Incontriamo suor Marta, superiora delle
Monache Trappiste di Azeir, durante la breve visita che sta svolgendo
in Italia alla Comunità 'madre' di Valserena nel giugno 2018
OraProSiria: Suor Marta, ci racconti
come sta andando avanti la vostra presenza, quello che avete
costruito, quali sono i vostri progetti, desideri, e lo sguardo che
ha su di voi la gente che incontrate ogni giorno..
E poi ciò che voi intravvedete come
necessità di questo popolo, in questo che appare sempre più come
uno scenario che va verso la fine della guerra, quello che a voi
sembra importante in questa fase di fine conflitto sia dal punto di
vista della Chiesa che dal punto di vista della società. Quindi
quale può essere ora il vostro compito sia come religiosi che come
Chiesa locale?
Suor Marta: quello che noi viviamo
giorno dopo giorno è proprio la presenza, cioè l'essere lì. Siamo
molto contente perché gli ospiti arrivano sempre più numerosi, si
passano la voce gli uni con gli altri e quindi poco a poco, pur
secondo le nostre limitate possibilità di accoglienza che non sono
enormi, vediamo che le persone che vengono al monastero trovano un
luogo di riposo, di incontro e anche di riflessione. E in questo
momento per la Siria è in atto un cambiamento, non voglio parlare
delle ingerenze esterne e delle pressioni ai confini che permangono a
motivo delle varie situazioni internazionali, però all'interno la
Siria si sta stabilizzando, lo Stato siriano sta ritrovando la sua
unità: anche il fatto che si possa andare in macchina da Damasco ad
Aleppo dice molto di questa normalizzazione.
È chiaro che dobbiamo fare i conti con
tutta la distruzione che si è creata, le sanzioni internazionali che
ci soffocano, la mancanza di materie prime e di scambi, e quindi si
vive una grande privazione, molto bisogno materiale, ma noi sentiamo
che dentro questo pesante bisogno la gente ha un bisogno spirituale,
spirituale in senso lato cioè come tempo dello spirito e di
preghiera, di ritrovare una motivazione profonda alla dimensione
umana ferita che questa guerra atroce ha creato, come umiliazione e
poco rispetto della persona. Tutto questo chiede delle risposte,
chiede una riflessione su cosa vuol dire essere uomini, essere
credenti, di qualunque fede si sia. Mi sembra che oggi in Siria
questo sia uno dei compiti più importanti: che senso ha costruire
LA' un uomo!
Ma non solo: costruire INSIEME questa umanità che vogliamo vivere: questo non si riduce solo alla possibilità pur importante di studiare, lavorare, di un progresso economico e sociale, ma anche di un umanesimo che può attingere a un patrimonio immenso di cultura e di tradizione, che, anche se è stato distrutto nell'immagine e nel patrimonio storico-artistico, riguarda per lo più la distruzione delle pietre; però l'anima e la cultura che sono alla radice della Siria, continuano ad essere delle fonti preziose per questo umanesimo.
Ma non solo: costruire INSIEME questa umanità che vogliamo vivere: questo non si riduce solo alla possibilità pur importante di studiare, lavorare, di un progresso economico e sociale, ma anche di un umanesimo che può attingere a un patrimonio immenso di cultura e di tradizione, che, anche se è stato distrutto nell'immagine e nel patrimonio storico-artistico, riguarda per lo più la distruzione delle pietre; però l'anima e la cultura che sono alla radice della Siria, continuano ad essere delle fonti preziose per questo umanesimo.
Da parte nostra la cosa importante per
ora è l'accoglienza, che come dicevo si sta ampliando, anche se
abbiamo ancora da costruire il nostro monastero, e questo è
importante perché la nostra spiritualità non è una spiritualità
solo di idee ma è incarnata: restare in un posto vuol dire anche
investire sugli spazi, sui tempi, sul lavoro. Solo questo investire
su una progettualità rende possibile pensare al futuro, alla
ricostruzione. Così adesso è la Siria: alcune persone che tornano,
piccole iniziative di lavoro, realtà di collaborazione che si stanno
creando pur passando attraverso faticosi cammini di riconciliazione.
Per questo occorre investire molto su una progettualità di pensiero.
In questo le Chiese e i cristiani hanno un grosso compito, che è
il loro proprio compito, di stimolare un pensiero e una coscienza di
senso.
OPS: Perché è importante che i Cristiani non se ne vadano, come continuano a chiedere i Vescovi
Siriani? Cosa convince un Cristiano a giocare la sua permanenza in un
paese come la Siria o come altri paesi del Medio Oriente che stanno
vedendo invece un esodo massiccio?
Suor Marta: Sì, potrebbe sembrare
disumano chiedere alle famiglie cristiane di restare, perché di
prospettive di lavoro, di carriere appaganti, di successo, non se ne
vedono. Occorre essere chiari: non si può rimproverare nessuno per
le scelte che fa; è comprensibilissima la preoccupazione di un
genitore per i propri figli. Di solito è il pensiero del loro
avvenire la molla che spinge ad andarsene, più che un egoismo
personale, è proprio il cercare un futuro per i propri figli che è
una cosa rispettabilissima. Allo stesso tempo i Cristiani sono di
fatto l'anello che permette in molte situazioni la riconciliazione,
sì, i Cristiani sono l'anello di congiunzione nella grossa
divisione che si è creata a livello confessionale nella società
siriana. Quindi questo è il primo fattore importante di cui i
Cristiani sono portatori. Ma soprattutto, non è disumano chiedere
di restare: tutto dipende dal tipo di umanità che vogliamo
realizzare; se noi pensiamo che non solo in Siria ma in tutto il
mondo oggi c'è una grossa battaglia che si gioca rispetto a una
umanità nuova, che sia radicata su ciò che rende veramente uomini.
È quello che chiediamo ai nostri giovani: “cosa vi impedisce di
essere veramente uomini e donne qui in Siria?”. Anzi, forse la
povertà di mezzi ci stimola a riscoprire i valori veri di un'umanità
non come un fatto emotivo, una voglia, uno slancio al 'vogliamoci
bene', ma la capacità di generare un tipo umano con un pensiero, una
consapevolezza di ciò di cui consiste veramente l'uomo. Noi in
Occidente abbiamo ridotto il lavoro al guadagno, alla sicurezza e
alla molteplicità delle esperienze; mentre il lavoro è la prima
espressione dell'uomo che si mette alla prova, si conosce e si
sperimenta nei propri limiti e nelle proprie possibilità, s'inventa
e crea. Possiamo restare, se crediamo che è possibile fare
un'esperienza dell'umano come ciò che veramente realizza, perché la
domanda vera è: che cosa realizza realmente la persona?
OPS: Oggi si ha molta paura del
fondamentalismo che sembra sempre più pervadere il mondo islamico.
Il popolo siriano ha la possibilità di resistere al virus del
fanatismo?
Suor Marta: Credo proprio di sì, nella
misura in cui ascolta l'esperienza che ha fatto, Oggi in tanti
siriani c'è una sorta di stupore nel constatare una diffusione del
fondamentalismo che non si credeva così forte nella sua
propagazione, perché al di là del fondamentalismo organizzato dal
paesi stranieri c'è qualcosa che ha attecchito anche nel pensiero
di alcune persone e questa è la cosa che spaventa di più. Però
quest'esperienza ha posto anche molti interrogativi: noi conosciamo
molte persone che di fronte alla loro stessa fede nell'Islam si sono
poste molte domande e quindi cercano ora un modo vero di vivere la
loro fede, un modo più tollerante, un modo che è comunque aperto ad
altre esperienze; certo non bisogna darlo per scontato, bisogna
lavorare, bisogna dialogare, bisogna non avere paura di creare spazi
di riflessione. Non è automatico ma io vedo che c'è una volontà,
un desiderio di andare al fondo del vivere insieme quella diversità
che ha caratterizzato questo paese, non bisogna però darlo per
scontato, bisogna trovare il modo di lavorarci e farlo crescere.
OPS: Per quanto sperimentate voi, il
governo siriano ha mantenuto quella sua tipica laicità che lo ha
reso per decenni un'esperienza di convivenza particolare, quella per
cui ancor più oggi si auspica che anche nella nuova Costituzione sia
sempre più chiara la distinzione tra religione e forma di governo?
Suor Marta: Noi fin da quando siamo
arrivate abbiamo sperimentato questa caratteristica della Siria:
prima di tutto si è Siriani, la religione è un'altra cosa. E questa
è una linea che permane, che noi sentiamo e che viene portata
avanti: certo ora occorre fare i conti con le fratture che si sono
create, perché purtroppo questa guerra ha minato questa coscienza
dell'essere insieme, però questa coscienza dell'essere anzitutto
Siriani non è stata distrutta, e il governo sta lavorando in questo
senso, così come tutte le persone di tutte le religioni impegnate in
un'ottica di ricostruzione sociale sono impegnate in questa
direzione.
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