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sabato 29 giugno 2013

Il rogo siriano

Tragedie, propagande, veri rischi


da Avvenire , 29 giugno 2013
di Riccardo Redaelli

Come un incendio sfuggito completamente al controllo, il conflitto siriano appare ogni giorno sempre più sinistro e orribile. Per alcune ore ieri si è temuto che fra le sue tante vittime innocenti vi fossero anche tre religiosi, trucidati da milizie jihadiste perché accusati di essere «complici di Assad». Una notizia fortunatamente smentita, eppure tragicamente verosimile. Il difficile non era credere che pazzi criminali potessero massacrare frati francescani – Francesco, il simbolo stesso della pace e dell’apertura verso ogni essere vivente bisognoso – ma considerarla come impossibile. Poiché in Siria la follia del settarismo e del fanatismo ha ormai dilagato, alimentandosi di ogni morte, di ogni massacro.

Da una parte e dall’altra, le vittorie come le sconfitte sono il pretesto per aumentare la ferocia e la disumanità dei comportamenti. Nel mezzo una popolazione in ostaggio, travolta fisicamente dalle violenze. E come sempre accade, le minoranze sono le più esposte al conflitto. In particolare, le comunità cristiane oggetto non solo di attacchi ma di quella forma particolarmente infida di conflitto che è la "propaganda bellica": mai dire la verità in guerra, sempre manipolare le informazioni e piegare la realtà ai propri interessi.

Così, da un lato il regime fa leva sulle (fondate) paure dei cristiani nei confronti della deriva jihadista delle opposizioni per convincerli che non vi è futuro senza Assad e che la loro unica scelta è quella di armarsi e condividere lo sforzo dello scontro. Dall’altro lato, si cerca di ottenere il risultato opposto, mentre aumentano le minacce e le pressioni contro i presunti «crociati servi del regime».

Solo a chi non vuole vedere, infatti, sfugge la progressiva trasformazione delle forze che oggi combattono con i ribelli: i gruppi moderati dell’Esercito siriano libero (Esl) sembrano sempre meno rilevanti rispetto alla marea crescente di mujaheddin che arrivano da ogni parte del "Dar al-islam" o di jihadisti affiliati a Jabhat al-Nusrat, sinistra filiazione di al-Qaeda. Gli ultimi dati diffusi dal Washington Institute sono purtroppo illuminanti: il conflitto siriano è sempre più combattuto da non siriani, con la proliferazione di miliziani stranieri (libici, giordani e sauditi soprattutto). Se si analizzano i loro morti, emerge come la quasi totalità abbia combattuto sotto le insegne delle milizie jihadiste, mentre solo meno del 5% militava nelle file dell’Esl.

I canali di reclutamento e addestramento sono quelli tipici del jihadismo, così come jihadisti sono i loro slogan, fatti di fanatismo intollerante, odio verso gli sciiti, i cristiani, i cattivi musulmani, i laici, i crociati, i sionisti, le donne mal velate, insomma la solita rozza litania di violenza e ignoranza diffusa sul web, ma solleticata dalle tante associazioni islamiche finanziate da certi ambigui "amici" dell’Occidente, gli sceicchi sunniti del Golfo. Una propaganda che fa breccia anche nelle nostre società europee: la morte in Siria del nostro connazionale convertitosi all’islam è solo la punta dell’iceberg, fatta di un flusso crescente di volontari del jihad che dal Vecchio Continente si spostano nelle zone calde del Medio Oriente.

Per fermare questa spirale di violenza e fanatismo, l’ultima cosa da fare sembra quella di armare gli oppositori di Assad. Fra i tanti tentennamenti autolesionisti dei Paesi occidentali e il cinismo della Russia, va apprezzata la linea del Governo Letta e sottolineate le parole nette pronunciate dal nostro ministro degli Esteri. 
Dinanzi a un incendio sempre più spaventoso, che rischia di consumare l’anima stessa – plurale e interconfessionale – della Siria, la risposta non sta nel versare altre taniche di benzina, ma nel riprendere con determinazione la strada di un accordo internazionale, che ponga al centro gli interessi della Siria, non le ossessioni degli estremisti sunniti, gli interessi pelosi di Iran o Russia, le rivalità meschine degli europei.

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