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sabato 10 luglio 2021

Emergenza luce: cala il buio sulla Siria

Diamo troppo spesso per scontato la possibilità di schiacciare un interruttore. La prossima volta che accenderete una luce, pensate di accenderla in Siria, per la Siria. 

La luce, un bene essenziale quasi scontato

In Siria l’energia pubblica c’è un paio d’ore al giorno. Per il resto della giornata i cittadini devono arrangiarsi. Per le vie di Aleppo, ci sono migliaia di fili intrecciati per le strade collegati ad alcuni generatori privati disposti in alcuni punti della città. Chi vuole, ma soprattutto chi può permetterselo, si attacca al generatore e gli viene erogata una certa quantità di corrente elettrica. I costi sono esorbitanti.

Noi nelle nostre case (qui in Italia) siamo abituati alla luce, alla corrente elettrica come un bene scontato e indispensabile. Lo standard in Italia si aggira intorno ai dieci ampere.  Lì il costo per uno o due ampere di corrente elettrica è davvero alto. Con un ampere accendi due o tre lampadine, con due ampere tiene accese quattro lampadine ,  ma un solo ampere costa 1 euro per settimana. 

Due ore al giorno di elettricità. Due Ampere a settimana per un totale di 2€, 3.000 Lire Siriane. Con l’elettricità pubblica si riescono a tenere 4 lampadine accese o una lampadina e, forse, un frigorifero sempre per due ore al giorno, di solito verso mezzogiorno e alla sera.

Poi sulla Siria cala il buio della notte e della crisi energetica che continua a imperversare sul Paese dall’imposizione dei dazi sul petrolio da parte di Stati Uniti ed Europa. E la popolazione è sempre più in ginocchio.  

Crisi economica ed emergenza luce 

A causa della crisi, la disoccupazione in Siria è dilagante. Chi ancora lavora e percepisce uno stipendio che, mediamente, si attesta a 650.000 Lire Siriane al mese, poco meno di 500€, ha risparmiato e comprato un generatore alimentato a benzina. 

Dopo pazienti code ai distributori, un’attesa per una tanica che può durare una giornata, i più fortunati riescono ad accendere i generatori per qualche ora ancora. Chi non è riuscito a fare benzina non può fare altro che comprarne al mercato nero a prezzi folli. 

Famiglie e palazzi si sono addirittura organizzati per avere in casa due quadri elettrici: uno normale e uno alimentato dai generatori che scatta quando salta l’elettricità. Se però una delle famiglie non riesce a saldare il conto mensile, l’energia non c’è per nessuno. 

Gli ospedali sono forse gli unici edifici che hanno una continuità nell’alimentazione mentre nelle case private e negli uffici, elettrodomestici e computer possono essere accesi per pochi minuti e tutti insieme, rischiando un sovraccarico e un blackout. 

Quando la vita ruota attorno ad una lampadina accesa 

L’intera vita dei siriani, lavorativa e privata, ruota attorno a quelle poche ore in cui l’elettricità, miracolosamente, c’è. I più colpiti rimangono i bambini in età scolastica: la mancanza cronica di elettricità ha impedito di portare avanti la didattica a distanza. 

Lo Stato ha deciso così di terminare l’anno scolastico con mesi di anticipo. L’abbandono degli studi ha subito un’impennata improvvisa e il lavoro minorile è tornato ad essere una triste realtà. 

Nel mondo del lavoro regolare, soprattutto nel settore secondario e terziario, per quanti sono sopravvissuti a una tremenda ondata di licenziamenti rimane una routine completamente capovolta.  

Rete elettrica e rete solidale 

Dove manca la rete elettrica, è però nata un’altra tipologia di rete, quella della solidarietà fra famiglie e singoli. I Siriani hanno affrontato l’ennesima crisi con una nuova consapevolezza: solo nell’unità si può trovare una soluzione

È così che i palazzi, i quartieri, hanno ricominciato ad essere piccole comunità dove la condivisione di quelle poche risorse che rimangono diventa fondamentale per la sopravvivenza di tutti. 

È grazie a questa spinta dal basso, grazie agli sforzi dello staff locale di Pro Terra Sancta e grazie all’aiuto dei nostri sostenitori che siamo riusciti a sfruttare questo già esistente network solidale per aiutare più di 300 famiglie da febbraio 2020.  

Con piccoli aiuti economici riusciamo ad aiutare una famiglia ad acquistare il gasolio necessario per avere la corrente elettrica necessaria per un mese. Ma i numeri di richieste aumentano e le famiglie che si rivolgono a noi sono arrivate ad essere più di 3000

La risposta di Pro Terra Sancta a l’emergenza luce 

Pro Terra Sancta vuole ora sviluppare un progetto che risponda ad un’esigenza immediata: avere il minimo indispensabile in termini energetici, e ad un piano a lungo termine, ossia trovare fonti di energia alternative che garantiscano un rifornimento costante di elettricità. 

https://www.proterrasancta.org/it/luce-siria/#dona


Quella che per la maggior parte di noi sarebbe una situazione insostenibile, per Ayham, che lavora con Pro Terra Sancta a Damasco, è la realtà quotidiana: “Non potete immaginare l’impatto negativo che la mancanza di elettricità ha sulla nostra vita”, ci dice.

A causa di guerra, dazi ed embarghi, l’emergenza luce va avanti ormai da 10 anni ma, dopo le ulteriori sanzioni imposte da USA e UE sulla Siria, il Covid e l’aggravarsi della crisi economica, l’elettricità è diventata un lusso che in pochi si possono permettere. 

Batterie scariche e strade buie: “è molto deprimente qui” 

“Per mantenere carica la batteria di laptop e cellulare fino a fine giornata, bisogna seguire una vera e propria strategia”, continua a spiegare Ayham. Caricabatterie e batterie, poi, sono venduti a prezzi altissimi. La speculazione sugli apparecchi elettronici è fuori controllo. 

Quando cala la sera, le strade rimangono buie. Chi può permettersi di fare benzina e spostarsi in auto cerca di farlo con la luce perché non ci sono lampioni e semafori in funzione: guidare è pericolosissimo. 

Negozi, case e uffici sono al buio, compreso l’ufficio di Pro Terra Sancta a Damasco che rimane senza elettricità per 15 ore ogni giorno: non c’è la benzina per attivare i generatori per computer e stampanti, è meglio tenerla per gli ambulatori. 

L’impatto della mancanza di elettricità sul lavoro di Ayham e dei suoi colleghi è molto negativo. “Ogni giorno lavoro da casa e poi, quando c’è l’elettricità, alle cinque vado in ufficio per finire il mio lavoro”. 

Tagrid, la nostra Wonder Woman 

Nello stesso ufficio lavora anche Tagrid che fa le pulizie in tutto l’edificio e in altri uffici vicino a dove vive. Tagrid è anche una delle beneficiare del progetto di housing finanziato dalla nostra Associazione: nonostante faccia tre lavori riesce a coprire solo metà delle spese mensili della sua famiglia

Il marito è gravemente ammalato e non lavora e Tagrid cerca qualunque lavoro possibile per avere un’entrata extra e aiutare il suo unico figlio a pagare le tasse dell’Università. 

La sua generosità e resilienza le ha conquistato l’affetto di tutto il personale di Pro Terra Sancta di Damasco: “ogni giorno, dopo essere andata a comprare il pane per la sua famiglia, passa in ufficio per distribuirlo a tutti noi”, racconta Ayham. 

Quando non c’è luce, la strada diventa una pericolosa scuola di vita 

La categoria più colpita dalla mancanza di energia elettrica però rimane quella dei bambini. Il Coronavirus ha causato la chiusura anticipata delle scuole e i bambini si sono riversati nelle strade per cercare luce, vita e giocare.

“Però è un grande pericolo: sappiamo tutti che cosa possono imparare per strada”, dice Ayham che, come capo scout, ha una grande esperienza nel campo dell’educazione.

È per questo che, già due anni fa, nel Franciscan Care centre è stato attivato un programma di educazione musicale rivolto ai più giovani, per cercare di tenerli lontani dai pericoli della strada e per farli continuare a studiare. 

Nonostante la fatica nel continuare a fare il loro lavoro, Ayham e lo staff di Damasco, come la squadra ad Aleppo, sono affiatati e altamente motivati a continuare ad aiutare la loro comunità.

L’emergenza luce aggrava ulteriormente una situazione critica per la crisi economica e le sanzioni internazionali. “Frodi, ladri, fame, povertà sono ovunque”, conclude amaramente Ayham “ma non possiamo arrenderci a questa condizione. Un futuro più luminoso è possibile!”.

La quotidiana maratona di Eva contro il buio

Seduta alla sua scrivania nell’ufficio di Pro Terra Sancta a Latakia, la nostra segretaria Eva batte furiosamente sulla tastiera del computer. Sta correndo una maratona contro il tempo: presto la batteria del laptop sarà scarica ma l’email va mandata. 

Per lei, il nostro staff e l’intera popolazione siriana è importante far sapere al mondo che cosa sta succedendo, in che condizioni vivono e lavorano a causa di una crisi energetica senza precedenti. 

A causa delle sanzioni non c’è più elettricità, non c’è più luce. La vita di tutti è stata capovolta: “l’80% della popolazione ha rinunciato a tutto pur di sopravvivere”, scrive Eva. 

NON SOLO EMERGENZA LUCE: MANCANO ACQUA E GAS 

La mancanza di luce e l’impossibilità di usare gli elettrodomestici porta con sé altri gravissimi problemi: “la cosa più importante che ci manca a causa dell’elettricità è l’acqua”, continua Eva. Ci spiega che ogni notte stanno svegli per tenere attiva la pompa che porta l’acqua in casa. 

A volte deve aspettare due ore prima di vedere le prime gocce e, se l’acqua arriva, sa già che verrà usata per riempire la vasca in cui a turno i membri della famiglia faranno il bagno, per l’igiene giornaliera e per lavare a mano i vestiti. Altre volte l’acqua non arriva per 4 giorni. 

La dieta ha subito un cambio altrettanto drastico: le bombole di gas sono rarissime e vendute a caro prezzo e bisogna aspettare che ci sia l’elettricità per usare i fornelli ad induzione e il bollitore. 

Serve un’intera giornata per cucinare un semplice piatto tradizionale”, scrive Eva, “e bisogna cercare di consumarlo in fretta perché non possiamo accendere il frigorifero, che ora usiamo come se fosse una dispensa”.  

SOLITUDINE E DEPRESSIONE: GLI EFFETTI COLLATERALI DEL BUIO

Poi c’è il buio. Pochissimi possono permettersi di comprare una piccola batteria per illuminare una stanza. Gli effetti fisici e psicologici della mancanza di luce stanno iniziando a manifestarsi in tutta la loro potenza e negatività. 

La mia mamma anziana ha iniziato a prendere gli antidepressivi”, confessa Eva, “ha difficoltà a muoversi e passa molto tempo in casa da sola. Ora non ha più la radio e la TV a tenerle compagnia. Tante persone, soprattutto le casalinghe, soffrono della stessa condizione”. 

La figlia di Eva è un’adolescente e, dato che le scuole sono state chiuse con grande anticipo, passa le sue giornate a leggere e a dipingere. A causa del buio, però, la sua vista è diventata debolissima

I suoi quadri, poi, sono tutti in bianco e nero. Non esistono più i colori nella vita di questa giovane donna

LAVORARE SENZA ELETTRICITÀ 

La parte più frustrante della nuova routine quotidiana di Eva è il lavoro. Da quando mette piede in ufficio alle 7, Eva ha mezz’ora per ricaricare telefono e laptop poi, fino alle 12, non c’è elettricità. 

Stampare, fare fotocopie e inviare email sono operazioni che devono essere svolte in sole 2 ore. Dalle 2 di pomeriggio alle 6 e mezza di sera non è più possibile lavorare. 

I frati non riescono più a comprare la benzina che potrebbe alimentare il generatore per convento e ufficio. Ci si può affidare solamente alla rete elettrica nazionale e ciò, per Eva e i suoi colleghi, significa dover rimanere in ufficio dopo le 7 e nei weekend. 

UNA MARATONA CONTRO IL TEMPO

Stiamo vivendo una vita caotica. Stiamo perdendo coraggio, gioia e futuro. Ogni pensiero è rivolto ai momenti in cui potremo avere acqua, scaldare il cibo, ricaricare le batterie, accendere la lavatrice magari…”. 

Cucinare e fare la lavatrice. Eva non desidera altro che fare quei lavori domestici che invece tanti di noi considerano fastidiosi. 

“La batteria del mio computer è quasi del tutto scarica. Devo andare ora”, scrive Eva. La sua mail potrebbe benissimo essere firmata “Siria”: un’intera popolazione ha la batteria scarica ed è relegata al buio. 

Basterebbe solo alzare un interruttore. Basterebbe solo accendere una luce in Siria


https://www.proterrasancta.org/it/luce-siria/

domenica 4 luglio 2021

Così le sanzioni sono progettate per uccidere i siriani e per uccidere la speranza

Intervento di Vanessa Beeley sulla Siria, presentato durante la tavola rotonda ospitata dall'International Manifesto Group il 13 giugno 2021.

traduzione GB.P.  OraproSiria


 


Le sanzioni sono molto spesso descritte, da chi le applica, come misure “non letali”. Direi piuttosto che le sanzioni, se usate come componente brutale e vendicativa di una strategia di guerra ibrida neocolonialista, sono probabilmente più devastanti di una guerra militare. Quando vengono imposte da nazioni superpotenze globali contro nazioni bersaglio come la Siria, in concomitanza con una guerra per procura che è stata fomentata e sostenuta dalle stesse nazioni, diventa un'arma di distruzione di massa tanto quanto gli eserciti terroristi/mercenari che queste nazioni allineate agli Stati Uniti hanno scatenato contro il popolo siriano. Quindi è quasi impossibile parlare delle sanzioni economiche contro la Siria isolatamente, senza fare riferimento alle misure parallele che sicuramente colpiscono più duramente le persone più povere in Siria.

Direi che gli effetti delle sanzioni di USA/Regno Unito/UE/Turchia e Lega Araba, sono equivalenti alla campagna di distruzione delle infrastrutture condotta dai gruppi armati illegali finanziati e armati dalla coalizione statunitense per il cambio di regime e promossa dai loro media allineati. Il terrorismo può essere definito “l'uso illecito della forza o della violenza contro persone o proprietà, al fine di costringere o intimidire un governo o la popolazione civile a perseguire obiettivi politici o ideologici”.

L'atto di negare i mezzi di sostentamento alla vita di civili innocenti al fine di costringere un'intera nazione a sottomettersi ai programmi stranieri nella regione deve sicuramente qualificarsi come TERRORISMO ECONOMICO. La distruzione di infrastrutture civili essenziali è un CRIMINE DI GUERRA, come anche la ritenzione di risorse essenziali (come l'acqua, il petrolio e l'energia elettrica.. (n.d.t.) o l'occupazione di tali risorse, è un crimine di guerra. Si potrebbe sostenere che la Coalizione USA è responsabile di genocidio in Siria ai sensi dell'articolo II-e della Convenzione sul Genocidio, "infliggendo deliberatamente a un gruppo, condizioni di vita calcolate per determinarne la distruzione fisica totale o parziale”.

La correlazione tra coercizione economica e militare è stata chiarita dall'ambasciatore James Jeffrey, uomo di punta in Siria del precedente Segretario di Stato Mike Pompeo, che non solo ha descritto Al Qaeda come una "risorsa americana" in Siria, ma si è anche vantato apertamente della miseria che le sanzioni avevano portato al popolo siriano: “E, ovviamente, abbiamo aumentato l'isolamento e la pressione delle sanzioni su Assad, abbiamo mantenuto la linea di non assistenza per la ricostruzione e il Paese ne è disperato. Vedi cosa è successo alla sterlina siriana, vedi cosa è successo all'intera economia. Quindi, è stata una strategia molto efficace….”

Ci sono un certo numero di settori della società siriana che sono presi di mira dalle sanzioni e contemporaneamente dall'occupazione statunitense e dal terrorismo per procura che assicurano che la qualità della vita dei civili siriani sia gravemente ridotta e i loro diritti umani siano gravemente violati:

Il settore carburante/petrolio

La produzione era stata colpita dalle sanzioni applicate nel 2011/12. L'effetto della riduzione delle importazioni ed esportazioni di petrolio tra il 2011 e il 2014 è stimato in una perdita di 21 miliardi di dollari per la Siria. Quando l'ISIS ha occupato la regione siriana ricca di petrolio del nord-est della Siria, ha accumulato circa 3 milioni di dollari al giorno in entrate rubate. I separatisti curdi, contras degli USA, stanno ora beneficiando della vendita di risorse siriane, in seguito all'occupazione statunitense dei giacimenti petroliferi del nord-est. Gli stessi Stati Uniti stanno rubando il petrolio siriano tramite la compagnia petrolifera Delta Crescent Energy, installata sotto l'amministrazione Trump. Altri beneficiari includono Al Qaeda che ha anche istituito un monopolio sulla raffineria di petrolio, che prende il nome di WATAD, che riceve il petrolio rubato e poi lo commercia in Turchia. Di fatto, gli Stati Uniti o i loro delegati hanno sequestrato i giacimenti petroliferi siriani all'inizio del conflitto, il che ha fornito entrate alle varie forze contras sotto il loro controllo (tra cui l'ISIS) consentendo loro di rubare ulteriori risorse, fare pulizia etnica delle aree della Siria e distruggere infrastrutture, aumentando le sanzioni e imponendo un brutale blocco al popolo siriano, la maggior parte del quale vive in aree sotto la protezione del governo siriano.

Settore industriale

Un numero enorme di fabbriche è stato annientato da sanzioni incrementali e la produzione è stata ridotta in quelle sopravvissute. La causa è la mancanza di carburante, elettricità, parti di macchinari (la maggior parte proveniva dall'UE). Un rapporto della Camera di Commercio di Aleppo nel 2015 ha dettagliato la chiusura totale di 26.000 stabilimenti, la chiusura parziale di 17.000 e la produzione sospesa in 50.000 aziende. Allo stesso tempo, gruppi armati, tra cui il Fronte Al Nusra e l'ISIS, hanno invaso le aree industriali di Aleppo e smantellato migliaia di fabbriche, distrutto reti elettriche, ferrovie, ecc. e per fornire entrate commerciali in Turchia, molte fabbriche sono state ripristinate in territorio turco. Nell'ottobre 2015, la Coalizione degli Stati Uniti ha bombardato la centrale termoelettrica di Aleppo, allora sotto il controllo dell'Isis, provocando il black-out totale ad Aleppo e nelle campagne circostanti.

Settore agricolo

Il settore agricolo ha risentito dell'aumento dei costi del carburante, della mancanza di parti di macchinari grazie alle sanzioni. Alcune delle più abbondanti aree di coltivazione dell'olivo e del cotone sono state occupate dai gruppi armati che, ancora una volta, beneficiano del commercio illegale di colture alimentari siriane attraverso la Turchia e l'Iraq. Vaste aree della silvicoltura e delle colture di grano sono state deliberatamente bruciate nel 2020. La coalizione statunitense ha lanciato palloncini incendiari nelle colture di grano nel nord-est, i contras curdi hanno preso il controllo delle strutture di stoccaggio del grano e hanno limitato la fornitura a Damasco, al popolo siriano. Le code per il pane sono diventate una scena familiare in tutta la Siria e i prezzi del cibo sono saliti alle stelle. La Siria è spinta verso una pericolosa insicurezza alimentare da una combinazione di forze militari ed economiche, entrambe sostenute dalla stessa alleanza criminale guidata da Stati Uniti e Regno Unito.

Settore sanitario

Mentre si afferma che il "settore umanitario" è esente da sanzioni, ciò è fuorviante. Quasi il 50% degli ospedali siriani è stato distrutto durante la guerra contro questo Paese, molti sono stati occupati da gruppi terroristici e convertiti in centri militari, tribunali della sharia, centri di detenzione e tortura - come ad esempio l'ospedale oculistico e per i bambini ad Aleppo est che è stato finalmente liberato dall'Esercito Arabo Siriano e dagli alleati nel dicembre 2016. Si stima che anche 20 fabbriche farmaceutiche siano state distrutte o occupate durante le invasioni terroristiche. La Siria aveva una flotta di 703 ambulanze nel 2011, 350 sono state distrutte o rubate dai gruppi armati o dai loro ausiliari sostenuti dall'occidente, gli White Helmets (Caschi Bianchi). Gli ospedali e le attrezzature rimanenti soffrono della mancanza di tecnologia aggiornata e parti di ricambio, originariamente provenienti da UE.

Ciò ha portato alla scarsità di farmaci per malattie croniche, come cancro, malattie cardiache, malattie renali. Il settore sanitario, che offre assistenza sanitaria gratuita per tutti all'interno della Siria, è sempre stato motivo di orgoglio per lo Stato siriano: ora 41 ospedali pubblici e 621 centri medici sono fuori uso. Esistono restrizioni all'importazione di gas di cloro utilizzato come depuratore d'acqua che ha provocato la diffusione di malattie infettive dovute all'inquinamento dell'acqua potabile. Allo stesso tempo, la Turchia, membro della NATO, sta deliberatamente privando dell'acqua il popolo siriano nella regione di Hasaka, nel nord-est della Siria. Le sanzioni sono ancora una volta solo un elemento di una guerra di egemonia idroelettrica condotta dalla Coalizione statunitense contro il popolo siriano, una guerra che ha un impatto sul settore sanitario con conseguenze devastanti.

Le più recenti e feroci sanzioni del Caesar Act introdotte sotto Trump stanno impedendo la ricostruzione di ospedali e la riparazione di macchinari essenziali. La chiusura di molti ospedali rurali sta portando all'inevitabile sovraffollamento degli ospedali cittadini con conseguenti ritardi nelle cure e diffusione della malattia. Le sanzioni sul settore sanitario sono un obiettivo deliberato e criminale contro il popolo siriano da parte della coalizione statunitense. Ciò viola tutte le convenzioni sui diritti umani e deve essere condannato.

Settori elettricità e trasporti

I settori dell'elettricità in Siria sono stati devastati da una combinazione di guerra e sanzioni. Si è registrato un drastico calo della produzione che risente della mancanza di carburante a causa dell'occupazione delle risorse petrolifere e dell'impossibilità di reperire i pezzi di ricambio. I danni nel 2015, dovuti alle interruzioni dell'elettricità, sono stati stimati in 16 miliardi di dollari, ora nel 2021 tale cifra sarà enormemente aumentata.

I gruppi armati, dominati dal Fronte Al Nusra, hanno sistematicamente distrutto centrali elettriche, depositi di carburante, gasdotti e oleodotti e rubato intere reti elettriche per commerciare all'interno della Turchia. Intere linee ferroviarie sono state distrutte e fuse all'interno della Turchia o vendute come rottami. Il sistema di trasporto siriano risente della mancanza di carburante, dei pezzi di ricambio e della distruzione delle infrastrutture essenziali. Tutti questi hanno un effetto debilitante a catena sulla funzionamento della società siriana.

Anche i settori dell'istruzione e del turismo in Siria sono minacciati dalle sanzioni e dall'incapacità di ricostruire e ripartire dopo gli effetti della guerra.

Effetti complessivi del terrorismo economico sul popolo siriano

Ci sono stati enormi aumenti dei prezzi del cibo in tutta la Siria, aumenti di circa il 300% in alcuni casi. I prezzi del carburante sono saliti alle stelle, l'inflazione è appena sotto controllo. Ciò sta generando insicurezza alimentare, malnutrizione e povertà nell'80% della popolazione. I salari sono rimasti fermi, quindi un impiegato statale medio guadagna 50.000 SYP (Lire Siriane) al mese (16 dollari al tasso odierno) mentre, ad esempio, 2 kg di pollo adesso costano 20.000 SYP. In inverno molte zone di Damasco ricevevano elettricità per sole 3 ore al giorno, nelle zone rurali ancora meno. Il costo del combustibile per il riscaldamento-condizionamento e del gas per cucinare è ora esorbitante: per una bombola di gas sul mercato nero, tra 30-40.000, mentre ci sono lunghe attese per il gas sovvenzionato fornito dal governo.

C'è una carenza di carburante che ha portato a code perfino di 2 giorni per ricevere 20 litri di carburante. Anche il Libano è ora senza carburante, mentre era uno dei principali fornitori di carburante del mercato nero alla Siria. La disoccupazione è in aumento esponenziale. I costi di affitto degli appartamenti sono aumentati vertiginosamente, mentre la costruzione di nuovi progetti è sospesa a causa della mancanza di materiali, attrezzature e investimenti. Le famiglie sono lacerate perché i giovani rischiano pericolosi viaggi sulle rotte illegali verso l'UE ed oltre, per cercare di guadagnare denaro da inviare ai loro parenti impoveriti in Siria. Le sanzioni stanno soffocando la Siria e vengono utilizzate per aumentare deliberatamente la sofferenza del popolo siriano che ha resistito a dieci anni di guerra condotta contro di lui dalla coalizione USA/Regno Unito che sta imponendo la sua incapacità di uscire dal pantano della guerra.

La Coalizione degli Stati Uniti sta effettivamente seguendo una politica di sterminio collettivo del popolo siriano con mezzi militari ed economici. Questo è un crimine contro l'umanità, un crimine di guerra e una flagrante violazione del diritto alla vita e a una vita dignitosa. La Siria è un membro delle Nazioni Unite, queste misure unilaterali coercitive nei confronti del popolo siriano sono una violazione della Carta delle Nazioni Unite.

Sotto le più recenti e barbare sanzioni del Cesar-Act, considerate illegali da molti esperti, si sta esercitando una maggiore pressione contro le nazioni che volessero cercare di aiutare la ricostruzione della Siria. Allo stesso tempo, gli Stati Uniti, il Regno Unito, l'UE, la Turchia e Israele continuano a sostenere e promuovere il terrorismo in Siria e consentono ai loro tirapiedi di saccheggiare e depredare le risorse siriane, punendo ulteriormente il popolo siriano. Le sanzioni contro la Siria sono un tentativo esecrabile di mettere in ginocchio il Paese dopo che una delle più lunghe e costose guerre per il cambio di regime guidate da Regno Unito e Stati Uniti è fallita militarmente.

 Le sanzioni non stanno colpendo i presunti obiettivi, stanno uccidendo il popolo siriano e stanno uccidendo la speranza: dobbiamo fare una campagna contro di loro per ripristinare la pace e la stabilità in Siria e nella regione.

Fonte:
https://thewallwillfall.org/2021/06/14/sanctions-on-syria-a-silent-death-and-killing-hope/

venerdì 2 luglio 2021

“Il Signore Dio ha progetti di pace. Insieme per il Libano” : le dichiarazioni dei Patriarchi Ortodossi e il discorso del Papa

 Statement of the Syriac Orthodox Patriarchate of Antioch and All the East

June 30, 2021
We ask the Vatican to work on lifting the sanctions of the Syrian People
On June 30, 2021, His Holiness Patriarch Mor Ignatius Aphrem II, Syriac Orthodox Patriarch of Antioch and All the East, met His Holiness Pope Francis at his residence in the Vatican.
His Holiness was accompanied by their Eminences Archbishops: Mor Justinos Boulos Safar, Patriarchal Vicar in Zahleh and Beqaa, and Mor Joseph Bali, Patriarchal Secretary.
During the meeting, His Holiness the Patriarch spoke about the situation of Christians in Syria and about the suffering of the Syrian people due to the sanctions imposed on Syria. He asked from His Holiness Pope Francis to help in lifting the sanctions using the Vatican’s international relations to this end.
His Holiness the Patriarch also requested that the Holy See to continue their efforts to help in the case of the abducted Archbishops of Aleppo Boulos Yaziji and Mor Gregorius Youhanna Ibrahim.
Their Holinesses discussed in length the issue of the date of the celebration of Easter where His Holiness the Patriarch renewed his call to intensify the serious work in this regard. He also affirmed the stand of the Syriac Orthodox Church to proceed forward in this issue because of its importance to the unity of Christians and their common witness.
At the end of the meeting, their Holinesses prayed for the Christians in the Middle East.

Patriarch John X meets Pope Francis
Vatican, June 30, 2021
HB John X, the Greek Orthodox Patriarch of Antioch and All the East met Pope Francis at the Apostolic Palace in the Vatican City.
The private meeting between His Holiness and His Beatitude touched upon the day of prayer for Lebanon to be held tomorrow in the Vatican, at the invitation of His Holiness to all the heads of Christian communities in Lebanon. The meeting also touched on the Christian situation in the Middle East in all its aspects.
His Beatitude expressed to His Holiness the Antiochian point of view: tolerance, refusing introversion and exclusion, and building bridges of inclusion to all components.
His Beatitude commended the role entrusted to the Holy See to save Lebanon by exerting pressure for establishing a Lebanese government and by supporting the combined proposals and consensus to determine the fate of one united Lebanon in coexistence and citizenship.
His Beatitude also presented the situation in Syria, noting the necessity to lifting sanctions on Syria and Lebanon, as they affect the citizen's livelihood.
The meeting also touched on the issue of the kidnapped bishops of Aleppo, Paul Yazigi and Yohanna Ibrahim, as it is necessary to reach the desired end of this file, which is still disregarded by the international community.
For his part, His Holiness appraised the pioneer role of the Church of Antioch in the region and affirmed the continuous endeavor of the Holy See's towards all that is for the good of Lebanon and the region.
The Antiochian delegation which accompanied His Beatitude was formed of Metropolitan Silouan Moussa (of Mount Lebanon) and Archimandrite Parthenios Al-Latti.

DISCORSO DEL SANTO PADRE FRANCESCO
A CONCLUSIONE DELLA PREGHIERA ECUMENICA

“IL SIGNORE DIO HA PROGETTI DI PACE. 
INSIEME PER IL LIBANO"

Basilica di San Pietro  Giovedì, 1 luglio 2021

Cari fratelli e sorelle,

ci siamo riuniti oggi per pregare e riflettere, spinti dalla preoccupazione per il Libano, preoccupazione forte, nel vedere questo Paese, che porto nel cuore e che ho il desiderio di visitare, precipitato in una grave crisi. Sono grato a tutti i partecipanti per aver accolto prontamente l’invito e per la condivisione fraterna. Noi Pastori, sostenuti dalla preghiera del Popolo santo di Dio, in questo frangente buio abbiamo cercato insieme di orientarci alla luce di Dio. E alla sua luce abbiamo visto anzitutto le nostre opacità: gli sbagli commessi quando non abbiamo testimoniato il Vangelo con coerenza e fino in fondo, le occasioni perse sulla via della fraternità, della riconciliazione e della piena unità. Di questo chiediamo perdono e con il cuore contrito diciamo: «Pietà, Signore!» (Mt 15,22).

Era questo il grido di una donna, che proprio dalle parti di Tiro e di Sidone incontrò Gesù e, in preda all’angoscia, lo implorò con insistenza: «Signore, aiutami!» (v. 25). Questo grido è diventato oggi quello di un intero popolo, il popolo libanese deluso e spossato, bisognoso di certezze, di speranza, di pace. Con la nostra preghiera abbiamo voluto accompagnare questo grido. Non desistiamo, non stanchiamoci di implorare dal Cielo quella pace che gli uomini faticano a costruire in terra. Chiediamola insistentemente per il Medio Oriente e per il Libano. Questo caro Paese, tesoro di civiltà e di spiritualità, che ha irradiato nei secoli saggezza e cultura, che testimonia un’esperienza unica di pacifica convivenza, non può essere lasciato in balia della sorte o di chi persegue senza scrupoli i propri interessi. Perché il Libano è un piccolo-grande Paese, ma è di più: è un messaggio universale di pace e di fratellanza che si leva dal Medio Oriente.

Una frase che il Signore pronuncia nella Scrittura è risuonata oggi tra noi, quasi in risposta al grido della nostra preghiera. Sono poche parole, con le quali Dio dichiara di avere «progetti di pace e non di sventura» (Ger 29,11). Progetti di pace e non di sventura. In questi tempi di sventura vogliamo affermare con tutte le forze che il Libano è, e deve restare, un progetto di pace. La sua vocazione è quella di essere una terra di tolleranza e di pluralismo, un’oasi di fraternità dove religioni e confessioni differenti si incontrano, dove comunità diverse convivono anteponendo il bene comune ai vantaggi particolari. È perciò essenziale – desidero ribadirlo – «che chi detiene il potere si ponga finalmente e decisamente al vero servizio della pace e non dei propri interessi. Basta ai tornaconti di pochi sulla pelle di molti! Basta al prevalere delle verità di parte sulle speranze della gente!» (Parole a conclusione del dialogoBari, 7 luglio 2018). Basta usare il Libano e il Medio Oriente per interessi e profitti estranei! Occorre dare ai Libanesi la possibilità di essere protagonisti di un futuro migliore, nella loro terra e senza indebite interferenze.

Progetti di pace e non di sventura. Voi, cari Libanesi, vi siete distinti nel corso dei secoli, anche nei momenti più difficili, per intraprendenza e operosità. I vostri alti cedri, simbolo del Paese, evocano la florida ricchezza di una storia unica. E ricordano pure che rami grandi nascono solo da radici profonde. Vi ispirino gli esempi di chi ha saputo costruire fondamenta condivise, vedendo nelle diversità non ostacoli, ma possibilità. Radicatevi nei sogni di pace dei vostri anziani. Mai, come in questi mesi, abbiamo compreso che da soli non possiamo salvarci e che i problemi degli uni non possono essere estranei agli altri. Perciò, facciamo appello a tutti voi. A voi, cittadini: non vi scoraggiate, non perdetevi d’animo, ritrovate nelle radici della vostra storia la speranza di germogliare nuovamente. A voi, dirigenti politici: perché, secondo le vostre responsabilità, troviate soluzioni urgenti e stabili alla crisi economica, sociale e politica attuale, ricordando che non c’è pace senza giustizia. A voi, cari Libanesi della diaspora: perché mettiate a servizio della vostra patria le energie e le risorse migliori di cui disponete. A voi, membri della Comunità internazionale: con uno sforzo congiunto, siano poste le condizioni affinché il Paese non sprofondi, ma avvii un cammino di ripresa. Sarà un bene per tutti.

Progetti di pace e non di sventura. Come cristiani, oggi vogliamo rinnovare il nostro impegno a edificare un futuro insieme, perché l’avvenire sarà pacifico solo se sarà comune. I rapporti tra gli uomini non possono basarsi sulla ricerca di interessi, privilegi e guadagni di parte. No, la visione cristiana della società viene dalle Beatitudini, scaturisce dalla mitezza e dalla misericordia, porta a imitare nel mondo l’agire di Dio, che è Padre e vuole la concordia tra i figli. Noi cristiani siamo chiamati a essere seminatori di pace e artigiani di fraternità, a non vivere di rancori e rimorsi passati, a non fuggire le responsabilità del presente, a coltivare uno sguardo di speranza sul futuro. Crediamo che Dio indichi una sola via al nostro cammino: quella della pace. Assicuriamo perciò ai fratelli e alle sorelle musulmani e di altre religioni apertura e disponibilità a collaborare per edificare la fraternità e promuovere la pace. Essa «non chiede vincitori né vinti, ma fratelli e sorelle che, nonostante le incomprensioni e le ferite del passato, camminino dal conflitto all’unità» (Discorso, Incontro interreligiosoPiana di Ur, 6 marzo 2021). In tal senso, auspico che a questa giornata seguano iniziative concrete nel segno del dialogo, dell’impegno educativo e della solidarietà.

Progetti di pace e non di sventura. Oggi abbiamo fatto nostre le parole piene di speranza del poeta Gibran: Oltre la nera cortina della notte c’è un’alba che ci aspetta. Alcuni giovani ci hanno appena consegnato delle lampade accese. Proprio loro, i giovani, sono lampade che ardono in quest’ora buia. Sui loro volti brilla la speranza dell’avvenire. Ricevano ascolto e attenzione, perché da loro passa la rinascita del Paese. E tutti noi, prima di intraprendere decisioni importanti, guardiamo alle speranze e ai sogni dei giovani. E guardiamo ai bambini: i loro occhi luminosi, ma rigati da troppe lacrime, scuotano le coscienze e indirizzino le scelte. Altre luci risplendono sull’orizzonte del Libano: sono le donne. Viene alla mente la Madre di tutti, che, dalla collina di Harissa, abbraccia con lo sguardo quanti dal Mediterraneo raggiungono il Paese. Le sue mani aperte sono rivolte verso il mare e verso la capitale Beirut, ad accogliere le speranze di tutti. Le donne sono generatrici di vita, generatrici di speranza per tutti; siano rispettate, valorizzate e coinvolte nei processi decisionali del Libano. E anche i vecchi, che sono le radici, i nostri anziani: guardiamoli, ascoltiamoli. Che ci diano la mistica della storia, che ci diano le fondamenta del Paese per portare avanti. Loro hanno voglia di tornare a sognare: ascoltiamoli, perché in noi quei sogni si trasformino in profezia.

Parafrasando ancora il poeta, riconosciamo che per giungere all’alba non c’è altra via se non la notte. E nella notte della crisi occorre restare uniti. Insieme, attraverso l’onestà del dialogo e la sincerità delle intenzioni, si può portare luce nelle zone buie. Affidiamo ogni sforzo e impegno a Cristo, Principe della Pace, perché, come abbiamo pregato, “quando si levano i raggi privi d’ombre della sua misericordia fuggono le tenebre, termina il crepuscolo, si dilegua l’oscurità e se ne va la notte” (cfr S. Gregorio di Narek, Libro della Lamentazione, 41). Fratelli e sorelle, si dilegui la notte dei conflitti e risorga un’alba di speranza. Cessino le animosità, tramontino i dissidi, e il Libano torni a irradiare la luce della pace.


lunedì 28 giugno 2021

Appello all’Europa per il Libano, preghiera insieme a papa Francesco

Il 1° luglio Papa Francesco accoglierà i principali leader cristiani del Libano per affrontare quella che ha definito la “preoccupante crisi" che sta attraversando il Paese e pregare per la pace e la stabilità del Paese.
 

Accogliendo l’invito di Papa Francesco a pregare per il Libano, la Presidenza del CCEE, a nome dei vescovi del Continente, si unisce “ai fratelli e alle sorelle di fede e di umanità che vivono in Libano” e invoca il dono della pace e della stabilità insieme a un rinnovato impegno a sostegno del Paese dei Cedri.

All’Europa ci rivolgiamo dando voce ai Vescovi del Continente.

Come Presidenza del Consiglio delle Conferenze Episcopali d’Europa, ci uniamo ai fratelli e alle sorelle di fede e di umanità che vivono in Libano.

Facciamo nostre le istanze dell’Assemblea dei Patriarchi e dei Vescovi Cattolici di quel martoriato e nobile Paese: le loro sono le parole non solo della comunità cristiana, ma di tutto un popolo che soffre duramente nella paura e nell’incertezza del futuro: situazione nella quale nessuno – popoli o singoli – dovrebbe vivere nel mondo. Anche il Santo Padre Francesco, nei Suoi accorati Messaggi, ha espresso la sua paterna vicinanza e ha invocato dai potenti della terra attenzione e un rinnovato impegno a sostegno del Libano, affinché possa proseguire nella sua vocazione ad essere una terra di incontro, convivenza e pluralismo.

La storia del Libano è nota e nessuno la può dimenticare: storia di dignità e di cultura, di accoglienza e solidarietà, anche oggi, verso tanti sofferenti che provengono dalla Siria e dalla Palestina. È una storia di libertà, di dialogo, e di pacifica convivenza nel segno dei diritti fondamentali.

Perché tanto dolore? Perché il rischio della disgregazione e di una implosione che sarebbe danno per l’area e vergogna per l’umanità? La storia dovrà forse aggiungere un’altra pagina buia? Nessuno lo deve volere, e certamente il popolo libanese non lo vuole! Nulla è perduto se si vuole e si agisce con onestà tempestiva. Nulla è fatale, tutto è nelle mani degli uomini con l’aiuto del Dio misericordioso e giusto: Egli vede le opere degli uomini e scruta le intenzioni dei cuori.

Per queste ragioni facciamo appello alla coscienza delle Nazioni e dei Responsabili, affinché il mondo non dimentichi la tragedia in atto e non sia sordo al grido dei poveri e dei sofferenti. Affinché si ristabilisca la giustizia, si riconosca l’identità individuale, collettiva e nazionale, si rispettino i valori religiosi e civili della loro Tradizione, si sostenga la ripresa dell’economia e la ricostruzione di un tessuto sociale fatto di dialogo e di collaborativa coesistenza delle diversità religiose, culturali e sociali. Tutto questo senza condizionamenti esterni.

In questa ottica di ricostruzione, la Chiesa è presente con il messaggio evangelico e con le sue istituzioni educative, sanitarie e sociali: esse sono conosciute da tutti e a disposizione del bene comune. Il sostegno, pertanto, anche di queste presenze operative rappresenta l’interesse concreto per rafforzare il tessuto sociale e per intravvedere un futuro migliore. È noto che il futuro di un Paese è un bene non solo particolare ma per l’umanità. Questo vale in modo speciale per il Libano e per il suo contributo ad un Medio Oriente plurale, tollerante e diversificato.

Ci uniamo all’accorato appello del Santo Padre e preghiamo il Signore della pace affinché i piccoli siano confortati e soccorsi, e i responsabili si lascino illuminare per essere saggi e onesti davanti a Dio, ai sofferenti e alla storia.

Presidenza del CCEE

https://www.ccee.eu/wp-content/uploads/sites/2/2021/05/Appello-Libano-IT.pdf


I PARTECIPANTI ALL'INCONTRO DEL 1 LUGLIO

Il tavolo dell’incontro sarà rotondo, ed intorno ad esso siederanno insieme a Francesco, il nunzio in Libano, mons. Joseph Spiteri, che fungerà da moderatore, e i dieci Capi delle comunità cristiane: per parte cattolica, il Patriarca maronita card. Bechara Boutros Raï, quello Siro-cattolico Ignace Youssef III Younan, quello Melkita Youssef Absi, il vescovo Caldeo Michel Kassarj e il vicario apostolico latino mons. Cesar Essayan.

Per i non cattolici ci saranno: la Chiesa greco-ortodossa del Patriarcato di Antiochia, di tradizione bizantina, guidata dal patriarca Youhanna X Yazigi. 

Ci sarà il Catholicossato della Chiesa Armena Apostolica di Cilicia, guidata dal Catholicos Aram I. “Sostanzialmente, la presenza della comunità armena in Libano risale al tempo del genocidio armeno agli inizi del XX secolo”. 

Attesa la Chiesa Siro-ortodossa, con a capo, dal 2014, il Patriarca Ignazio Aphrem II. 

Gli evangelici, ossia The Supreme Council of the Evangelical Community in Syria and Lebanon, sarà rappresentato dal suo presidente, il rev.do Joseph Kassabhas. “La comunità evangelica in Libano trae origine dal risveglio intellettuale avvenuto nella parte dell‘Impero Ottomano di lingua araba nel 19.mo secolo; esso porta avanti oggi in Libano un intenso impegno nel campo educativo”.

http://www.asianews.it/notizie-it/%E2%80%8BIl-primo-luglio-in-Vaticano-il-grido-del-popolo-libanese-53505.html


Un’altra bomba a orologeria in riva al Mediterraneo

Il logo della Giornata di preghiera e riflessione per il Libano

di Fulvio Scaglione

Situato in posizione strategica, c’è un Paese del Medio Oriente che attraversa una crisi politica profondissima (il premier incaricato tenta invano di formare un governo dall’ottobre 2020). È in totale bancarotta (dal 2019 i conti correnti sono bloccati e al mercato nero la valuta locale ha perso il 90 per cento del suo valore sul dollaro; nel solo 2020 il Pil nazionale è crollato di quasi il 20 per cento) e ha visto crescere il numero dei poveri in misura impressionante: su meno di 7 milioni di abitanti, 1,7 milioni sono in povertà e quasi 850 mila incapaci di soddisfare da soli i propri bisogni alimentari. In più, c’è un milione e mezzo di profughi siriani che, nella loro incolpevole disperazione, costituiscono un problema di enormi proporzioni. Questo Paese è il Libano, una realtà che i vari consessi politici internazionali (il recente G7, per esempio) faticano anche solo a nominare.

A dire il vero ha tentato di occuparsene la Francia. Dopo l’esplosione nel porto del 4 agosto 2020, che fece più di 200 morti e fece definitivamente cadere la maschera che ancora celava la crisi libanese, il presidente Emmanuel Macron fu il primo a presentarsi a Beirut. Da allora, le massime autorità francesi si sono avvicendate nelle visite, senza però dare l’impressione di aver trovato il bandolo della matassa. L’Eliseo continua a puntare su Saad Hariri, che ha finora incontrato 18 volte il capo dello Stato Michel Aoun senza arrivare alla formazione di un Governo purchessia. Va dato atto a Macron e Hariri, però, che non abbondano le figure alternative. Tanto che persino il patriarca maronita, il cardinale Beshara Rai, ha proposto un «governo dei leader» pur di dare una scossa alla situazione.

Eppure, è proprio il perpetuarsi delle vecchie abitudini e dei vecchi personaggi a inchiodare il Paese al proprio fallimento. L’accurata spartizione per gruppi etnico-religiosi delle cariche pubbliche ha dato stabilità al sistema finché ha conservato la sua carica, per così dire, innovativa. Di certo particolare rispetto a una regione dove i gruppi, invece di cercare il compromesso, erano piuttosto abituati a scannarsi per la supremazia totale. Quando si è sclerotizzato, l’accordo spartitorio è diventato una specie di saccheggio istituzionalizzato. E quando si è allargato alla società (perché, per esempio, l’aeroporto di Beirut deve essere controllato dagli sciiti? Perché il commercio dei farmaci deve essere appannaggio dei cristiani ortodossi?) è diventato fattore di disgregazione.

Servirebbe un cambiamento radicale. Ma chi potrebbe guidarlo? E ancor prima: chi potrebbe avere il coraggio di volerlo? Perché, come si diceva, incastrato tra Israele e la Siria, il Libano è da sempre un ordigno da maneggiare con cura. Adesso è diventato una bomba a tempo.

https://www.terrasanta.net/2021/06/unaltra-bomba-a-orologeria-in-riva-al-mediterraneo/

In Libano, una crisi segue l'altra

Il Libano è sull'orlo della bancarotta nazionale. Il paese sta esaurendo la valuta estera e con essa il carburante, le medicine e l'elettricità. Questo ha avuto un impatto enorme anche sull'istruzione. Molte aule in Libano restano chiuse in questi giorni, e ciò non ha nulla a che fare con il coronavirus. "Sta diventando più difficile per noi insegnanti andare al lavoro a causa della mancanza di benzina".....

 articolo completo qui : https://www.dw.com/en/lebanon-protesters-demand-new-government-to-tackle-crisis/a-53799365


Rimandiamo inoltre al precedente articolo sulla situazione libanese pubblicato su Ora pro Siria: 

 https://oraprosiria.blogspot.com/2021/03/il-libano-sullorlo-dellabisso.html


mercoledì 23 giugno 2021

Nella “Giornata della Pace per l’Oriente”, consacrazione del Medio Oriente alla Sacra Famiglia

In occasione della celebrazione del 130° anniversario della Rerum Novarum, l'enciclica emanata da Papa Leone XIII il 15 maggio 1891 sui “Diritti e doveri del capitale e del lavoro”; il Comitato Episcopale “Giustizia e Pace”, che emana dal Consiglio dei Patriarchi Cattolici del Medio Oriente, ha lanciato l’iniziativa della celebrazione annuale di una S. Messa durante una giornata che si chiamerà “Giornata della Pace per l'Oriente”, e che quest'anno sarà domenica 27 giugno 2021, alle ore 10:00.

Si è deciso di celebrare una S. Messa in ciascuno dei Paesi appartenenti al Consiglio dei Patriarchi Cattolici del Medio Oriente, e pertanto tutti i Patriarchi e i Vescovi sono invitati a partecipare a questa intensa celebrazione, e ad essere insieme, in profonda comunione di preghiera, in questo giorno benedetto.

In occasione dell'Anno di San Giuseppe, si procederà anche alla consacrazione del Medio Oriente alla Sacra Famiglia, e per questo sarà inserito un gesto speciale nella Messa che sarà celebrata nella Basilica dell'Annunciazione a Nazareth domenica 27 giugno 2021, alle ore 10.00, con la partecipazione di tutti gli Ordinari di Terra Santa. Benediremo un'Icona della Sacra Famiglia, appositamente dipinta e intarsiata con le reliquie della stessa Basilica dell'Annunciazione. L'icona rappresenta la Sacra Famiglia di Nazareth, che riposa sopra l'altare della chiesa di San Giuseppe, a Nazareth, dove, secondo la tradizione, si trovava la casa del Falegname.

Una volta benedetta, l'Icona sarà portata in pellegrinaggio, partendo dal Libano, verso i paesi dell'Oriente, fino al suo arrivo a Roma verso la fine dell'anno di San Giuseppe, l'8 dicembre 2021.  Da Roma, l'Icona farà il suo viaggio di ritorno in Terra Santa dove rimarrà. Anche a Roma il Santo Padre Papa Francesco impartirà la sua speciale Benedizione Apostolica per la “Giornata della Pace per l'Oriente”.

Siete tutti invitati così a partecipare con la vostra presenza e, se non è possibile, con la vostra comunione con noi nella preghiera, ciascuno dalla propria Parrocchia o convento, per implorare la Misericordia di Dio e la sua Pace su questo amato Medio Oriente, dove la fede cristiana è nata ed è ancora viva, nonostante le sofferenze."

Vostro in Cristo,

† Pierbattista Pizzaballa, Patriarca latino di Gerusalemme

Atto di Consacrazione dell'Oriente alla Sacra Famiglia

"Ricorriamo alla tua protezione, o Santa Famiglia di Gesù, Maria e Giuseppe, in mezzo alle crisi politiche ed economiche che si sono abbattute su di noi qui in Medio Oriente.

Ricorriamo alla tua protezione, o Santa Famiglia, Gesù, Maria e Giuseppe, in mezzo alle ripercussioni della pandemia di Covid, che ha creato una situazione di instabilità, di paura e di ansia.

Alla tua protezione ricorriamo, o Famiglia di Nazareth, che hai sperimentato ogni difficoltà con fede, speranza e amore, per consacrare a Te tutto il nostro Oriente e i nostri Paesi, e affidarTi le nostre vite e le terre in cui siamo nati, le nostre paure e le nostre speranze, i nostri giovani e le nostre famiglie, perché ogni famiglia diventi chiesa domestica e scuola di santità.

O Santa Famiglia, chiedi a Dio per il Medio Oriente la grazia di uscire da questa situazione difficile e di ottenere il ritorno della pace e della stabilità, affinché i suoi abitanti possano vivere con eguali diritti e doveri, e godere di una vita libera e dignitosa, indipendentemente dalla loro appartenenza religiosa e dalla loro identità nazionale.

O Santa Famiglia, il tuo sguardo tenero sia su di noi, sulle nostre famiglie e sui nostri Paesi, perché possiamo aprirci ai segni della presenza di Dio come Tu Ti sei aperta a Lui con assoluta fedeltà, perché i nostri cuori si schiudano gli uni agli altri e alle dimensioni del mondo intero, così da divenire tutti un'unica famiglia, che vive nella pace, nell’amore e nell’armonia.

Con sant'Efrem, ti preghiamo, o Signore: rendi piena la riconciliazione tra i popoli del nostro tempo, perché siano veramente un solo popolo. Raccogli nel Tuo Seno i tuoi figli, perché rendano grazie per la tua bontà. Se tutti i figli della luce fossero uniti, i loro raggi tutti insieme eliminerebbero le tenebre, con la forza della loro unità.

Santa Famiglia di Gesù, Maria e Giuseppe, riponiamo con fiducia nelle Tue mani questa nostra preghiera e la consacrazione del nostro Oriente. Siano rese grazie e lode alla Santissima Trinità, ora e sempre. Amen."

https://www.lpj.org/it/posts/nuova-iniziativa-giornata-della-pace-per-l-oriente-con-la-celebrazione-annuale-di-una-s-messa.html?s_cat=1102

sabato 19 giugno 2021

Giornata Mondiale del rifugiato: i dati desolanti del Medio Oriente

 "Cessino le guerre, i conflitti e le tante sofferenze provocate sia dalla mano dell’uomo sia da vecchie e nuove epidemie e dagli effetti devastanti delle calamità naturali. Prego in modo particolare perché, rispondendo alla nostra comune vocazione di collaborare con Dio e con tutti gli uomini di buona volontà per la promozione della concordia e della pace nel mondo, sappiamo resistere alla tentazione di comportarci in modo non degno della nostra umanità." (Papa Francesco) 

L'Osservatore Romano, 18 giugno 2021

 Il Medio Oriente è una regione critica dal punto di vista delle migrazioni e la sua importanza è significativa perché, al tempo stesso, è meta e luogo di origine di un gran numero di migranti e rifugiati. Questi ultimi sono cresciuti enormemente negli ultimi decenni passando dai quasi quattordici milioni del 1990 ai poco più di quarantatré milioni del 2017, il diciassette per cento del totale globale di rifugiati e migranti. 

Le drammatiche vicende che hanno riguardato la Palestina, la guerra civile in Libano, in Iraq, e più di recente il conflitto in Siria hanno costretto milioni di persone a lasciare le proprie case ed a cercare rifugio altrove. Più di sei milioni e mezzo di siriani hanno lasciato il proprio Paese dal 2011 ed altri sei milioni e mezzo hanno dovuto spostarsi in un’altra regione della nazione. La grande maggioranza dei rifugiati, circa cinque milioni e mezzo, ha trovato rifugio nei Paesi vicini tra i quali ci sono Turchia, Libano, Giordania, Iraq ed Egitto. Il novantadue per cento di costoro vive in ambienti rurali oppure urbani mentre appena il cinque per cento vive nei campi profughi. La povertà, però, li colpisce tutti indistintamente dato che più del settanta per cento dei rifugiati siriani vive in povertà, con un accesso limitato ai servizi di base ed all’educazione. 

I governi della Giordania e del Libano hanno dovuto gestire un massiccio afflusso di rifugiati siriani proprio quando le risorse interne si sono trovate in una fase calante. Gli esecutivi, in assenza di una soluzione regionale per risolvere la crisi e temendo una lunga permanenza dei rifugiati, hanno reagito con il paradigma della non integrazione e tentando di far tornare i rifugiati al Paese di origine anche limitando l’accesso di costoro ai servizi e minandone i diritti. I confini, in precedenza aperti, sono stati posti sotto stretto controllo oppure chiusi. Queste restrizioni, però, si sono rivelate inefficaci ed hanno facilitato il traffico di esseri umani. I rifugiati siriani in Libano sono arrivati a vendere, a causa della disperazione, parti del proprio corpo nell’ambito del traffico di organi per riuscire a sostentare se stessi e le proprie famiglie.

La triste condizione dei siriani non appare troppo dissimile da quella dei rifugiati palestinesi, che hanno perso quello che avevano a causa del conflitto Arabo—Israeliano del 1948. I rifugiati palestinesi vivono perlopiù a Gaza, in Cisgiordania, in Libano ed in Giordania. Quattrocentocinquantamila palestinesi vivono da generazioni nei dodici campi che si trovano in Libano, dove il sovraffollamento e le infrastrutture disastrate hanno creato condizioni di vita poco sicure. 

Negli altri quarantasei campi sparpagliati tra Gaza, Giordania e Cisgiordania vivono invece un milione di palestinesi che, qualora il Paese ospitante si trovi ad affrontare una crisi, vengono deprivati per mesi dei servizi essenziali come l’elettricità. La nazione che ha ricevuto il numero più ampio di rifugiati palestinesi in seguito alla guerra del 1948 è la Giordania. Qui ai rifugiati si sono uniti quei Palestinesi cacciati dalla Cisgiordania dopo il 1967 ed entrambi i gruppi costituiscono il quarantaquattro per cento della popolazione giordana.  In Giordania la maggior parte dei rifugiati palestinesi ha la cittadinanza anche se quei pochi che non la posseggono, provenienti da Gaza o dalla Siria, sono trattati come residenti provvisori e non dispongono della maggior parte dei diritti e dei servizi. In Libano, invece, le condizioni dei rifugiati palestinesi sono estremamente precarie e la legislazione ne vieta l’accesso all’impiego ed ai servizi governativi. 

In Siria i palestinesi venivano trattati come i cittadini siriani ma il conflitto ne ha compromesso la sicurezza e li ha spinti a cercare rifugio nei Paesi vicini e all’estero. In Palestina, infine, i rifugiati devono fare i conti con i limiti alla libertà di movimento e con un’economia derelitta. I Palestinesi in Libano non sono mai stati riconosciuti come meritevoli di pieni diritti dal governo locale anche per il ruolo giocato dall’Organizzazione per la Liberazione della Palestina (OLP) nell’ambito della Guerra Civile Libanese. La pandemia, se possibile, ha reso le cose ancora più difficili anche se molte persone, come la maggior parte dei residenti del campo di Burj Barajneh, che si trova a sud di Beirut, deve affrontare problemi esistenziali ben più gravi della possibilità di essere infettati dal coronavirus. Molti fanno affidamento sulle donazioni di cibo da parte delle organizzazioni ed anche il latte è diventato un alimento di lusso e non possono contare sull’economia del Libano, già in crisi e devastata dall’esplosione al porto di Beirut nell’agosto del 2020.

campo profughi palestinese di Burj al-Barajneh

La situazione in Iraq è particolarmente preoccupante e coinvolge più di nove milioni di cittadini che sono diventati migranti interni o rifugiati all’estero. Il dramma è stato provocato dalla guerre e dai problemi economici che, sin dai primi anni Ottanta, coinvolgono la nazione mediorientale.  L’invasione americana del 2003 ed i successivi combattimenti contro lo Stato Islamico sono stati fattori aggravanti e l’impatto sulle comunità locali è stato significativo. Artisti, ingegneri, avvocati e medici sono stati tra i primi a fuggire e questa migrazione ha provocato il collasso delle istituzioni culturali irachene e della classe media. L’Iraq ha visto il più alto numero di rifugiati ed il più alto tasso di persone disperse degli ultimi anni e questo fenomeno non si è ancora interrotto. I rifugiati iracheni sono sull’orlo del collasso nervoso ed attendono che l’incubo che stanno vivendo possa avere fine. Il grosso dei combattimenti è ormai terminato ma le conseguenze degli scontri sono ancora presenti e dovranno essere affrontate in breve tempo se si vorrà porre fine a questa grave emergenza umanitaria. 

In Yemen, dopo sei anni di conflitto catastrofico, milioni di persone non riescono a procurarsi il cibo necessario per sopravvivere ed il Paese è diventato oggetto della più grande crisi umanitaria mondiale. Quattro milioni di persone sono diventate rifugiate, loro malgrado, all’interno della propria nazione ed un milione tra loro vive in campi dove regna la disorganizzazione e dove non vengono soddisfatte nemmeno le necessità di base. Venti milioni di persone hanno bisogno di aiuti umanitari, dodici di loro in maniera urgente ed il collasso dell’economia è stato esacerbato dal Covid-19. Otto persone su dieci vivono sotto la soglia di povertà ed un bambino, ogni dieci minuti, muore per una malattia che in altri tempi sarebbe stata curabile.

di Andrea Walton

https://www.osservatoreromano.va/it/news/2021-06/quo-136/medio-oriente-br-tra-guerra-e-poverta.html