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sabato 30 novembre 2024

Testimonianza diretta da Aleppo- 30 novembre 2024

 

  di un abitante cristiano e operatore umanitario di Aleppo, che preferisce mantenere l'anonimato

Ecco, noi di Aleppo siamo diventati come Idlib, sotto il regime degli islamisti. Sono ormai dappertutto in città, anche nella cittadella. Nella notte hanno occupato tutti i quartieri di Aleppo, i palazzi governativi, abbandonati poche ore prima dalle istanze governative. Hanno occupato la sede del governatore, del capo della polizia, il tribunale militare, le carceri, e tutti i quartieri. Stamattina sono sulle strade principali. Ai pochi passanti, alle poche auto in giro dicono che non vogliono fare del male a civili, di qualunque religione siano. Si spara ancora e l'aviazione siriana ha iniziato a intervenire con raids sulla città.

 Il governo siriano dice che manderà rinforzi, ma avrebbero dovuto bloccarli prima della loro entrata ad Aleppo; in aperta campagna sarebbe stato facile, con l’aviazione e l’artiglieria, ma in città, con la popolazione, non si può fare. 

Secondo me anche se arriveranno i rinforzi, non li sloggeranno da Aleppo. Non so che cosa accadrà. 

A Idlib al tempo avevano chiesto ai cristiani di evacuare la città in 24 ore… Molte persone stanno fuggendo da Aleppo, non via autostrada che è bloccata, ma per strade secondarie, ci vogliono 11-12 ore per arrivare a Homs vista la quantità di traffico. E’ la stessa che abbiamo utilizzato per anni al tempo della guerra.

Abbiamo interrotto le nostre attività sociali. Non vogliamo andare via - per il momento. Ma non sappiamo cosa accadrà.

giovedì 28 novembre 2024

La Siria sotto attacco: un nuovo capitolo nella guerra delle pianificazioni

 

interpretazioni degli eventi odierni in Aleppo riportate da Vanessa Beeley su Telegram  Autore: Mazen A. Nakkach ricercatore 

Nella grande guerra contro l'Asse della Resistenza, nulla accade per caso. Gli affiliati di Al-Qaeda, guidati da Hayat Tahrir al-Sham, hanno lanciato una significativa offensiva contro le posizioni dell'esercito siriano nei pressi di Aleppo.

La tempistica è calcolata e coincide con una pausa sul fronte libanese meridionale.

Gli obiettivi sono chiari: indebolire la Siria, disperdere l'Asse della Resistenza e imporre nuove dinamiche sul campo di battaglia.

Ma la Siria non è un giocatore passivo in questo gioco. L'Asse della Resistenza comprende queste mosse e ne vede le implicazioni a lungo termine.

In questo post ci chiediamo:

Chi sta orchestrando questa escalation?

Perché Aleppo è l'obiettivo scelto?

Come si inserisce questo nel contesto più ampio della guerra regionale?

Non si tratta di una semplice scaramuccia: è un nuovo capitolo nell'attuale battaglia di progetti.

1 Cosa sta succedendo?

Hayat Tahrir al-Sham, una fazione di al-Qaeda ribattezzata, ha lanciato un attacco su larga scala contro le posizioni dell'esercito siriano nei pressi di Aleppo. Il gruppo ha rapidamente conquistato diverse aree chiave utilizzando tattiche coordinate, supportate da armamenti avanzati. L'esercito siriano ha reagito rapidamente, puntando a riprendere il controllo pur dovendo affrontare dinamiche complesse sul campo di battaglia.

2 Chi c'è dietro questa escalation?

Nessun attacco di questa portata avviene senza un sostegno esterno e un calcolo geopolitico:

Turchia: usa gruppi armati come intermediari per promuovere le proprie ambizioni territoriali nella Siria settentrionale. Cerca di stabilire una zona cuscinetto permanente e di sfruttare i gruppi militanti per ottenere vantaggi politici. Mantiene Hayat Tahrir al-Sham come strumento di contrattazione per i negoziati futuri.

Stati Uniti: pur dichiarando ufficialmente di combattere il terrorismo, gli USA hanno a lungo fatto affidamento sul caos in Siria per indebolire Russia e Iran. Mantiene il controllo sulle risorse della Siria orientale per impedire la ripresa nazionale. Permette che queste offensive servano come pressione indiretta su Damasco.

Israele: sfrutta l'instabilità per indebolire l'asse Siria-Iran-Hezbollah. Utilizza tali distrazioni come copertura per lanciare attacchi aerei su posizioni strategiche. Fa sì che la Siria resti coinvolta in molteplici crisi, distogliendo l'attenzione dal Libano e dalla Palestina.

3 Perché Aleppo?

Aleppo non è una città qualunque: è il simbolo della resilienza della Siria e della sua ripresa da battaglie devastanti. Attaccare Aleppo consente di raggiungere diversi obiettivi strategici: Minaccia la sicurezza di uno dei principali centri urbani della Siria. Costringe l'esercito siriano a estendere eccessivamente le sue difese. Interrompe la fragile ripresa economica che Aleppo rappresenta.

L'importanza della città la rende un obiettivo primario per coloro che mirano a destabilizzare la Siria nel profondo.

4 Perché adesso?

Il tempismo è tutto. Questa escalation coincide con sviluppi regionali critici: Tregua in Libano: dopo i recenti scontri tra Hezbollah e Israele, il fronte siriano diventa un punto di pressione utile per dividere la Resistenza.

Posizione regionale: Turchia e Israele vedono un'opportunità per sfruttare le vulnerabilità della Siria.

Messaggio globale: Questo attacco invia un segnale a Damasco e ai suoi alleati: "La guerra non è finita e i vostri nemici vi stanno ancora guardando".

5 Obiettivi strategici dietro l'attacco

L'obiettivo non è solo militare ma profondamente politico: indebolire la posizione della Siria nell'equilibrio di potere regionale.

Obiettivi regionali: Rafforzare il controllo della Turchia nel nord.

Minare il ruolo della Siria come pilastro fondamentale dell'Asse della Resistenza.

Interrompere il coordinamento tra Siria, Iran e Russia.

Obiettivi globali: Mantenere la Siria in uno stato di conflitto perpetuo, prosciugando le risorse iraniane e russe.

Impedire alla Siria di ricostruirsi come uno Stato sovrano e unito.

6 Cosa succederà dopo? Prevedere la situazione

1 Sviluppi militari: Si prevede che l'esercito siriano riacquisterà il terreno perduto, ma è probabile che attacchi sporadici continueranno a mantenere la pressione.

2 Asse di risposta della resistenza: L'escalation porterà a un maggiore coordinamento tra Damasco, Teheran e Hezbollah, che probabilmente porterà a contromisure più decisive.

3 Ricadute geopolitiche: La Siria userà questo attacco come ulteriore prova del coinvolgimento esterno nell'alimentazione del terrorismo, ottenendo potenzialmente un maggiore sostegno interno e internazionale.

7 Il messaggio alla Resistenza

Ogni battaglia in Siria è parte di una guerra più ampia per indebolire l'Asse della Resistenza. Ma la storia ha dimostrato una cosa: questa guerra è combattuta tanto con resilienza e forza di volontà quanto con le armi. Le trattative con te sono un segno della tua forza. Le escalation nei tuoi confronti rivelano la loro paura. Questa lotta non riguarda solo i confini o le città: riguarda la difesa della dignità, della sovranità e dell'eredità di coloro che si sono sacrificati per la libertà.

Ciò che sta accadendo ad Aleppo è una mossa calcolata nella più ampia guerra contro la Resistenza. Ma come sempre, questi attacchi alla fine rafforzeranno la determinazione della Siria e dei suoi alleati, dimostrando ancora una volta che la Resistenza prospera sotto pressione. La battaglia continua e la dignità prevale.

giovedì 21 novembre 2024

Il martirio: segno di viaggio nella fede – Simposio sui Martiri di Damasco

Nel 1219, San Francesco arrivò ad 'Acri con le Crociate che partivano dal continente europeo verso il Medio Oriente, ma arrivò in spirito d’amore, tolleranza e pace, Si incontrò con il Sultano che governava a quel tempo, cioè il Sultano Al-Kamil, il quale diede a San Francesco il permesso di visitare la Terra Santa e le sue chiese esistenti a quel tempo, e arrivò qui, a Gerusalemme, poi partì da Gerusalemme per Betlemme, e tornò a casa sua ad Assisi. Ma lasciò dietro di sé un piccolo gruppo di frati francescani, i Frati Minori, per stabilire il primo nucleo della presenza francescana in Terra Santa, quel nucleo crebbe, e il loro numero in Terra Santa si aumentò, e da qui, da Gerusalemme partirono verso altre città e anche verso altri paesi, così arrivarono anche in Siria, precisamente a Damasco. Andiamo insieme da qui, da Gerusalemme a Damasco.

Sabato 16 novembre, l’auditorium dell’Immacolata, presso il convento di San Salvatore a Gerusalemme, ha ospitato il simposio dedicato ai martiri di Damasco, canonizzati a Roma il 20 ottobre 2024. 

L’incontro, dal titolo “Il martirio. Segno di viaggio nella fede”, ha offerto l’opportunità di riflettere sul profondo significato del martirio cristiano, alla luce della testimonianza donata dai martiri francescani di Damasco.

I relatori hanno affrontato il tema del martirio da diverse prospettive. Fra Alessandro Coniglio, professore presso lo Studium Bilicum Franciscanum, ha esplorato le radici bibliche del martirio. Fra Ulisse Zarza, vicepostulatore delle cause dei santi della Custodia di Terra Santa, ha approfondito la dimensione ecclesiale del martirio, mentre Fra Narciso Klimas, direttore dell’archivio della Custodia, ha ricostruito il contesto storico che ha portato al martirio dei frati e dei laici maroniti a Damasco nel 1860. Il Custode di Terra Santa, fra Francesco Patton, nel suo contributo ha offerto una riflessione sul significato del martirio nella vita francescana, sottolineando come il dono totale di sé sia un tratto distintivo del seguace di San Francesco. Il Custode ha affermato: “Secondo San Francesco il martirio è l’orizzonte della vita cristiana. Francesco non dice che bisogna confessare di essere religiosi ma confessare di essere cristiani. Il martirio è il dono della vita per testimoniare il proprio amore nei confronti di Gesù, pertanto è l’orizzonte della nostra vita”.

I martiri di Damasco sono stati un grande esempio di fede e di amore per la vocazione francescana. Da qui nasce l’importanza di celebrare e ricordare la loro storia. 

Fr. Marwan Di’Des, membro del comitato organizzatore del simposio, ha sottolineato l’importanza di ricordare i martiri di Damasco oggi: “I martiri di Damasco sono stati martirizzati in una situazione di grande rivolta e caos durante la quale tutto il quartiere cristiano venne saccheggiato. I martiri francescani avevano la possibilità di fuggire, ma rifiutarono, preferendo rimanere accanto alla gente. Questo è stato il servizio dei francescani in Terra Santa. La nostra missione è legata a questi Luoghi e sull’esempio dei martiri di Damasco noi oggi restiamo qui.”. Il simposio nasce pertanto con l’obiettivo di far conoscere la tematica del martirio da una prospettiva cristiana. Conclude fra Marwan: “Il martirio cristiano è  l’immagine di Gesù Cristo che è il martire per eccellenza. Così anche noi cristiani dobbiamo essere fedeli a Dio ed alla nostra fede anche a costo di offrire il nostro  sangue. Non per amore della violenza, ma per amore di Gesù Cristo.

di Lucia Borgato, Custodia Terrae Sanctae

giovedì 14 novembre 2024

Da Guantanamo Bay alla prigione di Gweran (Siria nord-orientale). Decifrazione di un affare oscuro


Un articolo del 2023 e ... ancora oggi novembre 2024 la straziante agonia del popolo siriano continua

René Naba, 20 maggio 2023, Décryptage

Traduzione di Maria Antonietta Carta 

  • Gli Stati Uniti hanno trasferito nel nord-est della Siria lo schema di Guantanamo Bay , affidando il subappalto dei prigionieri dell’ISIS ai Curdi; centri di detenzione senza alcun controllo, nonostante i gravi abusi che vi si stanno consumando e la corruzione delle guardie curde.

  • L’estradizione dei prigionieri dell’ISIS in Turchia durante l’assedio di Baghouz nel marzo 2019 fu il risultato di una transazione finanziaria con le autorità curde nella zona autonoma della Siria nord-orientale.

  • 270 membri dell’ISIS sono riusciti non solo a fuggire dalla prigione, ma anche a raggiungere “aree sicure”, spesso armati di “ordini di missione” con il sigillo dell’autogoverno curdo.

  • La rete di comunicazione istituita all’interno della prigione di Gweran per collegare i prigionieri dell’ISIS al mondo esterno, comprese le comunicazioni cellulari, fu istituita con la tacita connivenza delle forze curde.

  • Le autorità curde de facto della zona autonoma hanno usato il caso della prigione sia per dissuadere Ankara dall’impegnarsi in un’operazione militare contro l’area curda, sia contro gli Stati Uniti per dissuadere Washington dal ritiro dalla Siria nord-orientale.

Il 20 gennaio 2022, lo Stato Islamico (ISIS) lanciava l’assalto alla più grande prigione di jihadisti nel nord della Siria, rilasciando centinaia di suoi veterani sotto il naso e in barba alle forze curde sostenute dai loro alleati americani.

Hassakeh, una città controllata dai Curdi nel nord-est della Siria, durante quattro giorni fu teatro di combattimenti molto violenti tra le Forze democratiche siriane e i combattenti dell’ISIS in seguito all’assalto islamista contro la gigantesca prigione di Gweran, il più grande campo di detenzione di ex jihadisti e delle loro famiglie. 185 persone furono uccise da entrambe le parti. A sostegno delle forze curde, la coalizione guidata dagli Stati Uniti aveva schierato elicotteri da combattimento che bombardarono ammutinati e sacche di resistenza. La minaccia fu “contenuta”, ma centinaia di prigionieri riuscirono a fuggire. Secondo la versione americana, cellule dormienti introdotte tra le guardie carcerarie avevano lanciato l’assalto, insieme ad autobombe, armando i prigionieri dall’interno e innescando quattro giorni di feroci combattimenti.

1- MIT turco dietro la rivolta dei prigionieri dell’ISIS

Lo spettacolare assalto dell’ISIS a una prigione di Hassakeh, in mano ai delegati curdi degli Americani, fu un’eccelente operazione di ‘’fumo mediatico’’ con un duplice scopo:

- Permettere alla Turchia di conquistare nuove porzioni di territorio siriano.

- Giustificare il mantenimento della presenza militare statunitense in quella zona petrolifera della Siria, senza alcuna base legale o giuridica, sostenendo la permeabilità del settore. 

Almeno questa è l'impressione che emerge dalla dichiarazione del signor Noury Mahmoud, portavoce delle YPG (Kurd People's Protection Units) non appena finita l'insurrezione dei prigionieri dell'ISIS. Il signor Noury Mahmoud accusò la Turchia di fomentare questa insurrezione al fine di occupare Hassakeh e altre città della zona per mezzo dei prigionieri dell’ISIS liberati durante l’assalto alla prigione. Egli disse che Il MIT, servizio segreto turco, ‘’avrebbe stanziato la somma di 15 milioni di dollari per il completamento di questa operazione”, aggiungendo che con la riattivazione dell’ISIS la Turchia intendeva rilanciare la minaccia terroristica presso l’opinione occidentale, ancora sensibile sull’argomento, e quindi giustificare il proseguimento dell’occupazione militare statunitense nonostante l’illegalità della sua presenza nel nord-est della Siria.

Sullo sfondo di una prova di forza tra gli Stati Uniti e la Russia e di una guerra psicologica tra i vari protagonisti del conflitto, la drammatica situazione della popolazione è rimasta nascosta, nonostante essa fosse anche peggiore di quella in cui vivevano i prigionieri di Guantanamo. I media si sono limitati a trasmettere le dichiarazioni delle varie organizzazioni siriane; le Nazioni Unite hanno deplorato la tragedia di decine di migliaia di sfollati a causa delle ostilità e l’UNICEF ha espresso la sua preoccupazione per il destino di 700 bambini nei piani superiori della prigione.

2- Un dramma che colpisce 60.000 persone... banalizzato.

Tuttavia, quella tragedia riguardava 60.000 persone (uomini, donne, bambini), stipati in condizioni disumane nei campi di 20 prigioni; ostaggi di un conflitto trattati da alcuni come appestati o usati da altri come pedine in un gioco di negoziati. Con il tempo, quella situazione anomala si è «normalizzata». In altre parole, è diventata banale.

I militari hanno occupato il posto della politica e degli organi rappresentativi. Mutatis mutandis, l'assuefazione a quel dato di fatto ha provocato una assuefazione simile per la situazione di decine di migliaia di detenuti nelle carceri siriane; vale a dire la normalizzazione o addirittura la banalizzazione del loro status di detenuti; una banalizzazione correlata alla situazione di diverse migliaia di persone incarcerate nelle 11 prigioni costruite dai servizi di sicurezza di Jabhat al-Nusra. La presenza di un numero così elevato di prigionieri implicava che una soluzione politica poteva essere raggiunta solo attraverso negoziati tra combattenti corrotti e con le mani macchiate di sangue.

Gli organismi istituiti dai Curdi per amministrare la regione autonoma ad est dell’Eufrate sono passati sotto il diretto controllo dei leader militari, compresi i giacimenti petroliferi e le aree agricole. Di conseguenza, la maggioranza della popolazione araba ad est dell’Eufrate si è trovata, de facto, sotto l’autorità dell’esercito curdo; senza alcun contatto con un’amministrazione civile. Personale militare che non concede alcun riconoscimento della loro specificità, criminalizzandoli e accusandoli di appartenere all’ISIS se esprimono un qualsiasi reclamo.

3 - Gli Stati Uniti e l'attuazione del sistema di rendering nel nord-est della Siria.

Gli Stati Uniti hanno replicato il sistema di rendering nella Siria nord-orientale, affidando ai loro delegati curdi il subappalto dei prigionieri ingombranti. Il termine ‘’rendition’’ si riferisce infatti all’azione di trasferimento di un prigioniero da un Paese all’altro, al di fuori del quadro giudiziario; in particolare al di fuori delle normali procedure di estradizione. Questo termine è stato pubblicizzato come parte della “guerra al terrore”, in particolare sulle operazioni della CIA nel contrabbando di prigionieri, a volte precedute da un rapimento. Questi trasferimenti sono regolarmente associati a una sorta di “esternalizzazione” della tortura, con gli Stati Uniti che torturano i prigionieri nei Paesi alleati mentre la vietano sul loro territorio. Le persone interessate sono talvolta detenute in prigioni segrete della CIA al di fuori del territorio degli Stati Uniti (noti anche come “siti neri”).

Nel mondo arabo, l'Egitto sotto la presidenza di Hosni Mubarak, il Marocco durante il regno di Hassan II e la Giordania durante il regno del re Hussein praticarono il sistema di ‘’rendering’’ per conto degli Stati Uniti alla fine del XX secolo.

Nel ventunesimo secolo, gli Stati Uniti hanno replicato questo modello con i loro alleati curdi nel nord della Siria.

Per molteplici motivi, relativi sia alla situazione in Medio Oriente sia per ragioni di politica interna americana, gli Stati Uniti intendono rimanere in Siria, benché la loro presenza non abbia alcuna base giuridica, applicando la strategia “zero morti”. 

A- Una transazione commerciale alla base di un obiettivo militare: il petrolio siriano è una fonte di finanziamento per i carcerieri curdi nel nord-est della Siria.

A tal fine, gli Stati Uniti hanno fatto ricorso al ‘’rendering’’ nel nord della Siria affidando il trattamento dei prigionieri ingombranti ai Curdi e imponendo le “Forze democratiche della Siria” per questo compito, ma di fatto l’apparato di sicurezza e le YPG (Durd People’s Protection Units) sono sotto il controllo americano. In cambio, come ricompensa per questa prestazione, gli Stati Uniti assicurano ai Curdi i proventi delle risorse energetiche siriane (petrolio e gas) per finanziarsi e ridurre di conseguenza le spese americane in questo settore. Una transazione commerciale per un obiettivo militare. Di conseguenza, i Curdi si assumono la responsabilità degli eventi che si svolgono nell’area del loro dispiegamento, dei campi di raggruppamento della popolazione e delle prigioni. Allo stesso tempo, l'FBI è pronta, in caso di necessità, a dare una mano ai subappaltatori curdi degli Americani. 

B- Vetted Syrian Opposition (Opposizione siriana autorizzata) o Processo di rispettabilità degli alleati USA in Siria, i gruppi terroristici e i delegati curdi.

Mai privi di immaginazione quando si tratta di realizzare i loro progetti, gli Stati Uniti hanno creato una sorta di etichetta AOC (designazione di origine controllata), per conferire rispettabilità ai gruppi terroristici islamisti che intendeva utilizzzare. Ad esempio, Jabhat al-Nusra, il franchising siriano di al-Qaïda, ha beneficiato dell’etichetta “VSO” – Vetted Syrian Opposition – per beneficiare del diritto di partecipare alla coalizione dell'opposizione off-shore petro monarchica. Per sopraggiunta, gli Stati Uniti si sono impegnati a conferire una «rispettabilità» ai loro subappaltatori curdi attraverso l'apertura nella capitale della zona curda di missioni di rappresentanza dei Paesi membri della «Coalizione internazionale contro l’ISIS», favorendo inoltre visite sul campo di una decina di consoli con il pretesto di informarsi sulla sorte dei loro cittadini detenuti nelle carceri curde, o ancora la ricezione da parte delle autorità curde di personalità occidentali.

4- Il passaggio ai fatti: Il bersaglio, una prigione di 3.600 prigionieri dell’ISIS e 700 minori.

Il passaggio all'azione è avvenuto sullo sfondo di quello spettacolare dispiegamento di menzogne offerto all'opinione internazionale per abusarne. Due volontari dell’ISIS, Abu Abdel Rahman e Abu Farouk della Brigata Muhajirin (un gruppo armato jihadista composto da diaspore musulmane e molto attivo dal 2013 al 2015 durante la ‘’guerra civile siriana’’) furono impegnati in un’operazione suicida con due autobombe, colpendo le mura della prigione di Gweran, un ex istituto industriale di Hassakeh trasformato in centro di detenzione che ospitò 3.600 membri dell’ISIS e 700 minori.

Quell’assalto ha riportato sotto i riflettori la Siria, con la consueta processione di esperti sul fenomeno del terrorismo e le loro speculazioni sui danni collaterali, tra cui i rifiuti umani e guerra al terrore. Se gli Stati Uniti non si fossero subito impegnati in un'operazione commando per eliminare Abdallah Quraysh, il successore del capo dell'ISIS Abu Bakr al-Baghdadi, la Siria sarebbe stata nuovamente cancellata dall'attualità e la tragica sorte delle prigioni e dei campi di contenimento per le famiglie dei detenuti sarebbe stata occultata allo stesso modo.

5- Il precedente della prigione irachena di Abu Ghraib.

Il 'Baghdad Central Detention Center', meglio conosciuto come Abu Ghraib Prison, era una prigione della città di Abu Ghraib, 32 km a ovest di Baghdad. Fu usata dagli Statunitensi come centro di tortura per i detenuti iracheni. Lo scandalo Abu Ghraib, scoppiato nel 2004 in seguito alla trasmissione di foto delle torture inflitte dall’esercito USA ai prigionieri iracheni causò il trasferimento della prigione alle autorità irachene nel 2006.

sabato 9 novembre 2024

I Vescovi maroniti: Porre termine alle aggressioni israeliane che violano la sovranità nazionale

 
Fides, 7 novembre 2014

I Vescovi maroniti si sono riuniti a Bkerké, cittadina del Libano sulla baia di Jounieh, per il loro incontro mensile presieduto dal Patriarca Béchara Raï. Diversi i temi affrontati. Tra questi, le conseguenze umanitarie della guerra in corso in Libano e il “grazie” al Papa e alla Santa Sede per la recente canonizzazione dei “martiri di Damasco” 

Sulla questione del conflitto che da oltre un anno sta lacerando l’area del Medio Oriente, i Vescovi maroniti – si legge in comunicato stampa – hanno espresso “profonda preoccupazione per le vittime e la distruzione causate dagli attacchi israeliani in molte zone del Libano”.
Ribadito poi l’appello alla comunità internazionale affinché “stabilisca un cessate il fuoco immediato e applichi la risoluzione ONU 1701, per consentire il ritorno degli sfollati alle loro case e porre fine alle aggressioni israeliane che violano la sovranità nazionale del Libano”. L’ultimo episodio in tal senso, hanno ricordato i Vescovi maroniti, è stato “il rapimento compiuto a Batroun” di Imad Amhaz da parte un commando navale israeliano pochi giorni fa.

Allo stesso tempo, i Vescovi hanno accolto con favore “la solidarietà dei vari leader religiosi libanesi che si sono uniti per denunciare l'aggressione israeliana e chiedere una rapida risoluzione per proteggere gli sfollati”.

La loro gratitudine è stata poi estesa al presidente francese Macron, che ha deciso di convocare una conferenza internazionale a sostegno del Libano. E, mentre i Vescovi maroniti continuano a sperare in un aumento degli aiuti finanziari che possa permettere il rafforzare delle truppe libanesi, gli stessi hanno voluto sottolineare “l’impegno dei libanesi ad accogliere con dignità gli sfollati e a rafforzare le strutture di accoglienza in collaborazione con le autorità locali e le organizzazioni di sicurezza”.

Dai Vescovi maroniti anche un appello rivolto a chi opera settore educativo: il loro auspicio è che “il Ministero dell'Istruzione istituisca un comitato centrale speciale in rappresentanza delle scuole private e ufficiali, per mettere in atto un meccanismo che possa salvare l'anno scolastico in tutti gli Istituti”.

Infine, hanno voluto esprimere la loro gratitudine a Papa Francesco per la canonizzazione dei "martiri di Damasco”, avvenuta in piazza San Pietro il 20 ottobre.

http://www.fides.org/it/news/75626-MEDIO_ORIENTE_LIBANO_I_Vescovi_maroniti_Porre_termine_alle_aggressioni_israeliane_che_violano_la_sovranita_nazionale

martedì 29 ottobre 2024

Israele colpisce valichi di frontiera fra Libano e Siria

In questi mesi fino a mezzo milione di persone hanno superato il confine dall’apertura del “fronte nord” della guerra. I raid aerei colpiscono anche i civili e bloccano attività e commerci.

 Asianews, 28 ottobre 24

Un flusso consistente siriani di rifugiati in fuga dal Libano verso il Paese di origine, per sfuggire ai raid aerei israeliani contro obiettivi di Hezbollah che finiscono per colpire anche i civili, ha attraversato ieri a piedi un ponte di fortuna nell’area di Qusai, nella provincia di Homs. Una soluzione di ripiego, non senza rischi, che è diventata una scelta obbligata dopo che il valico di frontiera ufficiale fra i due Paesi è stato colpito e messo fuori uso due giorni prima da un attacco dell’aviazione con la stella di David.

Finora risultavano funzionanti solo tre valichi di confine fra i due Paesi, lungo una frontiera di almeno 375 chilometri. A fine settembre, un attacco aereo israeliano ha colpito il valico di frontiera di Matraba, nel nord-est del Libano, costringendolo alla chiusura. Poche settimane più tardi i caccia hanno centrato quello di Masnaa, che è tuttora il principale valico tra i due Paesi, mettendolo fuori servizio. Nei giorni scorsi è stata la volta del valico di Jousieh, in un’escalation che contribuisce ad alimentare l’emergenza umanitaria in una fase di profonda criticità.


L’esercito israeliano ha giustificato le operazioni accusando Hezbollah - nel “fronte nord” della guerra contro il “Partito di Dio” filo-iraniano, che prosegue in parallelo col conflitto contro Hamas a Gaza - di usare i valichi per spostare armi e attrezzature militari dalla Siria al Libano. Tuttavia, organizzazioni umanitarie e funzionari internazionali affermano che la chiusura dei punti di transito ha inasprito una crisi umanitaria già gravissima, bloccando di fatto le vie principali per i rifornimenti e impedendo l’accesso a quanti fuggono per mettersi in salvo. Di questi, una gran parte è rappresentata da esuli siriani scappati un decennio fa dalla propria terra martoriata dalla guerra civile fra esercito governativo del presidente Bahsar al-Assad contro gruppi ribelli e jihadisti, trasformatosi nel tempo in uno scontro regionale per procura.

“La situazione sul terreno è una tragedia” ha dichiarato alle agenzie Ghossoun Mubarak, fuggita con i suoi tre figli dalla città di Baalbek, nel Libano orientale, descrivendo i bombardamenti che l’hanno spinta a lasciare la propria casa. Ieri il quartetto ha attraversato a piedi, e non senza rischi, il ponte di fortuna che - almeno per il momento - rappresenta la sola via di salvezza. 

Secondo l’Agenzia delle Nazioni Unite per i Rifugiati (Unhcr) almeno 430mila persone sono passate dal Libano alla Siria nell’ultimo mese, da quando Israele ha lanciato un bombardamento aereo e un’invasione di terra del Libano. I funzionari del governo di Beirut hanno fornito una stima al rialzo di oltre mezzo milione di persone. Rula Amin, portavoce Unhrc, ha espresso preoccupazione per i danni subiti dai valichi, definendoli “la principale ancora di salvezza per le persone in fuga dal conflitto”.

“Oggi è andata meglio”, ha detto Omar Abu Jabal, 29 anni, che ieri rientrava in Libano attraverso il valico di Jousieh dopo un viaggio di lavoro. “Non ci sono stati problemi lungo il percorso. Ma prima vi erano i bombardamenti, che impedivano alla gente di muoversi”. Nabil Aakoul, direttore dei trasporti della provincia di Homs, ha confermato le voci secondo cui i recenti attacchi hanno distrutto un ponte sul fiume Oronte, interrompendo gli spostamenti tra aree agricole vitali. Aakoul stima che la ricostruzione del ponte costerà circa 2,5 milioni di dollari; a questo bisogna aggiungere il persistente mancato accesso alle aree agricole e l’isolamento di intere comunità che dipendono dal commercio e dagli spostamenti attraverso il fiume. Yahya Abu Youssef, che vive vicino al ponte danneggiato, ha descritto l’attacco israeliano come “disumano”, perché oltre ai danni materiali ha provocato il ferimento di bambini e bestiame nelle vicinanze. “Tutto quello che vi è qui è un ponte che collega villaggi e fattorie” ha detto, sottolineando che gli abitanti dei villaggi ora devono affrontare un viaggio di 10 chilometri in più per raggiungere Homs.

Tiro, una delle città più antiche del mondo e antico faro del commercio e della cultura del Mediterraneo

 Infine, in queste ore l’esercito israeliano ha emesso un avviso di evacuazione urgente per i residenti di vaste aree della città di Tiro, in Libano, in vista di attacchi aerei contro siti di Hezbollah. In una nota rilanciata su X, ex Twitter, il col. Avichay Adraee, portavoce in lingua araba Idf, ha affermato che “l’attività di Hezbollah costringe ad agire nell'area in cui vi trovate”, pubblicando al contempo una mappa delle aree che saranno prese di mira. “Dovete immediatamente allontanarvi dall’area segnata in rosso e dirigervi - conclude - a nord verso il fiume Awali. Chiunque si trovi vicino a personale, strutture e armi di Hezbollah mette in pericolo la propria vita!”.

https://www.asianews.it/notizie-it/Israele-colpisce-valichi-di-frontiera-fra-Libano-e-Siria,-bloccando-vie-di-fuga-dei-rifugiati-61796.html

venerdì 25 ottobre 2024

Giornata Missionaria Mondiale: in Siria, missionarie di speranza all'ombra della guerra

 
Il racconto dalla Siria di suor Marta , superiora di Nostra Signora Fonte della Pace, monastero trappista nel villaggio rurale di Azer

Dal Settimanale della Diocesi di Como

In tutto il Vicino Oriente si sta verificando una accelerazione di eventi dai quali non si può prescindere per raccontare cosa si vive oggi.. Ma non si può neppure dimenticare che quella situazione che viene definita “guerra a bassa intensità” perdura ormai da anni .

Ciò significa che la guerra in Siria non è mai terminata veramente. Le aggressioni, cioè i bombardamenti e gli assassinii, sul suolo siriano e in quello dei paesi vicini (che hanno coinvolto militari ma anche civili), sono continuate regolarmente nonostante apparentemente fossimo in un tempo di pace. Mai, in tutti questi anni, tutte le voci che si sono alzate, a partire dalle Chiese ma non solo, sono riuscite a far togliere il cappio delle sanzioni internazionali. E’ vero, la gente qui ha una capacità di far fronte alle difficoltà della vita incredibile.. Ma questa situazione toglie speranza, mette a dura prova la voglia e la forza di resistere, di immaginare un futuro possibile. Non stupisce che ancora oggi la realtà dei migranti siriani sia così diffusa. E’ un’emorragia forse meno spettacolare, ma continua, ed altrettanto drammatica. Per i giovani – e non solo per loro- è molto difficile scegliere di restare..In occasione del terremoto avvenuto pochi mesi fa, la generosità dell’Italia e di altri paesi è stata davvero commovente: nel giro di pochissimi giorni sono arrivati aiuti importanti per soccorrere i tanti poveri in più che questa catastrofe ha creato. Ma senza il terremoto, ci si sarebbe ricordati della Siria?

L'eco della guerra

Oggi ancora una volta il Vicino Oriente diventa campo di scontro. C’è un senso di grande incertezza e sospensione, in attesa di vedere se davvero si scatenerà un conflitto senza ritorno. E’ di questi giorni l’attacco in Libano alla forza dell’ONU. Con la destabilizzazione del Libano, stiamo già assistendo al rincaro generale dei prezzi , e ad altri esodi, persino dalla terra Santa: ormai Israele –anzi, i Sionisti –sono fuori controllo, dichiarando apertamente di voler allargare il loro territorio fino ad una parte dell’Egitto e fino almeno a Damasco!.

In tutto questo, ciò che noi possiamo fare è continuare la nostra presenza qui, con una coscienza forse più forte oggi della forza della preghiera e dell’importanza di vegliare, come sentinelle, finchè si realizzi il disegno di salvezza che Dio porta a compimento nella storia.

Una presenza missionaria

La nostra vita resta quella di una comunità monastica di regola benedettina. La preghiera, la lectio Divina, la vita comune, il lavoro, l’accoglienza degli ospiti segnano il ritmo delle nostre giornate. Ma evidentemente in questa realtà che ci circonda la caratteristica “missionaria” acquista un peso particolare..

Prima di tutto da un punto di vista concreto. Cerchiamo di essere vicine alla povertà della gente, ai suoi bisogni materiali. Con gli aiuti che ci arrivano, possiamo dare lavoro a diverse persone e così sostenere qualche famiglia. I nostri aiuti non sono “strutturati” come quelli di una organizzazione ecclesiale o umanitaria, non è il nostro compito. Ma naturalmente le persone si rivolgono a noi, e come possiamo cerchiamo di aiutare. Per le necessità mediche, per i costi della scuola, a volte anche solo per poter avere il necessario per mangiare e vestirsi.. Soprattutto, cerchiamo di dare lavoro, che è molto più dignitoso che semplicemente dare denaro. Qualcuno lavora con noi nei campi, altri sono stati coinvolti nella costruzione del monastero. Ad esempio il gruppo di carpentieri, persone tanto brave quanto povere. Al momento di accettare il lavoro, non disponevano del legname necessario. Abbiamo così deciso di comprarlo noi, e lasciare che lo pagassero piano piano. Questo significa per loro poter lavorare, e alla fine disporre di legname proprio, e poter accettare altro lavoro.. E’ una piccola cosa, quello che è possibile per noi. Ma questo ha creato un bellissimo clima sul cantiere, di fiducia e dedizione. Due degli operai sono molto giovani, e studiano per diventare avvocati. Lavorano duramente tutto il giorno, e così si pagano l’università.

Altri, che hanno già esperienza di scalpellini, si dedicano alla pietra: pareti, muri di contenimento, colonne... Un gruppetto di donne del villaggio lavora con noi a piccoli artigianati: braccialetti in macramé, lavori con cartone, colla, segatura, materiali semplici che costino poco e ci permettano di preparare oggetti da rivendere come artigianato. Per la sussistenza della comunità, stiamo cercando di ampliare la nostra esportazione di sapone di Aleppo, solido e liquido, verso la Francia e l’Italia, e di una crema per le mani all’olio di oliva. Siamo ancora all’inizio, ma speriamo che questa attività cresca..

La vita è più forte

Ma la vera missionarietà ci sembra su un altro piano: missione è soprattutto annunciare il Vangelo, la buona Novella che Cristo è veramente risorto. Che la vita è più forte, che la speranza è possibile, è reale, perchè non si basa sulle condizioni esterne della vita, ma sull’incontro con Cristo, l’amicizia con Lui, che dà senso e forma alla nostra esistenza..Vivere la missione oggi è soprattutto vivere la speranza, viverla prima di tutto noi, per poterla condividere. Non ingenuamente- ci troviamo davvero in tempi Apocalittici, cioè di rivelazione della lotta tra il Bene e il Male- ma sapendo che questa battaglia è già vinta. L’accoglienza degli ospiti, che diventa poco a poco sempre più importante nella vita della comunità, insieme alla preghiera è il nostro vero servizio a queste chiese, a questo paese che ormai dopo vent’anni è il nostro. Cerchiamo di offrire uno spazio di preghiera, di silenzio, di pace, dove ognuno possa ritrovare se stesso sotto lo sguardo di Dio.

Intanto la comunità da una parte affronta la sfida della malattia per qualcuna, dall’altra si accresce di nuove presenze : due sorelle sono arrivate dall’Ecuador, un’altra è in arrivo dall’Argentina..

Infine, anche proporre la bellezza ci sembra una missione di pace e speranza: la costruzione del monastero continua, anche se siamo solo al completamento dei cementi armati e a qualche riempimento dei muri.
Da una parte è un po’ una follia, dall’altra è una grande Grazia. Dobbiamo trovare i fondi per continuare, ma già la struttura della chiesa, con i suoi archi che si stagliano nel cielo blu, parla della bellezza di Dio, rende orgogliosi gli operai che l’hanno realizzata, fieri gli abitanti del villaggio, e colma il cuore a noi, che già la sogniamo piena di persone in preghiera, vibrante di silenzio, gioiosa di canti...

    Suor Marta dalla Siria

mercoledì 23 ottobre 2024

Miliziani ucraini in azione con Al Nusra in Siria

alleanza miliziani ucraini e siriani a Idlib

The Cradle, 15 ottobre 2024
di Mohamed Nadre Al Omari

Decenni dopo la fine della Guerra Fredda, gli Stati Uniti continuano a impiegare la guerra per procura come strategia centrale nei loro confronti con i principali rivali globali, in particolare Russia e Cina. Questo approccio consente agli Stati Uniti di estendere la propria influenza e perseguire i propri obiettivi geopolitici senza un impegno militare diretto, affidandosi invece ad attori terzi per fare il grosso del lavoro. 

Ciò si è verificato in varie crisi globali, nonostante il potenziale di contraccolpo e di indebolimento della pace e della sicurezza internazionale. Un esempio recente e sorprendente di questa strategia può essere osservato nel conflitto in corso tra Russia e Ucraina, dove gli Stati Uniti hanno fornito un significativo supporto a quest'ultima nella sua lotta contro Mosca.

L'asse Kiev-Idlib 

Un esempio degno di nota di questa guerra per procura si è verificato a metà settembre, quando le forze ucraine, in coordinamento con gruppi militanti in Siria, tra cui Hay'at Tahrir al-Sham (HTS, precedentemente noto come Fronte Al-Nusra), affiliata ad Al-Qaeda, hanno lanciato una serie di attacchi con droni contro strutture militari russe in Siria. 

Da allora il gruppo ha negato le affermazioni , liquidandole come una "campagna di disinformazione russa volta a giustificare ulteriori azioni militari nelle aree liberate della Siria".  Secondo un rapporto del Kiev Post del 18 settembre,  l'operazione ha coinvolto mercenari privati ​​ucraini chiamati "Khimek", affiliati alla Direzione principale dell'intelligence ucraina , che hanno lavorato insieme a militanti con base a Idlib per colpire un sito di produzione e test di droni nella periferia sud-orientale di Aleppo.

Il giorno seguente, sono stati effettuati altri attacchi con droni su dieci posizioni militari siriane ad Aleppo, nella campagna meridionale di Idlib e nel nord-est di Latakia. All'inizio di ottobre, due importanti siti militari russi, la base di Hmeimim e un deposito di armi vicino alla città costiera di Jableh, sono stati ripetutamente presi di mira. 

Ma queste operazioni non sono state la prima iniziativa supportata da agenti militari e di intelligence ucraini in Siria. Il 26 luglio, in quello che le forze militanti hanno descritto come un attacco "devastante" e "complesso", hanno preso di mira l'aeroporto militare di Kuweires ad est di Aleppo, utilizzato come base aerea dalle truppe russe, un giorno dopo che il presidente russo Vladimir Putin aveva incontrato il suo omologo siriano Bashar al-Assad a Mosca.

L'alleanza tra l'intelligence ucraina e i gruppi militanti siriani, con il supporto della NATO, è uno sviluppo relativamente nuovo ma significativo. È iniziato all'inizio di quest'anno, quando una delegazione ucraina ha visitato Idlib per negoziare con la leadership di HTS il rilascio di diversi militanti ceceni, georgiani e uiguri detenuti nelle prigioni di HTS, stimati tra 750 e 900 prigionieri, per arruolarsi come mercenari per gli ucraini. 

L'accordo concluso prevedeva il rilascio dei militanti detenuti da HTS in cambio di 250 esperti militari ucraini che fornivano addestramento, in particolare nell'uso dei droni. Tra i tirocinanti ci sono salafiti turkmeni incaricati di fabbricare droni e fotografare potenziali obiettivi militari russi e alleati siriani, in particolare le forze speciali della 25a divisione e le Forze di difesa nazionale ad Hama, Aleppo e Latakia. 

Tuttavia, alcuni resoconti indicano che i semi di questo accordo erano stati testati già nell'ottobre 2023, quando agenti dell'intelligence turca trasportarono parti di aeromobili oltre confine all'HTS, per utilizzarle in un enorme attacco all'Accademia militare siriana nella città di Homs.

Cosa c'è dietro questa partnership per procura?

Questa cooperazione solleva importanti questioni sulla natura e l'estensione della relazione tra Kiev e questi gruppi militanti. Questa collaborazione è emersa di recente o ci sono legami storici più profondi? Ancora più cruciale, quali sono gli obiettivi condivisi dagli Stati Uniti, dall'Ucraina e dalle organizzazioni estremiste coinvolte in questa partnership per procura?

Le radici di questa cooperazione tra Kiev e i militanti HTS risalgono all'inizio dell'operazione militare speciale russa nel febbraio 2022. L'8 marzo 2022, l'agenzia di stampa russa Sputnik, citando funzionari della difesa russi, ha riferito che circa 450 militanti di Idlib appartenenti ad Al-Turkistani, Hurras al-Dein e Ansar al-Tawhid sono stati trasportati in Ucraina per combattere le forze russe, cosa che hanno fatto solo tre giorni dopo essere passati attraverso la Turchia, membro della NATO.

Alla fine di ottobre 2022, il leader ceceno del gruppo "Ajnad al Kavkaz" (Anjad del Caucaso) con sede a Idlib, Rustam Azayev, noto anche come Abdul Hakim al-Shishani, è arrivato con un gruppo di militanti in Ucraina . Appare in un video per confermare la sua effettiva presenza su un fronte di battaglia dell'Ucraina orientale come parte del battaglione ceceno "Sheikh Mansour", che stava combattendo i russi insieme alle forze ucraine. Ciò ha coinciso con l'arrivo di un nuovo gruppo di militanti in Ucraina, secondo Al-Monitor con sede negli Stati Uniti , che aveva disertato dal battaglione "Albanian Group", affiliato all'ala estremista di HTS.  Inoltre, il 9 settembre, il quotidiano turco Aydinlik ha confermato che c'erano contatti quotidiani tra il capo dell'intelligence ucraina, Kirill Budanov, e il leader di Hay'at Tahrir al-Sham, Abu Muhammad al-Julani, per completare l'invio di combattenti in Ucraina.

Le forze militari statunitensi che occupano la Siria nord-orientale svolgono un ruolo di collegamento e trasporto in questa configurazione. Sono l'attore principale nella gestione di queste varie zone di conflitto e nel coordinamento delle posizioni e della cooperazione dei loro delegati.   All'inizio di agosto 2024, gli Stati Uniti hanno facilitato l'arrivo di esperti ucraini nelle aree vicine a Jabal al-Zawiya a Idlib e hanno contribuito al trasferimento di parti di aeromobili, in cambio del trasporto di combattenti estremisti, tramite le basi statunitensi in Siria, nelle aree a nord dell'Oblast di Donetsk.   

L'accordo tra le forze ucraine e i gruppi militanti siriani, mediato con il coinvolgimento degli Stati Uniti e della NATO, include diverse componenti critiche.  Il personale militare ucraino è stato incaricato di addestrare i militanti alla guerra con i droni, migliorando le loro capacità di colpire obiettivi russi in Siria. In cambio, questi gruppi di militanti, con l'assistenza delle forze statunitensi che operano nella regione, hanno facilitato il trasferimento di combattenti dalla Siria all'Ucraina per rafforzare le forze ucraine nella loro guerra con la Russia.

Gli obiettivi degli Stati Uniti, dell'Ucraina e dei gruppi estremisti siriani, sebbene apparentemente divergenti in superficie, convergono in modi importanti. Per Washington, l'uso di forze per procura in Siria rientra in una strategia più ampia di indebolimento della Russia attraverso una politica di logoramento, distribuendo le sue risorse militari in più zone di conflitto.   Questa tattica ricorda la strategia della Guerra Fredda, consistente nel prosciugare le risorse degli avversari coinvolgendoli in conflitti costosi e prolungati.

Cosa ci guadagna ciascuna parte?

Per l'Ucraina, l'alleanza con i militanti HTS offre diversi vantaggi strategici. Indebolendo l'influenza russa in Siria, l'Ucraina mira a fare pressione sulla Russia su più fronti, costringendola a distogliere risorse e attenzione dal conflitto in Ucraina.   Inoltre, l'afflusso di combattenti temprati dalla battaglia dalla Siria e da altre regioni fornisce all'Ucraina ulteriore manodopera in un momento in cui le sue forze sono ridotte al minimo e gli Stati Uniti sono preoccupati di supportare Israele in quella che è ormai una guerra regionale. Questa cooperazione serve anche come un modo per l'Ucraina di vendicarsi di Damasco e, per estensione, dell'Iran, per il loro supporto alla Russia nell'attuale conflitto.

Gli stessi gruppi militanti traggono vantaggio da questa alleanza in diversi modi chiave. Con la Turchia che si avvicina alla riconciliazione con la Siria e la cooperazione militare russo-iraniana che avanza, questi gruppi sono sempre più vulnerabili. L'allineamento con l'Ucraina e la NATO fornisce loro nuove risorse e supporto, assicurando la loro continua sopravvivenza di fronte alle mutevoli dinamiche regionali.   La cooperazione offre inoltre agli estremisti siriani l'accesso a tecnologie avanzate, in particolare nella guerra con i droni, che è diventata un elemento cruciale nella loro continua lotta contro le forze siriane e russe.

Gli Stati Uniti svolgono un ruolo fondamentale nel facilitare questa cooperazione, non solo fornendo supporto logistico, ma anche fornendo armamenti avanzati e coordinando gli sforzi tra le forze ucraine e i militanti siriani. 

Opportunità in mezzo alla guerra nell'Asia occidentale

Con l'evolversi del conflitto, l'alleanza potrebbe rafforzarsi ulteriormente, con un flusso maggiore di combattenti e risorse tra Siria e Ucraina, soprattutto mentre Hezbollah in Libano, alleato della Siria, è ora impegnato in una battaglia esistenziale con Israele. 

È anche possibile, tuttavia, che questa cooperazione abbia vita breve, a seconda dei cambiamenti nella politica estera degli Stati Uniti o dell'esito dei negoziati tra Russia, Turchia e Siria.

Il continuo ricorso alla guerra per procura da parte degli Stati Uniti, in particolare attraverso l'uso di gruppi militanti e terrorismo transnazionale, avrà probabilmente conseguenze durature e di vasta portata. Nel contesto siriano, l'incapacità o la riluttanza delle grandi potenze a impegnarsi in uno scontro militare diretto ha portato a un conflitto prolungato che non mostra segni di risoluzione. 

Il coinvolgimento delle forze ucraine in Siria, con il pretesto di contrastare l'influenza russa, serve a prolungare questo conflitto e ad approfondire le divisioni. Questa strategia assicura che gli Stati Uniti rimangano un attore chiave nella destabilizzazione di conflitti come quello in Siria.  La cooperazione in evoluzione tra le forze ucraine, i gruppi estremisti in Siria e gli interessi degli Stati Uniti rappresenta una tendenza più ampia nella strategia di guerra per procura di Washington. Uno scenario potenziale è che questa partnership continuerà ad espandersi, con l'intelligence ucraina che promuove legami più profondi con le fazioni estremiste a Idlib che si oppongono a qualsiasi riconciliazione tra Ankara e Damasco. 

Ciò potrebbe estendersi anche alle aree controllate dai curdi nella Siria nord-orientale, creando un vantaggio condiviso per tutte le parti coinvolte. I gruppi militanti potrebbero ricevere armi avanzate, come i droni, senza che Washington sia direttamente implicata, in cambio della fornitura di combattenti aggiuntivi, tra cui elementi dell'ISIS attualmente detenuti nelle prigioni gestite dai curdi , per supportare l'Ucraina contro la Russia.