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martedì 18 aprile 2017

Stragi di bambini in Siria: 1 Attacco chimico false flag o attacco chimico made in Hollywood?


I Fatti (o presunti tali)
Nella mattinata di martedì 4 aprile secondo quanto si può giudicare dalle ombre nei filmati, o intorno a mezzogiorno secondo il rapporto del portavoce delle forze aerospaziali russe presenti in Siria, due aviogetti Sukhoi della aviazione militare siriana avrebbero attaccato con armi chimiche il villaggio di Khan Sheikhoun provocando, a seconda delle fonti, tutte rigidamente riconducibili alle formazioni jihadiste, o 59 morti di cui 11 bambini  o 79 morti di cui 28 bambini o 45 morti di cui 11 bambini. Le fonti affermavano che l’aggressivo chimico utilizzato era gas nervino Sarin. A seguito di questo attacco e nonostante la smentita e del governo siriano e delle forze russe operanti in Siria, senza che alcuna inchiesta indipendente potesse accertare i fatti, gli alleati occidentali della NATO, l’amministrazione USA e le monarchie del golfo con a capo l’Arabia Saudita condannavano l’uso di armi di distruzione di massa attribuendone senza riserve la responsabilità al governo siriano. Solo il veto russo impediva la condanna dello stesso da parte del Consiglio di Sicurezza dell’ONU. Il presidente americano Trump affermava poi che una linea rossa era stata superata e che provvedimenti adeguati sarebbero stati presi anche al di fuori delle direttive dell’ONU. Nella notte tra il 6 e il 7 aprile due cacciatorpedinieri  della sesta flotta USA, in navigazione al largo di Creta, lanciavano una salva di 59 missili Tomahawk come ritorsione contro la base aerea dalla quale erano partiti gli aerei per il raid su Khan Sheikhoun.

Alcune considerazioni tecniche.
L’accusa alle forze armate siriane di aver usato armi chimiche nel raid del 4 aprile dovrebbe confutarsi da sola poichè le forze armate siriane non dispongono più di armi chimiche. Queste sono state consegnate alle Nazioni Unite e distrutte per idrolisi nel mediterraneo nel 2013, a seguito dell’incidente di Ghouta (sobborgo di Damasco) in cui i governativi siriani vennero accusati di aver impiegato aggressivi chimici contro la popolazione. Accusa poi dimostrata infondata da numerose inchieste indipendenti tra cui quella del MIT di Boston, di Carla del Ponte, già magistrato del tribunale internazionale dell’Aia, e del giornalista premio pulitzer Seymour  Hersch. Per evitare la rappresaglia minacciata dal Presidente Obama, con la mediazione della Russia il governo di Damasco acconsentì a consegnare tutto il suo arsenale chimico e di sottostare alle ispezioni dell’agenzia internazionale per la eliminazione dello stesso. Inoltre l’accusa parla specificatamente di gas nervino che l’apparato industriale siriano, dopo le distruzioni causate da 6 anni di guerra non è più in grado di produrre mancando anche dei precursori che non può acquistare sul mercato internazionale per via dell’embargo .
L’uso di gas nervino verrebbe smentito anche dai filmati prodotti a prova dell’aggressione. Il Sarin è un agente neurotossico che inibisce la trasmissione neuroelettrica degli impulsi che nel sistema nervoso provocando il blocco della muscolatura volontaria e involontaria. La morte avviene, a seconda della concentrazione del gas, in pochi secondi o al massimo in pochi minuti salvo che si pratichi immediatamente una iniezione di atropina che neutralizza l’azione della neurotossina. L’assorbimento avviene per  inalazione o per penetrazione cutanea per cui la maschera antigas è assolutamente inutile se non associata ad una tuta completa impermeabile e stagna. Nei filmati si vedono i soccorritori [i rinomati White Helmets] trattare le vittime a mani nude ovvero con guanti di lattice che sono porosi e permeabili alla molecola del gas o ancora con mascherine di carta assolutamente ridicole in aree contaminate dal Sarin.
Si vedono anche soccorritori lavare le persone con getti d’acqua, altra cosa inutile perchè occorre unire all’acqua dei detergenti che provochino la scomposizione della molecola del gas nervino. In poche parole se ci fosse stato un attacco col Sarin o con qualsivoglia altro neurotossico derivato dall’acido ortofosforico  (Tabun o Soman) tutte le persone che si vedono nei filmati sarebbero dovute morire in pochi minuti. Un'altra considerazione che smentisce l’uso del Sarin viene dalle condizioni meteorologiche del giorno, invero perfette per un attacco chimico, che però se ci fosse stato avrebbe provocato non un centinaio ma decine di migliaia di morti. L’ipotesi che si sia trattato di un attacco con vescicanti come l’iprite, che agisce sulle mucose dei polmoni distruggendole e provocando la morte per asfissia viene smentita dall’assenza sui corpi delle vittime (come appaiono nei filmati che sono stati prodotti esclusivamente dai jihadisti)  di ulcerazioni  che invece avrebbero dovuto essere presenti stante l’abbigliamento leggero. Resta il cloro che però non viene citato dai soccorritori forse per sviare i sospetti visto che proprio il cloro è stato usato più volte, sia ad Aleppo che contro i Curdi e in Iraq dalle milizie salafite di Al Nusra e dell’Isis. Sempre dal punto di vista tecnico poi bisogna rilevare che i cacciabombardieri Sukhoi impiegati nel raid non hanno gli attacchi per i dispenser per la diffusione del cloro o per la diffusione di qualsivoglia altro aerosol. Le immagini poi dell’edificio teoricamente epicentro dell’attacco lo mostrano completamente distrutto, segno evidente di un bombardamento con bombe ad alto potenziale esplosivo. Se veramente fosse stato attaccato con ordigni caricati con aggressivi chimici avrebbe avuto al massimo qualche buco nei muri o sul tetto, non parliamo poi se il gas fosse stato disperso come aerosol , l’edificio sarebbe stato perfettamente intatto. Tutto questo fa pensare che se una contaminazione da aggressivi chimici c’è stata questi fossero stoccati nell’edificio distrutto da un bombardamento convenzionale.
Da ultimo, prima di passare ad altro genere di considerazioni, se alla base di Al Shayrat ci fosse stato stoccaggio di armi chimiche il bombardamento americano ne avrebbe provocato la dispersione e comunque il pericolo che potessero disperdersi avrebbe impedito la ripresa dell’operatività della base il giorno dopo l’attacco.

Passiamo ora a considerazioni di carattere etico, stante che la verità è la prima vittima della guerra e la menzogna una delle sue armi più micidiali.
Sorvolando sul fatto che un attacco aereo americano, effettuato il 12 aprile sull’area di Deir Ezzor, ha colpito un deposito di armi chimiche delle forze dell’ISIS che assediano la città provocando una nube tossica che ucciso centinaia di civili senza che alcuna protesta si levasse da parte delle anime candide dell’occidente, e senza che i media mainstream ne facessero cenno, i filmati, e le foto, che possiamo vedere in abbondanza su internet pongono una serie di pesanti interrogativi. Per prima cosa nessuno di loro è stato diffuso da una fonte indipendente. I diffusori sono stati i famigerati Caschi Bianchi associazione “umanitaria” affiliata ad Al Nusra, l’osservatorio di Londra composto da un solo individuo che vive in Inghilterra da anni ed è finanziato da una moltitudine di sigle tutte riconducibili ai nemici giurati del presidente Assad e la televisione ufficiale del partito curdo iracheno di Al Barzani notoriamente sostenuto e finanziato da Israele. Il medico che, nonostante la dichiarata grave emergenza, invece di stare al capezzale dei pazienti, ha trovato il tempo di esibirsi davanti alle telecamere denunciando il fatto che i feriti ricoverati avevano evidentemente subito un attacco con gas nervino, risultava poi essere il Dott. Sjahul Islam, cittadino del Regno Unito, ricercato dall’MI6 britannico come terrorista per aver partecipato al rapimento da parte dell’ISIS di due giornalisti John Cantlie e Jeoren Orlemans di cui uno ancora prigioniero dei Jihadisti.  La moltitudine di immagini profuse poi sul web ha permesso di constatare che stranamente in nessuna comparivano, nè morti nè vivi, i genitori delle piccole vittime il che pone il dubbio che i bambini non fossero di Khan Sheikhoun ma quelli rapiti durante l’offensiva della fine di marzo nei villaggi cristiani occupati dai miliziani. E in effetti la stessa cose era successa a Ghouta nel 2013 quando le uniche piccole vittime identificate provenivano dai villaggi Alawiti vicino a Latakia dove erano stati rapiti dai Jihadisti. Compare poi nelle immagini un “salvato” riconoscibilissimo per struttura corporea e particolarità del volto, che già compariva nelle vesti di Casco Bianco ad Aleppo prima della liberazione della città, poi ancora ad Aleppo come vittima estratta dalle macerie, poi sempre ad Aleppo come donatore di sangue, quindi a Idlib come ferito e finalmente a Khan Sheikhoun come sopravvissuto all’attacco chimico. Esiste un filmato in cui uno dei bimbi “morti” non si accorge che la telecamera è ancora puntata su di lui e apre gli occhi. Da ultimo i Dottori Svedesi per i Diritti Umani (swedhr.org) hanno analizzato un video, relativo ad un altro episodio denunciato dai Caschi Bianchi come attacco chimico da parte di forze governative,  dove viene filmata un’operazione per salvare un bambino vittima di aggressivi chimici. I dottori hanno constatato che nel video sono chiaramente presenti delle falsificazioni, dal momento che in sottofondo si sentono delle autentiche indicazioni “di regia” in arabo, e che la cosiddetta “operazione” è in realtà un omicidio. Un’analisi superficiale del video sembrerebbe infatti suggerire che i medici stessero cercando di rianimare un bambino che era ormai clinicamente morto (https://youtu.be/WAxg9_T-W7Y).In realtà, dopo un più attento esame, il gruppo di SWEDHR ha accertato che il bambino aveva perso coscienza a causa di un’overdose di oppiacei. Nel video si vede il bambino che riceve un’iniezione al petto, nel settore cardiaco, iniezione che alla fine lo ha ucciso, mentre gli veniva data una falsa dose di adrenalina. Si è trattato di un omicidio.

Da questo a pensare che ci si trovi di fronte ad una messa in scena “Hollywoodiana” non ci fa sentire particolarmente colpevoli o in malafede.

Chiudiamo con alcune considerazioni di carattere politico e strategico. Se Assad che nel 2013, quando la situazione del legittimo governo siriano era difficile se non disperata, ha accettato di disfarsi del suo arsenale chimico, avesse ordinato oggi, quando la vittoria è alle porte, grazie all’intervento degli alleati russi, iraniani ed Hezbollah, un inutile attacco chimico con armi non si sa bene come conservate, si dimostrerebbe come uno stupido incapace mentre nei sei anni di guerra passati aveva dimostrato al contrario di essere un politico estremamente accorto nel gestire la situazione.

Il presidente Trump ponendosi fuori della legalità internazionale ordinando una rappresaglia senza avere alcuna prova concreta di quanto è accaduto, ha dimostrato che negli USA la politica estera non è gestita dalla Casa Bianca ma dai circoli “neo conservatori” legati al complesso militare industriale. Questi ultimi credono di poter gestire il mondo dall’alto di una potenza militare calcolata avendo come parametro i miliardi di dollari che ogni anno vengono  profusi nel comparto militare, tanto da aver portato il bilancio USA della difesa ad essere superiore alla somma di quelli delle 5 potenze, di cui 3 alleate, che li seguono nella classifica. In verità però il risultato del lancio di 59 missili cruise Tomahawk, per una spesa complessiva di 90 milioni di dollari, è stato a dir poco deludente. Solo 23 sono arrivati sul bersaglio o nelle sue prossimità, probabilmente perché deviati in mare dalle contromisure elettroniche del sistema di difesa aerea installato dalle forze armate russe, cosi come pare fosse successo nel 2013 a due lanci ordinati da Obama. Quelli che hanno colpito il bersaglio hanno fatto danni così irrilevanti da permettere che la base tornasse operativa 48 ore dopo l’attacco Se fossi un ammiraglio della “marina più potente nel mondo” sarei un po' preoccupato.

Alcuni commentatori solitamente dispensatori di analisi acute come Maurizio Blondet e Thierry Meyssan ritengono che anche la rappresaglia sia stata una messa in scena ad uso interno per risollevare le sorti di una presidenza sempre più assediata dall’apparato. L’attacco sarebbe stato concordato con i Russi, avvertiti, questo è assodato, in anticipo, per fare il minor danno possibile in Siria e il maggior effetto possibile a Washington mettendo così la mordacchia agli esagitati alla McCain. Aderirei a quest’analisi se non ci fossero state le due mosse successive e cioè la virata di 180 gradi nell’impostazione politica sulla Siria che è passata dal sostanziale riconoscimento della legittimità del governo di Assad (cosa per altro dato di fatto dal punto di vista del diritto internazionale) al porre come priorità il suo rovesciamento che, se tentato porrebbe gli USA in rotta di collisione con la Federazione Russa, l’Iran e probabilmente anche con la Cina. Federazione Russa che per altro ha già fatto sapere che qualsiasi altro tentativo di aggressione alla Siria darà luogo a risposte militari.  La seconda mossa ben più preoccupante consiste nell’invio della lettera di richiamo a 150.000 riservisti cioè l’organico di 30 brigate. Atto che non si può fare per mera attività di propaganda perché corrisponde, mutatis mutandis, alla mobilitazione generale proclamata dalle potenze europee nell’agosto del 1914.

A noi osservatori impotenti non resta che stare a guardare nella speranza, ahimè flebile, che i potenti d’Oltreoceano rinsaviscano.
S.E.  
http://www.appunti.ru/articolo.aspx?id=930&type=home

domenica 16 aprile 2017

Paschal message of the Patriarchs Greek Orthodox and Syriac Orthodox 2017


Greek Orthodox 
Patriarchate 
of Antioch 

and all the East

Syriac Orthodox 
Patriarchate 
of Antioch 

and all the East
2017-04-14
Paschal message
Beloved spiritual brethren and children,
Christ is risen, truly He is risen.
Christ is risen and the East is bleeding. Christ is risen and our people of all faiths pay with their own lives the cost exacted from selfish interest. Christ is risen and the destiny of our brother-archbishops Paul and John is still unclear. Pascha falls this year close to the day of their abduction, the twenty-second of April. This fourth anniversary is perhaps the most appropriate time for us to raise our voice once more, and to put in the ears of our believers and of all the world the voice of our pain in the Church of Antioch, and the voice of all those who are afflicted in this East.
We are being crucified in this East, suffering this great ordeal. The world looks at the cross of our agony, and is satisfied merely by expressing grief over us. Nevertheless, the power of this world will not drive us out of our land, because we are the sons of the cross and the resurrection. We have been displaced throughout history, and we are still being displaced up to this day, but each of us is called to remember that the land of Christ will not be emptied of his beloved ones and of those who were named after him two thousand years ago. And if the act of kidnapping the two archbishops and priests aims at defying our Eastern Christian presence, and uprooting it from this land, our answer is clear. Even though it has been four years since the two archbishops were kidnapped and this crisis has lasted six years, we are staying here next to the tombs of our fathers, and their hallowed ground. We are deeply rooted in the womb of this East. We are determined not to leave our land, furthermore we will defend it with our own blood and lives.
In giving his peace, Christ said, "Fear not, for lo, I am with you until the end of the age." We remind ourselves and our children and the whole world that the open-minded Christian presence in this East is more than a presence; it is an identity rather than a boast. Our summons today brings to the attention of the world, organizations, states, governments, associations and embassies, a cry of truth: We want to live in this East in harmony and peace with all faiths. We are not in need of sympathy for us or denunciation of others, but we are in need of serious and sincere good will from all parties to foster peace in our land. The lives of our people are not cheaper than anyone else’s life. Archbishops Paul Yazigi and John Ibrahim were kidnapped and no one troubled himself to issue more than a mere statement of denunciation or promise yielding no results up to this very moment. We value and appreciate the work and zeal of some who have worked with all their strength in behalf of this issue, but the truth must be said: We were, and are still awaiting more than that, especially from those who have the power of binding and loosing internationally and regionally. We do not leave this issue in the care of the civilized world, which has burdened us with its talk about democracies and reforms, while our eastern man is deprived of bread and of all means of livelihood. The ever-higher cost of living and the asphyxiating siege are affecting the livelihood of the poor. There is a war, unfortunately, imposed upon us as Syrians, and there are consequences that burden us as Lebanese. And there is a price which we pay as Easterners all over the Middle East stemming from the results of all wars, as though bets are waged on our land. Our summons today reflects upon events, as we cry "enough!" in the face of those who feed our land with terrorism, takifirism and blind extremism. Our summons today is a cry "enough!" in the face of those who finance the terrorist, but feign blindness of his existence, and later rush to fight him or to make a claim to fight him.
In the Holy Paschal season, we supplicate the risen Lord to remove the stone from our hearts and to break with his spear the war of this world. In these holy days, we pray again for our abducted archbishops, repeating our call for their release. We have knocked on the doors of embassies, omitting no international and regional forum, in our effort to present the crisis in Syria and to explain its repercussions, including kidnapping and displacement of our people to the world at large. We have raised the issue of the kidnapped archbishops. On this occasion, we call on everyone, here and abroad, to work hard toward the liberation of the Archbishops of Aleppo and toward closing this case, which has been suspended by international amnesia. However, this issue is always present in our souls and in the souls of all our children Christian and Muslim, as well as all those of good will.
On the day of the resurrection of Christ, we ask that the peace of his resurrection be upon you, and upon our sons at home and abroad. During Pascha, which means passing over, we raise our earnest prayers to the Lord of the angels to bring peace to our country and to the whole world. Our earnest prayer is for all the kidnapped, all the abductees. Our prayers are for every displaced, homeless, miserable, afflicted and poor person. Our heartfelt prayer to the risen Lord is that He may send his true spirit of peace to silence all the voices of strife and unrest in the Middle East and in the world at large.
In the Resurrection of Christ, those who are called by his name, the Christians of the Church of Antioch, always pledge to remember that the path of the resurrection began with the Cross, and was crowned with the light of the empty Tomb. As we imitate Christ, we do not fear death or adversity, but we pray in our weakness, as our Lord Jesus Christ Himself prayed, that the cup of suffering may pass.
We are in the days of remembering the resurrection of Christ, even though mingled with a heartache that has not been healed for four years. We pray today to the risen Lord to instill his hope in our hearts, granting to them His Holy Spirit, and bestowing upon us the gift of the release of all the kidnapped, so that we may always cry: Christ is risen and the angels are exulted. Jesus is risen and the bars of Hades are destroyed. Christ is risen and life is renewed; to whom is due all glory and dominion unto ages of ages. Amen.
Christ is risen, truly He is risen.
Damascus, April 14, 2017.
John X
Greek Orthodox 
Patriarch of Antioch

and all the East

Ephrem II
Syriac Orthodox 
Patriarch of Antioch 

and all the East 
and the Primate of the Syriac 
Church in the world.

sabato 15 aprile 2017

Verrà la Pasqua anche in Siria (?)









«Lasciate il nostro popolo libero di risorgere». Parlano i cristiani Khaled Salloum, Mons Abou Khazen, Padre Mounir, Nabil Antaki


di Leone Grotti

Anche quest’anno, il sesto consecutivo, a Pasqua i siriani si identificheranno più nella passione che nella risurrezione. E dire che le premesse sembravano buone: a dicembre il governo di Bashar al Assad, con l’aiuto della Russia e degli alleati sciiti, ha riconquistato Aleppo e cacciato da Palmira lo Stato islamico. I jihadisti indietreggiano e perdono terreno. La Turchia ha annunciato a fine marzo la conclusione dell’operazione Scudo sull’Eufrate (non proprio un successo), i colloqui di pace faticosamente vanno avanti e l’ambasciatrice americana presso le Nazioni Unite, Nikki Haley, si è lasciata finalmente sfuggire parole che a Damasco si attendono dall’inizio della guerra: «Non dobbiamo necessariamente concentrarci su Assad, come la precedente amministrazione. La nostra priorità è capire come far finire la guerra, con chi dobbiamo lavorare per fare davvero la differenza per il popolo siriano»

Tacitamente, ma inesorabilmente, davanti agli occhi dei siriani andava materializzandosi un sogno: la fine della guerra e la definitiva sconfitta delle milizie ribelli e jihadiste. Cinquantanove missili Tomahawk a stelle e strisce hanno spazzato via nottetempo questa immagine felice, causando un brusco risveglio a chi, come
Khaled Salloum, sperava che Donald Trump «avrebbe agito diversamente da Barack Obama». L’ingegnere cristiano di 66 anni, oggi in pensione, abita a Homs, nella Valle dei cristiani, a una sessantina di chilometri dalla base aerea governativa di Shayrat, pesantemente danneggiata dal raid americano, che ha anche causato la morte di almeno 15 persone. «Non ci aspettavamo un attacco così diretto da parte degli Stati Uniti – confessa a Tempi – ma non credo che la situazione cambierà molto: è da anni che finanziano e armano gruppi di terroristi. E visto che questi non sono riusciti a vincere la guerra, ora intervengono direttamente. Trump parlava diversamente da Obama, ma ormai lo sappiamo: gli americani non possono mai essere presi sul serio».

Il presidente repubblicano, che ha ordinato l’offensiva dalla Florida prima di mettersi a tavola con il suo omologo cinese Xi Jinping, ha voluto così «rispondere all’orribile attacco chimico contro civili innocenti con cui Assad ha stroncato la vita di uomini, donne e bambini». È dalla base di Shayrat infatti che si sarebbero alzati in volo gli aerei che avrebbero ucciso circa 70 persone a Idlib. Il condizionale è d’obbligo, visto che nella provincia governata dai jihadisti di Al Nusra (ora hanno cambiato nome ma restano la branca siriana di Al Qaeda) non ci sono giornalisti e l’unica fonte di informazioni sull’attacco è quell’Osservatorio siriano per i diritti umani che parteggia per i ribelli contro Assad.

«Non c’è diritto d’ingerenza»
«È sempre la stessa storia. Hanno fatto lo stesso in Iraq, in Libia e ora in Siria. Purtroppo l’ipocrisia degli Stati Uniti non cambia mai. L’attacco chimico è solo una scusa. Se volevano sapere davvero che cosa è successo, perché non hanno inviato una commissione? Perché non hanno mandato una squadra per capire chi sono i responsabili?».
Georges Abou Khazen, vicario apostolico di Aleppo, non si dà pace. Il raid americano lo ha lasciato sgomento e arrabbiato. «Noi dobbiamo domandarci: a chi giova questo attacco chimico?», si sfoga con Tempi. «Chi avvantaggia? Non la Siria, non Assad ma i terroristi islamici. Io l’ho sempre detto: non si può cantare vittoria, con gli americani bisogna aspettarsi di tutto. Perché vogliono decidere loro per noi? Perché non lasciano che sia il popolo siriano a scegliere da chi vuole essere governato?».
Anche Nabil Antaki, medico di Aleppo ovest che ha vissuto sulla sua pelle la tragedia dell’assedio da parte dei ribelli e la gioia della riunificazione, non riconosce alcuna superiorità morale a Washington. «Che diritto hanno gli Stati Uniti di bombardare la Siria?», risponde a Tempi via mail in uno dei pochi momenti della giornata in cui è disponibile l’elettricità. «Chi li ha nominati poliziotti globali? Questo famoso “diritto d’ingerenza” non è semplicemente il diritto del più forte di intervenire a casa degli altri senza il loro consenso? La popolazione di Aleppo è in collera e abbiamo anche paura che scoppi una terza guerra mondiale». Mentre gli alleati di Damasco, Russia e Iran, promettono infatti che non resteranno a guardare («risponderemo se verrà ancora superata la linea rossa»), l’ambasciatrice americana Haley rincara la dose: «Non ci sarà soluzione politica con Assad alla guida del paese. Siamo pronti a intervenire ancora».

 «Dovete dire la verità»
Dalla capitale economica della Siria a quella politica il sentimento della gente è sempre lo stesso.
Padre Mounir, 33 anni, è originario di Aleppo, ma dopo essere entrato nell’ordine dei salesiani, e ordinato sacerdote quattro anni fa a Torino, è andato a svolgere il suo ministero a Damasco, dove si occupa in oratorio di oltre 1.200 giovani. Ha deciso lui di tornare in Siria: «Non vedevo l’ora», racconta a Tempi. «Non ho mai pensato di rimanere in Italia, anche se i miei genitori e la mia famiglia sono scappati e hanno dovuto lasciare Aleppo per la Germania. Hanno cercato di convincermi ma più infuriava la guerra, più desideravo di tornare a servire il mio popolo in difficoltà». Per padre Mounir l’attacco chimico è una «fake news». «I siriani sono arrabbiati, delusi e pensano tutti la stessa cosa», dice il sacerdote. «Il governo non è stupido: perché dovrebbe fare una cosa simile e rivitalizzare i suoi avversari? La verità è che gli Stati Uniti vogliono favorire l’Isis, ridare loro entusiasmo dopo le ultime sconfitte per mano del governo e dei russi. La gente non fa altro che parlare dell’Arabia Saudita e della Turchia, che hanno esultato all’indomani dell’offensiva americana. Qui anche i bambini sanno che senza questi sponsor internazionali la guerra sarebbe già finita. Ma se serviva una conferma, è arrivata». Chi, dopo sei anni, sembra ancora non capire, è l’Occidente: «Questa non è una guerra civile. Se Europa, America e paesi del Golfo smettessero di armare i terroristi, gli scontri finirebbero subito. Voi giornalisti avete un’enorme responsabilità: dovete dire la verità e dare voce al popolo siriano, non solo agli alleati dei governi europei. Purtroppo è difficile trovare un giornale occidentale che faccia questo lavoro».

 «Eppure continueremo a lottare»
Ora i siriani sono divisi tra rassegnazione e voglia di reagire. L’ingegnere di Homs,
Salloum, rientra sicuramente nella seconda categoria. «Siamo circondati da forze e milizie straniere che entrano nella nostra terra per conquistarla. Ma noi non la abbandoneremo e resisteremo», continua. «Dopo sei anni di guerra nessuno ha più paura, tutti hanno visto in faccia la morte e ormai non ci importa più. Non sarà bello da dire, ma io preferisco morire piuttosto che vedere comandare chi usurpa casa mia».
Certo continuare a sperare in una risoluzione pacifica del conflitto che lasci la Siria intatta, senza smembrarla in stati e staterelli confessionali, è arduo. Anche per un prete alle porte della Pasqua. «Davanti ai giovani cerco sempre di mostrarmi speranzoso, ma dopo questo attacco dentro di me faccio fatica a credere che anche la Siria prima o poi conoscerà la risurrezione pasquale», ammette. «Eppure il popolo siriano ama la vita e ha ancora voglia di lottare. Le celebrazioni di questi giorni, che noi siamo liberi di fare in chiesa e per strada al contrario di quanto avviene in tanti paesi del Medio Oriente, ci aiuteranno ad andare avanti».


Anche il medico Antaki, membro laico dell’ordine dei frati maristi blu, attende la Settimana Santa per non arrendersi alla disperazione: «Malgrado il pessimismo che ci circonda, celebreremo ugualmente la Pasqua nella speranza della risurrezione, della fine della guerra. Se noi non avessimo creduto alla speranza che solo Gesù porta, avremmo abbandonato il nostro paese da tempo e ce ne saremmo andati come milioni di altri siriani».

martedì 11 aprile 2017

Un siriano ci scrive: 'le bombe e il nostro appello'


Sono un siriano fuggito da Aleppo cercando una terra sicura per proteggere i miei bambini: un missile dei ribelli ha colpito la mia casa lasciando molti danni oltre il terribile spavento che hanno preso i miei bambini, queste condizioni mi hanno costretto a lasciare il mio paese dopo cinque anni dall'inizio della guerra....
  Nel paese ospitale Italia da quando sono arrivato mi sono messo in contatto con i parenti in patria per aggiornarmi sulle ultime notizie della mia città quasi tutti giorni, con l'intenzione di tornare in patria appena tutto sarà ristabilito. Nessuno può negare quanti sacrifici l'Esercito Nazionale ha sopportato fino ad oggi in questa guerra per rendere la terra di Siria una terra pura priva di qualsiasi tipo di terrore; finalmente quattro mesi fa circa, Aleppo tutta è stata liberata grazie all’Esercito Nazionale e non solo Aleppo ma anche sono state liberate Palmira, i dintorni di Homs, Hama e molte altre zone. Questo è un motivo importante per cui io sto pensando sul serio di ritornare in patria. 
 Sul telefono in linea c’era mio fratello di Aleppo dicendo “Aleppo tutta tranquilla, Aleppo non è più con le bombe potete tornare quando decidete”, appena finito questo discorso il giorno seguente scoppia la storia del bombardamento con il gas di cui è accusato il governo siriano e Assad. Eppure, tutti sappiamo che l’Onu ha chiesto al governo siriano di distruggere le armi chimiche e che le ha distrutte tutte. Tutti noi sappiamo che il deposito di queste armi con gas si trova in zona controllata dai terroristi quindi i siriani non sono colpevoli di questi armi, l’Occidente anziché accusare Assad di bombardarli non era meglio che si domandasse come hanno fatto ad arrivare queste armi pericolose fino qua?! attraverso la Turchia , Giordania, altro..
  Anziché fare questa ricerca, il presidente americano con una decisione singolare da parte sua, lancia suoi missili colpendo una base siriana come castigo, ma è possibile accettare questo fatto? Più si avvicina l’Esercito Siriano Regolare a pulire la Siria e più l’Occidente e gli USA trovano una scusa per parlare di nuovo di eliminare Assad, non sanno che Assad combatte oggi contro ottanta nazionalità di fanatici da tutto il mondo orientale e occidentale? Vengono per morire in terra siriana per raggiungere le sirene!! Fondamentalisti che nel nome della religione hanno distrutto questo mio paese Siria, il paese ricco di radici di storia e civiltà, il paese fatto per il ricco e il povero dove un chilo di pane costava venti centesimi e dove conviveva il cristiano a fianco del musulmano e tutto un tessuto di diverse etnie sono tutti sotto l’ombrello della tolleranza. 
 Io sono un siriano, ho imparato nelle scuole siriane e mi sono laureato in Università siriane pagando una quota simbolica, e tuttora dove governa Assad la gente vive in condizioni dignitose mentre dove governano i terroristi si trascorre la vita nel terrore. Perchè il paese cosi è ricco di tutto non vogliono lasciarlo in pace? Oggi organizzazioni islamiche combattono in terra siriana mentre gli Usa dicono “bisogna eliminare Assad”, ma io vi chiedo: eliminato Assad chi comanda al posto suo?, lasciamo il paese per l’Isis o lo lasciamo comandato dall' Islam fanatico o da chi altro??
Insomma ogni tanto una storia viene esplosa e gli Usa la utilizzano come scusa per continuare questa guerra, stasera addirittura leggo che si preparano a fare ancora altri attacchi alla Siria inventando qualche altra storia di bombe chimiche... 
 Da siriano, vi dico che io spero di poter tornare in patria e spero dal mondo che lasci la Siria in pace con il suo governo con la sua sovranità, finitela di voler decidere per noi. 
 Noi siriani perdiamo la nostra identità quando siamo all’estero vogliamo tornare, ma basta vittime, la morte è diventata un fatto di vita quotidiana , vi chiediamo solo : basta guerra, basta basta...

Joseph M.

venerdì 7 aprile 2017

Gli USA attaccano la Siria, senza attendere la raccolta delle prove circa l'attacco chimico a Idlib

In questo momento di grave preoccupazione per l'aggressione di questa notte da parte USA alla Siria sovrana,  sottoscriviamo il comunicato della  RETE NOWAR ROMA


"Le dichiarazioni della rappresentante degli Stati Uniti al Consiglio di Sicurezza dell'ONU, secondo cui gli USA potrebbero scatenare un intervento militare diretto in Siria anche senza l'autorizzazione dell'ONU, le analoghe dichiarazioni bellicose della UE e della NATO, le minacce al Presidente siriano Assad di Israele e Turchia , prefigurano un drammatico scenario di guerra ed allontanano ogni soluzione alla crisi siriana e Medio Orientale.
Già nel 2013, in occasione di un presunto attacco chimico dell'Esercito Siriano alla periferia di Damasco, rivelatosi poi una  provocazione  organizzata dai gruppi terroristi in difficoltà per causare un intervento armato degli USA a loro favore, si sfiorò una guerra aperta con il coinvolgimento di varie potenze. Il precipitare della crisi fu evitato da un oculato intervento della diplomazia russa. Pur incolpevole, la Siria accettò di eliminare per intero tutto il suo arsenale di sostanze e armi chimiche.
Oggi la storia si ripete con una nuova provocazione che riguarda l’accusa di un attacco chimico sulla provincia siriana di Idlib, da vari anni sotto il controllo dei terroristi di Al Qaida sostenuti da Turchia, Arabia Saudita, Qatar, da vari paesi occidentali e Israele.
Le accuse al governo siriano  provengono dalla stessa Al Qaida, da agenzie legate a paesi aggressoricome il Qatar e l’Arabia Saudita - Al Jazeera e Al Arabya - e da un’agenzia di notizie situata in Inghilterra (Osservatorio Siriano per i Diritti Umani - SOHR) che collabora da anni con i gruppi terroristi che tentano di destabilizzare la Siria. Questa è stata subito affiancata da ONG  dagli stessi indirizzi, come gli "Elmetti Bianchi", fondati da membri del servizio segreto britannico  e Medici Senza Frontiere, fondati dall’ex ministro degli esteri francese Kouchner, partecipe delle avventure belliche del presidente Sarkozy.
Nessun ragionamento viene fatto dai nostri mass media, come sempre al servizio dei governi occidentali e della NATO, sulla circostanza che il governo siriano, nel momento in cui stava prevalendo militarmente e aveva ricevuto persino un esplicito riconoscimento da parte dell'amministrazione Trump per bocca del segretario di Stato Tillerson e della rappresentante USA all'ONU Haley, non aveva alcun interesse ad essere rimesso sul banco degli accusati con un'azione  senza senso e autolesionista.
Né si tiene conto delle dichiarazioni di parte russa e siriana, basate su rilievi satellitari, per cui l’esplosione è stata causata da un bombardamento siriano su quello che è poi risultato essere un deposito di armi chimiche allestito dai terroristi, né delle dichiarazioni di  testimoni locali, come il vescovo di AleppoCome numerose altre provocazioni terroristiche precedenti, in Siria e nel mondo, lo scopo della coalizione guerrafondaia di neocon, neoliberal, Israele, UE e Nato, è ancora una volta di chiudere qualsiasi  ipotesi di soluzione giusta in Siria e di ostacolare ogni dialogo costruttivo con la Russia. 
Invitiamo tutti i cittadini amanti della pace alla massima vigilanza, a valutare attentamente e contrastare le  false notizie diffuse per giustificare attacchi militari, come già avvenuto ad esempio in occasione delle presunte "armi di distruzione di massa" di Saddam. I propalatori di quelle false notizie, come Tony Blair (ufficialmente riconosciuto come bugiardo da una commissione parlamentare britannica) e George Bush, responsabili di milioni di morti, non hanno mai pagato per i loro crimini e anzi hanno ricevuto incarichi prestigiosi e ben remunerati. Il Presidente Assad, nominato con un regolare processo elettorale, è invece definito dittatore, come tutti coloro che difendono l’indipendenza del proprio paese dalle mire imperiali dei potentati occidentali, ed accusato, senza prove, di essere un criminale.
Invitiamo tutti i cittadini ad opporsi in ogni modo ai pericoli di guerra.
La guerra è una strada senza ritorno.

RETE NOWAR ROMA


Usa attaccano la Siria. Mons.Abou Khazen: «Perché vogliono decidere loro per noi?»



«È sempre la stessa storia. Hanno fatto lo stesso in Iraq, in Libia e ora in Siria. Purtroppo l’ipocrisia degli Stati Uniti non cambia mai». È sgomento e arrabbiato monsignor Georges Abou Khazen, vicario apostolico di Aleppo, commentando a tempi.it l’attacco missilistico di questa notte con cui gli Stati Uniti hanno inflitto «pesanti danni» alla base siriana di Al Shayrat, da dove secondo l’intelligence americana sarebbero partiti i jet di Bashar al-Assad carichi di armi chimiche....
«Noi dobbiamo domandarci: a chi giova questo attacco chimico?», non si dà pace monsignor Abou Khazen. «Chi avvantaggia? Non la Siria, non Assad ma solo i jihadisti. E loro fanno vedere solo quello che vogliono, hanno in mano tutta la propaganda e il mondo intero gli va dietro». La città di Aleppo è da poco stata liberata dall’assedio dei terroristi (dicembre 2016), ma per la Siria non c’è pace: «Io l’ho sempre detto: non si può cantare vittoria perché con gli americani bisogna aspettarsi di tutto. Perché vogliono decidere loro per noi? Perché non lasciano che sia il popolo siriano a scegliere da chi vuole essere governato?».
Dopo la grande paura di stanotte il popolo siriano è «indignato, triste. Che cosa le devo dire? Ringraziamo tutti gli americani e gli inglesi, anche perché l’Isis ha appena ricominciato ad attaccare qui vicino. Forse non è un caso. La verità è che gli americani vogliono arrivare a conquistare i giacimenti di petrolio e gas. E non è certo la prima volta che ci attaccano: quando hanno attaccato la centrale elettrica qui vicino, che forse non riusciremo più a sistemare, qualcuno ha protestato? No, nessuno ha aperto bocca. E non è forse un crimine? Che cos’è, anche quello un atto umanitario?».

http://www.tempi.it/usa-attaccano-la-siria-abou-khazen-perche-vogliono-decidere-loro-per-noi#.WOdYTfnyiM8

martedì 4 aprile 2017

Incontri nella Siria dei 6 anni di guerra: (5) San Paolo, il dramma e la promessa


Il mio viaggio si conclude a Tabbalè, al Memoriale della conversione di san Paolo.
Qui, tra una frotta di bambini giocosi, raccolgo l'appello accorato di padre Raimondo, vicario del vescovo latino di Siria a Damasco.

  “Da due mesi abbiamo iniziato un progetto umanitario, che riguarda bambini cristiani e musulmani che sono cresciuti durante la guerra della quale stiamo entrando nel settimo anno.
Il progetto prevede un percorso di assistenza psichica, studiare lo stato psicologico e la condizione mentale del bambino, condotto da nostri ragazzi che sono stati preparati per questo programma. Abbiamo 80 bambini, di cui 22 di famiglie musulmane e abbiamo scoperto che questi bambini ne hanno più bisogno dei bambini cristiani, perché si trovano in un ambiente famigliare dove si ascoltano ripetutamente voci come “ammazzare, jihad, guerra” e hanno perso molti parenti. È un ambiente malato, un bambino di sei anni che quindi è cresciuto sempre lì, potete immaginare come ragioni; abbiamo bambini chiusi, bambini che hanno bisogno di mangiare, bambini senza autostima, pieni di preoccupazioni e di paura.
Con questa iniziativa tentiamo di creare un'apertura: presso di noi giocano e i nostri responsabili cercano di parlare ad ognuno e vedere i problemi di ciascuno, perché non è un progetto di gruppo ma mira a un rapporto personale con i bambini che hanno più bisogno di affetto, assistenza e talvolta anche di un medico.
Ci sembra importante permettere a bambini cristiani e musulmani di vivere insieme in un ambiente protetto: solo questo potrà far tornare come prima la situazione, perché quando un bambino musulmano gioca con uno cristiano lo veda come un amico.
La zona in cui stiamo noi, Tabbale', è una zona molto povera, anche di forte immigrazione da altre zone della Siria, alcuni vengono da Jaramana o Duelah altre due zone povere.
 Gli educatori sono ragazzi cristiani assunti stabilmente, e anche questo è un modo di sostenerli pagando loro un mensile. Le attività si svolgono due volte alla settimana: il venerdì e il sabato dalle nove fino alle due, e fanno una piccola merenda. È importantissimo che i bambini facciano l'esperienza di giocare insieme, gioire insieme e anche soffrire insieme, perché la sofferenza non è per i cristiani o per i musulmani, tutti hanno sofferto: la bomba quando cade, cade su tutti, musulmani e cristiani.
 Questo convento francescano del memoriale di San Paolo, fu voluto dal beato Paolo VI nel 1964 quando incontrò il patriarca Atenagora in Gerusalemme. L'obiettivo di questo convento, come è scritto nella convenzione tra la Santa sede e la Custodia di terra Santa, è di essere un luogo di incontro ecumenico, un centro di studi su San Paolo e anche per ricevere i gruppi che venivano a visitare i luoghi santi in Siria: prima della guerra avevamo sempre molti stranieri, Italiani, Tedeschi, Americani che venivano come turisti; adesso invece riceviamo i Cristiani siriani fuggiti da zone come Hassake, Qamishli, Aleppo. Molti sono di passaggio per andare in Libano aspettando il visto per partire. Riceviamo anche dei malati di cancro: in questo momento abbiamo cinque casi che provengono da Aleppo e non avrebbero un luogo dove stare nel tempo delle cure.
La guerra quindi, ci ha trasformati da luogo di passaggio per pellegrini a un luogo di accoglienza per malati, bisognosi e rifugiati, offrendo loro un'ospitalità fraterna.

Penso che le parole di San Paolo oggi siano attualissime: “Perché mi perseguiti? Perchè ammazzare cristiani?”. I cristiani in Siria sono persone pacifiche, gente che ama il Paese, che qui si sente nella sua casa originaria, ma certamente oggi non si sente tranquilla.
 Abbiamo tanto bisogno di una stabilità, politica ed economica, abbiamo bisogno di lavoro e che le famiglie possano tornare a vivere insieme.
Ogni mese facciamo un incontro tra 20 famiglie; abbiamo notato il loro bisogno di incontrarsi per avere forza, che traggono in larga misura dalla parola di Dio.
 Devo dire che sono davvero stanchi; cercano una via di uscita da questa situazione, sognano di andare via, in Europa, ma noi insistiamo perché restino qui, perché veramente c'è bisogno di ognuno: abbiamo perso tanti dottori, tanti ingegneri, tante persone specializzate, professionisti... La nostra vita pastorale è in crisi perché constatiamo la mancanza di giovani; sentiamo fortemente anche il dispiacere delle ragazze cristiane che non trovano un fidanzato: la proporzione è di 10 ragazze ogni 3 ragazzi. Anche questo fa parte della mancanza di prospettive, insieme al fatto che appena finiscono l'università i ragazzi partono per l'estero. La paura del servizio militare e soprattutto della morte li spinge a fuggire. Quindi assistiamo alla crisi della famiglia, oltre a quella del lavoro: "che futuro avranno qui i nostri bambini?" si domandano.
La Chiesa certo cerca di aiutare dando soldi e aiuti ma non può dare la stabilità, la sicurezza: queste possono venire solo dallo Stato.
  Cosa possiamo fare noi cristiani d'Italia?
Prima di tutto potete, dovete, parlare: anzitutto fare azioni per fermare la guerra, e poi aiutarci nell'educazione. Nelle scuole del nostro paese occorre una riforma del piano educativo e dei contenuti dell'educazione, quindi occorre trovare il modo di aiutare la formazione di una nuova mentalità.
 Vi siamo grati se ci aiutate materialmente, ma ancora di più se incoraggiate i nostri giovani a ritornare nel loro Paese.. dite loro: “ritornate in Siria, nella vostra patria, noi saremo con voi, vi aiutiamo ma restate nella vostra casa, tra la vostra gente; vai a casa tua, nella tua cultura, nel tuo ambiente”. Se voi trattenete i cristiani lì, noi perdiamo cristiani in Oriente, ma se non ci sono più cristiani in Oriente questo colpisce e danneggia l'Occidente. Se noi perdiamo l'Oriente come luce della fede cosa ci resta? Perché perdendo i cristiani dell'Oriente perdiamo i luoghi, le chiese, la cultura, la civiltà cristiana e quella capacità di essere un ponte di pace, di rappresentare una presenza capace di rasserenare e mediare, anche tra i musulmani stessi!
 È importante per l'Occidente non perdere casa nell'Oriente: che rapporto ci può essere per l'Occidente con l'Oriente se non tramite i Cristiani? Se non avete i Cristiani, cos'avete voi qui in Oriente? Avete i soldi, il petrolio, ma non avete il cuore.
E poi non è razionale: voi prendete una famiglia in Italia, pagate 2000 euro al mese per mantenerla, ma molto meglio se voi gli dite: “andate a casa vostra e noi vi diamo la stessa cifra, ma restate a casa vostra in Siria e lavorate e noi saremo contenti.”
 La Chiesa cattolica vive con due polmoni, se ne perde uno non è Chiesa completa, è malata, Questo vale per tutta la Terra Santa. Gli italiani hanno un cuore molto buono, molto umano verso la Terra Santa: anche durante la guerra tanti italiani hanno aiutato, hanno sostenuto la Chiesa siriana, però adesso quello che vi chiedo è di aiutarci a restare in Siria!
Parlate, scrivete la verità: l'Europa deve essere contro la guerra, perché questa guerra è contro l'uomo, contro l'umanità e la civiltà.”


 Il buon padre Raimondo ha ragione: veramente, la Siria sta diventando come una vedova senza figli.
Realmente la gente è al limite del perdere la speranza, per tante ragioni: dalla mancanza di lavoro al caro vita, dall'insicurezza presente e la pesante oppressione delle mafie (incentivate dalle sanzioni) allo stillicidio quotidiano di attentati che fa presumere un infinito instabile futuro, al servizio militare che per taluni è un incubo che si protrae da 6 anni … L'aumento del caro-vita è legato anche alla svalutazione della lira che è giunta da 50 a 500 lire per un dollaro, a sua volta legata ai vincoli bancari e all'embargo. Il nostro amico Joni, di cui sosteniamo il progetto "Fabbrica di cioccolato" ,  mi ha appena raccontato la grande difficoltà a reperire le materie prime per portare avanti un'attività artigianale di auto sussistenza!
 Mi dicono alcuni cristiani che a Qamishli è in atto una emorragia terribile, in alcune zone come nella regione del Jazeere forse non ci sono neanche più cristiani perché i curdi stanno facendo una pulizia etnica.
Del resto, alcuni paesi europei come il Belgio operano la politica di far riunire le famiglie anziché metterle in condizione di rientrare in patria. La gente guarda quindi speranzosa verso il Belgio, la Germania, il Canada, l'Australia, cioè quei paesi che favoriscono il ricongiungimento familiare. Alcuni paesi danno lo status di rifugiato a condizione di restare almeno cinque anni: questo significa che i figli lì crescono, si radicano, magari trovano un lavoro e quindi difficilmente torneranno.
 Sono allibita quando mi raccontano che in Aleppo, dove nel sollievo generale è finito l' incubo dei bombardamenti continui da parte dei ribelli, ci sono state ben 11.226 vittime civili nei quartieri ovest che erano nelle mani del governo: di queste nessuno ha mai raccontato niente. E, finite queste ostilità, si sono scoperti 20.000 bambini con parenti ignoti e ciò, oltre al dramma per i bambini, è anche un problema giuridico perché non essendo registrati non risultano neppure nelle liste come cittadini del governo. E' uno dei frutti terribili del jihad del sesso e anche della mancanza di uomini, lontani per la guerra, per cui le madri adesso non riconoscono il figlio davanti alla legge. Questo è stato appurato in Aleppo, quindi figuriamoci quanti ce ne sono raminghi in giro per la Siria! Ed emerge drammatico anche un altro problema, quello degli anziani che rimangono da soli, con tutti i problemi di un anziano in una situazione come questa.
  I Cristiani comunque hanno le idee chiare su come guardare oggi 'la rivoluzione': riconoscono che su molti punti vi era uno scontento, che il governo non si può definire veramente democratico, ma si chiedono: "forse al Nusra è democratico? Quella che l'Occidente sostiene come 'opposizione democratica' ha a cuore la libertà e il bene delle singole persone? E forse che ISIS porta i diritti umani? L'Occidente insiste sulle minoranze: ma i gruppi jihadisti che l'Occidente foraggia hanno rispetto per le minoranze? Se crolla il governo, dove si va a finire?”. 
 “Si erano iniziati dei passi ma proprio l'apertura del paese non piaceva ai fratelli musulmani e a tutti coloro che hanno una visione cieca coranica. Occorre certamente un'apertura di libertà, ma il modo di appoggiare il cambiamento non poteva essere quello delle armi e della distruzione del paese, nessun cambiamento può essere fatto non riconoscendo un governo e l'integrità della nazione. Questa guerra ci è stata imposta da altri, noi siamo solo terreno di gioco di altri interessi, e di coloro che l'hanno alimentata scatenando il fuoco religioso settario”.  Molti sono convinti che Israele è il maggior responsabile del mantenimento dell'instabilità della Siria. Tutti chiedono di lasciare che la Siria da sola possa prendere le sue decisioni, senza interferire accampando false difese di diritti umani e di processi democratici. Anche tra quelli più critici verso l'attuale governo si guarda alle proposte di nuova costituzione con la speranza di veder affermarsi una Siria moderna, una Siria laica e pluralista, dove tutte le minoranze, tutti i cittadini abbiano gli stessi diritti e gli stessi doveri. Questa sarebbe veramente il realizzarsi di tante aspirazioni e anche il conforto chè tutti i sacrifici che sono stati sopportati infine non saranno andati perduti.

Avevo tanto desiderato pregare davanti all'icona miracolosa di Soufanieh e conoscere Myrna, la veggente; il carissimo abuna dottor Abboud mi accompagna e mi aiuta con l'arabo a porle la domanda che mi ha condotto in questo viaggio: “per quale Mistero proprio alla diletta Siria è toccata tutta questa immane sofferenza?”. Myrna mi risponde che un messaggio della Madonna annunciava: “I giorni duri arriveranno, ci saranno divisioni anche dentro le Chiese”.... “La Madonna sapeva quello che sarebbe accaduto alla Siria e voleva prepararci per avere una fede salda. Anche i responsabili religiosi della Chiesa hanno occhi ma non vedono, hanno orecchi a non sentono. La Madonna ci ha chiesto tanto di essere uniti, ma noi con tutta la crisi che viviamo siamo ancora divisi, non riusciamo ad essere uno accanto all'altro”.  Anche lei mi racconta episodi di conversione e di meravigliosa testimonianza di siriani espatriati nel mondo, diventati fari di luce in angoli della nostra buia Europa.

Prima di partire, riesco a passare qualche momento di preghiera nella Casa di Anania tra pietre testimoni della certezza di Saulo, qui toccato dall'incontro personale con Cristo che non abbandonerà mai la Sua Sposa.

Passando sotto il muro della Grande Moschea degli Omayyadi mi vien fatto notare un frammento di quel tesoro enorme che è la Siria cristiana: un bassorilievo incastonato con l'immagine di Cristo e la scritta in greco “Il tuo regno o Cristo è un regno eterno. E il tuo dominio durerà da generazione a generazione”.

Hayatik yubarek alrrab , Rabna Yahmikum ya A3izai.
    Fiorenza

venerdì 31 marzo 2017

Incontri nella Siria dei 6 anni di guerra: (4) I cristiani si interrogano -2°parte


     2° parte, leggi la prima parte qui 

A Damasco oggi è un giorno flagellato da orribili attentati, vengo accolta perciò in un quartiere periferico da una meravigliosa famiglia cristiana nella quale faccio l'esperienza dell'accoglienza affabile dei siriani verso una persona sconosciuta abbracciata come un'ospite di onore.
 Ho così l'occasione di incontrare un gruppo di ferventi cristiani, coinvolti in un'esperienza di adesione personale e radicale alla fede dalla paternità intelligente del Padre dott. Chihade Abboud (abuna Chihade) che prima era il loro parroco e che ora in un diverso servizio sostiene e sorregge altri giovani cogliendone e valorizzandone i desideri, le idee, le speranze, i meriti.
 Hussam fa di mestiere il parrucchiere e mi racconta la sua straordinaria esperienza di conversione, grazie ad un miracolo ricevuto: “Il 25 settembre 2009 ero nel mio negozio quando ho avuto un infarto, il mio amico Issa mi ha praticato il massaggio cardiaco, quando sono arrivato l'ospedale il mio cuore era già fermo da 20 minuti ma con lunga stimolazione cardiaca ha ripreso. Mentre ero in coma ho visto la Santissima Madre di Dio e tre persone dalla brutta faccia, io chiamavo la Madonna e lei li ha cacciati, mi ha preso per mano e io mi sono visto nella vita. Da quel momento ho percepito che la mia vocazione era essere strumento di Dio per diffondere la Sua parola, io non so parlare, quello che dico è opera Sua. I miei genitori erano morti e da allora Maria e Gesù sono mia madre e mio padre. Nel tempo trascorso in ospedale, i medici dicevano che se anche fossi sopravvissuto avrei avuto delle gravissime menomazioni. Io non sapevo né leggere né scrivere e invece ho imparato a leggere dal Vangelo fidandomi di quello che dice 'chiedete prima il regno dei Cieli e tutto il resto vi sarà dato in sovrabbondanza, parlerete ma sarà lo Spirito Santo che parla in voi'. Prima ero un bestemmiatore, adesso nessuno davanti a me può dire una  parolaccia. Come dice San Paolo, l'amore può spostare anche le montagne, Ed io sento che quello che dice San Paolo 'guai a noi se non evangelizziamo' è diventata la mia missione”.
 Ogni giorno Hussam nel suo negozio ha un canale cristiano sintonizzato sul televisore e a tutti parla di Dio, il suo amico Issa ugualmente, quando non ha lavoro trascorre il tempo tra i clienti del negozio, sia cristiani che di altre religioni. 
Anche Rami nel suo lavoro di artigiano, continua a rapportarsi con quelli che incontra sentendo come prima missione la testimonianza dell'amore cristiano; insieme fanno i sacrestani della chiesa del villaggio.
Hussam non ha alcun timore di parlare del Vangelo a tutti, non nega a nessuno una copia dal Vangelo perchè sia un nutrimento spirituale per tutti; queste persone poi continuano frequentare il negozio per sentirlo e dialogare con lui.
  Issa per motivi di lavoro è andato in Libano per cinque anni: “Quando lavoravo in Libano, io ero l'unico cristiano del gruppo, all'inizio nessuno voleva stare con me e quando veniva l'ora di pranzo si radunavano tra di loro e io restavo sempre in un angolo da solo. Ma poco a poco, vedendo come mi comportavo hanno cominciato a chiedermi ' parlaci di Cristo' ed io rispondevo 'amatevi gli uni gli altri e capirete veramente Cristo, basta avere amore, questo serve di più che non raccontarvi quello che Lui ha fatto, avere amore è l'unico insegnamento'.  Quelle persone avevano una mentalità uguale a quella degli estremisti, anche se non uccidevano... Alla fine diversi di loro vedendo come io li trattavo lasciavano il gruppo e venivano a mangiare con me. Era successo che loro avevano fatto alcuni errori nel lavoro e io assumevo la responsabilità per quegli errori, che non avevo fatto io, al posto loro prendevo la colpa su di me e loro si domandavano il perché, e io rispondevo 'Cristo ha portato su di sé i nostri peccati e io allora non posso prendere su di me un errore che avete fatto nel lavoro? Sono semplicemente un alunno del mio Maestro'. Un giorno sono riuscito a portare uno di loro nella chiesa e gli ho fatto vedere come  loro pregano solo per la propria grande nazione e invece noi preghiamo per tutti, anche per quelli che ci odiano”.
  “Per dialogare con i musulmani è importante sapere che cosa dice il loro Corano e la loro sharia” dice Hussam. “Un giorno è venuto nella nostra chiesa un gruppo di musulmani per fare gli auguri di Pasqua, dalla scuola del gran mufti, e con loro anche quattro donne dottori nella sharia a cui ho fatto visitare la chiesa e che ancora oggi vogliono approfondire il discorso della nostra fede: guai a un cristiano che si glorifica non nella croce di Cristo, questa è la nostra sola gloria! Issa stava seduto con il grande imam e sentiva nell'altra stanza Hussam che annunciava alle donne apertamente Cristo ed era impressionato dalla forza della sua testimonianza, e dalla sfida che rivolgeva loro soprattutto rispetto a come viene considerata la donna nel Corano mentre noi cristiani sappiamo che la donna non sta né sotto nè sopra ma sta a fianco dell'uomo, come ci mostra il racconto biblico della creazione della donna presa dalla costola dell'uomo”.
  Issa è costruttore e si è specializzato nel cantieri che edificano chiese: “Una volta stavo sistemando la croce in cima alla cupola della chiesa, alta 30 m. La croce di ferro era molto pesante, ci volevano due persone ma io l'ho portata sulle spalle, stavo arrivando sulla cima e mi sono accorto che stavo per cadere, ma qualcuno mi ha preso da dietro e mi ha dato l'appoggio. Pensavo che fosse il mio compagno, dietro di me, quindi ho finito di mettere la croce e appena terminato di fissarla ho guardato dietro e mi sono accorto che non c'era nessuno, però per tutto il tempo in cui saldavo la croce io ho avvertito una mano che mi sosteneva con forza. Da allora in poi ho dedicato tutte le mie energie alla costruzione di chiese”.
  Rami è un orefice e con i due amici formano un gruppo di preghiera che ha un'intensità percepibile e continua ad attrarre per la sua forza di convinzione tanta gente, nonostante adesso il loro ex-parroco, così importante nell'aver destato e sorretto la loro convinzione, non sia più con loro.

Rispetto alla crisi che sta vivendo la Siria, essi vedono in qualche modo un disegno della Provvidenza, proprio attraverso la grande fuga dei giovani verso l'Europa e altri paesi: sono convinti che sia la nuova via dell'evangelizzazione e di una vita di fede rinnovata proprio per i paesi in cui i siriani cristiani andranno a vivere. Un amico emigrato in Olanda ha raccontato in che modo il suo gruppo frequenta là tutte le domeniche la chiesa e la gente del posto ne è così colpita che si è unita a loro per ritornare a frequentare la chiesa con nuovo fervore. “Forse tutto questo è stato permesso proprio perché noi cristiani di Oriente veniamo ad evangelizzare voi in Occidente. L'unica cosa che ho chiesto a mio figlio di prendere con sé, adesso che sta per partire per il Canada, è la Bibbia".
 “Siate forti nella fede, è di questo che hanno bisogno i fedeli dell'islam che giungono da voi”.
  E quando chiedo loro se ritengono che i cristiani della Siria sono così forti nella fede da essere disposti a sacrificare la vita per restare fedeli a Cristo, tutti i presenti, senza eccezione, grandi e bambini, mi rispondono: “ Io sono pronto, solo Cristo è la vita. Dobbiamo pregare certamente perché solo la forza della fede ci sostenga nel non rinnegare Cristo e non mi sia permessa la tentazione e che io abbia il coraggio di dire 'rinnovo la mia fede in Cristo'.  Il nostro Dio è un padre di famiglia che ha tanti figli: potrebbe mai ordinare a uno dei suoi figli di uccidere l'altro? È illogico! Dio non può ordinare qualcosa di male, per questo è compito di ogni uomo la capacità di discernere se veramente viene da Dio l'ordine di uccidere l'altro, di non rispettare la dignità dell' uomo e soprattutto la donna!. Il vero pericolo viene dal diffondersi nel mondo della mentalità degli estremisti, tra i musulmani della mentalità di Daesh, che sta pervadendo l'Islam. L'Islam è una  evoluzione della legge giudaica. Alcuni poteri mondiali vorrebbero renderci persone insignificanti, senza forza, e disunite. È un progetto di male che sarà sconfitto solo quando noi cristiani saremo uniti. Nel nostro quartiere a maggioranza cristiano c'è un settore musulmano, un giorno circa trecento di loro hanno organizzato una incursione per prendere le donne e uccidere gli uomini, stavano per entrare quando quel giorno è caduta una grandine fortissima e lì abbiamo sperimentato la forza e la protezione di Dio nella nostra debolezza. E come è vera quella parola del Signore 'non abbiate paura, Io sono come voi sino alla fine dei tempi'”.
  Continua Hussam: “Noi siamo sei fratelli, un pomeriggio alle 4:30 arriva la notizia che un mio fratello è stato rapito, sono entrato io nel quartiere dei rapitori e ho cominciato a gridare che dovevano lasciarlo libero entro sera perché tutti noi sei fratelli eravamo disposti a morire  insieme: bene, alle 10 di sera mio fratello era libero”.
Daesh è uno dei gruppi di estremisti a cui sono state inculcate queste idee promettendo piaceri, sesso e guadagni, facendo come il cancro che si insinua nel corpo dell'uomo dal punto più debole e da lì si diffonde. Perché quei potenti del mondo  non hanno scelto i cristiani per farli diventare Daesh? Questi gruppi non sono nati oggi, ma 10-15 anni fa, li preparavano e rifornivano, e adesso gli hanno chiesto di alzarsi e li fanno spostare da un paese all'altro e inculcano loro l'idea che i cristiani sono ricchi e bisogna prendere le loro case, donne, beni”.

Gli amici mi raccontano una specie di allegoria per spiegarmi che purtroppo la guerra non ha unito i cristiani e non ha creato una vera solidarietà per difendersi gli uni gli altri: di fronte alla trappola ognuno ha cercato di scansarla singolarmente, e in questo ognuno ci ha rimesso, perché la trappola era per tutti non per uno singolo. “Solo adesso stiamo imparando che dobbiamo essere uniti per combattere insieme contro questa trappola. Siamo infinitamente grati ai nostri “abuna” che ci accompagnano in questo cammino retto di fede”.
  Ma quando alla fine domando: “c'è un futuro per i cristiani in Siria?”, scuotono il capo e citano il Vangelo: “Oggi siamo certi solo di una cosa: noi siamo pellegrini sulla terra, la nostra abitazione è nel cielo e l'unica roccia su cui costruire la nostra casa è Cristo”.

 Fiorenza

giovedì 30 marzo 2017

Incontri nella Siria dei 6 anni di guerra: (4) I cristiani si interrogano -1°parte


Durante il viaggio, ho l'occasione di assistere ad un incontro di giovani  provenienti da diverse città della Siria:  sono i responsabili dei gruppi di 'CVX comunità di vita cristiana' e riflettono in un momento comune sulla propria vocazione in questo momento della vita dolorosa del proprio paese.
 Ci tengono a ribadire che la sofferenza che stanno vivendo i cristiani è una sofferenza che li accomuna agli altri siriani, senza distinzione, perché in questo momento cristiani e musulmani soffrono allo stesso modo.
 Magda è insegnante e fa la volontaria in attività organizzate per aiutare e dare conforto in un campo profughi di Aleppo: fa l'esperienza della diversità, è spesso l'unica non velata dentro l'ambiente in cui porta la sua presenza, ma si accorge anche di quanto uno sguardo suo libero, sereno, non condizionato, crea inaspettati ponti di riconoscimento. I musulmani sono stupiti dal vedere l'interesse che hanno i cristiani verso di loro, quando le stesse moschee non si prendono cura dei loro bisogni, fanno un incontro umano con persone amorevoli, gentili e questo li sorprende enormemente, perchè non è l'immagine che avevano conosciuto, vedono che è un'altra cosa ...
La crisi è stata un'occasione per un incontro pienamente umano: recandoci a Jebreen nei campi profughi dove sono raccolte persone che sono vissute sotto Isis o i gruppi fondamentalisti, ci raccontano esperienze terribili, che quasi non si riesce ad ascoltare immaginando che siano la realtà, soprattutto per le donne. Ci sono molte malattie a livello psicologico, menti che sono state segnate da una  violenza terribile, tanti non riescono più a dormire e raccontano storie veramente disumane, che ci toccano profondamente e lavorare con loro è spesso fonte di pianto.”
 Proprio questo ascoltare e condividere il dolore sta riempiendo di senso la vita di queste donne e uomini che hanno scelto di restare. Essi non sono d'accordo con quei cristiani che qui pensano di essere considerati inferiori perché non hanno un ruolo importante nella società siriana, invece percepiscono la propria missione come fondamentale all'interno della società. “Ci sono cristiani che pensano che per loro non ci sia un avvenire qui” ... Magda avrebbe potuto emigrare senza problemi, come hanno fatto quasi tutti i suoi parenti, ma lei ha sentito che questa era la sfida che le era proposta da Cristo e che ha accettato come la propria vocazione. Scopre così che quello che ha tutti i giorni, cioè il suo lavoro, il servizio, la vita nella comunità cristiana, le basta per restare, dà una ragione anche al sopportare le privazioni dell'acqua, della luce e di altre cose che prima sono  sempre state normali. 
“È vero soffriamo, ma quello che mi rialza è di avere un senso, il percepire che c'è un significato e che questo significato è dentro di me come una sorgente che mi tiene in piedi. Come siriana e come cristiana io percepisco che se Dio mi ha messo qui è perché si aspetta da me qualcosa qui, trovo ogni giorno dei segni che mi convincono che è giusto essere qui. Ma è molto importante il sostegno di CVX , cioè una compagnia che mi aiuta iniziando la giornata con la preghiera e terminandola con la liturgia, ogni giorno ritrovo la scelta del perché continuare, e che cosa Dio mi sta domandando. Prima la ragione era come di tipo sociale, adesso capisco che la  ragione viene da una fonte spirituale”.  Aggiunge Abed: “Se si pensa all'essere cristiani come categoria sociale, allora si è presi dal senso di inferiorità, di essere minoranza e quindi senza chances; ma io penso che il punto è personale, nessuno può sostituire il mio essere personalmente radicato in Cristo e in questa società. Quello che cambia è la coscienza di essere testimoni di Cristo e non delle vittime di questa società. Veramente, stiamo vivendo un tempo di Grazia in tempo di guerra... riconosciamo che abbiamo cercato di vivere il Vangelo e vogliamo continuare a vivere con questo spirito ancor più profondamente. ”.
 G , giovanissima ragazza sfollata a Damasco da Maloula quando  i terroristi hanno distrutto la sua casa, dice che lei era sempre stata convinta che la sua vocazione fosse di essere un ponte, una testimone radicata nella società siriana con un compito. Ma adesso, dopo quello che è successo a Maloula e vedendo la sua casa distrutta, i suoi amici presi prigionieri e non più ritornati, si domanda come si può restare in un paese dove non c'è più legge e difesa. Si chiede dunque fino a quando, e perché, sopportare tutta questa difficoltà, il senso di essere indifesi senza protezione... E quindi si pone la domanda: “se io ne avrò la possibilità, lascerò la Siria?". Ogni siriano in realtà, non solo i cristiani, si domanda come restare in un paese senza legge, senza diritto, dove le mafie imperversano, e dove la guerra ha incrementato ladri, scassinatori, approfittatori. “Questo è il grande male per la guerra, e noi capiamo che c'è qualcuno che non vuole che la guerra finisca, che vuole arricchirsi; approfittano della guerra, sia fuori della Siria che persone di dentro” .
 L. di Aleppo ritiene che la paura dei cristiani è una cosa antica, fin da prima di questa guerra, perché i cristiani si sono sempre sentiti presi di mira, perché si sa che sono persone pacifiche, perdonano, ma si trovano in mezzo a litiganti più forti che possono sopraffarli facilmente.
 Ma, concordi, in tutti i ragazzi c'è la consapevolezza delle menzogne che sono state diffuse sulla cosiddetta rivoluzione, su quello che la stampa racconta che accade in Siria e, benché tra di loro si percepiscano opinioni anche politiche differenti, concludono unanimi con queste parole: “Lasciate la Siria in pace, non venite a prendere una parte contro l'altra,  lasciateci risolvere da soli i nostri problemi".

Nel cammino verso Damasco ci fermiamo in quel luogo straordinario che è il monastero Mar Yacub di Qara, spazio di incontro e di apertura  fraterna in un ambiente dalla mirabile storia risalente ai primissimi anni del cristianesimo in Siria: una breve sosta che spalanca il cuore ad un abbraccio grato per questa amicizia e per questa presenza ospitale.

 Fiorenza  (la seconda parte continua domani)