno e sono rimasto fino alla mattina di martedì. Lì ho incontrato il salesiano che era stato destinato a questa casa per l’estate insieme a due giovani confratelli ed è poi rimasto nella Casa insieme ad un nuovo confratello che lo ha raggiunto per questa nuova missione. La casa salesiana di Kafroun è usualmente aperta solo durante l’estate, ma quest’anno abbiamo deciso di lasciare la casa aperta tutto l’anno per continuare ad ospitare gli sfollati di Aleppo: circa quaranta persone tra le famiglie dei confratelli salesiani, dei cooperatori e dei nostri giovani collaboratori. Attualmente il numero di questi sfollati sta aumentando rapidamente a causa dell’acuirsi degli scontri. La casa sta anche portando avanti attività educative e ricreative con i giovani sfollati provenienti dalla città di Homs, la più colpita dagli scontri. Il Centro é anche impegnato nell’attività oratoriana con i giovani della zona.
La vita comune degli sfollati e della famiglia salesiana è organizzata secondo uno stile familiare basato su un programma preciso che coordina i momenti di vita comune, quali i pasti, il lavoro e la preghiera. Gli ospiti sono impegnati nei lavori della casa, quali la manutenzione, la cura dell’orto, la cucina e la lavanderia, e nel lavoro pastorale con gli altri sfollati e con i ragazzi della zona. Nonostante queste famiglie siano qui al sicuro, sono sempre in ansia per i loro cari rimasti ad Aleppo e per l’incessante pensiero del futuro, diviso tra la paura per la casa e i parenti e amici rimasti in città, la voglia di fuggire all’estero e la speranza di poter tornare alle loro case.
Sono partito per Aleppo il pomeriggio del 2 ottobre, viaggiando su un autobus da venticinque posti insieme ad un cooperatore salesiano di Aleppo. L’autobus, già carico dei beni che gli sfollati portavano con sé, era anche carico di tensione e di timori per il viaggio, che ci avrebbe condotto attraverso le zone più colpite dagli scontri, e le aspettative degli sfollati che speravano di tornare alle loro zone di origine per cercare di raggiungere i propri cari. Uno dei problemi che ci siamo trovati a fronteggiare è stato quello della mancanza di benzina, giacché i distributori non sono più in funzione. Alla fine abbiamo risolto il problema tramite un viaggiatore che conosceva un venditore che ancora disponeva di risorse che teneva nascoste.
Lungo l’autostrada deserta si notavano i segni della guerra: macchine e carri armati bruciati, case colpite e abbandonate, vari blocchi stradali da parte dell’esercito siriano che ci ha fermato per controllare i nostri documenti. Dopo un tratto di strada al di fuori del controllo dell’esercito siriano, ad un’ora da Aleppo, abbiamo incontrato un posto di blocco dei ribelli che ci hanno controllato i documenti e poi ci hanno fatto passare. Dopo un ulteriore posto di blocco dei ribelli abbiamo raggiunto Aleppo, consapevoli della fortuna di averla raggiunta senza essere stati colpiti. Prima della partenza tutti ci avevano avvertiti che il viaggio sarebbe andato “Ente wa hàzzak”, augurandoci cioè “Buona fortuna!”.
 Arrivati verso le 19.30, ci hanno accolto due salesiani siriani, un prenovizio siriano ed alcuni giovani che giocavano a pallavolo nel piccolo cortile. Tutti sono rimasti sorpresi e contenti di questa visita. Alle 21.00 abbiamo recitato una decina del Rosario.
Il mercoledì 3 ottobre, dopo la messa delle ore 7.00, abbiamo cominciato le lodi alle 7.30 e alle 7.40 il convento ha tremato, provocando la rottura di alcuni vetri, a causa di un grande attentato nella piazza principale di Aleppo, che dista 8 minuti di cammino dal convento. Alle ore 9.00 avrei voluto visitare, insieme ad un altro salesiano, il luogo dell’attentato che ha provocato circa 50 morti e più di cento feriti al centro di Aleppo; ma questo è stato impossibile, perché si temevano nuovi attentati. Abbiamo continuato la nostra visita ai quartieri cristiani, che sono attualmente colpiti da lanci di mortai, cecchini e autobombe.