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domenica 29 aprile 2012

Chi ha a cuore la vita del popolo sirano?


Abbiamo paura di pronunciare la parola ‘guerra civile’, ma si sta andando in quella direzione, i segnali portano in quel senso” dice padre Pizzaballa intervistato da Radio Vaticana sulla situazione in Siria, ed aggiunge “Non c’è una guerra generalizzata, non c’è un fronte aperto su tutto il Paese” e conclude: “però, purtroppo tutto fa pensare a questo”.

Il paese è allo stremo, la gente ne paga le conseguenze, intere città assediate, rapimenti, violenze diffuse. Quella degli oppositori non è più la pacifica richiesta di maggiore democrazia.  Complice la repressione violenta del regime,  le richieste iniziali sono state sostituite da quelle di azzeramento di  tutto l’establishment attualmente al potere. Così  le legittime richieste popolari hanno lasciato il campo alla violenza settaria, ad una guerra senza quartiere, dilagata ‘a macchia di leopardo’ in tutto il paese.

Naturalmente si è levata l’indignazione degli Stati Uniti e dell’Unione Europea, che più volte hanno richiesto una risoluzione Onu che aprisse la strada per un intervento, anche militare.  L’impressione che se ne ricava è che si stia buttando benzina sul fuoco anziché calmare la situazione.  E’ paradossale che nell’area i governi più attivi nel richiedere ad Assad  le libertà democratiche e il rispetto dei diritti umani  siano le monarchie del Qatar e dell’ Arabia Saudita, monarchie assolutistiche che non concedono ai loro popoli ciò che chiedono a terzi. A  sostenere il regime siriano ci sono invece Cina, Russia e Iran che interpretano la situazione esplosiva del paese come il risultato dell’ennesima ingerenza ‘umanitaria’ occidentale.
Essa è giudicata come un tentativo -giocato in campo mediatico, finanziario e militare- messo in atto unicamente al fine di perseguire i propri obiettivi:  cambiare globalmente la mappa geopolitica della regione mediorientale a proprio favore.

Assad se ne deve andare” questo è sinteticamente il ‘dialogo’ intavolato dalla comunità internazionale. Ma se Assad lasciasse né lui né tutte le istituzioni che reggono il paese  avrebbero scampo. Il motivo è semplice: ogni ruolo chiave istituzionale, soprattutto i vertici dell’esercito, sono ricoperti dagli alawiti, la minoranza religiosa che rappresenta  solo il 20% della popolazione, mentre la maggioranza è sunnita. Se gli alawiti non gradivano la perdita dello ‘status quo’ nella fase iniziale delle proteste,  ora in un contesto di guerra civile e di violenza diffusa (non controllabile nemmeno dall’opposizione), con vari agenti sul campo, sanno bene che l’epilogo sarebbe quello di essere frettolosamente giudicati da una delle tante formazioni armate della ribellione, ed essere uccisi. Perciò non  hanno nulla da perdere.
D’altra parte sanno di avere tutti contro: “inutile” è stata  giudicata dalla Lega Araba e dall’ONU la missione degli Osservatori in Siria iniziata nel dicembre scorso e cessata dopo soli 23 giorni, nonostante avesse ristabilito un clima costruttivo, ottenuto il ritiro dei militari in varie città, la liberazione dei prigionieri, la distribuzione di aiuti alla popolazione.

La situazione in Siria è complessa: padre Paolo dell’Oglio (da 30 anni in Siria) racconta che “a prescindere dalle appartenenze religiose, è ancora massiccia, anche se scossa, l’adesione popolare al potere costituito” e aggiunge “alcune aree sono ormai in mano all’ ‘esercito libero’ “ e “In generale il clima politico è confuso, la sicurezza carente. Si registrano episodi di furto, teppismo, sabotaggio, attentati, rapimenti, rese di conti, vendette e uccisioni. La violenza non fa che aumentare”. Non sono parole di un filo-governativo ma quelle di un frate espulso dal Paese perché giudicato troppo sbilanciato a favore dei “ribelli”. E’ evidente che comunque si voglia chiamare, una speranza che per vivere  ha bisogno dell’annientamento dell’avversario in qualunque modo si chiami è tirannia: il rischio in assenza di un negoziato e un accordo è che il potere semplicemente passi solo di mano.
Non cambia nulla se non si guarda con simpatia all’uomo in quanto tale ed al suo destino, se non si parte  dalla dignità insopprimibile di ognuno.

E’ invalsa invece l’aspettativa che le rivoluzioni da sole, ad agni costo e con qualsiasi mezzo possano risolvere ogni cosa. Bisognerebbe avere il coraggio di dire che la soluzione che vediamo adottata da un po’ di tempo per migliorare la vita dei popoli è falsa.
Se in Siria non si torna al dialogo e le voci delle armi non cessano, non rimarranno che rovine a contendersi.

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