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giovedì 4 luglio 2024

Memorie di Siria. Damasco 1997

bottega di ramai a Damasco- 1894

Di Maria Antonietta Carta

Luoghi incontrati per caso mi sfidano coi loro silenzi e con le loro penombre che custodiscono storie. E io mi lascio attirare. 

Sono le tre del pomeriggio e la calura agostana avvolge Damasco, s’insinua nelle pietre degli edifici, nell’asfalto, nelle foglie delle svettanti palme del quartiere Abu Rummane e nell’acqua del fiume Barada. Le mie gambe si trascinano nella città estenuata per il torrido splendore del sole. Finalmente arrivo a un suq quasi deserto. Devo trovare un regalo da spedire domani in Italia per l’anniversario di nozze dei miei genitori, e ho pensato di donargli per l’occasione - o imporgli? - un pezzetto del mio mondo lontano dal loro. 

Ecco la bottega di un ramaio, forse l’unica bottega di ramaio a Damasco che non conosco, benché vi sia passata davanti molte volte. Adesso sembra invitarmi a entrare. Ancora stordita dalla camminata nell’abbacinante solleone, varco la soglia. La stanza è un tacito vuoto buio e io mi smarrisco in quest’oscurità quieta, finché un rumore  mi fa tornare alla realtà. Gli occhi ancora ciechi non riescono a capire, ma immaginando il ramaio al lavoro saluto voltandomi verso il rumore.

La pace sia su di te. – dico.

Su di te sia la pace. – risponde una voce. Poi torna il silenzio. Un silenzio che giunge dalla corte assopita, dall’aria affaticata, da tutta la città in attesa del soffio di brezza che la sera dell’oasi porta sempre con sé. I miei occhi stanno tornando a vedere e la bottega, che riceve soltanto una luce fioca dalla porta d’ingresso, mi appare adesso velata di penombra. Riesco a scorgere il ramaio che siede su uno sgabello basso in fondo alla stanza. Mi avvicino. L’uomo, anziano, ma di un’età indefinibile, ha il capo chino su un grande vassoio di rame che le sue mani, mani attente, preparano per l’incisione. Solleva la testa e mi rivolge uno sguardo distratto o forse indifferente o forse un poco infastidito. Non sembra ciarliero. Strano! Gli artigiani damasceni sono di solito loquaci e accoglienti. Neppure io mi sento di ottimo umore. Sono stanca, disidratata, impolverata.

Poco a poco la penombra fresca, che il tenue riverbero dei metalli rende ancora più accogliente e riposante, mi ristora. Comincio a cercare tra l’infinità di oggetti accatastati sul pavimento o appesi alle pareti fino al soffitto: incensieri, bracieri, aspersori per l’acqua di rose, caffettiere e boccali dalle forme soavi, piatti e vassoi arabescati. Osservandone le decorazioni mi lascio prendere da uno dei miei giochi preferiti: cercare simboli, scoprire linguaggi che traducono fedi o speranze.

Ecco degli zig-zag che disegnano l’acqua: principio di ogni cosa. Ecco la rosetta di Astarte: fonte della vita divina, linfa della natura e della donna. Ecco volute intrecciate: oceano primordiale, mare metafisico. Ecco la pianta e la croce: sigilli universali. Ecco spirali: l’essenza dell’Universo, labirinto del cosmo o dello spirito, principio e fine, vita e morte. Ecco fiori di loto: porte che introducono all’ignoto. E ancora e ancora segni arcaici mai completamente svelati. Ecco il nome di Dio, tracciato con ricercate calligrafie che diventano un solenne tributo all’insondabile. Potrei trovarmi in una bottega di tanti secoli fa. Una di quelle botteghe di ex-voto che prosperavano in prossimità degli antichi luoghi di culto. Non finiranno mai di affascinarmi questi disegni forse nati con l’uomo e che in questa parte della terra, spesso, sembrano essere, ancora, inconsapevolmente chiari. Il ramaio inizia a incidere il vassoio. Io seguito a vagare nella costellazione di simboli scolpiti nel rame, commentando a voce alta. «Nemmeno mi sente.» penso, vedendolo sempre intento al suo lavoro. Invece, a un tratto egli solleva la testa e si mette a osservarmi. Adesso si alza, si avvicina, cerca tra un mucchio di ciotole di rame. Cerca a lungo, senza impazienza finché senza impazienza ne raccoglie una delicatamente, come se si trattasse di un oggetto troppo fragile e infinitamente prezioso. Si volta e me la mostra sollecitando la mia attenzione con lo sguardo. Senza dire una parola. La ciotola nelle sue mani è una di quelle che si adoperano negli hammam per rovesciarsi addosso acqua fresca, quando il vapore cocente diventa insopportabile e il corpo ansia un poco di refrigerio. Appena comprende che sono attenta, la colpisce con il bulino e onde, onde morbide di suoni limpidi, si spandono nella stanza muta, mi avvolgono, mi conducono lontano. Lontano dai pensieri. Per un tempo lunghissimo. Poi, svaniscono.

È una ciotola dei jinn. – mi confida il ramaio, nel nuovo silenzio.

Ah! I jinn. – dico io senza sorprendermi.

Da quando, anni fa, cominciai a occuparmi di cultura popolare, addentrandomi nel mare sconfinato delle fiabe e delle leggende siriane, l’anima di questa regione del mondo sembra condurmi spesso, a mia insaputa, presso quelli che mi diverto a chiamare i suoi archivi viventi. Nelle città, nei villaggi, negli accampamenti dei nomadi, accanto a siti antichi e presso le rive dell’Eufrate e dell’Oronte ho incontrato persone che sembravano attendermi per raccontarmi storie.

Nel mio quartiere, quando ero bambino, c’erano il palazzo e l’hammam del re dei jinn. Li hanno distrutti per fare case nuove. Non resta quasi niente. Se l’Unesco l’avesse saputo, forse li avrebbe protetti. – mi dice il ramaio, con la disarmante innocenza di un bimbo ancora innocente. E la sua voce rivela il rimpianto per il vecchio quartiere della sua infanzia.

Io non ho paura dei jinn – continua – neanche di notte quando i jinn escono da sotto terra, si mettono a girare per casa e si arrabbiano se li disturbi. Bene! Io mi alzo al buio tranquillamente. Entro in bagno e in cucina senza temere. Gli hammam e tutti i luoghi in cui vi è dell’acqua sono affollati di jinn durante la notte, quando gli uomini dormono. Lo sai? Succede anche che, talvolta, mentre lavoro non trovo un utensile che un momento prima avevo in mano. Non perdo tempo a cercarlo. Sarebbe inutile. So che l’hanno preso loro. Evidentemente ne hanno bisogno. O vogliono giocarci. So che lo rimetteranno al suo posto, quando vorranno rendermelo.

Il ramaio ha smesso di parlare e aspetta. Aspetta, lo so, che anch’io gli confidi qualcosa.

Capita anche a me con una penna o un foglio di carta o un libro. Talvolta scompaiono proprio quando ne ho bisogno. Erano davanti a me e d’improvviso svaniti! Prima impazzivo a cercare. Poi ho imparato a fare come te: mi prendo una tregua – gli dico, pensando divertita ai miei invisibili e dispettosi folletti della distrazione. O dell’immaginazione? Forse i jinn m’infastidiscono ma anche mi aiutano, quando mi arriva un’idea che stavo aspettando di avere.

Mi diresti un racconto di jinn? – chiedo. Glielo chiedo con voce rispettosa perché, da queste parti, i jinn, buoni e cattivi, sono davvero, per fede, vivi e veri. Creature a cui si deve riguardo. Esseri che bisogna lasciare tranquilli o temere. Arcani a cui bisogna testimoniare lo stesso timore sacro che un tempo tutti gli uomini dovevano avere per la Natura e per il mondo dell’immaginazione. Lo stesso mondo nel quale forse, inconsapevoli, siamo tutti immersi?

Sì. – mi risponde indicandomi una seggiola e mettendo da parte il suo vassoio, perché raccontare una storia significa oltrepassare una soglia, iniziare un viaggio, celebrare un rito, e richiede dedicazione assoluta. 

Banconota siriana del 1977 con l'immagine della moschea degli Omayyadi  e l'effigie di un ramaio che incide con il bulino un grande vassoio di rame  

«Un re di un regno antichissimo ha quattro figli: tre femmine e un maschio» 

Il numero: l'essenza di tutta la realtà, le Madri, penso, lasciandomi attrarre dalla storia. 

Il ramaio vede svegliarsi la mia curiosità e i suoi occhi approvano.

Va bene? – mi chiede.

Si, si, vai avanti – dico, ed egli riprende il suo racconto. 

«Per il figlio del re, sorella mia, arriva il tempo del matrimonio. Gli trovano una bellissima ragazza. Si preparano le nozze. La ragazza va all’hammam, dove la massaggiano con unguenti, le colorano le dita e i capelli con la henna, le mettono un abito bello.»


La rossa henna la proteggerà dagli spiriti invidiosi.


«Si fanno le nozze con una grande festa. Cento montoni arrostiti, dolci, datteri.»


A me tornano in mente alcuni versi dell’Epopea di Gilgamesh, incisi in una tavoletta cuneiforme nella Mesopotamia di 5.000 anni fa. ‘’E t’innamorasti d’Ishullanu, giardiniere di tuo padre, che a sporte ti portava i datteri, e ogni giorno una splendida mensa t’imbandiva.’’


«Musica, giostre di cavalieri, e danze. Gli sposi entrano in casa. Lui prende la ragazza e la fa sua. Però, questo figlio del re del regno antichissimo sogna una nuova vita. Si! Una nuova vita. Una vita in un altro Paese. E appena arriva l’alba, lascia la casa del padre con sua moglie per cercare un’altra terra. Viaggiano per molte Lune. Cavalcano a lungo nella steppa cercando il luogo adatto. Finché un giorno Dio li fa giungere al posto giusto. Ci sono le palme e un pozzo e un mare d’erba. L’oasi! Sia benedetto l’Altissimo! Il figlio del re ferma il suo cavallo e dice:

Ecco il Paradiso! Questa sarà la nostra patria.

Va bene, o mio signore. – dice sua moglie.

Piantano la tenda. Cenano. Si mettono a dormire nella loro casa.»


La casa di lana bruna. La dimora dell’errante

«Da questo momento, il figlio del re vive una nuova vita. Ogni giorno si alza all’alba e va a caccia nella steppa con il suo falcone. Torna al tramonto. Presto, però, desidera conoscere altri luoghi. Ricomincia il viaggio. Percorrono molte piste. Finché, un giorno, giungono a un accampamento.»


Che ne pensi, sorella mia? Beviamo una tazza di tè? – mi chiede il ramaio.

Beviamola, fratello.

Il tè dolce e denso ha il colore del sole al tramonto e odora di cannella. Lo sorseggiamo in silenzio dai piccoli bicchieri di vetro così caldo che brucia le dita, e intanto il mio sguardo vagabonda tra i metalli scolpiti. I muezzin chiamano alla preghiera del vespro.

Allaaah u-Akbar, Allaaaah u-Akbar!

Dio è il più Grande, Dio è il più Grande!

La salmodia si leva in volo dai minareti, aleggia nell’aria, ridiscende sulla città. Le voci oranti sembrano arrivare da ogni parte. Per rispondere al richiamo, il ramaio posa il bicchiere sopra un minuscolo banchetto traballante, passa le mani, nel gesto di un lavacro rituale, sul suo volto intenso di credente e rivolge i palmi verso il cielo:

Nel nome di Dio Benevolo e Misericordioso. – dice. Poi recita i sette versetti della fatiha. Il Padre Nostro dell’Islam.


La lode spetta a Dio il Signore dei mondi,

Il Benevolo, il Misericordioso,

Re del giorno del Giudizio.

Te solo adoriamo. Te solo invochiamo a nostro soccorso.

Guida i nostri passi verso il retto sentiero.

Il sentiero di coloro verso i quali sei stato benevolo,

Che non hanno meritato la tua ira, che non hanno deviato.

Amin. Conclude. Così sia.


Il canto dei muezzin risale verso il cielo e si dissolve. Il tè è ormai tiepido.

Dov’eravamo rimasti? Chiede il ramaio

Il figlio del re e sua moglie arrivano a un accampamento. – rispondo.

Ah, sì, sì.


« Il figlio del re e sua moglie arrivano a un accampamento. Sono accolti con tutti gli onori dovuti agli ospiti. Gli porgono cibo e acqua. Quel giorno l’accampamento è in festa. I cavalieri giostrano, le donne danzano. Anche la moglie del figlio del re entra nella danza.»


La danza è il teatro dei miti e dei misteri.

il viaggio attraverso il labirinto

L’incessante turbinio del mondo.


«Il figlio del re dice a sua moglie: – Vado a caccia. Tu divertiti. Qui sarai al sicuro. – È ancora giorno e la luce illumina ogni cosa, ma appena egli si allontana, sull’accampamento discende una nube nera. È una nube portata da un tornado. Una nube tenebrosa che abbuia e sconquassa il mondo! Oh Dio! Che il Signore misericordioso ci risparmi una simile sventura! Tutto accade in un istante. È giorno, ma fa buio come di notte. Una notte di furia che annienta l’accampamento. Tutto accade in un istante: giorno e notte insieme. Poi, torna il sereno, ma ogni cosa è distrutta. Si! Ogni cosa è distrutta. E la moglie del figlio del re non c’è più! È scomparsa! Tutti la cercano. Invano. Torna anche il figlio del re e vede quella devastazione. Vede i nomadi annichiliti, ma sua moglie non c’è!

Dov’è mia moglie? – chiede.

È venuto l’uragano e l’ha portata via. – gli dicono.

Come?! Impossibile.

Per Dio! È la verità. Nessun essere vivente si è avvicinato al nostro accampamento. – gli rispondono.

Andrò a cercarla. – dice il figlio del re. – La cercherò nelle quattro regioni del mondo, se necessario.

Torniamo adesso nel regno antico, e vediamo cosa vi accade.

Un giorno arriva uno straniero, vede la sorella maggiore del figlio del re, gli piace, la chiede in moglie, si fanno le nozze e la porta via. Il giorno dopo arriva un altro straniero, s’innamora della seconda sorella, vuole sposarla, si fanno le nozze e la porta via.

Il terzo giorno passa da lì un altro straniero, vede la terza sorella, gli piace, la chiede in moglie, si fanno le nozze e la porta via.»


Tre è il numero magico delle fiabe e dei sentieri che conducono al mondo invisibile.


«Adesso, torniamo dal figlio del re che cerca sua moglie. Cammina e cammina, finché arriva in un Paese sconosciuto. Cerca, cerca, e arriva in un giardino. Nel mezzo del giardino c’è un palazzo. E chi vedono i suoi occhi? La sorella maggiore!

Cara sorella! Che cosa fai qui?! – le chiede, sorpreso.

Ho sposato il re dei Venti. Questo è il suo regno. E tu, caro fratello? Cosa ti porta da queste parti?

Ho perso mia moglie e la cerco. – dice il fratello. Mentre si scambiano queste informazioni si ode un fragore che fa tremare la terra.

Presto! Devi nasconderti! Arriva mio marito, che mangia carne umana. – dice la principessa al fratello, e lo nasconde in un armadio. Entrato in casa il re dei Venti dice:

Sento odore di carne umana.

Non c’è nessuno. – dice sua moglie.

Ti assicuro che c’è una creatura umana. – dice il re dei Venti. La poverina deve confessare:

Signore, in verità c’è mio fratello dentro l’armadio.

Come! Il mio caro cognato ci visita e tu lo nascondi?

Avevo paura che l’avresti mangiato.

Fallo uscire. – Il principe esce dal suo nascondiglio.

Come mai da queste parti? – gli chiede il re dei Venti.

Ho perso mia moglie, e la cerco.

Raccontami la tua storia. – dice il re dei Venti e il figlio del re racconta la sua storia.

Povero te! Da ciò che mi hai detto deduco che ti attendono prove terribili. Il rapitore di tua moglie è il Signore dalle tre gambe, il re dei jinn infedeli, l’imperatore del Mondo – dice il re dei Venti.

Lo cercherò per liberarla. – dice il figlio del re.

Sei pazzo? Nessuna creatura umana può riuscirci. Nessuna creatura è più forte di lui, ma se proprio sei deciso a continuare nella tua impresa ti accompagno da mio fratello, che è il re dei Mari e anche tuo cognato. – gli dice il re dei Venti. E lo porta in un Paese sconosciuto. Lì, cammina e cammina il figlio del re arriva a un giardino dove trova la seconda sorella, che gli chiede:

Come mai da queste parti, caro fratello?

Hanno rapito mia moglie e la cerco. – risponde. In quel momento, si sente un muggito spaventoso!

È mio marito! Il re dei Mari, che mangia carne umana! – dice la principessa a suo fratello e lo nasconde in un armadio. In verità, appena entra in casa, il re dei Mari dice:

Moglie! Sento odore di carne umana.

No. Ti sbagli. Non c’è nessuno. – dice la principessa.

Invece sì, c’è un uomo.

No.

Sì. – e va a finire che il re dei Mari trova il figlio del re, ma non lo mangia; anzi, gli fa una grande accoglienza.

Come potrei nuocere al fratello di mia moglie! – dice.

Cosa ti ha portato da noi, caro? – gli chiede.

L’imperatore del Mondo ha preso mia moglie e devo liberarla. - dice il figlio del re.

Se il re dalle tre gambe ha rapito tua moglie, nessuno può portargliela via, ma se tu vuoi, ti accompagno da mio fratello, il re delle Aquile, che è anche tuo cognato. Dopo averlo sentito, deciderai se continuare o no.

Va bene. – dice il figlio del re. E il re dei Mari lo conduce in un Paese sconosciuto, dove trova un giardino che ha al centro un palazzo. Nel giardino trova la terza sorella, che gli chiede:

Caro fratello, come mai da queste parti?

L’imperatore del Mondo ha preso la mia sposa e io cerco il suo regno per liberarla. – risponde. In quel momento sopra di loro il cielo comincia a tremare.

Arriva mio marito! Il re delle Aquile, che mangia carne umana. – gli dice la sorella, e lo nasconde nell’armadio. Tutto accade come le altre due volte.

La tua è un’impresa impossibile. Nessuno può vincere l’imperatore del Mondo, però, se lo desideri, ti porto alle frontiere del suo regno. Di più non posso. Ma devi fare attenzione! Appena trovi tua moglie, fuggite senza mai fermarvi e senza mai voltarvi. – dice il re delle Aquile.

Va bene. – dice il figlio del re. E il re delle Aquile lo porta ai confini del mondo. Alla porta di una grotta.»


La porta che introduce al regno nascosto. Il Paese delle ombre


«– Da qui si passa nel regno del re dei jinn infedeli, l’imperatore del Mondo. – dice il re delle Aquile. E se ne va. I figlio del re entra nella grotta, cammina e cammina finché arriva a un luogo desolato. E cosa vedono i suoi occhi? Un palazzo che sembra nascere dalle viscere della terra! É' il palazzo in cui l’imperatore del Mondo ha imprigionato la principessa. Entra e la trova legata con la testa in giù. Devi sapere che l’imperatore del Mondo l’ha legata in questo modo perché non vuole fare all’amore con lui. Il figlio del re la libera e insieme corrono a rifugiarsi nel Paese del re delle Aquile.

Vedi che sono riuscito? – dice il figlio del re a suo cognato.

Correte senza fermarvi e non dovete mai voltarvi. - lo avverte il re delle Aquile. Corrono. Corrono a lungo. Corrono finché la paura di essere ripresi non li fa voltare e l’imperatore del Mondo li raggiunge.

Credevate di farla franca, poveri stupidi? – dice. Poi afferra il figlio del re, lo scaglia verso il cielo e gli porta via la moglie. Il corpo del figlio del re ricade a terra in venti pezzi. Un domestico del palazzo del re delle Aquile, passando di lì, vede i pezzi del corpo del principe e informa la padrona. Lei chiede aiuto al marito, che le dice:

Portali e bagnali alla sorgente della vita. – Nella sorgente della vita, tutti i pezzi del corpo tornano a unirsi tra loro e il figlio del re risuscita. Esce vivo dall’acqua. Vivo!

Vado a riprendere mia moglie. – dice il figlio del re.

L’imperatore del Mondo ti ucciderà, fratello! – lo avverte sua sorella.

Sono pronto a tentare l’impossibile. – le risponde.

Quando arriva nel regno proibito, l’imperatore del Mondo è a caccia. Il figlio de re libera sua moglie e insieme fuggono via. Questa volta corrono senza mai voltarsi fino al regno del re dei Venti.

Mi raccomando! Correte senza mai fermarvi. – li avverte il re dei Venti. Essi corrono, corrono finché, troppo stanchi, si fermano per riposare all’ombra di un albero. E lì trovano ad aspettarli l’imperatore del Mondo!

Credevate davvero di potervi salvare? – dice l’imperatore del Mondo, che scaglia il figlio del re verso il cielo e si riprende la principessa. Il corpo del figlio del re cade al suolo in venti pezzi. Un abitante del palazzo, passando di lì, vede tutto e ne informa la padrona. Lei chiede aiuto al marito e anche il re dei Venti consiglia di bagnarli alla sorgente della vita. Il principe risuscita per la seconda volta. Il re dei Venti gli dice:

C’è una sola maniera per riuscire nell’impresa. Potresti farcela, ma devi trovare lo spirito dell’imperatore del Mondo. Fai cosi: dì a tua moglie di essere cortese con lui e di farsi rivelare dove lo nasconde. Appena saprete dove si trova, cercate di rubarglielo. – Il figlio del re torna dalla moglie, le racconta tutto e lei, quella sera stessa, dice all’imperatore del Mondo:

Caro! Sarò tua, ma a una condizione.

Quale?

Devi dirmi dove si trova il tuo spirito.

È qui – dice l’imperatore del Mondo, mostrandole un armadietto. L’indomani, appena l’imperatore del Mondo esce per andare a caccia, lei coglie dei fiori e ne orna l’armadietto.

Che cosa hai fatto! – le chiede l’imperatore del Mondo, al suo ritorno, vedendo quei fiori.

Ti amo e voglio prendermi cura del tuo spirito.

Quanto sei sciocca! Davvero credi che potrei lasciare indifeso il mio spirito? Però, adesso so che mi ami e voglio rivelarti un segreto. Il mio spirito è custodito da un maiale. Si trova nella sua pancia. Questo maiale è quasi invulnerabile. Può morire soltanto se si colpisce un neo che ha sulla faccia.»


Il neo! La macchia oscura. Il segno del disfacimento.


«Informato dalla moglie, il figlio del re trova il maiale, colpisce il neo con una freccia, uccide il maiale, gli apre la pancia e trova una scatola.»


Nelle fiabe, le scatole racchiudono prove difficili.


«Dentro la scatola ne trova un’altra, e dentro la seconda un’altra ancora! E un’altra e un’altra, fino a sette. Sette scatole una dentro l’altra! Sorella, potresti mai indovinare cosa trova in fondo all’ultima scatola? Un verme!»


Il verme, l’infima degradazione. E il rinnovamento


«Il figlio del re del regno antico lo prende, e cerca di schiacciarlo con le sue mani, ma il verme non muore. Allora lo mette in tasca e torna al palazzo. Torna anche l’imperatore del Mondo che sembra mezzo morto.

Non sto bene. – dice gettandosi sul letto.

Vuoi una tisana? – gli chiede la principessa.

Voglio soltanto dormire. – dice lui.

Va bene caro. – dice la principessa.

Il figlio del re schiaccia ancora il verme, ma l’imperatore del Mondo non muore. Allora, fugge con sua moglie. Corrono senza fermarsi e senza voltarsi mai fino al regno del re dei Mari.

Che cosa succede? – chiede il re dei Mari, vedendoli arrivare. Il figlio del re del regno antico racconta tutto.

Stai attento a non perdere il verme! L’imperatore del Mondo guarirebbe.

Non lo perderò. – dice il figlio del re, ma sua moglie, curiosa, per osservarlo meglio prende il verme in mano. Questo le sfugge e si getta nel mare. Appena il verme entra nell’acqua, l’imperatore del Mondo si alza dal letto guarito, li raggiunge per la terza volta, uccide e fa a pezzi il figlio del re, e gli porta via la moglie. Intanto, un pesce trova il verme e lo mangia. Ma il re dei Mari pesca il pesce che ha mangiato il verme. Il re dei Mari trova il verme nella pancia del pesce e lo rende a suo cognato, che risuscitato ancora una volta alla sorgente della vita torna al palazzo dell’imperatore del Mondo per riprendersi la moglie.

Dov’è il mio spirito? – chiede l’imperatore del Mondo appena lo vede.

Nella mia mano. – dice il figlio del re.

Rendimi lo spirito e tieniti pure tua moglie. – gli dice l’imperatore del Mondo.

Va bene. – concede il figlio del re, ma mentre glielo porge il verme cade a terra! Il verme cade a terra poi entra in una gamba dell’imperatore del Mondo. L’imperatore del Mondo muore. Il figlio del re e sua moglie se ne vanno.»


Il ramaio ha smesso di raccontare.

Termina così? – gli chiedo. Proprio come quando, da bambina, esortavo mia madre a raccontarmi epiloghi più esaurienti, che preparassero il commiato dalla fiaba; che mi riconducessero il più lentamente possibile alla realtà.

Si. – dice il ramaio.

Chi è l’imperatore del Mondo secondo te?

Mia cara, chissà! Ognuno vede o crede quel che gli conviene. – conclude riprendendo in mano il vassoio a cui lavorava quando sono entrata nella bottega e che aveva messo da parte per raccontarmi la storia. Lo osserva attentamente il suo vassoio, poi ricomincia a inciderlo. Io riprendo a cercare il regalo per i miei genitori. Vedo un vassoio con il bordo decorato da due anelli. Uno, dorato, è scolpito con piccolissimi crescenti lunari che al loro interno hanno una minuscola losanga con un punto e affiancata da due triangoli. L’altro, argenteo, racchiude una miriade di piccolissime spirali. Dal centro del vassoio nascono dodici grandi petali, color dell’oro e dell’argento, che creano, alternandosi, due rosette a sei petali. I petali argentati recano piccoli poligoni in rilievo che formano un intricato labirinto. I petali d’oro, che racchiudono al loro interno foglie e fiori minuscoli, sembrano giardini. Le due rosette sono immerse in un campo di fiori di loto. È un oggetto troppo esagerato, troppo complicato. Ne guardo altri molto più semplici. Come piacciono a me. Li ammiro, ma torno al vassoio con le due rosette gemelle che brillano come il sole e come la luna illuminata dal sole. Lo compro. Il ramaio e io ci congediamo.

Bkhatrak. Col tuo permesso – lo saluto

Maasalameh. Addio. – mi risponde.

Prima di allontanarmi, osservo ancora una volta le sue mani che scolpiscono il metallo. Sta disegnando delle lettere alfabetiche: aleif…lam…lam…ha… Allah: Dio in arabo. Forse, inciderà nel rame una formula apotropaica. O forse una preghiera.

Tornando a casa, passo davanti alla moschea Suleimanyeh, con le sue numerose cupole e i sottili minareti svettanti. Il sole a Occidente é quasi nascosto dal Jebel Qassium, che sovrasta la città e dove, secondo una leggenda, Caino uccise Abele. Più in alto la luna appena nata quasi si confonde con il cielo ancora azzurro, che però si sta preparando ad accogliere il crepuscolo vespertino. Quanto è lontana questa luna diafana come un bioccolo rotondo di nuvola leggera! É percettibile appena nella luce del sole che se ne va, ma fra poco splendidamente argentea essa adornerà la notte sopra Damasco. E, forse, fra qualche respiro, il nero tornado che abbuia e sconquassa il mondo, e che in questa sventurata regione si chiama guerra, tornerà per ingoiarsi tutto questo. Poi tutto ricomincerà. Forse. 

sabato 22 giugno 2024

Siria, Turchia, Iraq e Iran uniti contro uno Stato curdo in Siria



Intervista di Steven Sahiounie al dr. Nidal Kabalan, giornalista, analista politico ed ex ambasciatore siriano in Turchia.

Traduzione dall’inglese di Maria Antonietta Carta

Secondo il primo ministro iracheno, Shia Sudani, Siria e Turchia si avviano verso una possibile normalizzazione delle relazioni interrotte dopo l’attacco USA-NATO alla Siria nel 2011, per il cambio di regime. Prima del 2011, tra il presidente turco Recip Tayyip Erdogan e il presidente siriano Bashar al-Assad i rapporti erano buoni ed Erdogan chiamava ‘’fratello’’ la sua controparte a Damasco. I due Paesi condividevano un confine lungo e sicuro con vantaggi commerciali e turistici per entrambi. Con il sostegno di Erdogan agli Stati Uniti, che ha permesso il transito di terroristi internazionali attraverso la Turchia per combattere in Siria, la relazione si è interrotta. La Siria ha resistito con successo all’attacco orchestrato dal presidente degli Stati Uniti Barack Obama, ma non si è ripresa pienamente a causa delle sanzioni imposte dagli statunitensi. Ora, sembra possibile in tempi brevi la normalizzazione delle relazioni con il suo vicino del nord, poiché entrambi i Paesi condividono lo stesso interesse per un confine sicuro e per l’eliminazione di gruppi terroristici e gruppi separatisti paramilitari.

Steven Sahiounie Recentemente, il primo ministro iracheno ha dichiarato che spera di annunciare un accordo tra Turchia e Siria che normalizzi le loro relazioni. Secondo lei, quali sono le basi necessarie affinché tutto ciò si concretizzi?

Nidal Kabalan Le condizioni della Siria per normalizzare le relazioni con la Turchia, presentate dal presidente Assad al primo ministro iracheno Shia Sudani, sono identiche a quelle trasmesse ai precedenti mediatori, come i Russi e gli Iraniani. In cima alla lista vi è la richiesta del fermo impegno da parte turca a ritirare le sue forze di occupazione dalla Siria, la cessazione del suo sostegno a vari gruppi terroristici che operano a Idlib e in altre parti del Paese, l'aiuto di Ankara nel riportare Idlib sotto il controllo dello Stato siriano nonché il controllo sull'autostrada strategica M4 che collega le città costiere con Aleppo e altre città del nord, il sostegno di Ankara nella revoca delle sanzioni illegali e unilaterali che hanno paralizzato l'economia siriana ormai da oltre un decennio e la riapertura dei valichi di frontiera legali tra la Siria e la Turchia, in particolare Bab al-Hawa. Sono queste le principali condizioni che Damasco pone da tempo come base per normalizzare le relazioni con la Turchia. Hayat Tahrir al-Sham, comandato da Mohammed al-Julani, occupa Idlib.

Steven Sahiounie Secondo lei, come verrà affrontato questo gruppo terroristico e chi li sgombrerà da Idlib?

Nidal Kabalan Hayat Tahrir al-Sham e altri gruppi presenti in altre parti del Paese, come precondizione per la sua stabilità e sicurezza dovranno essere smantellati per mezzo della politica o con la forza. Gli sforzi congiunti di Siria, Turchia, Iraq, Iran e probabilmente della Russia nella lotta contro tutti i gruppi terroristici che hanno devastato la Siria durante quasi 14 anni sono necessari per la sua stabilità e sicurezza. Le SDF, milizia curda allineata agli Stati Uniti, avevano programmato di tenere le elezioni l’11 giugno, ma le hanno rinviate a causa delle minacce provenienti dalla Turchia.

Steven Sahiounie Pensa che le SDF ripristineranno il rapporto con Damasco?

Nidal Kabalan Per quanto riguarda le SDF, Siria e Turchia potrebbero cooperare per rimuovere tutti gli aspetti militari delle milizie curde, che hanno saccheggiato le ricchezze della Siria, in particolare gas e petrolio nella parte settentrionale e in quella nord orientale con l’aiuto degli Statunitensi, che sfruttano il gas e il petrolio siriani, contrabbandando il petrolio in Iraq e da lì in altre parti della regione e del mondo. Qualsiasi entità separatista che le organizzazioni, le milizie e i partiti curdi hanno cercato di formare nel nord del Paese dovrà essere smantellata. Un argomento che gode del consenso di Turchia, Siria, Iran e Iraq è l’eliminazione di ogni entità curda separatista in questa parte della regione, quindi una soluzione attraverso i negoziati. Il nord di Aleppo è sotto l’occupazione delle forze turche allineate ai terroristi.

Steven Sahiounie Se la Turchia ripristinasse le relazioni con la Siria, come affronterebbe i terroristi che hanno cercato di rovesciare il governo siriano?

Nidal Kabalan Per l’aspetto politico della crisi che potrebbe esplodere, qualsiasi entità curda separatista in questa parte della Siria, o nella regione, è un tabù e non deve essere consentita da tutti gli interessati. Altre parti della Siria occupate dalle forze turche, o dalle milizie filo-Ankara a nord di Aleppo, dovranno passare attraverso la politica di mediazione o la forza militare. Il pieno controllo dello Stato siriano di quei territori è una condizione non negoziabile per la normalizzazione dei legami tra Damasco. e Ankara.

https://mideastdiscourse.com/2024/06/13/syria-turkey-iraq-and-iran-unite-to-refuse-a-kurdish-state-in-syria-interview-with-dr-nidal-kabalan/

giovedì 20 giugno 2024

Israele e le incognite di una guerra contro Hezbollah

Tel Aviv rischia di credere che sia una guerra "inevitabile", invece è evitabilissima. Ma la follia messianica punta al fiume Litani

da  PICCOLE NOTE, 20 giugno 2024

Mentre Israele continua la sua macelleria di Gaza e la sanguinosa oppressione in Cisgiordania, i tamburi di guerra risuonano più forte sul fronte Nord. L’IDF ha già predisposto un piano di attacco contro Hezbollah per eliminare la minaccia terroristica.

Così nelle dichiarazioni, in realtà da anni Tel Aviv ha messo in agenda il controllo del Sud del Libano fino al fiume Litani. Iniziativa che, oltre a offrirgli un confine più difendibile contro gli avversari, garantirebbe un’altra riserva di acqua dolce al Paese (non ci dilunghiamo sulle guerre per l’acqua, il cosiddetto oro blu, in Medioriente, rimandando ad altre fonti; mentre sui futures sull’acqua si può vedere qui).

La guerra “inevitabile” contro Hezbollah

Inutile dire che la guerra sarebbe scongiurata da un accordo Hamas-Israele su Gaza, perché ad oggi Tel Aviv non ha alcuna intenzione di adire a un’intesa. Peraltro, come recita il titolo di un articolo di Alon Pinkas su Haaretz: “Israele rischia di credere che una guerra contro Hezbollah sia inevitabile”, mentre inevitabile non è affatto. Infatti, scrive Pinkas, se guerra sarà, sarà una decisione di Israele, non un meccanismo automatico.

Anche l’escalation degli ultimi giorni, nei quali Hezbollah ha lanciato più missili del solito in territorio israeliano, suscitando le reazioni infiammate dei politici israeliani, non è parte di una decisione di alzare il livello del conflitto.

Si è trattato della risposta all’uccisione di uno dei suoi più alti comandanti, come dimostra il fatto che sia durata solo due giorni e sia stata seguita da una pausa dei lanci altrettanto lunga.

Ma Tel Aviv sembra irremovibile nella sua decisione suicida, una pulsione masochista fotografata dall’articolo molto dettagliato di Uri Misgav dal titolo “Israele non è pronta per la terza guerra del Libano” (Haaretz). Analisi, peraltro, meno pessimista di quella fornita dall’ex vice consigliere per la Sicurezza nazionale  Eran Etzion, secondo il quale Israele perderebbe la guerra in “nelle prime 24 ore”.

La missione Upupa e le dichiarazioni di Nasrallah 

Da parte sua, Hezbollah, come ha detto più volte il suo leader Hassan Nasrallah, non vuole la guerra, ma nel caso, si è dichiarata pronta a sostenerla. E lo ha dimostrato con la missione Upupa, portata, non a caso, nel giorno in cui Tel Aviv annunciava di aver predisposto il piano di attacco contro il Libano.

Un’azione dimostrativa quella dell’Upupa, ma che ha impressionato i suoi nemici: un drone ha eluso tutte le difese aeree israeliane, sorvolando indisturbato il Paese e tornando alla base con le immagini degli obiettivi che sarebbero presi di mira in caso di attacco contro il Libano.

Alcuni analisti arabi hanno fatto notare che il drone ha riportato immagini di tre tipi di obiettivi: basi “militari (il complesso militare-industriale e la base militare di Haifa), civili (l’area di Krayot) e strategici (il porto di Haifa)”. In tal modo Hezbollah, secondo gli analisti, ha inteso inviare il segnale che colpirà obiettivi israeliani secondo l’equazione: “militari per militari, civili per civili e strategici per strategici”.

Ma ciò se sarà un attacco limitato, dimostrativo, portato per rassicurare i cittadini sulla capacità di deterrenza del Paese nei confronti di Hezbollah, e sedare il malcontento dei tanti che in questi mesi hanno dovuto abbandonare le loro abitazioni al confine libanese a causa dei razzi, circa 150mila persone, la cui irritazione contro il governo, che li ha abbandonati al loro destino, cresce di giorno in giorno.

Invece, se Tel Aviv porterà un attacco massivo, ha dichiarato ieri Nasrallah, ci sarà una guerra “senza regole né limiti […]  nessuna area… sarà risparmiata dai nostri razzi”. Certo, c’è la variabile americana, con l’inviato Usa  Amos Hochstein che, pur riportando la contrarietà di Washington a un allargamento del fronte, ha comunque minacciato il Libano che il suo Paese è pronto a supportare l’attacco israeliano.

Ciò non toglie che Israele ne uscirebbe devastato come il Paese confinante. Alzerebbe solo l’asticella del rischio, aprendo le porte a un allargamento del conflitto ai partner subordinati agli Usa e all’Iran.

Tutto ciò solo perché non si vuole chiudere la macelleria di Gaza, che avrebbe come conseguenza immediata la fine delle operazioni militari di Hezbollah iniziate proprio per questo.

Il fiume Litani, nuovo obbiettivo messianico

Una follia, supportata, come spesso accade in Israele, da pulsioni messianiche, con gruppi molto attivi di ultra-ortodossi che rivendicano come confine della Grande Israele il fiume Litani, come racconta Anshel Pfeffer nell’articolo “’Libano, parte della terra promessa’: la destra messianica israeliana prende di mira un nuovo territorio per gli insediamenti” (Haaretz).

L’unica speranza per porre un freno a tale follia, rispetto alla quale l’amministrazione Biden non sa o non vuole agire, è che esplodano le contraddizioni interne in Israele.

Di ieri il segnale dell’esercito, o almeno di parte importante dei suoi generali, che fotografa il conflitto che si sta consumando tra loro e Netanyahu, con il portavoce dell’esercito, il contrammiraglio Daniel Hagari che ha dichiarato apertamente  l’impossibilità di eliminare Hamas.

Dichiarazioni seguite dalle smentite del governo e dello stesso IDF, con l’esercito che ha precisato che Hagari si riferiva all’impossibilità di eliminare l’ideologia di Hamas, laddove invece resterebbe a portata di mano l’eliminazione della sua forza militare.

Precisazione d’obbligo, come è d’obbligo far notare che quanto ha affermato Hagari è inequivocabile, dal momento che è da tempo il focus del contenzioso tra governo e opposizioni, interne ed esterne, il punto nodale del contendere, e le sue parole sono ormai diventate una sorta di slogan, più volte reiterato, delle opposizioni. Impossibile un errore sul punto. Suona quasi come una dichiarazione di guerra. Ma a Netanyahu.

Peraltro, Netanyahu sta vivendo un momento critico anche su un altro fronte, stavolta più strettamente politico, con alcuni esponenti del suo partito, il Likud, che non vogliono approvare la legge sullo status degli Haredi, che prolunga i loro privilegi tra i quali l’esenzione della leva, e i partiti ultraortodossi che minacciano di abbandonare il governo se la norma non viene approvata.

Partiti, questi ultimi, che avevano a suo tempo abbracciato la proposta di Benny Gantz, propria di altri oppositori di Netanyahu, sulla necessità di un accordo con Hamas per liberare gli ostaggi.

Messa così, sembra una vera e propria trappola per il premier, con l’opposizione interna del suo partito che spinge per porre criticità tra Netanyahu e i partiti Haredi e questi ultimi che la cavalcano per incrementare tale frattura e far cadere il governo (su un tema che gli evita di essere accusati di tradimento della patria, come accadrebbe se lo facessero cadere per dissidi sulla gestione del conflitto).  ... Momento critico per Netanyahu.

sabato 15 giugno 2024

Una speranza in Siria

Installazione dei pannelli solari e delle cisterne per la raccolta dell’acqua piovana.

da Pro Terra Sancta

“Speranza e disperazione”: è la dicotomia che racchiude tutto il senso di impotenza che si prova di fronte a una realtà che si mostra per com’è, senza offrire appigli al desiderio di trovare una sintesi semplificatrice degli elementi perturbanti.


Chi torna a casa sente tanto la disperazione quanto la speranza, la Siria è tanto distrutta quanto viva: le due realtà convivono senza risolversi, in un binomio difficile da accettare ma necessario da riconoscere.

Abbiamo parlato con Ana De Estrada e Gabriella Solaro, le nostre collaboratrici appena tornate da un intenso viaggio in Siria, per farci raccontare cos’hanno visto e quali storie portano a casa con sé: partendo da Beirut hanno raggiunto Latakia, Aleppo e Hama, per approdare infine a Damasco. Lo scopo della missione era quello di verificare e conoscere di persona i progetti che Pro Terra Sancta finanzia e le persone che li rendono vivi e possibili: controllare l’andamento delle attività, parlare con lo staff locale e con i beneficiari dei progetti, conoscere le loro storie per poterle raccontare una volta tornate a casa. Hanno avuto l’occasione di incontrare moltissime famiglie, effettive o potenziali beneficiarie delle attività proposte dall’Associazione, e di toccare con mano la realtà locale e gli effetti del nostro operato.

Siria di buio e macerie

“Ho visto macerie, tante macerie! Interi paesi rasi al suolo, abbandonati perché viverci è impossibile, villaggi che un tempo, si può capire, erano pieni di vita. Non c’è più nessuno, chi ha potuto è andato via, all’estero, alla ricerca di un futuro migliore; altri si sono spostati internamente, verso città meno colpite.”

Le nostre collaboratrici ci raccontano una Siria invasa dalla distruzione e dal vuoto: case abbandonate, villaggi deserti, gente che fugge lasciando la propria casa e il proprio paese. In particolare è la solitudine di Aleppo a colpire: è una città che impressiona per la bellezza che si intuisce dietro le macerie, la distruzione completa permette di scorgere in filigrana l’opulenza che un tempo splendeva tra le strade della città. Oggi ben poco risplende: quando cala la sera scende un buio fitto, perché ad Aleppo – e in diversi altri luoghi del Paese – manca la luce elettrica per buona parte delle ore del giorno.

Ci sono decine di case vuote nelle città siriane, lasciate da chi è fuggito per non tornare. Oltre allo stato di abbandono in cui si trovano, ciò che impressiona è il contrasto con l’altissimo numero di persone che, sfollate dai villaggi occupati, non hanno nulla e non possono pagare un affitto: decine di case deserte e decine di persone che non possono permettersi di abitarle, un paradosso difficile da accettare.

Speranza e disperazione

“Sono stati dieci giorni molti intensi, ricchi di incontri, di sentimenti controversi: a volte cadevo nella disperazione vedendo l’enormità della distruzione, le difficoltà della vita quotidiana, la fatica dei capifamiglia, la rabbia dei giovani, il buio e l’abbandono delle città. Ma sono tornata a casa portandomi dietro anche tanta speranza, perché ho visto negli occhi di molti siriani una grande voglia di vivere, di rinascere, di credere in se stessi e nel loro paese.”

Sia Gabriella che Ana, raccontando del viaggio, hanno pronunciato la parola “speranza” più volte e con convinzione, appena dopo aver parlato di una terra ridotta in polvere. Sembra un paradosso, ma ci spiegano che di fatto non lo è: restando una decina di giorni e parlando con tante persone il loro sguardo si è arricchito di panorami nuovi, spaziando oltre le macerie su cui subito si era posato. Soprattutto il confronto con i giovani allarga il campo visivo, inquadrando una popolazione speranzosa e determinata.

Prima dell’intervista Ana ci ha inviato un testo in cui ha trasposto le sue prime impressioni di ritorno dal viaggio, dal quale sono tratte le frasi che aprono i paragrafi di questo articolo. L’ha intitolato Speranza e disperazione, dicotomia che racchiude tutto il senso di impotenza che si prova di fronte a una realtà che si mostra per com’è, senza offrire appigli al desiderio di trovare una sintesi semplificatrice degli elementi perturbanti. Chi torna a casa sente tanto la disperazione quanto la speranza, la Siria è tanto distrutta quanto viva: le due realtà convivono senza risolversi, in un binomio difficile da accettare ma necessario da riconoscere.

L’aiuto offerto dai progetti attivi in Siria è una goccia nel mare, ma ogni goccia fa la differenza: i nostri progetti restituiscono un po’ di normalità alle persone locali, tenendo per mano chi coraggiosamente sceglie di rimanere e di provare a immaginare un presente e un futuro diversi. Tra questi ci sono sicuramente i giovani che partecipano al progetto WIP, attivo in Siria a Damasco e ad Aleppo: il fatto stesso che partecipino ed investano in un progetto volto a finanziare nuove imprese locali mostra quanto credano fermamente in se stessi e nel loro paese. Chiedono solo di essere guardati e di essere visti da parte di un Occidente che li ignora, non li vede.

L’impatto dei progetti di Pro Terra Sancta

“I siriani non possono e non vogliono cadere nella disperazione, sono fieri della loro storia e del loro patrimonio culturale e sono pronti a mettersi in gioco per far ripartire il loro paese.”  

Il primo progetto di cui Ana e Gabriella ci parlano con entusiasmo è la mensa di Aleppo: ci raccontano cucine brulicanti di persone e di profumi. La mensa offre milletrecento pasti al giorno, e oltre a questo prepara pacchi alimentari che vengono distribuiti a domicilio a un centinaio di famiglie: sono i beneficiari che non possono recarsi di persona alla mensa, a causa di disabilità o problemi di deambulazione – e spesso si tratta delle più povere, costrette ad abitare ai piani alti perché meno costosi, a causa dell’assenza di ascensori. Grazie al doppio sistema di piatti caldi e di pacchi alimentari la mensa raggiunge davvero tutti: è un sistema virtuoso e ben organizzato, dove lavora un personale efficiente e dedicato alla causa.

Sono rimaste molto colpite anche dall’attività del Franciscan Care Center, che definiscono un “centro di eccellenza”. È un posto che fa davvero la differenza, perché è l’unico vero spazio di ricreazione e supporto educativo e psicologico che offre Aleppo; qui i bambini e i ragazzi trovano un ambiente sereno nel quale riescono a seguire gli stimoli offerti loro dando il meglio di sé. Gabriella e Ana sottolineano la grande passione e cura che gli insegnanti del FCC mettono nel loro lavoro: sono in grado cogliere i punti più difficili e dolorosi della vita quotidiana dei bambini, e di agire nel modo giusto per aiutarli a sorridere di nuovo.

Rasha Kashmini, professore di musicoterapia, le ha invitate a partecipare ad una lezione che si teneva all’esterno, tra gli alberi e il cielo azzurro. La lezione invitava i bambini ad ascoltare la musica della natura, chiudendo gli occhi, e a sentire ciò che i suoni del mondo suscitano in loro; dopo poco i bambini si sono rilassati e hanno iniziato a parlare, seguendo un’urgenza comunicativa emozionante da vedere e da ascoltare.

Il supporto psicologico è il fulcro anche dell’attività dei centri di Un nome un futuro, che offrono diversi spazi ad attività di doposcuola, sostegno psicologico, aiuto alle madri sole. Gli spazi dei centri sono molto belli e ben curati, leggermente ristretti a causa del numero delle persone che vi si rivolgono; questo ci dà l’idea di quanto profondo e diffuso sia, in Siria, il desiderio di aprirsi all’aiuto, la voglia di ricominciare. Ana e Gabriella ci parlano degli occhi dei ragazzi: nei loro occhi si vedono tutto il fuoco e il desiderio di crescere, di diventare qualcuno: un medico, forse, o un professore, un cuoco… Il futuro è quasi tangibile in questi sguardi, che non si arrendono all’idea che non esista una possibilità per loro: hanno la speranza, ed è meraviglioso poterli aiutare ad averla e a renderla realizzabile.

Hanno visto da vicino anche il progetto che prevede l’installazione di pannelli solari nelle case, allo scopo di permettere alle famiglie l’accesso a elettricità, riscaldamento e acqua calda. Per quanto non sembri, a primo impatto, una delle iniziative più “vive” e più “umane”, è quella che ha toccato entrambe più profondamente. “Andando lì mi sono accorta di come un elemento apparentemente tecnico possa davvero cambiare una vita”, ci spiega Ana: per quanto un pannello solare non possa sicuramente risolvere la situazione di indigenza in cui vive la maggior parte dei siriani, può svoltarne la quotidianità.

Per una famiglia che vive nel buio la possibilità di accendere una lampadina e di fare, ogni tanto, una lavatrice, è davvero un faro nella notte, e diventa la possibilità di acquisire una nuova indipendenza: entrambe le donne ricordano con commozione una famiglia che, grazie alla luce elettrica, ha riconquistato i propri spazi, quando i figli hanno finalmente potuto accendere una lampada per fare i compiti nella propria stanza senza doversi ammassare insieme ai fratelli, ai genitori, ai nonni, intorno a una lampada ad olio che illumina tutto di una luce sottile.

Gabriella e Ana tornano dal viaggio piene di voglia di continuare a lavorare ai progetti: “Poter vedere dal vivo tutte queste cose ci ha appagato e ci ha rese più coscienti degli effetti del lavoro che facciamo ogni giorno; è stato bello anche constatare l’organizzazione delle attività di Pro Terra Sancta, perché è tangibile come alla base di ogni scelta ci sia la volontà di funzionare al meglio, di agire per il bene dei nostri beneficiari.”


COME SOSTENERE I PROGETTI DI PRO TERRA SANCTA IN SIRIA: 

https://www.proterrasancta.org/it/campaign/siria-la-speranza-di-pace-a-partire-da-un-pasto-caldo/

martedì 4 giugno 2024

Bruxelles VIII: tangenti europee per trattenere gli sfollati siriani fuori dal loro Paese

 

Fonte: Mondialisation.ca

Il sito web della Commissione europea ha informato il mondo assetato di empatia e compassione che “  l'ottava conferenza di Bruxelles rinnova gli aiuti internazionali alla Siria e ai paesi della regione raccogliendo più di 7,5 miliardi di euro  ”. Ha aggiunto che questo impegno “  dimostra ancora una volta il desiderio dell’UE e della comunità internazionale di mitigare le conseguenze della crisi siriana e di sostenere le popolazioni sia in Siria che nei paesi vicini  ” [1] . 

Tuttavia, questi aiuti sono chiaramente e necessariamente destinati solo agli sfollati siriani che rimarranno nei paesi vicini e, probabilmente, agli sfollati rimpatriati nelle regioni siriane occupate dagli Stati Uniti d'America o dalla Turchia tramite i rispettivi mandatari, separatisti e/o terroristi . Un'opzione definita realistica dal capo della diplomazia europea che ha dichiarato: " Siamo d'accordo con le Nazioni Unite sul fatto che attualmente non sussistono le condizioni per un ritorno sicuro, volontario e dignitoso in Siria... Insistiamo sul fatto che questo sia il caso. al regime di Bashar al-Assad di stabilire queste condizioni  ” . E questo, ovviamente, accettando l’applicazione della risoluzione 2254 (2015), che approva la creazione di un organo governativo provvisorio gradito dall’Occidente, cosa che né il signor Borrell né i suoi alleati sono riusciti a stabilire nonostante una guerra spietata che dura da ben tredici lunghi anni. 

E, ancora una volta, Bruxelles aveva riunito un sacco di gente per discuterne e decidere, ma in assenza dei rappresentanti dei principali interessati: il governo siriano e le sue legittime istituzioni . 

Bisogna quindi ammettere che nulla è cambiato da quando l’ex rappresentante della Siria presso le Nazioni Unite, Bashar al-Jaafari, ha dichiarato che le conferenze di Bruxelles sono pura propaganda  e che l’Unione europea è parte del problema piuttosto che parte della soluzione, aggiungendo che “  è ironico vedere il paese imporre misure economiche coercitive unilaterali criminali contro il popolo siriano e allo stesso tempo rivendicare la propria determinazione e impegno ad aiutare questo stesso popolo siriano  ”.

Ma diamo la parola alla giornalista libanese, Sonia Rizk, che ha intitolato il suo articolo: Il Libano ha lanciato l'allarme a Bruxelles... e l'Unione Europea ha 'risolto' la questione degli sfollati praticamente con tangenti " .

Mouna Alno-Nakhal


Mentre gli occhi dei libanesi erano rivolti all'ottava edizione della Conferenza di Bruxelles, tenutasi il 27 maggio, è accaduto ciò che ci si aspettava. 

L’Unione Europea ha stanziato più di due miliardi di euro per sostenere gli sfollati siriani nei paesi della regione e, allo stesso tempo, si è opposta a qualsiasi possibile ritorno nel loro paese, ritenendo che le condizioni per un ritorno sicuro e volontario non siano soddisfatte. In ogni caso, questo è quanto espresso chiaramente dal capo della diplomazia europea, Josep Borrell, che ha anche dichiarato:

“  Il nostro impegno non può limitarsi a promesse finanziarie, e dobbiamo raddoppiare i nostri sforzi per trovare una soluzione politica al conflitto, che sostenga le aspirazioni del popolo siriano per un futuro pacifico e democratico  ”. 

Questa è una posizione che è stata espressa con forza nel luglio 2023, quando il   Parlamento europeo ha votato a stragrande maggioranza una risoluzione a sostegno del mantenimento degli sfollati siriani in Libano. Nel frattempo, l'Unione Europea ha mostrato una certa comprensione della situazione e delle sue ripercussioni accumulatesi sul Libano dal 2011. Tuttavia, gli ultimi giorni hanno dimostrato che quest'ultima Conferenza di Bruxelles è in linea con il detto che dice: " La neve si è sciolta e il prato si svela ”, visto che l'ultima frase pronunciata significava che il Libano doveva conformarsi alla decisione dell'Unione Europea, come se sul Paese fosse tornata la tutela occidentale; ma, questa volta, attraverso la porta europea .

 In altre parole, l’Unione Europea , che agisce nel proprio interesse e cerca di sfuggire alle conseguenze delle sue azioni, ha deciso che il Libano deve incassare  i soldi e mantenere gli sfollati siriani sul suo territorio, punto. Così facendo, come al solito, mette il Libano di fronte alla tempesta, nonostante il suo chiaro piano d’azione inteso a risolvere la questione degli sfollati siriani nella regione.  

Un piano che prevede il coordinamento tra i diversi ministeri e le agenzie competenti del Paese, oltre alla formazione di un comitato guidato dal vice primo ministro libanese e alcuni dei suoi ministri, per discutere il dossier con Damasco, oltre al coordinamento con Giordania, Egitto e Iraq miravano ad adottare un piano unificato in collegamento con il governo siriano, come indicato dal primo ministro ad interim Najib Mikati martedì 28 maggio. 

Questa contraddizione tra la posizione libanese e quella europea non promette nulla di buono. Pertanto, di fronte a questa situazione, c'è preoccupazione e il quadro resta cupo, perché una direttiva del genere non è nata oggi. In realtà, tali messaggi internazionali continuano dal 2016, e continuano gli ulteriori piani per trattenere gli sfollati siriani in Libano, mentre il governo ad interim libanese resta occupato dai conflitti tra i suoi ministri su chi dovesse guidare la delegazione ministeriale in Siria. 

In altre parole, la gestione della questione non è seria e la corruzione continua a svolgere il suo ruolo politico in Libano, dato che le valute forti stuzzicano sempre l’appetito di alcuni funzionari e che la comunità europea lo sa bene. Per questo motivo afferma di essere preoccupato per il futuro degli sfollati a scapito del Libano, mentre l'unica cosa importante ai suoi occhi è che gli sfollati non raggiungano i territori UE, né via terra né via mare. Di conseguenza, gli interessi particolari giocano perfettamente il loro ruolo, mentre i “grandi” giocano con le sorti del Libano che paga sempre i conti politici degli altri. 

Tuttavia, a Bruxelles, il Libano ha lanciato l'allarme attraverso il suo ministro degli Esteri, Abdallah Bou Habib, che ha indicato che il Libano è arrivato a un punto di non ritorno e che continuare a finanziare gli sfollati "  dove si trovano  " costituisce un pericolo per i paesi vicini alla Siria. . Ha chiesto una revisione delle politiche dei paesi donatori e ha sottolineato che l'esplosione libanese, se dovesse verificarsi, avrebbe ripercussioni anche sull'Europa. 

Per questo motivo afferma che questa volta la posizione del Libano sarà ferma e insisterà davanti ai funzionari europei sulla necessità di tener conto delle misure concrete adottate, da più di un anno, dal suo Consiglio dei ministri e dai suoi servizi di sicurezza; misure giustificate dal titolo: “ Il Libano è un paese di transito e non un paese di asilo ”. Un titolo che implica la concessione di aiuti finanziari a chi ritorna in Siria e non a chi si trova in Libano, il rifiuto assoluto di legare il ritorno degli sfollati a una soluzione politica della crisi siriana e la revoca delle sanzioni imposte ai Siria con l’abrogazione della “Legge Cesare”. 

Tuttavia, ci sono molti libanesi che non sperano in alcun cambiamento nella posizione europea e nel suo scenario già pronto per la regione. Questo è il motivo per cui la maggior parte dei partiti politici contrari al mantenimento degli sfollati siriani in Libano ritengono che sia necessario l’aiuto dei paesi arabi attraverso gli sforzi di Giordania, Egitto e Iraq, per aiutare il Libano a risolvere questa crisi. Altrimenti il ​​Libano non potrà più uscirne, secondo osservatori ben informati sulla faccenda in questione. 

I quali osservatori ben informati affermano che l'Occidente si è abituato alle posizioni assunte da alcuni pilastri del potere libanese; cioè: accettare denaro in cambio della risoluzione di questioni in sospeso, anche se a spese del Paese e della sua gente. 

Sonia Rizk*

Fonte: Addiyar (Libano)

*Sonia Rizk è una giornalista libanese, attualmente redattrice di articoli e analisi politiche per il quotidiano libanese Addiyar e il sito Lebtalks.

venerdì 31 maggio 2024

Jeffrey Sachs e TuckerCarlson discutono le vere ragioni per cui i neocon hanno orchestrato la guerra di cambio di regime in Siria

 

RILETTURA DELLA INTERVISTA A  J.SACHS PUBBLICATA SULLA PAGINA X DI TUCKER IL 28 MAGGIO '24, COMMENTATA  DAL GIORNALISTA, GESTORE DEL SITO SYRIANAANALYSIS ,  KEVORK ALMASSIAN

traduzione di Marinella Correggia

Sachs: "Abbiamo iniziato ad armare i jihadisti in Siria e gli Stati Uniti hanno detto che Assad deve andare." 

Tucker: "Perché gli Stati Uniti volevano rovesciare Bashar al-Assad?" 

Jeffrey Sachs nell'intervista ha fatto riferimento a diversi punti, come la presenza della marina russa sul Mediterraneo in Siria, o la volontà di piazzare un fantoccio degli Usa a Damasco, ma anche la pura ignoranza da parte dei decisori statunitensi. 

Ma, a mio parere, c'è di più. Gli Stati Uniti volevano togliere di mezzo Assad per alcune altre ragioni: anche se rimuovere la Marina russa dal Mediterraneo (e il mar Nero) era una priorità geopolitica, c’era in gioco anche il fattore iraniano. L'alleanza strategica tra Siria e Iran ha creato una rete tra attori statali e non statali in Iraq, Yemen, Siria e Libano e ha posto serie sfide all'egemonia statunitense e israeliana sulla regione. Sotto Bashar al-Assad, la Siria è diventata una base strategica nel cosiddetto asse della resistenza contro il dominio americano e israeliano nella regione. 

Ad esempio, nel 2006, il siriano Assad  fornì a Hezbollah mezzi militari che furono utilizzati per respingere l'invasione israeliana del Libano e costringere Tel Aviv a ritirarsi. Dopodiché, Hezbollah ha consegnato armi siriane a Gaza come i razzi anticarro Kornet. Pertanto, i neocon e i sionisti pensavano che la rimozione di Assad dal potere avrebbe minimizzato l'afflusso di armi ai gruppi che combattevano contro le forze di occupazione israeliane.

In secondo luogo, la Siria è un importante pezzo di geografia nella Belt and Road Initiative della Cina. Questo spiega il motivo per cui le forze degli Stati Uniti sono di stanza sulla costa orientale dell'Eufrate; non solo per controllare il petrolio, ma anche e soprattutto per bloccare i confini tra Iraq e Siria, e alla fine bloccare l'accesso della via della Seta al Mediterraneo. 

In terzo luogo, i teorici sionisti più incalliti mirano al "Grande Israele". Dove finisce il confine orientale di questo Grande Israele? Sulla riva occidentale dell'Eufrate. Secondo questi sionisti, i curdi sarebbero i loro vicini sulla costa orientale dell'Eufrate, e questo è esattamente ciò che gli Stati Uniti hanno fatto in quella regione. Washington ha creato una grande milizia dominata dai curdi Ypg e li ha incoraggiati a separarsi dalla Siria e formare una propria entità.   

Alla fine, non importa quali fossero le ragioni, gli Stati Uniti hanno commesso un crimine contro l'umanità in Siria. Un crimine che non sarà dimenticato. Centinaia di migliaia di siriani sono morti e altri milioni sono diventati rifugiati. Gli Stati Uniti hanno sostenuto i jihadisti e hanno creato l'Isis, il Fronte al-Nusra, l'esercito islamico, Ahrar al-Sham, l'esercito islamico del Turkistan e molti altri gruppi terroristici, distruggendo un paese bello e pacifico con una ricca storia e civiltà.

 In questo caos, i cristiani di Siria sono stati cacciati da molte città e villaggi da questi eserciti di terroristi appoggiati dagli Stati Uniti.

mercoledì 29 maggio 2024

Il Consiglio Ue rinnova di un altro anno le sanzioni contro la Siria

" L'Unione Europea, che è completamente subordinata agli interessi delle multinazionali e della N.A.T.O. (ovvero degli U.S.A.), ha esteso le sanzioni alla Siria fino al 1 giugno 2025.  
Sono sanzioni durissime che vietano alla Siria di importare medicinali, macchinari sanitari, macchine per l'edilizia, cibo e moltissimi altri prodotti e vietano al contempo alla Siria di esportare i suoi prodotti. 
Le sanzioni non solo sono del tutto ingiustificate, perché la Siria è il paese che è stato aggredito dai gruppi terroristi dell'ISIS  armati, finanziati e appoggiati dalla N.A.T.O., da Israele, dall'Arabia Saudita e da altri paesi.  Non è il paese aggressore, ma la vittima dell'aggressione.  
La guerra, che dura dal 2011, ha fatto danni per 1000 miliardi di dollari oltre ad almeno 500.000 morti e innumerevoli feriti. ..."
     Prof. Matteo D'Amico 

In occasione dell’ottava edizione della Conferenza di Bruxelles sul “Sostegno al futuro della Siria e della regione”, l’UE si è impegnata a stanziare 2,12 miliardi di euro per il 2024 e il 2025. Questa assistenza sosterrà sia i siriani all’interno della Siria che quelli nei Paesi limitrofi, nonché le comunità che li ospitano in Turchia, Libano, Giordania e Iraq.La riunione ministeriale, che ha riunito i delegati degli Stati membri dell’UE, dei Paesi confinanti con la Siria, di altri Paesi partner e donatori e di organizzazioni internazionali, tra cui l’ONU, ha ribadito la necessità di un processo politico in Siria, in linea con la risoluzione 2254 del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite (UNSCR), e la necessità di mobilitare un sostegno finanziario vitale per rispondere ai bisogni più urgenti della popolazione siriana e delle comunità che la ospitano.


da Asianews

Il card. Zenari, che da anni segue le vicende siriane dalla nunziatura a Damasco denunciando prima gli orrori del conflitto poi la “bomba della povertà” che miete più vittime delle armi, chiede di non guardare alla nazione “come un pezzente”. Al contrario, bisogna aiutarla a “stare in piedi e camminare con le proprie gambe” che è anche “più dignitoso”. E per farlo serve parlare di ricostruzione, di ripresa dell’economia, dell’industria, far ripartire o creare nuove fabbriche: “Ricordo quanto detto da papa Paolo VI nel 1967, che il nuovo nome della pace è lo sviluppo. Lo stesso qui in Siria, dove non vi può essere pace senza sviluppo; dove vi è miseria non si possono creare le condizioni per la pace. 

“Nel marzo scorso la Siria - ricorda il porporato - è entrata nel suo 14mo anniversario di guerra, ignorata dai media e dalla stessa comunità internazionale” con il 90% della popolazione “sotto la soglia della povertà: tutti concordano nell’affermare che la situazione è diventata più dura rispetto agli anni della guerra. Manca l’elettricità in gran parte della Siria, molta gente ha in media due ore al giorno di corrente elettrica; la sanità e la scuola sono un disastro; servono infrastrutture necessarie; l’economia è al collasso e la gente trova una soluzione alternative. Chi può - prosegue il card. Zenari - cerca di scappare, unica via di uscita da questo tunnel, soprattutto per i giovani molti qualificati” alla ricerca del “modo per varcare i confini e andare all’estero“.

Un altro fattore di emergenza è quello legato ai rifugiati: “La guerra si dice abbia causato circa mezzo milione di morti, tra i quali 29mila bambini e minorenni - afferma il nunzio apostolico - e circa 12 milioni, poco più della metà della popolazione pre-conflitto, costretti a fuggire dalla proprie case, dai quartieri e dai villaggi. Secondo statistiche Onu vi sono sette milioni di sfollati interni e circa cinque milioni nei Paesi vicini”. Questo esodo ha determinato una nuova emergenza, in particolare nel Libano che è “un Paese piccolo, con una popolazione limitata e un numero sproporzionato di rifugiati” osserva il diplomatico vaticano. “Anche questo un tema grave e urgente - prosegue - ma non si sa come risolverlo. L’agenzia Onu per i rifugiati dice che non ci sono ancora le condizioni per un ritorno volontario, dignitoso e in sicurezza, intanto la gente comincia a perdere la speranza: si assiste, dopo le molte vittime, alla morte stessa della speranza, la gente non ha più fiducia nel futuro” tanto che, dalle ultime stime, si calcola che “circa 500 persone al giorno tentino di lasciare la Siria con ogni mezzo, in genere giovani e qualificate”.

I cristiani siriani

Come e più della gran parte dei siriani, perché rappresentano una piccola minoranza, anche i cristiani soffrono le conseguenze del conflitto e della povertà ormai diffusa nel Paese e che ha colpito diversi strati della popolazione. Una comunità che ha pagato in termini di vite umane, esodo, sparizioni forzate - fra le oltre 100mila persone scomparse nel nulla vi sono il gesuita italiano p. Paolo Dall’Oglio e i due vescovi, siro-ortodosso e greco-ortodosso, di Aleppo solo per fare alcuni nomi - e di fuga volontaria oltre-frontiera. Questa è “un’altra grossa ferita che sanguina nel cuore della Siria”. Ecco perché, per i cristiani, è un “soffio di speranza” l’annuncio di papa Francesco che saranno proclamati santi i martiri di Damasco, francescani e tre maroniti: la loro testimonianza, afferma il porporato, è “attuale” nel modo in cui essi ricordano e rappresentano “quanti hanno sofferto in vari modi in questo conflitto e per la fede”.

La Siria è “molto importante anche dal punto di vista del cristianesimo”, perché oltre ad aver dato il nome dei cristiani ad Antiochia, oggi territorio turco, è la terra cui è legato san Paolo e delle apparizioni di Cristo risorto. E ancora, nei primi sette secoli ha dato sei papi alla Chiesa e quattro imperatori, a conferma della sua importanza “sia dal punto di vista cristiano che sotto il profilo culturale e politico” sottolinea il card. Zenari. Vi è infine l’aspetto legato al turismo “che era in aumento” prima del conflitto, grazie anche a “reperti archeologici che risalgono a 4 o 5mila anni fa” e che permetteva di sostenere anche la comunità cristiana, mentre oggi “è una tragedia vederli partire”. Del resto, ricorda, “nei conflitti i gruppi minoritari sono sempre l’anello debole della catena” e questo è un danno ulteriore laddove essi rappresentano “una finestra aperta sul mondo”. “Basti pensare - conclude - al loro contributo nel campo culturale, dell’educazione con le scuole, nella sanità con gli ospedali, e anche nel campo politico. Anche questa è una ferita molto profonda per le Chiese, che hanno visto partire più della metà dei loro fedeli, e per la stessa società siriana”.