AsiaNews, 19 dicembre 2017
La
pace in tutta la Siria, la lotta alla disoccupazione che frena la
(lenta) ripresa e la riunificazione delle molte famiglie spezzate
dalla guerra, che in oltre sei anni di violenze ha trasformato
milioni di persone in migranti in cerca di riparo all’estero o
sfollati interni. Sono questi i due grandi desideri che animano la
popolazione cristiana di Aleppo in queste settimane di Avvento che
preparano al Natale, come racconta ad AsiaNews il
vicario apostolico dei Latini, mons.
Georges Abou Khazen.
Ad un anno dalla fine della battaglia per la città “si vive un
clima di maggiore speranza”, aggiunge, e “vi è anche molta più
sicurezza. Tutto questo induce ad un moderato ottimismo, perché si
raggiunga una soluzione che coinvolga tutto il Paese”.
La
migrazione “resta un problema”, sottolinea il vicario apostolico
di Aleppo, anche perché “sono partiti soprattutto i giovani” e
il loro ritorno è una “priorità” per far ripartire la città.
Intanto la Chiesa locale, prosegue il prelato, ha avviato o sostiene
con fondi specifici “progetti di micro-impresa a livello locale:
adesso la nostra sfida è passare dal sussidio all’autosufficienza”.
Da
qui lo stanziamento di somme di denaro per l’apertura di
pasticcerie, negozi di barbieri, falegnamerie, imprese artigiani,
fabbri ferrai perché “è dalle piccole attività di ogni giorno
che bisogna ripartire”. “Il ritorno dell’elettricità per 13,
14 ore al giorno, insieme alla fornitura costante di acqua -
sottolinea mons. Georges - sono i segni più importanti della
rinascita”.
Adesso
è possibile tornare a vedere in alcuni punti “una città pulita”
e “strade illuminate con pannelli solari”. Dall’oscurità alla
luce, aggiunge il vescovo, “è una sensazione nuova, compresa
l’illuminazione delle strade di notte”.
Prima
della guerra Aleppo era la seconda città per importanza della Siria,
oltre che il suo principale motore economico e commerciale. Dal 2012
è stata divisa in due settori: occidentale, dove hanno vissuto 1,2
milioni di persone, sotto il controllo del governo; la zona
orientale, circa 250mila persone, nelle mani delle milizie ribelli e
di gruppi jihadisti. La resa dei ribelli, che hanno trattato
l’uscita dalla città,
e la successiva riunificazione risalgono al dicembre dello scorso
anno; la popolazione ha potuto festeggiare con canti
e balli la
fine dei combattimenti e il Natale alle porte.
A
distanza di un anno è partita l’opera di rimozione delle macerie,
le strade sono più pulite, il traffico è aumentato, hanno riaperto
alcune officine. “Qualcosa si muove”, racconta mons. Georges,
anche se “molta gente resta senza lavoro, sono tantissimi i bambini
orfani di guerra o abbandonati che abbiamo scoperto nei mesi
successivi all’unificazione della città”. Uno dei grandi
ostacoli alla ripresa di Aleppo “è la disoccupazione: vanno
riparati i macchinari rubati o trafugati dalle aziende negli anni di
guerra, vanno sistemate le abitazioni per consentire il ritorno dei
profughi”.
La
Chiesa locale partecipa all’opera di ricostruzione degli edifici,
sostiene la piccola impresa, prosegue la distribuzione dei pacchi
alimentari. “Quasi tutte le famiglie - racconta il prelato -
confidano ancora nei nostri aiuti: si tratta di circa 10.500 nuclei
cristiani di tutte le confessioni. E poi vi è l’assistenza
sanitaria e la distribuzione di medicine, anche questa una priorità
nel contesto di una svalutazione della moneta locale, la lira, il cui
valore di acquisto è assai inferiore e lo stipendio medio di un
lavoratore, sebbene sia rimasto invariato, non è più sufficiente”.
Intanto
la comunità si avvicina al Natale con “molta più speranza, più
sicurezza, con l’augurio che la guerra possa finire presto in tutto
il Paese. Le strade vengono addobbate a festa, un municipio guidato
da una maggioranza musulmana ha voluto mettere stendardi e simboli
della festa cristiana. E ancora, le chiese addobbate con i presepi,
le animazioni promosse dai giovani. Si respira - conferma il vescovo
- un clima diverso all’anno passato”.
In
questi giorni che avvicinano alla festa, il vicario apostolico di
Aleppo vuole rivolgere un pensiero finale ai bambini, che
rappresentano “il futuro e la speranza” della comunità cristiana
e di tutto il Paese. “Come Chiesa abbiamo preparato dei doni da
distribuire, insieme a un vestito per la festa che possa servire per
tutto l’inverno. A questo si aggiungono dei pranzi di gruppo il
giorno di Natale e quello successivo; un'occasione per stare insieme,
fare festa, con canti e balli. Ma oltre la festa - conclude il
prelato - vi è l’impegno perché possano frequentare la scuola: a
oggi paghiamo per intero la retta di 3200 studenti, versando nelle
casse degli istituti, in maggioranza privati, fino a 150 dollari
all’anno, distribuendo anche libri e quaderni ai più poveri, ma
meritevoli”.
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