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lunedì 7 ottobre 2019

Intervento di Walid al-Moallem alla 74ª sessione dell'Assemblea generale delle Nazioni Unite

Pubblichiamo la trascrizione effettuata da Mondialisation del video che riporta l'intera allocuzione del ministro Walid al-Moallem alla Assemblea generale delle Nazioni Unite. 
In queste ore di imminente minaccia di intervento turco in territorio siriano, è utile rileggere il quadro di sintesi dei Siriani: un atto d'accusa circostanziato riguardante questi 8 anni rivolto agli attori del conflitto, (USA, Israele e Turchia in particolare), che nel finale evidenzia come le sanzioni siano un'arma che non dovrebbe essere usata contro nessun popolo/nazione, l'uso ambiguo dei profughi e le violazioni di Israele.  
  Traduzione dal francese per OraproSiria di Gb.P.
"Certamente alcuni governi hanno danneggiato la Siria e danneggiato la sua gente. Tuttavia, non tratteremo nessuno secondo una logica di odio o di vendetta, ma piuttosto a partire dagli interessi del nostro paese e del nostro popolo, dal nostro desiderio di portare pace, stabilità e prosperità in Siria e nella regione ".

Signor Presidente, onorevoli colleghi,
Ci incontriamo oggi in un momento in cui l'immagine del mondo sembra molto desolante, dato che le basi su cui si basava l'organizzazione delle relazioni internazionali politiche, economiche, legali e di sicurezza sono esposte a un pericolo senza precedenti dalla creazione di questa organizzazione; momento in cui i conflitti e le minacce alla pace e alla sicurezza internazionali si intensificano; che le probabilità di guerra prevalgono su quelle di pace; che l'equilibrio dell'economia mondiale si sta muovendo verso l'ignoto; che la violazione delle convenzioni e dei trattati internazionali è diventata modo di agire normale e che l'uso di mezzi illegali nel diritto internazionale, come il sostegno al terrorismo e l'imposizione di blocchi economici, non suscita più proteste o condanne.
Tutto ciò contribuisce a un maggiore caos sulla scena internazionale, ci conduce poco a poco alla legge della giungla anziché allo stato di diritto; mette in pericolo il futuro dei nostri paesi e fa sì che i nostri popoli paghino il forte prezzo della loro sicurezza, del loro sangue, della loro stabilità e benessere.
Oggi siamo al crocevia di un cammino. O siamo seriamente intenzionati a costruire un mondo più libero, stabile e giusto; un mondo senza terrorismo, occupazione o dominio; un mondo basato sul diritto internazionale, la cultura del dialogo e della comprensione reciproca; o ci sediamo pigramente, lasciando andare alla deriva il futuro dei nostri popoli e delle generazioni future, abbandonando i principi e gli obiettivi fissati dai padri fondatori di questa organizzazione. Questa è la domanda, onorevoli colleghi, e la decisione è vostra.
Signor Presidente,
Il terrorismo rimane una delle minacce più importanti per la pace e la sicurezza internazionali e costituisce un grave pericolo per tutti, senza eccezioni, nonostante il nostro successo in Siria, grazie ai sacrifici e all'eroismo dell'Esercito Arabo Siriano e al sostegno di alleati e amici.
Il nostro popolo ha sopportato per oltre otto anni gli orrori di questo terrorismo, che ha ucciso selvaggiamente persone innocenti, provocato una crisi umanitaria, distrutto le infrastrutture, derubato e demolito la ricchezza del paese. Ma in cambio, la storia scriverà a lettere d'oro l'epopea eroica di questo popolo che, nella sua guerra contro il terrorismo, non solo avrà difeso i suoi, la propria patria e la propria civiltà, ma avrà anche contribuito alla difesa dell'umanità, dei valori della civiltà, della cultura della tolleranza e della convivialità di fronte all'ideologia estremista di una cultura dell'odio e della morte promossa da organizzazioni terroristiche, come Daesh e il fronte al-Nusra, e da coloro che li sponsorizzano e li supportano.
Siamo determinati a continuare la guerra contro il terrorismo, qualunque sia il nome di cui si riveste, per bonificare l'intero territorio della Siria e adotteremo tutte le misure necessarie per garantire che non possa tornare.
Tuttavia, l'eradicazione globale di questo incubo, opprimente per il mondo intero, richiede una vera volontà internazionale. Per questo, non abbiamo bisogno di reinventare la ruota. Abbiamo un vasto arsenale di risoluzioni del Consiglio di sicurezza adottate ai sensi del capitolo VII° e specifiche per la lotta al terrorismo, per il prosciugamento delle sue fonti e del suo finanziamento. Il problema è che tutte queste risoluzioni sono rimaste solo inchiostro su carta perché, disgraziatamente, la lotta al terrorismo non è ancora una priorità per alcuni Stati. Da qui il silenzio di morte di alcuni e le dichiarazioni vuote di altri, di fronte a ciò che Paesi come il mio sopportano, della mostruosità terroristica.
In effetti, ci sono sempre quelli che sfruttano il terrorismo e lo usano come strumento di pressione per imporre i loro programmi sospetti ai popoli e governi che rifiutano le imposizioni straniere e si attengono alla propria autodeterminazione nazionale. Il caso più lampante è quello della Siria, dove sono arrivate decine di migliaia di terroristi provenienti da oltre 100 paesi, grazie al supporto e alla copertura di Stati ormai noti a tutti. Il colmo è che questi stessi Stati ci contestano il diritto di difendere il nostro popolo da questi terroristi, alcuni dei quali sono descritti come "combattenti per la libertà", mentre ad altri piace chiamarli "opposizione armata siriana ". Ad essi non viene in mente che se persistessero in questa logica, il terrorismo ritornerà e minaccerà anche chi lo gestisce e chi lo protegge.
Signor Presidente,
L'esempio più significativo di ciò che ho appena sostenuto è la situazione attuale nella regione di Idlib riconosciuta da tutti, comprese le testimonianze nei rapporti dei comitati competenti del Consiglio di sicurezza, come il più grande raduno di terroristi stranieri nel mondo. Il tempo a me assegnato non mi consente di elencare tutti i loro crimini. Citerò solo il bombardamento incessante di missili e mortai sui civili nelle aree vicine, l'uso di civili presenti in Idlib come scudi umani, mentre viene loro impedito di uscire attraverso il corridoio umanitario di Abu al-Douhour aperto dal governo siriano.
Qui la domanda è: se altre nazioni avessero sopportato una situazione del genere, i loro governi avrebbero potuto rimanere inerti? Avreste rinunciato al vostro diritto e al vostro dovere di proteggere il vostro popolo e di liberare una qualsiasi delle regioni invase da terroristi indifferenti a tutto ciò che significa avere una patria?
Il governo siriano ha affrontato positivamente le iniziative politiche per risolvere la situazione in Idlib ed ha concesso loro più tempo del necessario per la loro attuazione. Pertanto, abbiamo accolto con favore il memorandum sull'istituzione di zone di de-escalation e l'accordo di Sochi sulla regione di Idlib, nella speranza che ciò contribuisse a sradicare il Fronte Al Nusra, i resti di Daesh e altre organizzazioni terroristiche presenti a Idleb con il minor numero possibile di vittime civili. D'altra parte, abbiamo dichiarato a più riprese la cessazione delle ostilità.
Ma ecco cosa è successo da allora: il regime turco non ha rispettato i suoi impegni ai sensi di questi accordi. Al contrario, ha dato il suo pieno sostegno ai terroristi, che hanno ottenuto armi ancora più sofisticate; il Fronte Al-Nosra affiliato ad Al-Qaeda ha preso il controllo di oltre il 90 per cento della regione di Idlib. I posti di osservazione turchi, stabiliti nel territorio siriano, sono diventati posti per sostenere i terroristi e prevenire l'avanzata dell'esercito siriano. E ora il regime turco, sostenuto da alcuni paesi occidentali, si sta disperatamente impegnando a proteggere i terroristi del Fronte di al-Nusra e altre organizzazioni terroristiche a Idlib, esattamente come tutte le volte che li abbiamo affrontati. Immaginate uno Stato che intervenga direttamente per proteggere il Fronte di Al-Nusra affiliato ad Al Qaeda, mentre le risoluzioni del Consiglio di sicurezza affermano che esso rappresenta una minaccia non solo per la Siria, ma anche per la pace e la sicurezza internazionale.
Signor Presidente,
Gli Stati Uniti e la Turchia continuano la loro presenza militare illegale nel nord della Siria, la loro arroganza è arrivata al punto di tenere summit e concludere accordi sulla creazione di una cosiddetta "zona di sicurezza" nel territorio siriano come se fosse territorio turco o americano. E questo, in violazione del diritto internazionale e delle disposizioni della Carta delle Nazioni Unite.
Pertanto, qualsiasi accordo raggiunto sulla situazione di qualsiasi regione siriana, senza il consenso del governo siriano, è condannato e respinto indipendentemente dalla sua sostanza e forma. Allo stesso modo, tutte le forze straniere presenti sul nostro territorio, senza invito esplicito del governo siriano, sono considerate forze di occupazione il cui ritiro deve essere immediato. Altrimenti, abbiamo il diritto di prendere tutte le misure garantite dal diritto internazionale in questo caso.
Qui dobbiamo evidenziare le pratiche terroristiche, criminali e repressive perpetrate dalle milizie separatiste designate come FDS ("Forze Democratiche Siriane", ndt) contro il popolo siriano nei governatorati di Hassake, Raqqa e Deir ez-Zor; Milizie queste, appoggiate dagli USA e dalle forze della Coalizione internazionale per imporre una nuova realtà intesa a servire i piani statunitensi e israeliani nella nostra regione e a prolungare la guerra terroristica in Siria.
Le politiche turche in Idleb e nel nord-est della Siria, così come le loro manovre che passano con il nome di procedure, minacciano di demolire tutto ciò che è stato realizzato attraverso il processo di Astana. La Turchia non può dichiarare di sostenere l'unità e l'integrità territoriale della Siria e, allo stesso tempo, essere la prima a minarle. Se, come sostiene, è impegnata nella sicurezza dei suoi confini e nell'unità della Siria, deve decidere di scegliere. O si conforma al processo di Astana, attua cioè gli accordi bilaterali sulla lotta al terrorismo per garantire la sicurezza dei suoi confini e ritira le sue forze dal territorio siriano. Oppure rimane uno Stato aggressore e una forza occupante, nel qual caso dovrà sopportarne le conseguenze. Non è possibile che un paese fondi la sicurezza dei propri confini a spese della sicurezza dei paesi vicini, della loro sovranità e della loro integrità territoriale.
Signor Presidente,
Insieme alla nostra lotta contro il terrorismo, siamo stati desiderosi di far avanzare il processo politico partecipando alle riunioni di Astana, un processo in cui sono stati raggiunti risultati tangibili sul campo. Proprio come siamo stati positivi nel trattamento dei dati della "Conferenza per il dialogo nazionale siriano a Sochi", che ha portato alla formazione di una commissione per discutere della Costituzione siriana. A questo proposito, abbiamo avviato un dialogo serio e costruttivo con l'inviato speciale delle Nazioni Unite.
È in definitiva la determinazione della Siria e l'attenzione prestata dal presidente Bashar al-Assad al minimo dettaglio riguardante la formazione della Commissione costituzionale che ha reso realtà questa impresa nazionale di grande importanza per il popolo siriano. E questo, nonostante i tentativi di ostacolare da parte di coloro che scommettevano sul terrorismo e le interferenze esterne, o coloro che cercavano di imporre condizioni preliminari per precludere alla Siria di recuperare la sua vera natura.
Durante l'ultima visita dell'inviato speciale delle Nazioni Unite a Damasco, siamo stati in grado di concordare i riferimenti e le regole procedurali di questa commissione e abbiamo concordato i principi guida, tra cui:
  • Primo: l'intero processo deve essere condotto solo sotto l'autorità e la proprietà della Siria, avendo il popolo siriano il diritto esclusivo di decidere il futuro del proprio Paese senza ingerenze esterne.
  • In secondo luogo: il principio generale di sovranità, indipendenza e unità del popolo e del territorio della Repubblica Araba Siriana non deve in alcun modo essere messo in discussione.
  • Terzo: non dovranno essere imposte condizioni o conclusioni previe ai lavori della Commissione o alle raccomandazioni risultanti. La commissione è l'autorità di se stessa e di ciò che produrrà, e certamente non è sotto la tutela di uno Stato o di un gruppo straniero come il cosiddetto "Piccolo gruppo", che si è autoproclamato protettore del popolo Siriano e ha già determinato i risultati del suo lavoro.
  • Quarto: nessuna scadenza o calendario devono essere imposti ai lavori della Commissione che deve prendere il tempo necessario per deliberare, poiché essa determinerà il futuro della Siria per le generazioni future, il che non esclude che teniamo pienamente conto dalla necessità di progredire su basi solide in linea con le aspirazioni del popolo siriano.
  • Quinto: il ruolo dell'inviato speciale in Siria è di facilitare il lavoro della Commissione e di ravvicinare i punti di vista attraverso i suoi buoni uffici, quando necessario.
È su queste basi che riaffermiamo la nostra disponibilità a lavorare efficacemente con gli Stati amici e l'Inviato speciale per avviare i lavori di questa Commissione.
Signor Presidente,
Allo stesso tempo, lo Stato siriano sta compiendo notevoli sforzi per migliorare la situazione umanitaria sul campo e ricostruire ciò che il terrorismo ha distrutto. Abbiamo fatto molta strada nonostante il blocco economico, illegale e disumano, imposto al nostro popolo da alcuni Stati; che sono arrivati al punto di vietarci le attrezzature mediche, i farmaci e i prodotti petroliferi necessari per la fornitura di elettricità, gas domestico e combustibile per riscaldamento. Gli Stati Uniti hanno persino minacciato le aziende che hanno partecipato alla Fiera internazionale di Damasco al fine di ostacolare la ripresa economica in Siria.
In effetti, quei paesi non avendo raggiunto i loro obiettivi attraverso il terrorismo militare hanno optato per un'altra forma di terrorismo non meno feroce: il terrorismo economico che consiste nell'imporre blocchi e misure economiche coercitive unilaterali.
Pertanto, chiediamo a tutti i paesi amanti della pace e sostenitori del diritto internazionale di lavorare insieme per agire contro questo fenomeno, che colpisce non solo la Siria, ma è diventato un'arma di ricatto politico ed economico contro molti altri paesi.
Su questa base, chiediamo nuovamente la revoca delle misure illegali imposte al popolo siriano e a tutti gli altri popoli indipendenti, soprattutto i popoli di Iran, Venezuela, Repubblica democratica popolare di Corea, Cuba e Bielorussia. E stiamo al fianco della Cina e della Russia di fronte alle ingiuste politiche statunitensi.
D'altra parte, abbiamo ripetutamente affermato che le porte sono aperte a tutti i rifugiati siriani perchè tornino volontariamente e in sicurezza. E, come Stato, offriamo a chi lo desidera tutti i servizi di cui ha bisogno. Stiamo lavorando alla ricostruzione e al ripristino delle strutture e delle infrastrutture pubbliche nelle loro regioni liberate dal terrorismo. Gli ostacoli sono posti dagli Stati occidentali e di alcuni Stati che li hanno accolti e nei quali vediamo uno strano capovolgimento della situazione. Infatti, mentre non smettono mai di reclamare il loro immediato ritorno in Siria, eccoli creare condizioni e falsi pretesti per impedire questo ritorno, al solo scopo di sfruttare questa questione puramente umanitaria come una pedina utile all'attuazione delle loro agende politiche.
Infine, siamo proprio di fronte a una scena del teatro dell'assurdo, tranne che qui si tratta di mettere in gioco il destino dei popoli e un'odiosa manipolazione della sofferenza umana.
Signor Presidente,
invece di tentativi di pace e stabilità nella nostra regione, abbiamo assistito a un nuovo episodio di escalation israeliana che spinge verso tensioni senza precedenti. Israele non si è accontentato di occupare territori arabi tra cui il Golan siriano, di violare il diritto internazionale quotidianamente e il diritto umanitario contro i nostri civili nei territori occupati, di sostenere il terrorismo: È arrivato al punto di compiere ripetuti attacchi alla Siria e ai paesi vicini sotto falsi pretesti, in flagrante violazione del diritto internazionale, della Carta delle Nazioni Unite e delle risoluzioni del Consiglio di sicurezza. Tante violazioni che non avrebbero potuto continuare e quindi peggiorare senza il cieco sostegno di alcuni Stati, che hanno la piena responsabilità delle conseguenze delle azioni di Israele.
Per quanto riguarda la decisione degli Stati Uniti di riconoscere la sovranità di Israele sul Golan siriano occupato, dopo aver riconosciuto Gerusalemme occupata come capitale di Israele e aver trasferito lì la loro ambasciata, nonché i loro instancabili sforzi per liquidare la questione palestinese, queste non sono altro che espressioni orribili di questo supporto, delle decisioni nulle, che testimoniano, nella massima misura, il loro disprezzo per la legittimità internazionale.
Qualcuno dovrebbe ormai capire che l'era dell'annessione dei territori altrui con la forza è finita. Inoltre, uno che pensasse che la crisi in Siria possa allontanarci di una iota dal rivendicare il nostro diritto inalienabile alla piena restituzione del Golan fino ai confini del 4 giugno 1967, con tutti i mezzi garantiti dal diritto internazionale, è un illuso. Le decisioni dell'amministrazione americana in merito alla sovranità sul Golan non possono cambiare le verità della storia, della geografia e del diritto internazionale, secondo le quali il Golan era e rimane terra siriana.
Israele deve quindi essere costretto ad attuare le pertinenti risoluzioni delle Nazioni Unite, compresa la risoluzione 497 relativa al Golan siriano occupato, a porre fine ai suoi ripetuti attacchi ai paesi della regione, a fermare gli insediamenti, a consentire al popolo palestinese di stabilire un proprio stato indipendente entro i confini del 4 giugno 1967, con Gerusalemme come capitale e il ritorno dei rifugiati palestinesi nelle loro terre.
Signor Presidente,
Il mio paese ribadisce il suo sostegno e la sua solidarietà con la Repubblica islamica dell'Iran davanti alle azioni irresponsabili degli Stati Uniti nei suoi confronti, a partire dal loro ritiro dall'Accordo sul nucleare. Mette in guardia dal pericolo di politiche volte a provocare crisi e scatenare conflitti nella regione del Golfo con falsi pretesti. Riteniamo che la sicurezza e la stabilità della regione del Golfo possano essere raggiunte solo attraverso la cooperazione e il dialogo tra i paesi rivieraschi, lontano dalle interferenze esterne, che aumenteranno solo le tensioni nella regione e non serviranno gli interessi dei suoi abitanti.
Signor Presidente, Signore e Signori,
Con l'aiuto dei suoi alleati e amici, la Siria è stata in grado di resistere al terrorismo organizzato e sostenuto dall'esterno che ha preso di mira insieme il Paese, lo Stato, il Popolo, la Civiltà. E ora che stiamo entrando in una nuova fase e stiamo per raggiungere la vittoria finale in questa guerra, aspiriamo a un futuro prospero e pacifico per il nostro popolo dopo tutto quello che ha sopportato. Ma, nonostante ciò, non abbiamo l'illusione che le sfide e tutti i tipi di difficoltà che affrontiamo oggi, o che ci aspettano domani, saranno meno feroci del terrorismo che abbiamo combattuto; salvo il fatto che siamo altrettanto determinati ad affrontarle e superarle.
Abbiamo sempre coltivato le migliori relazioni con gli altri Stati e non siamo mai stati i promotori di un clima di ostilità nei confronti di nessuno. Oggi abbiamo le mani tese per la pace, continuiamo a desiderare il dialogo e la comprensione reciproca, ma preservando le nostre costanti nazionali sulle quali non cederemo mai.
Certo, alcuni governi hanno danneggiato la Siria e danneggiato il suo popolo. Tuttavia, non tratteremo nessuno secondo una logica di odio o vendetta, ma piuttosto a partire dagli interessi del nostro Paese e del nostro popolo, dal nostro desiderio di portare pace, stabilità e prosperità in Siria e nella regione.

Gli Stati che hanno dimostrato ostilità nei confronti della Siria devono riconsiderare i loro calcoli, correggere i propri errori, uscire dalla loro negazione della realtà e trattare i fatti in modo realistico e razionale nell'interesse di tutti.
Vi ringrazio
Walid al-Mouallem , Vice Primo Ministro e Ministro siriano per gli Affari esteri e gli Espatriati  -  28/09/2019.

domenica 6 ottobre 2019

La Cattedrale di Maria, la chiesa più antica ed emblematica di Damasco

Damasco, SANA
La Cattedrale di Maria è la chiesa più antica di Damasco; risale all'inizio del cristianesimo nel Levante ed è attualmente la sede del 'Patriarcato di Antiochia e dell'intero Oriente' per i greco-ortodossi.
Si trova nella Via Recta, nel quartiere di Bab Sharqui, nel centro del quartiere storico di Damasco. In diversi periodi storici, la chiesa ricevette attacchi ma fu sempre ricostruita e l'ultimo restauro a cui fu sottoposta fu nel 1949.
"È uno dei luoghi di culto più famosi ed emblematici del mondo ed è anche una destinazione per il turismo religioso e culturale", afferma Joseph Zeitoun, capo del dipartimento dell'archivio della cattedrale.
Aggiunge che la cattedrale copre un'area di mille metri quadrati ed è composta da cinque chiese (la chiesa della Vergine Maria, la chiesa di Santa Tecla, la chiesa di Santa Caterina, la chiesa di San Cipriano e Pustina e la chiesa di San Nicola).
"L'architettura della chiesa è bizantina e ha un'accogliente navata con due pulpiti in pietra calcarea che vengono utilizzati per recitazioni bibliche", ha spiegato Zaeitun.
Il soffitto della cattedrale è dipinto e ornato, mentre le sue pareti sono adornate con quadri e icone.
La cattedrale ha due cortili, in uno di essi sorge il campanile della chiesa.

mercoledì 2 ottobre 2019

Per quali motivi con le sanzioni si vuole strangolare la Siria?


di Mostafa El Ayoubi

Dopo il fallimento del progetto di conseguire un cambio di regime in Siria, della crisi che continua ad attanagliare gravemente questo paese se ne parla poco. E, quando ciò avviene è generalmente per analizzare i problemi politici che esistono tra attori esterni che hanno partecipato a questo progetto: Turchia e Usa in particolare, a causa della questione curda. E anche tra Turchia e Ue per quanto riguarda la crisi dei profughi siriani. Ma riguardo invece alla grave crisi umanitaria nella quale vive il popolo siriano a causa delle sanzioni economiche imposte unilateralmente dagli Usa e dai suoi alleati, i media mainstream mantengono un profilo molto basso.
Oggi una gran parte del territorio è tornata sotto il controllo dell’esercito regolare siriano. Ne rimangono tuttavia fuori alcune zone non di poco conto: il nord-est e il nord-ovest.
Nel nord-est una parte del territorio è sotto il controllo delle milizie separatiste curde dell’Unità di protezione popolare (YPG), che fa parte dell’alleanza delle cosiddette Forze Democratiche Siriane. Milizie assistite militarmente sul campo dagli americani (e dai loro alleati inglesi e francesi). Di fatto, oggi i curdi siriani hanno proclamato unilateralmente il Rojava (nord-est) regione autonoma curda. Occorre notare che in questa regione non vi è una omogeneità etnica. Oltre ai curdi ci sono gli arabi sunniti, i cristiani assiri, i turkmeni e altri gruppi etnici e religiosi.
I curdi sono una maggioranza relativa. Se a Kobane i curdi costituiscono il 55% degli abitanti, nel vasto territorio del Rojava (cosi la chiamano i curdi), la cui popolazione ammonta a circa 6 milioni, essi non superano il 40 %. La pretesa separatista dei curdi si scontra con la realtà - complessa dal punto di vista etno-demografico - del nord-est siriano. Ma tra i curdi c’è chi pensa di poter modificare questa realtà. A tal proposito, in un articolo di Repubblica del 16 febbraio scorso si afferma: ”In Siria centinaia di migliaia di arabi sono stati cacciati dalle zone cadute sotto il controllo delle milizie curde sostenute da Washington. Questo spostamento forzato di popolazioni sunnite è stato documentato da organizzazioni non governative e da alcuni organismi internazionali, le accuse contro i curdi vanno dai crimini di guerra alla pulizia etnica”. Nello stesso articolo, l’autore, Paolo Celi, riporta le parole preoccupanti dell’arcivescovo Benham Hindo, vescovo siro cattolico di Hasaka (nord-est) il quale “denuncia un progetto che punta ad eliminare la presenza cristiana e delle altre minoranze da quella parte della Siria”.
Ma nel nord-est siriano ci sono anche i turchi che nel gennaio 2018 hanno invaso Efrin e cacciato via i curdi. Il sostegno di Washington ai curdi siriani è un grosso problema per Ankara. Questa alleanza costituisce il principale motivo delle forti frizioni diplomatiche tra le due capitali negli ultimi 3 anni. La Turchia non vuole in nessun modo che nasca lungo i suoi confini una entità autonoma curda. Per gli Usa una simile entità – sotto la loro tutela - è strategica, perché permetterebbe loro di controllare molto da vicino la Siria ma anche la stessa Turchia.
Memore del fallito di colpo di stato nel luglio 2016 ai suoi danni, il presidente turco Rajab Taib Erdogan non si fida più dell’establishment americano perché lo considera l’ideatore di quell’attentato. Da quella data la Turchia si è avvicinata progressivamente alla Russia (altra protagonista di peso sulla scena siriana, schierata con Damasco). L’acquisto, di recente, di batterie del sistema di difesa antiaerei russo S 400 da parte dei turchi ha provocato l’ira del governo americano. Come ritorsione, il 17 luglio scorso gli americani hanno sospeso la partecipazione della Turchia al programma di produzione del caccia bombardiere F 35. Ma i turchi hanno già individuato nei Sukhoi Su-57 russi una più che valida alternativa per il loro sistema di difesa aerea e ne stanno valutando l’acquisto.
Oggi l’alleanza tra Usa e Turchia non è più strategica di lungo respiro come lo era prima, ma ha assunto una modalità di tipo tattico congiunturale. L’esito finale della guerra contro la Siria stabilirà la natura dei rapporti futuri tra le due nazioni. Gli americani sono consapevoli che sarebbe una sciagura per la Nato perdere i turchi (che costituiscono il secondo esercito, dopo quello americano, di questo organismo militare); sanno che i russi e i cinesi sono pronti ad accoglierli. Motivo per cui prima o poi Washington abbandonerà i suoi alleati curdi per non perdere Ankara!
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Di recente la Casa Bianca ha accettato il diktat di Erdogan per la creazione di una “zona di sicurezza” lungo il confine della Turchia con la Siria, ma esclusivamente nel territorio di quest’ultima. Lo scopo di questa zona cuscinetto – non ben definita - per la Turchia è quella di isolare i curdi e allontanarli dai suoi confini. Il progetto - è partito recentemente con un parziale ritiro, su ordine di Washington, delle milizie combattenti curde dal confine nord est. Questa mossa sta preoccupando, e non poco, i dirigenti curdi siriani che paventano il rischio di essere abbandonati dagli americani.
Un’altra zona importante è la provincia di Idlib nel nord-ovest, ancora in mano alle milizie islamiste - sotto varie sigle ma in gran parte riconducibili a Jabhat al Nusra (e quindi ad al Qaeda) – con la tutela militare della Turchia e il consenso diplomatico degli Usa. Washington e Ankara giustificano la presenza militare illegale in Siria per combattere i jihadisti. Quando in realtà si sa che li hanno utilizzati per destabilizzare e distruggere questo paese.
Riguardo al sostegno ai terroristi, in una inchiesta giornalistica a firma di Dilyana Gaytandzhieva pubblicata il primo settembre scorso sul sito web di Arms Watch si legge che “Silk Way Airlines [di proprietà dell’Azerbaigian] ha effettuato 350 voli diplomatici con armi per terroristi in Siria, Afghanistan, Yemen e Africa. I voli sono stati noleggiati dal Pentagono, dall’Arabia Saudita e dagli Emirati Arabi Uniti. Le armi furono portate di nascosto a Baku (Azerbaigian), alla base aerea di Incirlik”. Questa base si trova in Turchia e appartiene all’esercito americano.  L’inchiesta parla di 3 milioni di unità di armi (proiettili di mortai e missili) provenienti della Serbia (e anche dalla Bulgaria) e destinati ai jihadisti nello Yemen e in Siria. Eppure all’opinione pubblica internazionale, i grandi media raccontano una narrazione diversa: le grandi potenze occidentali e i loro alleati arabi e curdi combattono il terrorismo (vedi Islamic State weapons in Yemen traced back to US Government: Serbia files (part 1), Dilyana Gaytandzhieva, 01/09/ 2019).
Oggi, sia Washington che Ankara temono che la riconquista di Idlib da parte dell’esercito siriano potrebbe sancire la fine della guerra in Siria e quindi la loro sconfitta geopolitica definitiva in Medio Oriente. Ciò comporterebbe per loro il fatto di non avere nessuna influenza sul futuro politico in questo paese, il quale si avvicinerebbe ancor più alla Russia e all’Iran.
Ma come è accaduto ad Aleppo nel 2016, la liberazione di Idlib è solo una questione di tempo perché i russi – a fianco dei siriani - sembrano determinati ad estirpare i terroristi dalla Siria. A tal riguardo, a fine agosto scorso i jihadisti sono stati cacciati da Khan Sheikhoun, città strategica nella provincia di Idlib. Anche la riconquista del nord-est è considerata dalla Siria e dai suoi alleati una questione di calendario.
Ma se di fatto il governo americano ha fallito nel suo progetto di addomesticare militarmente la Siria, esso continuerà a cercare di annientarla economicamente attraverso l’arma micidiale delle sanzioni economiche, le quali a lungo termine sono più letali delle bombe. E su questo aspetto della crisi i grandi media tergiversano sistematicamente.
Le sanzioni contro la Siria partono da lontano. Nel 1979 gli Usa le ha applicate contro Damasco perché la consideravano uno “sponsor del terrorismo”. Nel 2003 altre sanzioni contro di essa sono state messe in atto sotto la legge Patriot act voluta da George W. Bush, il quale dichiarò la Siria parte dell’asse del male, insieme all’Iraq, all’Iran, alla Libia, alla Corea del Nord e a Cuba.
Le misure economiche restrittive e punitive nei confronti della Siria sono state esponenzialmente ampliate a partire dall’inizio della guerra nel 2011. Occorre sottolineare che le sanzioni contro la Siria non sono state decretate dal Consiglio di sicurezza dell’Onu e quindi sono in flagrante violazione del diritto internazionale. Sono state decise dagli Americani e poi dall’Unione europea. E generalmente il governo americano costringe governi, multinazionali e banche ad aderire e a rispettare l’ordine di sanzionare qualsiasi paese considerato come una “minaccia contro la sicurezza degli Stati Uniti d’America”.
“Il governo svizzero è paralizzato dal timore di discostarsi dalla politica delle sanzioni degli Stati Uniti”, si legge in un articolo di Arret sur info dal titolo: Les sanctions contre la Syrie ont des «répercussions dévastatrices» sur la population civile,  pubblicato il 28 giugno 2018. Sulla scia degli Usa, l’Ue applica dal 2011 sanzioni contro la Siria, specie nel settore petrolifero e in quello bancario. Queste misure sono state prorogate nel maggio scorso.
Al riguardo, a margine della novantaduesima Assemblea plenaria dell'incontro delle associazioni cattoliche per l’aiuto ai cristiani d’Oriente  avvenuto lo scorso giugno a Roma, il vescovo Pascal Gollnisch ha definito le sanzioni economiche dell'Unione europea contro la Siria "inaccettabili" , "controproducenti”  e “danneggiano notevolmente una popolazione già ammaccata da otto anni di guerra". [N.d.R.: Di notevole importanza l'esortazione del Card. Parolin all'ONU il 24 settembre 2019 per l'abrogazione delle sanzioni, che segue gli appelli da Aleppo del Card Bagnasco, Monteduro di ACS e Mons. Delpini]
A causa delle sanzioni oggi la Siria è in ginocchio. Il commercio estero è ridotto al minimo. Il Paese è isolato dal sistema bancario internazionale basato sul dollaro. Su pressione del Tesoro americano, compagnie finanziarie come Visa, Master Card hanno sospeso nel 2011 loro servizi in Siria. Le rimesse degli espatriati siriani - voce importante per l’economia di un paese in via di sviluppo – sono ostacolate dall’embargo finanziario. Inoltre i fondi sovrani che sono soldi dello Stato siriano - importanti per pagare le fatture dei prodotti d’importazione - sono oggi congelati nelle banche occidentali.  
Il petrolio greggio costituiva il 53% delle esportazioni siriane prima dell’inizio del conflitto, nel 2015 è precipitato a 6%. Gli introiti derivati servivano per importare combustibili necessari per il fabbisogno interno. Oggi i siriani passano giorni interi in coda per pochi litri di benzina/gasolio e una bombola di gas. Molte fabbriche sono ferme per mancanza di materie prime e pezzi di ricambi soggetti all’embargo.
I forni pubblici per la produzione di pane non riescono ad andare avanti a causa dell’embargo. Prima della crisi, il pane veniva venduto alla metà del prezzo di produzione. E come conferma un rapporto del Consiglio dei diritti umani dell’Onu del gennaio 2011, il paese aveva una discreta autosufficienza alimentare (vedi Report of the Special Rapporteur on the right to food, Olivier De Schutter, Mission to the Syrian Arab Republic, Human Rights Council,  27 January 2011).
Oggi l’economia di questo Paese è crollata vertiginosamente. Secondo un rapporto dell’Onu, pubblicato nel maggio del 2018, il PIL è diminuito di due terzi; nel 2010 un dollaro valeva 45 lire siriane, diventate poi 501 nel 2017; la disoccupazione è passata dall’8,5% del 2010 al 48% nel 2015. Le cause di questa situazione, secondo il relatore del rapporto, sono in gran parte derivanti dalle sanzioni economiche imposte alla Siria.
In un incontro avvenuto a Beirut il 7 agosto dell’anno scorso, un membro della Commissione economica e sociale per l’Asia occidentale dell’Onu ha affermato che per ricostruire la Siria, distrutta dalla guerra e dalle sanzioni, occorrono 388 miliardi di dollari. Gli Usa oggi minacciano e ricattano chiunque abbia l’intenzione di partecipare alla ricostruzione di questo paese.  
Anche i medicinali scarseggiano a causa delle sanzioni; gli ospedali, quelli scampati ai bombardamenti, faticano molto a servire i cittadini bisognosi di cura.  Secondo lo stesso rapporto dell’Onu poc’anzi citato, prima della guerra, il sistema sanitario siriano era uno dei più avanzati nel Medio Oriente. Lo Stato garantiva assistenza sanitaria gratuita per tutti i suoi cittadini. Prima del 2011 il Paese era auto sufficiente per quanto riguarda diversi medicinali vitali perché venivano prodotti in loco.
Oggi le misure restrittive, in particolare quelle relative al sistema bancario, hanno danneggiato la capacità della Siria di acquistare e pagare medicinali, attrezzature, pezzi di ricambio e software. Le aziende private straniere non sono disposte ad effettuare transazioni con la Siria  per il timore di essere accusate di violare le misure restrittive contro di essa (vedi  “End of mission statement of the Special Rapporteur on the negative impact of unilateral coercive measures on the enjoyment of human rights to the Syrian Arab Republic, 13 to 17 May 2018”).  
Parafrasando l’intellettuale francese Frantz Faron, il potere imperialista di fronte ad un popolo sovrano non si arrende. Forte della sua potenza economica cerca di affamare tale popolo per mezzo delle sanzioni e degli embarghi. Ed è ciò che gli Usa stanno facendo oggi al popolo siriano.

http://www.nigrizia.it/notizia/le-sanzioni-strangolano-la-siria

lunedì 30 settembre 2019

Ancora si cerca di proteggere 'i ribelli' di Idlib, ma di chi stiamo parlando?

  Latamne, Idlib: una rete di grotte serviva da base per i ribelli

trad. Gb.P. OraproSiria

I tunnel si dispiegano per centinaia di metri nel buio, intervallati da grotte disseminate di materassi di paglia e immondizia: a Latamné, nel nord della Siria, le forze governative e il loro alleato russo ritengono di aver scoperto una vasta rete sotterranea usata dai gruppi jihadisti.
Il labirinto è scavato dentro una collina rocciosa, le auto e i blindati bruciati sono stati abbandonati lungo la strada sterrata che porta all'ingresso di questa rete sotterranea, che poteva dar rifugio fino a 5.000 persone, secondo l'esercito russo, organizzatore di una visita al luogo per un gruppo di media internazionali, tra cui l'AFP .
All'ingresso, un muro di mattoni con tracce di incendio introduce a una serie di tunnel, a volte abbastanza alti appena per starvi in piedi, e collega le zone scavate nella roccia: sala di preghiera, laboratorio di produzione di droni, servizi igienici e anche una prigione, situata su un altro lato.
"Riteniamo che il complesso sia stato scavato quattro anni fa con strumenti sofisticati, attrezzature che noi non abbiamo in Siria ", assicura il colonnello Rami dell'esercito siriano, durante la visita alla scena in mezzo agli artificieri dell'esercito russo.
"Coloro che erano qui hanno battuto in ritirata verso nord, prima a Khan Sheikhoun nella regione di Idleb, poi più lontano quando la città è stata catturata dall'esercito siriano alla fine di agosto", ha aggiunto.
Secondo le forze governative, il complesso la cui area totale non è stata ancora del tutto valutata, e che hanno trovato abbandonato, ospitava principalmente combattenti del gruppo Jaych al-Islam e jihadisti del fronte Fateh al-Sham, (ex ramo siriano di Al Qaeda).
L'immagine può contenere: 17 persone, persone che sorridono, persone in piedi
Una dozzina di grotte.
Sul pavimento, abbondano lattine di censerve e resti di bottiglie d'acqua di plastica che talvolta si mescolano con vestiti sporchi, piatti abbandonati o barili di benzina vuoti.
Alle pareti, pannelli di piastrellatura decorano alcune stanze, mentre i soldati siriani scrivono slogan pro-Assad su altri.
In una delle stanze, secondo l'esercito russo, sono stati installati cavi elettrici per l'illuminazione e per far funzionare un vecchio televisore con schermo a tubo catodico, portato qui dalla località di Latamné a poco più di un chilometro.
In quello che i soldati siriani pensano sia stata una prigione usata dai ribelli, a 400 metri dall'ingresso principale, il sangue macchia ancora il pavimento, mentre diverse celle anguste sono chiuse da vecchie porte arrugginite.

L'esercito russo afferma di aver trovato "una dozzina" di reti di grotte simili a queste nella regione, e altre in quella di Palmira, riconquistata nel marzo 2016 e di nuovo ripresa nel 2017 ai jihadisti del gruppo dello Stato Islamico.
 
  Brett McGurks (inviato speciale USA della coalizione globale contro l'ISIS) ha espresso un'opinione sulla presenza di al-Qaeda (... rinominato in al-Nusra e ora in HTS) in Idlib  "Nella provincia di Idlib, guarda , la provincia di Idlib è il più grande rifugio sicuro di Al Qaeda dall'11 settembre, legato direttamente ad Ayman Al Zawahiri. Questo è un grosso problema È stato un problema per qualche tempo... Abbiamo puntato i riflettori, i riflettori internazionali sull'ISIS ... ecc ... " 
L'esercito russo ritiene che il complesso vicino a Latamné servisse in particolare come laboratorio di produzione di droni per i ribelli.  Gli attacchi con droni artigianali sono attualmente una delle principali spine nei piedi delle forze russe in Siria, e la loro base a Hmeimim, nella regione vicina, viene periodicamente attaccata.
L'ultimo attacco è avvenuto all'inizio di settembre, secondo l'esercito russo.

venerdì 27 settembre 2019

Alle Nazioni Unite, il Card Parolin esorta a trovare una soluzione alla Siria... e chiede l'abrogazione delle sanzioni

Dopo otto anni di guerra in Siria, è "urgente", afferma il cardinale Parolin, "uscire dalla stagnazione politica e avere il coraggio di cercare nuove vie di dialogo e nuove soluzioni, in uno spirito di realismo e preoccupazione delle persone coinvolte ".
Il cardinale Pietro Parolin, segretario di Stato, ha parlato alla 74a Assemblea generale delle Nazioni Unite nella riunione ministeriale di alto livello sulla Siria a New York il 24 settembre 2019. Riferendosi alla sofferenza della popolazione civile,  ha chiesto l'abrogazione delle sanzioni, il sostegno al ritorno volontario e l'incoraggiamento alla presenza dei cristiani.
Il rappresentante della Santa Sede ha inoltre esortato "a rispettare rigorosamente i principi del diritto internazionale umanitario", "a superare gli interessi partigiani e a rispettare i diritti e le aspirazioni del popolo siriano".
Idleb

Ecco la traduzione di ZENIT  del discorso del cardinale Parolin, pronunciato in inglese.

Discorso del cardinale Pietro Parolin
Signora Alto Rappresentante,
Vorrei esprimere la mia gratitudine all'Unione Europea per l'organizzazione dell'evento di oggi e il mio sostegno per le sue varie iniziative, in particolare le conferenze di Bruxelles, che mirano a trovare una soluzione politica duratura al conflitto in Siria. La Santa Sede continua a seguire con grande preoccupazione questa tragedia che ha afflitto il popolo siriano per oltre otto anni, creando una drammatica situazione umanitaria. È in questo contesto che papa Francesco scrisse al presidente Bashar al-Assad alla fine di giugno.
La Santa Sede ha sempre insistito sulla necessità di rispettare rigorosamente i principi del diritto internazionale umanitario e di cercare una soluzione politica praticabile per porre fine al conflitto, superare gli interessi di parte e rispettare i diritti e le aspirazioni del popolo siriano. Ciò deve essere fatto con gli strumenti della diplomazia, del dialogo, dei negoziati e con la partecipazione della comunità internazionale.
Per quanto riguarda la sofferenza della popolazione civile, la Santa Sede desidera sottolineare tre aspetti:
  1. le sanzioni imposte creano anche pesanti oneri per la popolazione civile. In effetti, gli enti di beneficenza che lavorano sul campo hanno ripetutamente sottolineato gli effetti dannosi di queste sanzioni sui civili, chiedendo la loro abrogazione;
  2. la questione del ritorno dei profughi e della riconciliazione. La Santa Sede invita la comunità internazionale a sostenere e incoraggiare il loro ritorno sicuro e volontario, nonché quello degli sfollati;
  3. I cristiani e le minoranze religiose hanno sempre avuto un ruolo specifico nel tessuto sociale del Medio Oriente. La loro presenza deve essere sostenuta e incoraggiata come contributo alla coesione sociale e al necessario processo di riconciliazione. Come ha sottolineato papa Francesco nel suo ultimo discorso al Corpo diplomatico accreditato presso la Santa Sede: "È estremamente importante che i cristiani abbiano un posto nel futuro della regione". La Santa Sede spera che "le autorità politiche non mancheranno di garantire la loro sicurezza e tutto ciò di cui hanno bisogno per continuare a vivere nei paesi di cui sono cittadini a pieno titolo e per contribuire alla loro crescita" (1).
La Santa Sede incoraggia fortemente la comunità internazionale "a non trascurare i molti bisogni delle vittime di questa crisi, e soprattutto a mettere da parte gli interessi di parte per essere al servizio della pace e porre fine alla guerra" (2) .
Dopo otto dolorosi anni di conflitto, è necessario, e persino urgente, uscire dalla stagnazione politica e avere il coraggio di cercare nuovi modi di dialogo e nuove soluzioni, in uno spirito di realismo e preoccupazione per quanti sono coinvolti.  Non è solo la stabilità del Medio Oriente a essere in gioco, ma anche il futuro stesso dei giovani, molti dei quali sono nati e cresciuti al di fuori del proprio paese, che sono spesso privati ​​delle opportunità di istruzione e non dispongono dei prodotti di prima necessità per vivere. Troppo spesso diventano facili prede del crimine e della radicalizzazione. È una questione di dignità e civiltà.
Desidero assicurarvi che la Santa Sede e la Chiesa cattolica in generale manterranno il loro impegno per incoraggiare la ricerca di soluzioni praticabili alla crisi e continueranno a prestare attenzione alla situazione umanitaria, fornendo assistenza alle popolazioni colpite dal conflitto in Siria e ai rifugiati così come alle comunità che li ospitano, senza alcuna distinzione basata sull'identità religiosa o etnica, per coloro che ne hanno bisogno.
Grazie, Signora Alto Rappresentante.
NOTE
  1. Papa Francesco, Discorso al Corpo Diplomatico accreditato presso la Santa Sede , 7 gennaio 2019.
  2. Papa Francesco, Discorso ai partecipanti all'incontro di lavoro sulla crisi in Siria e nei paesi vicini , 14 settembre 2018.

mercoledì 25 settembre 2019

Al-Moallem: il Comitato inizierà i lavori per la revisione della Costituzione a Ginevra il 30 ottobre

In un'intervista con la televisione di stato “Al-Suriya”, al-Moallem ha spiegato che il Comitato Costituzionale è il risultato della Conferenza sul dialogo nazionale siriano tenutasi a Sochi nel gennaio 2018 e rivedrà la Costituzione del 2012. Il vice primo ministro e ministro degli Esteri e degli emigranti Walid al-Moallem ha affermato che la Siria non accetterà dettami, pressioni o interferenze esterne nei lavori del Comitato costituzionale.
"I negoziati per formare questo Comitato sono durati 18 mesi a causa delle pressioni esterne esercitate sull'Inviato Speciale del Segretario Generale delle Nazioni Unite per ostacolare la formazione del comitato", ha detto. Il capo della diplomazia siriana ha affermato che i nomi dei membri del comitato allargato e del mini-comitato sono stati concordati con l'inviato delle Nazioni Unite, nonché le norme procedurali che regolano il lavoro del dialogo tra le parti siriane sulla revisione della Costituzione.
" Il Comitato allargato è stato accreditato formalmente a gennaio 2018, sotto la guida della Russia, e comprenderà 150 membri, 50 dei quali saranno scelti dal governo, 50 dall'opposizione e 50 dalle Nazioni Unite per includere rappresentanti della società civile. Poi verrà formato un mini-comitato composto da 45 membri, 15 di ciascuna parte".
Ha comunicato che il Comitato inizierà i suoi lavori a Ginevra il 30 del prossimo mese e che l'inviato delle Nazioni Unite, Gier Pedersen, tornerà a Damasco dopo le riunioni dell'Assemblea Generale delle Nazioni Unite per concordare tutti i dettagli.
"Alla luce dei progressi compiuti dal Mini-comitato e man mano che questi lavori procedono, il Comitato allargato può essere invitato a votare i suoi risultati", ha affermato Al-Moallem. Il Comitato allargato voterà su ciò che è stato concordato dal Mini-comitato che potrebbe inserire nuovi articoli o modificarli. D'altra parte, il ministro degli Esteri al-Moallem ha assicurato che Damasco rifiuta qualsiasi interferenza esterna nei lavori del Comitato e non accetterà imposizioni esterne o un programma per il suo lavoro, che resterà attivo fino alla fine dei suoi lavori.
Ha inoltre sottilineato che tutti i membri del Comitato devono riconoscere che la Repubblica Araba Siriana è uno stato sovrano e indipendente e che liberare il suo territorio dal terrorismo e dalla presenza esterna è un dovere nazionale.
Al-Moallem ha spiegato che i membri del Comitato designati dal governo siriano rappresentano tutte le province e appartengono a tutto lo spettro della società.
"Il ruolo delle Nazioni Unite nei lavori del Comitato è di facilitare il lavoro delle parti in conformità con l'accordo della sua composizione e non interferirebbe con i contenuti del dibattito", ha affermato. Ha anche dichiarato che è inaccettabile "parlare di Costituzioni pronte e che il Comitato stesso è quello che dibatte, discute, decide e vota su ciascuno degli articoli concordati.
Il ministro degli Esteri siriano ha ribadito che la Siria è determinata a liberare ogni centimetro del territorio nazionale dal terrorismo e dalla presenza straniera illegale e ha osservato che questo è un diritto della Siria garantito dal diritto internazionale e dalla Carta delle Nazioni Unite.
 "La Siria sta lavorando su tre percorsi (politico, militare e di riconciliazione) e si affida alle proprie capacità per ricostruire ciò che i terroristi hanno distrutto", ha concluso.
Fonte SANA  , trad. Gb.P.

domenica 22 settembre 2019

Contro le sanzioni alla Siria anche i Vescovi dell'Europa


Ho visto tanta distruzione ma anche tanta fede”: così l’arcivescovo di Genova, card. Angelo Bagnasco, racconta al Sir il suo viaggio in Siria. Partito lunedì 16 settembre, il porporato, che è anche presidente del Consiglio delle Conferenze episcopali europee (Ccee), è rientrato oggi a Genova e al telefono prova a raccogliere le tante emozioni e immagini vissute in questi giorni trascorsi ad Aleppo, città simbolo di un conflitto entrato ormai nel suo nono anno.
Ho accolto senza esitazioni un invito da parte delle comunità cristiane di Aleppo e del parroco, padre Ibrahim Alsabagh – spiega il porporato –. Ho visto un Paese mezzo distrutto e una città martoriata, uno scempio in tutti i sensi compiuto dai gruppi armati in lotta. Ma nello stesso tempo, a fronte di questa situazione veramente difficile e grave,
ho potuto conoscere delle comunità cristiane decise a risorgere e ad aiutare il Paese a ricostruirsi. Questo attraverso una maggiore coesione interna tra le diverse comunità cattoliche, che sono di diversi riti, e cristiane, in particolare con le ortodosse. Insieme cercano di infondere speranza e fiducia e dare coraggio a resistere, oggi come ieri, nel tempo della distruzione e in quello della ricostruzione”.

Eminenza cosa altro l’ha colpita di questa visita in Siria?
Sono rimasto colpito da alcune famiglie che ho potuto incontrare nelle loro case ricostruite grazie agli aiuti, in particolare, della Cei provenienti dai fondi dell’8×1000. Accompagnato dal loro parroco padre Ibrahim ho benedetto i locali rinnovati e le famiglie che vi hanno fatto ritorno, con i loro piccoli. Ho notato la felicità nei loro volti. Ho visto anche una grande dignità davanti al lavoro che manca. La casa è fondamentale così come un’occupazione. Diversi papà mi hanno confidato di avere tanta difficoltà a mettere insieme il pranzo con la cena per le loro famiglie.
L'immagine può contenere: 7 persone, persone che sorridono, persone in piedi

Nei giorni trascorsi in Siria è riuscito a farsi un’idea del perché di questa guerra?
Molti siriani si domandano il perché di questa guerra. Tutti si interrogano, sono consapevoli di non avere la verità in mano. Certamente riconoscono alcuni elementi di questo conflitto ma ciò che sfugge è il disegno complessivo e reale di quanto sta accadendo. In mezzo a tanta nebulosità politica, dove diverse forze esterne e internazionali sono entrate in gioco, ho rilevato – e lo vorrei sottolineare con chiarezza – la durezza delle sanzioni.
Finché ci saranno le sanzioni temo che la ricostruzione economica e sociale del Paese sarà molto difficile.
Credo che le sanzioni siano una forma di guerra per affossare un Paese. Se così fosse sarebbe assolutamente ingiusto e inaccettabile.

Ora che è rientrato come pensa di tenere vivo il ricordo di questo viaggio?
Ho promesso ai fedeli, ai sacerdoti, religiosi e ai vescovi che ho incontrato in Siria, insieme al nunzio apostolico, card. Mario Zenari, di raccontare ciò che ho visto e udito questi giorni e di testimoniare il buon esempio di queste comunità siriane segnate da tanti morti e da tanti martiri. È necessario continuare a dare il nostro aiuto. Lo Stato, infatti, non riesce a fare fronte alla ricostruzione, e nemmeno la Chiesa locale. Quest’ultima cerca di darsi da fare con aiuti che giungono da altre conferenze episcopali, come la nostra, e da benefattori, innanzitutto per ricostruire case e appartamenti da riconsegnare alle famiglie proprietarie che le abitavano già prima della guerra.

Porterà la sua testimonianza al Consiglio episcopale permanente del 23 settembre?
Lunedì al Cep farò un piccolo accenno a questo viaggio anche perché mi hanno incaricato di ringraziare la Cei per la sua vicinanza e generosità. In Siria ho visto un grande entusiasmo e tanta riconoscenza da parte dei fedeli. Sono visite importanti perché non li fanno sentire abbandonati. La Siria è Terra Santa, grazie a san Paolo. Andare sulle orme dell’Apostolo come pellegrini non farà altro che aiutare questo martoriato Paese a risollevarsi.

https://www.agensir.it/mondo/2019/09/20/siria-card-bagnasco-ad-aleppo-ho-visto-tanta-distruzione-ma-anche-tanta-fede-sanzioni-durissime/


Vicario di Aleppo: Le sanzioni contro la Siria, un crimine che affossa la popolazione 
 Le sanzioni economiche contro la Siria “sono un crimine” che colpisce prima di tutto “la popolazione” e impedisce, di fatto, la ripresa di una nazione “ancora in difficoltà” dopo otto anni di guerra. È quanto sottolinea ad AsiaNews il vicario apostolico di Aleppo dei Latini, mons. Georges Abou Khazen, secondo cui “da un conflitto militare” si è passati a una “guerra economica e commerciale” e a soffrire “è sempre la gente comune. Ecco perché - aggiunge - vanno tolte subito, prima che la situazione precipiti”. 
Uno dei segnali più evidenti della stretta delle potenze occidentali verso la Siria è il crollo della valuta locale. “prima della guerra - ricorda il prelato - un dollaro statunitense equivaleva a 48, massimo 50 lire siriane. La scorsa settimana è arrivato a sfiorare quota 700 lire e oggi il tasso di cambio è attorno alle 630 lire”. Questa inflazione, avverte mons. Abou Khazen, “blocca l’economia e tocca le persone comuni, prime vittime del caro-vita”. 

Oggigiorno - racconta il vicario di Aleppo - si fatica a trovare beni e risorse, anche quelle di prima necessità. Soprattutto la merce che viene da fuori, le persone non sanno come acquistarla perché mancano i soldi e le risorse a disposizione scarseggiano. Mancano tante cose che, prima della guerra, si potevano trovare con facilità”. Al contempo, avverte, “le persone devono sopravvivere con la stessa paga del periodo pre-bellico, ma è ovvio che oggi il potere di acquisto dei salari è di gran lunga inferiore. Oggi, di fatto, non si vive”. 
Analisti ed esperti concordano nel ritenere che il crollo della lira sia uno dei segnali più evidenti delle gravissime difficoltà attraversate da un Paese che cerca a fatica di uscire da un drammatico conflitto. Dopo più di otto anni la situazione a Damasco, Aleppo e altri grandi centri sembra essere “migliorata da un punto di vista della sicurezza” come conferma il vicario apostolico, ma molto resta da fare “sotto il profilo economico e alcune sacche di conflitto, come quella tuttora in atto a Idlib, preoccupano ed è grande il timore di una nuova escalation per la presenza nell’area di interessi contrastanti fra curdi, turchi, Stati Uniti e alleati regionali. 

Fra le cause del crollo della lira l’elevata richiesta di moneta statunitense nel vicino Libano, il cui sistema bancario viene utilizzato dagli importatori siriani per le transazioni. Il governo sta cercando di intervenire per bloccare l’inflazione e fermare il mercato nero, ma le risorse messe in campo sinora si sono rivelate insufficienti. La crisi valutaria ha messo in ginocchio soprattutto gli importatori, costretti a commerciare in dollari. “Vi sono un sacco di prodotti - racconta il 58enne Haytham Ghanmeh, commerciante in cosmetici nella città vecchia a Damasco - che non si trovano più nei mercati, perché abbiamo molti timori a comprare visti i prezzi attuali”. 
Il nodo centrale, torna a sottolineare il vicario di Aleppo, restano le sanzioni che, fra l’altro, hanno “quasi azzerato l’importazione di farmaci salvavita come i chemioterapici per la cura del cancro o i medicinali necessari per la dialisi nei malati di diabete. Alcuni farmaci fra i più ordinari vengono prodotti in Siria e non se ne avverte la mancanza. Ma se si parla di quelli per curare il cancro o altre patologie importanti, la situazione è ben diversa”. 
La gente è sempre più stanca e non sa cosa fare” ammette sconsolato mons. Abou Khazen. “Dopo la guerra militare - sottolinserea - ora dobbiamo affrontare quella economica per le sanzioni Usa ed europee. Ogni famiglia può disporre di soli 100 litri di benzina al mese, una bombola di gas che basta a malapena per cucinare e non parliamo del gasolio per riscaldare, in vista dell’inverno”. “Arrivati a questo punto - conclude il prelato - si fa sempre più fatica ad andare avanti e la gente sta perdendo la speranza”.