Pubblichiamo qui una intervista in esclusiva che gli facemmo durante una visita alle Sorelle di Azer , mai pubblicata sul nostro sito nè in altro media, da cui possiamo comprendere quale apertura, con quale visione padre Godefroy avesse abbracciato la realtà del Paese tanto amato.
Che il caro Padre Godefroy accolto oggi nella luce del Signore trasfigurato, ottenga benedizioni a tutti noi e la pace alle comunità cristiane e a tutta la povera Siria!
Intervista a padre Godefroy, Marzo 2017
D: Cosa è oggi la Siria?
R: Terra di combattimento, ma io ne colgo soprattutto l'aspetto spirituale … Qualcuno vuole che questo paese sia frammentato, che la Siria con tutto quello che rappresenta di convivenza e anche di cultura, aveva interesse a sopprimerlo.
Giovanni Paolo II parla del Libano come un patrimonio unico con quella particolarità di pluralità di confessioni, ma penso che dopo la guerra i valori del Libano sono moribondi e adesso è la Siria che è attaccata in questo aspetto.
D: che cos'è un monaco qui, in questa situazione ?
R: è qualcosa di molto semplice e umile.... Io sono arrivato per servire la presenza delle Sorelle. Una vita monastica è sempre un segno, per chi vuole leggere il segno ... Qui è un segno di speranza, di una vita possibile anche nelle circostanze dove sembra che non c'è futuro, che non c'è possibilità di vivere.
Per me è molto importante in questo tempo in cui molti vanno fuori dal Paese di fare il percorso nell'altro senso : che restiamo qui, una semplice presenza.
Come monaci Trappisti non abbiamo nessuna opera, le Sorelle come donne hanno una capacità di maternità, e in modo discreto aiutano gente, ma questa non è la ragione profonda dell'essere qui . E' piuttosto il segno di Colui che ci sostiene, siamo una presenza di preghiera.
Quando sono venuto qui, ho risposto a una richiesta ed ero molto felice di farlo perché come molta gente in Europa soffrivo per la situazione di questo popolo, di tanti anni di sofferenza per la guerra, l'ingiustizia... È vero che la preghiera non ha bisogno.. è capace di raggiungere ogni situazione.. si può pregare a Aiguebelle in Francia ma nello stesso tempo era per me molto importante che questa presenza si incarnasse su questa terra, quindi sono stato felice di raggiungere le Sorelle che erano qui.
Preghiamo anche in arabo - o almeno tentiamo di farlo- questo è qualcosa di importante: l'arabo è una lingua sacra, per la maggioranza dei siriani musulmani è la lingua della liberazione, ma non è una proprietà musulmana. È molto importante per quelli che vengono qui , dall'Italia o dalla Francia, sentire che il nome di Allah è anche il nome che usano i cristiani per pregare, e che usavano cinque secoli prima dei musulmani , fa parte di questo segno di una presenza incarnata, che vuole avvicinarsi alla situazione di questo popolo.
Questo dono che abbiamo di pregare con il gioiello della preghiera, con il Salterio, che è il condensato di tutta la preghiera della storia santa di Israele e sono tutti i gridi dell'umanità che risuonano in questi salmi: gridi di sofferenza, di violenza, di desiderio di vendetta, e gridi di gioia e di speranza, è tutta questa pasta umana che si mette dinanzi a Dio con queste parole, che sono parole che riceviamo come parole rivelate.
Offrire questa umanità , nel modo semplice della preghiera salmica, non è niente ed è insieme tutto, come un contadino nel lavoro semplice dei campi, anche se come monache e monaci non vediamo i frutti di questo seminare. Veramente siamo costretti a raggiungere il cuore della fede, che si nutre di ciò che non si vede , ma la nostra fede è l'unirsi al cuore dell'amore divino, è l'opera fondamentale che permette all'umanità di prendere un cammino di umanità piuttosto che il cammino della barbarie . Questa scelta oggi, proprio in questa guerra : non siamo qui per scegliere un lato o l'altro, partigiani del governo o dei jihadisti, o di una riforma , ma per fare una scelta di umanità, affermare questa capacità dell'uomo di rispondere all'amore, di scegliere la convivenza piuttosto che l'odio e la violenza.Pur senza vedere. Gli ospiti che vengono qui, la gente del villaggio , con una riflessione o senza riflessione, toccano questo segno che è il rimanere su questa terra, attraverso un niente che fa segno.
D. Come trascorre le sue giornate in questo minuscolo pezzo di terra siriana?
R: Siccome le mie capacità linguistiche sono molto limitate, dall'inizio ho preparato un piccolo giardino che era un segno di gratuità, e anche di rispetto e di onore per questa terra: se viene perduto questo legame con la terra non vi è ragione di rimanere.
Certo è una situazione particolare, ma c'è una grazia per questa situazione, a cui non sono sicuro di corrispondere pienamente .
Ho risposto di sì con tutto il cuore veramente, e con la generosità della mia comunità, io pensavo di portare qualche cosa, ma invece scopro che ho ricevuto tanto e sto ricevendo tanto.
Non conoscevo la Siria e non avevo capito quanta ricchezza, che questo è il primo luogo, la culla della Chiesa,, stiamo scoprendo questa ricchezza immensa di tradizione, e anche di radici monastiche , c'è un volto originale siriano del monachesimo dal quale abbiamo ricevuto - attraverso Cassiano e via via tutti i monaci, come Isacco di Ninive, sant'Efrem e altri che conosciamo meno come Giovanni di Apamea - , insomma qui c'è un tesoro spirituale , beviamo alla stessa sorgente .
Questo è bellissimo ed è molto importante per le relazioni con altre esperienze come alcuni monasteri ortodossi che ho visitato soprattutto nel Libano. L'accoglienza è sempre un momento stupendo di fraternità e di apertura, poi emergono presto tutte le cause di divisione, il sacco di Costantinopoli è presente ancora oggi nelle memorie ferite , ma essere capaci di dire che abbiamo gli stessi padri della vita monastica e che apprezziamo molto queste radici è importante. La vita monastica è veramente un ponte, è un'opportunità, una porta aperta, ma c'è tanto lavoro da fare, ed è una sofferenza vedere in questa guerra quanti passi ci sono da fare perché anche per i cristiani il restare qui sia assai più che una coabitazione .
Io non ho l'esperienza di Aleppo, ma so che là si è maturato, nella loro diversità , in una situazione di minoranza, una possibilità di unità tra le varie chiese.
Ogni giorno è un cammino di arricchimento, di apertura , pur dentro l'ostacolo della lingua ogni incontro è un modo di arricchirsi mutuamente.
Ho l'occasione ogni volta di ringraziare nel vedere il cammino che fanno queste persone dentro la sofferenza che patiscono , ricevo testimonianze bellissime di una crescita spirituale e umana: l'ho toccato soprattutto nei cristiani, ma veramente lo si scopre anche nei musulmani. Se guardiamo per esempio al modo di lavorare qui nel cantiere , nei musulmani, sunniti e alauiti, c'è una rettitudine che è veramente colpisce...
Ciò di cui ora i siriani hanno più bisogno non è di container, ma di fratelli, di una vicinanza, una fratellanza manifestata, di sapere che non sono da soli .
Perché per i cristiani è terribile accorgersi che per la politica internazionale non esistono, invece c'è una sete di relazione, di un'apertura, di una vicinanza. Anche nei musulmani... quando vado a fare un giro a piedi nel villaggio sunnita qui sotto la collina dove sorge il Monastero, c'è una manifestazione di interesse, sono felici di vedere un monaco straniero .
L'aspetto materiale del bisogno non è tutto, e rischia di far dimenticare l'essenziale .
Mi ha colpito quell'organizzazione francese SOS Chretiens d'Orient : la prima cosa che hanno fatto è stato di venire a vivere il Natale , questo è un gesto che tocca molto , forse più che 10 container : è importante anche aiutare, ma prima viene lo stare. È una immensa sfida, e lo sarà anche per la Chiesa , con una dimensione oggi molto più ridotta come sarà capace di avere questo ruolo così importante ? , come minoranza si, ma una minoranza che è stata indispensabile per una convivenza tra le altre religioni e i musulmani stessi.