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venerdì 10 giugno 2022

Il generale Bertolini sulla guerra in Ucraina intervistato da Angela Pellicciari

 

Riprendiamo dal sito della storica Angela Pellicciariinsegnante di Storia della Chiesa nei seminari Redemptoris Mater, l'interessante e utilissima video-intervista al generale Marco Bertolini. 

L' ex comandante della Folgore era già intervenuto sul quotidiano "La Verità" del 6 giugno collocando anche la Siria nella sua visione della guerra in Ucraina, di cui riportiamo alcuni passaggi:

 "La Russia è al centro di un enorme blocco. Il continente euroasiatico va dall’Atlantico al Pacifico e l’Europa, più che il centro, è un’escrescenza. Gli Stati Uniti invece sono una potenza navale e non continentale legata a Canada, Gran Bretagna, Australia e Nuova Zelanda. Questi vedono nella Russia un competitor temibile. Ecco perché la contrapposizione non poteva venire meno con la fine del comunismo.... Le primavere arabe con Obama hanno infettato tutto il Nord Africa. Sono arrivati alla Siria,  snodo cruciale per spiegare la questione ucraina... La Siria è l’unico alleato russo nel Mediterraneo.  Nel 2016 avrebbe dovuto vincere la Clinton sostituendo Obama ...  Occhio alle date . Settembre 2013 , Obama minaccia di intervenire contro Assad accusato di aver usato i gas ad Aleppo. L'intervento non riesce perchè Putin fa uscire dalla base di Sabastopoli in Crimea una squadra navale che si piazza davanti alle coste siriane . Fu rispettata la prassi di sempre. USA e Russia , una di fronte all'altra, non potevano combattere.  Novembre 2013, tre mesi dopo, guarda caso esplode la rivolta di Maidan che costringe Putin nell'aprile 2014 a riprendersi la Crimea , altrimenti avrebbe perso il suo affaccio sul Mar Nero. Ecco perchè Siria e Ucraina sono legate fra loro.  Sono due punti strategici con cui la Russia si affaccia rispettivamente nel Mediterraneo e in Europa...”.

mercoledì 8 giugno 2022

9 giugno: memoria di Sant’Efrem, il Siro

È fra i più antichi scrittori di lingua siriaca e il più importante fra essi. Nacque a Nisibi, sentinella avanzata dell'impero romano nella Siria orientale, fra il 306 e il 307 (Treccani)
 

UDIENZA GENERALE DI BENEDETTO XVI

Cari fratelli e sorelle,

secondo l’opinione comune di oggi, il cristianesimo sarebbe una religione europea, che avrebbe poi esportato la cultura di questo Continente in altri Paesi. Ma la realtà è molto più complessa, poiché la radice della religione cristiana si trova nell’Antico Testamento e quindi a Gerusalemme e nel mondo semitico. Il cristianesimo si nutre sempre a questa radice dell’Antico Testamento. Anche la sua espansione nei primi secoli si è avuta sia verso occidente – verso il mondo greco-latino, dove ha poi ispirato la cultura europea – sia verso oriente, fino alla Persia, all’India, contribuendo così a suscitare una specifica cultura, in lingue semitiche, con una propria identità. Per mostrare questa pluriformità culturale dell’unica fede cristiana degli inizi, nella catechesi di mercoledì scorso ho parlato di un rappresentante di questo altro cristianesimo, Afraate il saggio persiano, da noi quasi sconosciuto. Nella stessa linea vorrei parlare oggi di sant’Efrem Siro, nato a Nisibi attorno al 306 in una famiglia cristiana. Egli fu il più insigne rappresentante del cristianesimo di lingua siriaca e riuscì a conciliare in modo unico la vocazione del teologo e quella del poeta. Si formò e crebbe accanto a Giacomo, Vescovo di Nisibi (303-338), e insieme a lui fondò la scuola teologica della sua città. Ordinato diacono, visse intensamente la vita della locale comunità cristiana fino al 363, anno in cui Nisibi cadde nelle mani dei Persiani. Efrem allora emigrò a Edessa, dove proseguì la sua attività di predicatore. Morì in questa città l’anno 373, vittima del contagio contratto nella cura degli ammalati di peste. Non si sa con certezza se era monaco, ma in ogni caso è sicuro che è rimasto diacono per tutta la sua vita e che ha abbracciato la verginità e la povertà. Così appare nella specificità della sua espressione culturale la comune e fondamentale identità cristiana: la fede, la speranza – questa speranza che permette di vivere povero e casto nel mondo, ponendo ogni aspettativa nel Signore – e infine la carità, fino al dono di se stesso nella cura degli ammalati di peste.

Sant’Efrem ci ha lasciato una grande eredità teologica. La sua considerevole produzione si può raggruppare in quattro categorie: opere scritte in prosa ordinaria (le sue opere polemiche, oppure i commenti biblici); opere in prosa poetica; omelie in versi; infine gli inni, sicuramente l’opera più ampia di Efrem. Egli è un autore ricco e interessante per molti aspetti, ma specialmente sotto il profilo teologico. La specificità del suo lavoro è che in esso si incontrano teologia e poesia. Volendoci accostare alla sua dottrina, dobbiamo insistere fin dall’inizio su questo: sul fatto cioè che egli fa teologia in forma poetica. La poesia gli permette di approfondire la riflessione teologica attraverso paradossi e immagini. Nello stesso tempo la sua teologia diventa liturgia, diventa musica: egli era infatti un grande compositore, un musicista. Teologia, riflessione sulla fede, poesia, canto, lode di Dio vanno insieme; ed è proprio in questo carattere liturgico che nella teologia di Efrem appare con limpidezza la verità divina. Nella sua ricerca di Dio, nel suo fare teologia, egli segue il cammino del paradosso e del simbolo. Le immagini contrapposte sono da lui largamente privilegiate, perché gli servono per sottolineare il mistero di Dio.

Non posso adesso presentare molto di lui, anche perché la poesia è difficilmente traducibile, ma per dare almeno un’idea della sua teologia poetica vorrei citare in parte due inni. Innanzitutto, anche in vista del prossimo Avvento, vi propongo alcune splendide immagini tratte dagli Inni sulla natività di Cristo. Davanti alla Vergine Efrem manifesta con tono ispirato la sua meraviglia:

«Il Signore venne in lei
per farsi servo.
Il Verbo venne in lei
per tacere nel suo seno.
Il fulmine venne in lei
per non fare rumore alcuno.
Il Pastore venne in lei
ed ecco l’Agnello nato, che sommessamente piange.
Poiché il seno di Maria
ha capovolto i ruoli:
Colui che creò tutte le cose
ne è entrato in possesso, ma povero.
L’Altissimo venne in lei (Maria),
ma vi entrò umile.
Lo splendore venne in lei,
ma vestito con panni umili.
Colui che elargisce tutte le cose
conobbe la fame.
Colui che abbevera tutti
conobbe la sete.
Nudo e spogliato uscì da lei,
Egli che riveste (di bellezza) tutte le cose»
(Inno sulla Natività11, 6-8).

Per esprimere il mistero di Cristo, Efrem usa una grande diversità di temi, di espressioni, di immagini. In uno dei suoi inni, egli collega in modo efficace Adamo (nel paradiso) a Cristo (nell’Eucaristia):

«Fu chiudendo
con la spada del cherubino,
che fu chiuso
il cammino dell’albero della vita.
Ma per i popoli,
il Signore di quest’albero
si è dato come cibo
lui stesso nell’oblazione (eucaristica).
Gli alberi dell’Eden
furono dati come alimento
al primo Adamo.
Per noi, il giardiniere
del Giardino in persona
si è fatto alimento
per le nostre anime.
Infatti tutti noi eravamo usciti
dal Paradiso assieme con Adamo,
che lo lasciò indietro.
Adesso che la spada è stata tolta
laggiù (sulla croce) dalla lancia
noi possiamo ritornarvi»
(Inno 49,9-11).

Per parlare dell’Eucaristia, Efrem si serve di due immagini: la brace o il carbone ardente e la perla. Il tema della brace è preso dal profeta Isaia (cfr 6,6). E’ l’immagine del serafino, che prende la brace con le pinze, e semplicemente sfiora le labbra del profeta per purificarle; il cristiano, invece, tocca e consuma la Brace, che è Cristo stesso:

«Nel tuo pane si nasconde lo Spirito,
che non può essere consumato;
nel tuo vino c’è il fuoco, che non si può bere.
Lo Spirito nel tuo pane, il fuoco nel tuo vino:
ecco una meraviglia accolta dalle nostre labbra.
Il serafino non poteva avvicinare le sue dita alla brace,
che fu avvicinata soltanto alla bocca di Isaia;
né le dita l’hanno presa, né le labbra l’hanno inghiottita;
ma a noi il Signore ha concesso di fare ambedue cose.
Il fuoco discese con ira per distruggere i peccatori,
ma il fuoco della grazia discende sul pane e vi rimane.
Invece del fuoco che distrusse l’uomo,
abbiamo mangiato il fuoco nel pane
e siamo stati vivificati»
(Inno sulla fede10,8-10).

Ed ecco ancora un ultimo esempio degli inni di sant’Efrem, dove egli parla della perla quale simbolo della ricchezza e della bellezza della fede:

«Posi (la perla), fratelli miei, sul palmo della mia mano,
per poterla esaminare.
Mi misi ad osservarla dall’uno e dall’altro lato:
aveva un solo aspetto da tutti i lati.
(Così) è la ricerca del Figlio, imperscrutabile,
perché essa è tutta luce.
Nella sua limpidezza, io vidi il Limpido,
che non diventa opaco;
e nella sua purezza,
il simbolo grande del corpo di nostro Signore,
che è puro.
Nella sua indivisibilità, io vidi la verità,
che è indivisibile»
(Inno sulla perla 1,2-3).

La figura di Efrem è ancora pienamente attuale per la vita delle varie Chiese cristiane. Lo scopriamo in primo luogo come teologo, che a partire dalla Sacra Scrittura riflette poeticamente sul mistero della redenzione dell’uomo operata da Cristo, Verbo di Dio incarnato. La sua è una riflessione teologica espressa con immagini e simboli presi dalla natura, dalla vita quotidiana e dalla Bibbia. Alla poesia e agli inni per la liturgia, Efrem conferisce un carattere didattico e catechetico; si tratta di inni teologici e insieme adatti per la recita o il canto liturgico. Efrem si serve di questi inni per diffondere, in occasione delle feste liturgiche, la dottrina della Chiesa. Nel tempo essi si sono rivelati un mezzo catechetico estremamente efficace per la comunità cristiana.

E’ importante la riflessione di Efrem sul tema di Dio creatore: niente nella creazione è isolato, e il mondo è, accanto alla Sacra Scrittura, una Bibbia di Dio. Usando in modo sbagliato la sua libertà, l’uomo capovolge l’ordine del cosmo. Per Efrem è rilevante il ruolo della donna. Il modo in cui egli ne parla è sempre ispirato a sensibilità e rispetto: la dimora di Gesù nel seno di Maria ha innalzato grandemente la dignità della donna. Per Efrem, come non c’è redenzione senza Gesù, così non c’è incarnazione senza Maria. Le dimensioni divine e umane del mistero della nostra redenzione si trovano già nei testi di Efrem; in modo poetico e con immagini fondamentalmente scritturistiche, egli anticipa lo sfondo teologico e in qualche modo lo stesso linguaggio delle grandi definizioni cristologiche dei Concili del V secolo.

Efrem, onorato dalla tradizione cristiana con il titolo di «cetra dello Spirito Santo», restò diacono della sua Chiesa per tutta la vita. Fu una scelta decisiva ed emblematica: egli fu diacono, cioè servitore, sia nel ministero liturgico, sia, più radicalmente, nell’amore a Cristo, da lui cantato in modo ineguagliabile, sia infine nella carità verso i fratelli, che introdusse con rara maestria nella conoscenza della divina Rivelazione.

https://www.vatican.va/content/benedict-xvi/it/audiences/2007/documents/hf_ben-xvi_aud_20071128.html

domenica 29 maggio 2022

Damasco, ricostruzione e speculazione

 

L’Italia post bellica dovette misurarsi con i gravi danni prodotti dalla guerra e con difficoltà e problematiche di vario genere inerenti la ricostruzione, spesso purtroppo dovuti anche a maneggioni e speculatori che, per arricchirsi, contribuirono allo snaturamento del carattere artistico e architettonico e alla disgregazione delle comunità urbane. Lo hanno raccontato Rosi nel suo film ‘’Le mani sulla città’’,  Pasolini,  Calvino e tanti altri intellettuali.  

Oggi la Siria, sebbene la guerra non sia ancora terminata, si trova ad affrontare gli stessi problemi.
Nadia Khost, una grande intellettuale damascena impegnata da tempo nella denuncia dei pericoli relativi alla degradazione dei centri urbani siriani e in particolare della plurimillenaria città di Damasco, scrive spesso sull’argomento.  ‘’Spazio pubblico’’ è uno dei suoi testi. 
Nadia Khost, nata nel 1935, laureata in filosofia presso l’Università di Damasco è autrice di numerosi saggi sulla storia, sull’architettura e sulla conservazione del patrimonio artistico siriano.

Salima Francesca Karroum 

Spazio pubblico

di Nadia Khost

Traduzione di Salima Francesca Karroum 

La giornalista Maha Naameh ha raccontato per sommi capi l’indignazione generale contro l'occupazione dei parchi urbani (di Damasco, NdT), menzionando in particolare il ristorante che è stato ricavato dal Parco Tishreen e il Parco chiuso di al-Talaa. Io ho toccato con mano l’evidenza dell'attacco agli spazi pubblici della città. Ritagliano negozi privati dallo stadio Tishreen per costruire un grande albergo, empori e ristoranti ornati con insegne esterofile, che disdegnano l’alfabeto arabo persino davanti alla facciata del Ministero dell'Informazione, e sottraggono alle persone semplici il Caffè all’aperto al-'Hijaz per costruire un hotel per l'élite. Bisogna forse ricordare che gli orti e i giardini pubblici sono espressione della classe o della categoria che amministra la città? É per questo che le celebrazioni pubbliche si svolgono all’aperto nelle ricorrenze importanti, mentre le riunioni avvengono in piccole sale quando il popolo si disperde per tornare alle brighe quotidiane. I giardini si espandono quando l'obiettivo è la serenità delle persone e si atrofizzano quando la città è invasa dal settore immobiliare da un lato e dalle baraccopoli dall’altro. Percorrendola, deduciamo lo status sociale dei residenti. Tuttavia, il capitalismo è giunto alla conclusione che i produttori abbiano bisogno di comodità per migliorare la resa nel lavoro. Sono stati ampliati i grandi parchi, hanno escogitato nuove feste culturali, l'industria del turismo contempla anche la storia delle città e l’abbellimento dei musei, arrampicate in montagna, percorsi forestali, segnaletica per gli escursionisti, Comuni e organizzazioni impegnati in progetti per la depurazione dei fiumi. Nonostante la guerra alle ricchezze vitali avesse superato la teatralità delle commedie di "Molière", nel nostro Paese vigevano standard rigorosi per proteggere le foreste, i terreni agricoli, l'identità delle città e degli spazi pubblici. Ci chiediamo dunque: siamo nella fase di un attacco barbarico del denaro alle città e alle campagne? Perché la terra della Fiera Internazionale di Damasco è stata lasciata in rovina anche se il presidente Hafez al-Assad si era rifiutato di costruirci il Panorama di Tishreen e l'Ebla Hotel, affermando che apparteneva al popolo? Non vi è dubbio che ne apprezzava la storia, poiché lì si celebrò la prima ‘Aid al-Jalaa (Festa della Liberazione) e avvenne l’esercitazione della resistenza popolare durante la guerra di Suez. Lì si innalzò il canto di Fayrouz, i gruppi dei Paesi socialisti presentarono le loro opere artistiche e gli abitanti della città erano colmi di gioia. Perché è trascurata la Hadiqa al-Talaa (Giardino dei giovani esploratori), forse perché lo sguardo degli imprenditori immobiliari è rivolto verso quella direzione?

Le attività economiche e sociali sono state riavviate, investendo nell'agricoltura e nel settore alimentare della costa siriana con gli stabilimenti che producono succhi di frutta, chiusi per la guerra, con gli allevamenti di mucche e con altre attività industriali, ripristinando quindi con imprese di produzione e piani di sostegno le fabbriche distrutte e non realizzando hotel e ristoranti per ricchi.

Nel 2018, pubblicai il dramma "Zona sicura" di cui riporto la scena seguente: 


Scena ventisette. Due vecchi e altri uomini. Sullo sfondo, un’immagine di edifici distrutti. In un lato del palco i due vecchi si scaldano intorno al falò dentro una tanica. 

Primo vecchio - Pensavo che sarei morto di freddo, ma l'inverno è finito e sono ancora vivo. Durante la guerra, mia figlia ha sposato un uomo che non conoscevo. Quando le chiesi: ‘’Lo ami?’’ mi rispose: ‘’In guerra, chi pensa all'amore?! Lo sposerò per migliorare la nostra situazione. Gli uomini armati trafficano con lo zucchero e il riso, e spartiscono gli alberi che hanno abbattuto e che vendono come legna da ardere.’’ L'ammonii: ‘’Tuo fratello sta combattendo con l'esercito. Non importa quanto tema per mio genero, temo di più per mio figlio. Segui tuo marito! Questo è meglio per te e per me!’’ Lasciò la casa e non ho avuto più sue notizie. Non credetemi se dico che non sono triste per lei! La guerra finirà, ma finora né mio figlio è tornato né ho avuto notizie di mia figlia. In sette anni sono invecchiato più di settant'anni. In questi tempi, a chi chiedere dei dispersi? Dirò a testa alta: datemi notizie di mio figlio che ha difeso la patria, ma a chi dovrei dire: datemi notizie di mia figlia che ha sposato uno degli uomini armati che hanno distrutto il Paese?

Secondo vecchio - Se conosci le disgrazie altrui, la tua sventura ti sembrerà più lieve. Eravamo sulla strada io e mia moglie, i miei due figli e mia figlia. Cinque o sei uomini ci fecero scendere dall’automobile, ci svuotarono le tasche, violentarono mia moglie e mia figlia. I miei figli, che si precipitarono a liberarle, furono uccisi e uccisero il conducente. Gli uomini armati salirono sulle loro auto e restammo in una landa desolata. Mi sono gettato sui due ragazzi a piangere per loro. Mia moglie cercava di farmi alzare e mia figlia piangeva con noi. La disgrazia mi ha spezzato. Come se fossi morto. Ci era rimasto il figlio maggiore. Ci chiamò e mi lamentai della nostra tragedia. Lui impazzì e decise di uccidere sua sorella. Gli urlai: ‘’Pazzo, la uccidi perché non l'hanno uccisa loro? Non darci altre preoccupazioni! Se fossi giovane, mi arruolerei nell'esercito per combattere quei bastardi. Arruolati figlio al posto di tuo padre! Ecco come potrai vendicare tua sorella!

Primo vecchio - Capì le tue parole?

Secondo vecchio - Non so. Scappammo da casa. Dal giorno dell’accaduto, non ho più posato gli occhi su mia moglie o su mia figlia. Il mio cuore è rotto. Temo che questi bastardi si tolgano i loro abiti e vivano tra noi. La guerra finirà e perderanno i loro datori di lavoro. Se non si sono arruolati in un esercito fuori dal Paese, potremmo incontrarli tra noi.

Primo vecchio - Potrebbero diventare una banda di ladroni.


I due vecchi continuano a parlare sottovoce. La luce illumina un uomo. Alle sue spalle, altri tre uomini.  

Investitore (osservando gli edifici distrutti) - Tutto terreno da lavorare, ma non mi avventurerò nell’edilizia. Questa è una rete di cui fanno parte Governatorati e Municipi in cui risiedono i proprietari di case diventate ruderi che ai loro occhi sono un tesoro. Nell’edilizia, la tua mano è sempre dentro la tua tasca, mance, mazzette, dammi e ti do, passami una strada per qui, mettimi un giardino di là, alza questo edificio di dieci piani, abbassa quell'edificio di due piani.

Primo uomo - Noi ci assumiamo il fastidio degli accordi.

Secondo uomo - Alla fine a pagare quello che tu spendi in mance è il consumatore.

Investitore - Il ristorante è un progetto accettabile, nonostante abbia i suoi problemi e il Paese sia pieno di ristoranti.

Terzo uomo - Scegli un posto, del resto ci occupiamo noi. Hai un cuoco, non sporcarti le mani!

Investitore - Qui c'era un giardino. Questo è un posto conveniente. Aperto.

Primo uomo - Le mie informazioni dicono che gli alberi del giardino sono stati tagliati per riscaldarsi durante la guerra. Ma il giardino resta e il direttore dei parchi ha preparato alberelli da piantare.

Secondo uomo (come se stesse indicando l’ingresso del giardino) - Questo è un luogo adatto. Prendiamo la parte anteriore del giardino. Installiamo per i poveri visitatori una capanna che vende panini e falafel e costruiamo un ristorante per i ricchi, che dalle vetrate possono godersi il giardino senza soffrire il freddo e il caldo o bagnarsi con la pioggia.

Investitore (pensoso) - Sono d'accordo. Sistemate la parte anteriore del parco con una mancia adeguata.

Terzo uomo - Agli ordini, signore!

Primo uomo - Considera conclusa la faccenda, come se fosse nelle tue tasche.

Secondo uomo - Ho sottomano un architetto di qualità. Ti fa un ristorante occidentale se vuoi, oppure orientale come un palazzo da mille e una notte o parigino o cinese.

Investitore - Affare fatto, con la benedizione di Dio; ma non voglio casini e contestatori che gridano "Si è ingoiato il parco pubblico"!

Secondo uomo - Stai tranquillo. La stampa è occupata con altre faccende.

Investitore (si volta sorpreso) - Cosa ti preoccupa?

Terzo uomo - Da mesi non vedo un giornale.

Investitore - Siamo d'accordo, con la benedizione di Dio.


giovedì 26 maggio 2022

L’Ascensione del Signore nella tradizione bizantina

Ascensione del Signore. XVII secolo. Latakia (Siria)
 

Oggi il Signore cerca Adamo e lo fa sedere nella gloria

di P.Emmanuel Nin, Esarca Apostolico

          La festa dell’ascensione del Signore, celebrata il quarantesimo giorno dopo la sua risurrezione dai morti, è una delle grandi feste negli anni liturgici di tutte le Chiese cristiane di Oriente e di Occidente. Mi soffermo nella tradizione bizantina i cui testi liturgici sono una vera e propria professione di fede che ripercorre, possiamo dire, i grandi momenti della storia della salvezza, dall’incarnazione del Verbo eterno di Dio, alla sua nascita, alla sua passione e morte, e quindi alla sua risurrezione ed ascensione ai cieli dove ha portato, ha fatto salire, ha glorificato la nostra natura umana redenta e salvata, e da dove ha mandato, come dono suo e di suo Padre, lo Spirito Santo. Attraverso i testi della liturgia, la Chiesa ci fa gustare direi in un bel intreccio di teologia e di poesia, i grandi momenti della salvezza che avviene per noi in Cristo.

          Il primo tropario del vespro della festa introduce i principali aspetti che troveremo poi in tutti gli altri testi: “Il Signore è asceso ai cieli per mandare il Paraclito nel mondo. I cieli hanno preparato il suo trono, le nubi il carro su cui salire; stupiscono gli angeli vedendo un uomo al di sopra di loro. Il Padre riceve colui che dall’eternità, nel suo seno dimora. Lo Spirito santo ordina a tutti i suoi angeli: Alzate, príncipi, le vostre porte. Genti tutte, battete le mani, perché Cristo è salito dove era prima.”. Vediamo come l’ascensione del Signore è collegata senza soluzione di continuità con il dono dello Spirito Santo, e tutti i tropari metteranno in evidenza questo collegamento tra ascensione del Signore e discesa, dono dello Spirito. In questo tropario troviamo anche un altro tema che appare ripetitivamente nei testi della festa, cioè la meraviglia, lo stupore degli angeli di fronte all’ascensione del Signore. In questo testo troviamo l’espressione: “…stupiscono gli angeli vedendo un uomo al di sopra di loro…”, mentre in un altro testo troviamo la frase: “…restarono attoniti i cherubini, vedendo venire sulle nubi te, Dio, che siedi su di loro.” Lo stupore degli angeli diventa nei testi liturgici una vera e propria professione di fede nel Verbo di Dio incarnato, vero Dio e vero uomo, attraverso lo stupore degli angeli vedendo un uomo, la meraviglia dei cherubini vedendo Dio.

Questa stessa professione di fede la troviamo ancora bellamente cantata in un altro dei tropari: “Signore, compiuto il mistero della tua economia, hai preso con te i tuoi discepoli e sei salito sul Monte degli Ulivi: ed ecco, te ne sei andato oltre il firmamento del cielo. O tu che per me come me ti sei fatto povero, e sei asceso là, da dove mai ti eri allontanato, manda il tuo Spirito santissimo per illuminare le anime nostre”. Di questo testo ne sottolineo due aspetti che ritroviamo poi anche in altri della stessa festa. In primo luogo, la presenza dei discepoli all’ascensione del Signore, fatto che oltre ad essere un dato evangelico, è anche un dato ecclesiologico: i discepoli -e in alcuni tropari troviamo menzionata anche la Madre di Dio-, sono testimoni dell’ascensione e quindi della piena glorificazione e redenzione della nostra natura umana assunta pienamente da Cristo e da lui glorificata; infatti, la stessa icona dell’ascensione ci mostra la presenza della Madre di Dio, e dei Dodici con Paolo. In secondo luogo, l’immagine molto bella usata nel tropario: “…O tu che per me come me ti sei fatto povero…”, che riprende 2Cor 8,9 e Fil 2,6-7, per parlare dell’incarnazione. Si tratta di un tema che troviamo ancora in altri tropari, cioè il collegamento messo in parallelo tra incarnazione/discesa e glorificazione/ascensione: “Tu che, senza separarti dal seno paterno, o dolcissimo Gesù, hai vissuto sulla terra come uomo, oggi dal Monte degli Ulivi sei asceso nella gloria: e risollevando, compassionevole, la nostra natura caduta, l’hai fatta sedere con te accanto al Padre. Per questo le celesti schiere degli incorporei, sbigottite per il prodigio, estatiche stupivano e, prese da tremore, magnificavano il tuo amore per gli uomini. Con loro anche noi quaggiù sulla terra, glorificando la tua discesa fra noi e la tua dipartita da noi con l’ascensione, supplici diciamo: O tu che con la tua ascensione hai colmato di gioia infinita i discepoli e la Madre di Dio che ti ha partorito, per le loro preghiere concedi anche a noi la gioia dei tuoi eletti, nella tua grande misericordia”.

          Nei testi della festa troviamo un uso abbondante, con una interpretazione chiaramente cristologica e soteriologica, del salmo 23 collegato direttamente con l’ascensione del Signore: “Lo Spirito santo ordina a tutti i suoi angeli: Alzate, príncipi, le vostre porte. Genti tutte, battete le mani, perché Cristo è salito dove era prima… Mentre tu ascendevi, o Cristo, …le schiere celesti che ti vedevano, si gridavano l’un l’altra: Chi è costui? E rispondevano: È il forte, il potente, il potente in battaglia; costui è veramente il Re della gloria… Sollevate le porte celesti: ecco è giunto il Cristo, Re e Signore, rivestito di corpo terrestre”. Il dialogo del salmo lo troviamo possiamo dire scenificato tra lo Spirito Santo e gli angeli, oppure tra gli angeli tra di loro. Si tratta, in questa festa come in tante altre della tradizione bizantina, di un’esegesi cristologica applicata ai salmi.

          In uno dei tropari del mattutino della festa ci riassume in quattro versetti lo smarrimento di Adamo dopo il peccato, e l’incarnazione di Cristo con l’immagine del rivestirsi proprio della natura di Adamo, presentata quasi fosse l’icona del buon pastore che si carica sulle spalle, che assume la pecora smarrita e la fa sedere con lui nella gloria: “Dopo aver cercato Adamo che si era smarrito per l’inganno del serpente, o Cristo, di lui rivestito sei asceso al cielo e ti sei assiso alla destra del Padre, partecipe del suo trono, mentre a te inneggiavano gli angeli”.

          L’ascensione del Signore adempie, porta a compimento l’opera della nostra redenzione, perché lui, asceso in cielo, rimane sempre con noi ed accanto a noi. Romano il Melodo (+555) lo canta in uno dei tropari della festa: “Compiuta l’economia a nostro favore, e congiunte a quelle celesti le realtà terrestri, sei asceso nella gloria, o Cristo Dio nostro, senza tuttavia separarti in alcun modo da quelli che ti amano; ma rimanendo inseparabile da loro, dichiari: Io sono con voi, e nessuno è contro di voi”. 

http://manuelninguell.blogspot.com/2022/

domenica 22 maggio 2022

Una analisi dei risultati elettorali in Libano e il tentativo di uscire dallo stallo

foto REUTERS
 Le elezioni parlamentari libanesi si sono svolte il 15 maggio, con 128 seggi assegnati con un sistema di voto per sette, unico in Libano. Secondo la Banca Mondiale, il Paese sta soffrendo la peggiore crisi economica del mondo degli ultimi 150 anni. Nel 2019 sono iniziate le proteste di piazza contro l'élite politica, considerata corrotta e la causa principale del fallimento politico, economico e sociale del paese.   Riportiamo a titolo di approfondimento l'articolo originale sui risultati delle elezioni, apparso sul sito MidEast Discourse.  

L'agenzia Reuters informa che poche ore prima che l'attuale governo libanese passi a un ruolo di transizione, i legislatori hanno approvato una serie di misure - presentate come un piano di ripresa - per soddisfare alcuni dei requisiti del Fondo Monetario Internazionale (FMI). Il 20 maggio si è svolta la sessione di gabinetto presieduta dal Presidente libanese Michel Aoun e dal Primo Ministro Najib Mikati, durante la quale è stato approvato il piano. Il nuovo Parlamento eletto sarà responsabile dell'attuazione del piano.  (OpS)

di Steven Sahiounie, journalist and political commentator


The Lebanese diaspora is estimated to be as high as 14 million, but only 225,114 had registered to vote in this election. There were 1043 candidates, which included 155 women to fill the seats for a four-year term.

The absence of the Future Movement in this race was a major change, as former Prime Minister Saad Hariri had announced his withdrawal from politics, and his party did not participate in the election.

Former Assistant Secretary of State for Near Eastern Affairs David Schenker participated in a ZOOM symposium for the Washington Institute entitled “Hezbollah-Shia Dynamics and Lebanon’s Election: Challenges, Opportunities, and Policy Implications”.  Schenker openly admitted the dangerous role played by the US administration in causing Lebanon’s economic collapse and maintaining the US financial and economic siege on the country.

The US policy in Lebanon was to create chaos which was to weaken the Lebanese resistance to the occupation by Israel, who is the main US ally in the Middle East.

The Lebanese Association for Democratic Elections said about 80 percent of the population faces poverty as a result of the economic crisis. Candidates and party supporters have been accused of trying to buy their way to victory by offering cash bribes to undecided voters. Paying for votes appears commonplace in the electoral districts where competition is fierce, especially Beirut I, Beirut II, Zahle, Keserwan, Jbeil, Batroun, Koura, Bsharri, Zgharta, and Chouf Aley.

The political elite, otherwise referred to as the traditional parties, were collectively the biggest losers in the election.  Fouad Siniora, who is well known for being accused of corruption, and had served for years as a minister as well as Prime Minister in the past, was a big loser in this election.  Perhaps, the biggest loser could be identified as Prince Talal Arslan, who had served for 30 years in parliament.

Samir Geagea, of The Lebanese Forces, emerged with the largest number of deputies and is now the largest Christian party in parliament for the first time. Geagea is famous for having been convicted of the 1994 bombing of a Maronite Christian church–which killed 11 people, and the coldblooded slaying of a rival, former militia leader Dany Chamoun, his wife, and two young sons in 1990.

The winners in this election were the new faces, ready to bring the demands of the 2019 protest movement to the chamber floor, and chosen by the voters to serve in response to years of corruption by the political elite, who were shocked by the outcome of this election.

The important next step in the process of forming a parliament and government is to choose the Speaker of the Parliament. Nabih Berri has served in that position for 30 years, and while he might again serve in that important position, it is not a forgone conclusion.  The Vice Speaker of the Parliament must also be decided upon. 

Equally important, is to choose a Prime Minister, and this must be done by a consensus of the majority; however, a majority may not exist.  In that case, no government can be formed.  It may come down to regional powers forcing an acceptable choice to be made.

In October, President Michel Aoun’s term will expire. This vacancy will leave a gap in the government.  There is a distinct possibility arising, in which Lebanon has no President, nor a  government for months, and maybe longer. The reason would be there could be no majority in the Parliament, which would result in no consensus on who should be President of Lebanon.  However, that deadlock could be solved by the intervention of foreign powers; such as France, the US, or Saudi Arabia.

Hezbollah and their allies lost their parliamentary majority. Hezbollah, and its ally Amal, have won all 27 seats allotted to the Shiite sect.  They received more than 350,000 votes from Shiites, which means the Shiite community still supports Hezbollah and is still committed to resistance to the Israeli occupation. This furthermore means, there are no seats in the Parliament that are Shiite, but against Hezbollah.  The US has had a plan to turn Shiites against Hezbollah, but the plan has failed to produce results.

Hezbollah might not enjoy a majority in domestic politics, but they do hold the majority in the area of national defense.

About 12 seats went to new candidates who are young people seeking change and are not affiliated with the political elite, or the older traditional parties.  But, can they affect a change?

If these new fresh faces in the Parliament, who are not tied down to corrupt practices, can unite then they stand a small chance of in succeeding effecting necessary changes in Lebanon.  However, we can’t forget that as much infighting there has been among the traditional parties, at the end of the day they have been able to hammer out deals behind closed doors to solve issues and deadlocks.  The question will be, if these new members of Parliament will be capable of unity, and negotiating tough issues. Experts anticipate the new legislative body will be fractured and passing needed bills will be a struggle.

It will be very difficult to remove Riad Salameh from his position as Governor of the Central Bank of Lebanon because the ‘Lords of Corruption’ is protecting him. The US Ambassador to Lebanon, Dorothy Shea, said, “…any political retaliation against the Governor of the Banque du Liban, Riad Salameh,” will have major consequences.

Lebanon’s financial prosecutor, Judge Ali Ibrahim, decided to retract Salameh’s subpoena, and the Judge’s action was based on not only personal or internal considerations but also on the US intervention to protect Salameh.

Ambassador Dorothy Shea also told OTV it was a mistake to scapegoat any one person or institution for Lebanon’s economic collapse in response to a question about the role of central bank Governor Riad Salameh, who she said: “enjoys great confidence in the international financial community”.

Despite the US government’s support of Salameh, France, Germany, and Luxembourg have seized properties and frozen assets worth 120 million euros ($130 million) in a major operation linked to money laundering in Lebanon which belongs to Salameh and his family. 

The new Parliament may take action against Riad Salameh, to calm the Lebanese street soon. The corrupt political elites will do so to protect themselves, and they will offer up Salameh as the sacrificial lamb, to pay the price of all.

Lebanon’s electrical grid has collapsed and many have no access to electricity for daily life.  A plan was devised to use the existing Arab Gas Pipeline, from Egypt to Lebanon, to deliver fuel to be converted into electricity.  Even though part of the pipeline runs through Syria on its way to Lebanon, the US Ambassador to Lebanon had supported the plan.

However, Republican members of the US Congress refused to agree to the plan because of the US Congressional sanctions in place against Syria. 

Two Egyptian and Jordanian diplomats visiting Washington, in connection with the proposed use of the Arab Gas Pipeline, pressed President Joe Biden’s administration for further assurances they would not be affected by the sanctions but failed to receive them.  The Republican party could take control of Congress in the November midterm elections, and that would prevent any exemptions to the sanctions to help Lebanon.  Republicans in Congress have sent a letter to Secretary of State Antony Blinken saying that the proposed pipeline would violate the sanctions against Syria.  The US Republican party flexes its muscles in Lebanon to deprive the Lebanese people of turning on a light in their own homes.

lunedì 16 maggio 2022

Dichiarazione dei Patriarchi di Gerusalemme sulle violenze israeliane durante il funerale di Shireen Abu Aqleh


Noi, il Patriarca greco di Gerusalemme, il Patriarca latino di Gerusalemme, i Vescovi e i fedeli delle Chiese cristiane in Terra Santa, condanniamo la violenta intrusione della polizia israeliana nel corteo funebre della giornalista uccisa Shireen Abu Akleh, mentre si recava dall'ospedale San Giuseppe alla chiesa cattedrale greco-melchita.

La Polizia ha fatto irruzione in un istituto sanitario cristiano, mancando di rispetto alla Chiesa, all'istituto sanitario, alla memoria del defunto e costringendo i portatori della bara a lasciarla quasi cadere.

L'invasione e l'uso sproporzionato della forza da parte della polizia israeliana, che ha attaccato i fedeli in lutto, li ha colpiti con manganelli, ha usato granate fumogene, ha sparato proiettili di gomma, ha spaventato i pazienti dell'ospedale; è stata una grave violazione delle norme e dei regolamenti internazionali, compreso il diritto umano fondamentale della libertà di religione, che deve essere osservato anche in uno spazio pubblico.

L'Ospedale St. Joseph è sempre stato orgogliosamente un luogo di incontro e di guarigione per tutti, indipendentemente dalla loro appartenenza religiosa o culturale, e intende continuare a esserlo. Quanto accaduto venerdì scorso ha ferito profondamente non solo la comunità cristiana, le Suore di San Giuseppe dell'Apparizione, proprietarie dell'Ospedale, e tutto il personale ospedaliero, ma anche tutte le persone che in quel luogo hanno trovato e trovano tuttora pace e ospitalità.

Le Suore e il personale dell'Ospedale San Giuseppe hanno sempre fatto sì che il loro Istituto fosse un luogo di cura e di guarigione e il deplorevole episodio di venerdì scorso rende questo impegno ancora più forte che mai.

Gerusalemme, Ospedale San Giuseppe, 16 maggio 2022

venerdì 13 maggio 2022

Dichiarazione del Patriarcato latino di Gerusalemme sulla morte di Shereen Abu Aqleh

 
The Latin Patriarchate of Jerusalem expresses its shock at the death of the Palestinian reporter Shereen Abu Aqleh who, according to eyewitnesses, has been killed by the Israeli army, during coverage of the Israeli army’s storming of Jenin camp on Wednesday morning, May 11, 2022.

We ask for a thorough and urgent investigation of all the circumstances of her killing and for bringing those responsible to justice.

This blatant tragedy brings back to human conscience the need to find a just solution to the Palestinian conflict, which refuses to enter oblivion although 74 years have passed since the Nakba.

We pray for the rest of Shereen's soul, who was an example of duty and a strong voice for her people, and ask God to grant her brother and relatives the consolation of faith. We pray that the Palestinian people find their way to freedom and peace.

We pray for the recovery of journalist Ali Samouri, who was also injured while performing his duty, and for all journalists in the world who courageously perform their work.

Le Patriarcat latin de Jérusalem exprime sa consternation face à la mort de la journaliste palestinienne Shereen Abu Aqleh qui, selon des témoins oculaires, a été tuée par l'armée israélienne alors qu'elle couvrait une offensive israélienne au sein du camp de Jénine, le matin du 11 mai 2022.

Nous demandons une enquête approfondie et urgente sur toutes les circonstances de ce meurtre et que les responsables soient traduits en justice.

Cette tragédie flagrante ramène à la conscience humaine la nécessité de trouver une solution juste au conflit palestinien, qui refuse de tomber dans l'oubli bien que 74 ans se soient écoulés depuis la Nakba.

Nous prions pour le repos de l'âme de Shereen, qui était un exemple de devoir et une voix forte pour son peuple, et demandons à Dieu d'accorder à son frère et à ses proches la consolation de la foi. Nous prions pour que le peuple palestinien trouve son chemin vers la liberté et la paix.

Nous prions aussi pour le rétablissement du journaliste Ali Samouri, également blessé dans l'exercice de ses fonctions, et pour tous les journalistes du monde qui accomplissent courageusement leur travail.

https://www.lpj.org/it/posts/dichiarazione-del-patriarcato-latino-di-gerusalemme-sulla-morte-di-shereen-abu-aqleh.html




domenica 8 maggio 2022

Siria. La crisi si aggrava ora serve cambiare passo

Volontari Maristi di Aleppo nel campo profughi di Al Shahba 

Riprendiamo da Avvenire la lettera del Direttore della ONG AVSI , impegnata con vari progetti in Siria e in Libano, della quale condividiamo preoccupazioni e obiettivi. Ancora una volta, alla prossima Conferenza UE sulla Siria vogliamo rimarcare che la prima modalità di salvaguardare 'la dignità della popolazione siriana' è togliere l'iniquo impedimento ad accedere alle risorse energetiche di cui è ricco il Paese e togliere le sanzioni che precludono alla popolazione ogni scambio economico e produttivo.   OraproSiria 

 

Caro direttore,
la tentazione di inseguire l’ultima notizia, di concentrare attenzione e risorse sull’ultima emergenza umanitaria, distraendosi da altre 'vecchie' situazioni di bisogno, resta sempre molto forte. E così non solo non si risolvono i 'conflitti dimenticati', ma il loro bilancio drammatico cresce. Per questo la conferenza internazionale sulla crisi siriana, che si tiene per la sesta volta a Bruxelles (9 maggio), merita quest’anno particolare attenzione: ci costringe a ricordare che mentre siamo tutti rivolti all’Ucraina, in Siria la pace è ancora lontana e i siriani hanno fame.

La crisi in questo Paese, scivolato in un cono d’ombra, è catastrofica: 14 milioni e 600mila persone hanno bisogno di aiuto umanitario, e tra questi sono 2 milioni e mezzo i bambini che non vanno a scuola. Un dato questo che getta sul futuro infinita preoccupazione. Chi lavora qui sul terreno da undici anni accanto ai più vulnerabili, ha il privilegio di una prospettiva diversa sui bisogni di questo popolo e desidera lanciare un appello chiaro ai grandi donatori che si riuniranno nella città belga: è tempo di cambiare modo di esserci e agire. Riconosciamo che la risposta a questa crisi con interventi d’emergenza – come fatto fin qui – non è più efficace.

Dobbiamo attivare misure che permettano di pensare a domani e dopodomani, a uno sviluppo sostenibile in Siria e in tutta la regione. Diverse situazioni politiche di certo non facilitano questa transizione, e il percorso è a ostacoli. Ma, se non modifichiamo il nostro approccio, la situazione peggiorerà.

Dobbiamo perciò ripartire da tre pilastri: salute, agricoltura ed educazione. Un’assistenza sanitaria accessibile a tutti, un’agricoltura che garantisca alle famiglie sicurezza alimentare e reddito, un’educazione che sia formazione e cura delle giovani generazioni, integrata a percorsi di sostegno psicosociale in scuole finalmente riabilitate. Su questi tre pilastri si possono realizzare progetti che coinvolgano le autorità locali e la società civile nel costruire un nuovo tessuto sociale e permettano agli sfollati di rientrare, di ritrovare una nuova normalità in luoghi non più provvisori.

Il temuto processo di 'palestinizzazione' dei rifugiati siriani va smontato favorendo la collaborazione tra i governi dei Paesi ospitanti e le comunità di profughi, che insieme possono trovare strumenti di reciproco riconoscimento, come i certificati di istruzione, formazione, stato civile. Vorremmo invitare chi si riunisce a Bruxelles a rimuovere gli ostacoli che bloccano questa ripartenza: la lentezza dei processi di approvazione dei progetti, la logica dei silos che impedisce il lavoro comune tra le diverse Direzioni Generali della Ue (che resta uno dei donatori più generosi), le banche di sviluppo, agli attori privati e la società civile.

Chiediamo ai grandi donatori di promuovere finanziamenti integrati e pluriennali con approccio regionale: non reindirizziamo i fondi destinati alla Siria verso nuove emergenze, ma aumentiamo il dialogo tra le istituzioni europee e tutti gli attori coinvolti centrandolo sulla dignità della popolazione siriana. Favoriamo la partnership tra le istituzioni e organizzazioni internazionali e le realtà della società civile, presenti sul terreno che conoscono nel dettaglio i bisogni dei siriani. Non abbiamo più tempo per indugiare in un modo di lavorare superato dalla realtà: a rischio è un capitale umano e sociale fondamentale per il Medio Oriente, per noi, per il mondo intero.

di Gianpaolo Silvestri , Segretario generale di Avsi

martedì 3 maggio 2022

Le parole di Lavrov e del Papa scompigliano le narrazioni scontate


 Piccole Note, 3 maggio 2022

Ha destato scandalo l’intervista di Sergej Lavrov a “Zona Bianca”, sia perché rompe la censura calata sulle voci russe, sia per le parole sulle origini ebraiche di Hitler, che hanno suscitato l’ira delle comunità ebraiche.

L’asserzione di un’ascendenza ebraica di Hitler ha comportato uno sbandamento anche di Israele, finora rimasto formalmente neutrale nel conflitto, ma con pressioni enormi perché prenda posizione a fianco dell’Ucraina.

Una mossa che però sa di dover meditare, dal momento che rischia di non poter più bullizzare la vicina Siria con raid aerei che mietono ogni settimana vite umane innocenti nel nome della sicurezza del Paese (è lo stesso motivo che Mosca adduce per l’invasione del Donbass…).

Perché i loro raid possano andare a segno, i Jet di Tel Aviv hanno bisogno della neutralità russa – le cui forze sono in Siria su invito di Assad -, cosa assicurata da accordi pregressi.

Da qui, e da altro, l’ambiguità finora conservata da Israele sul conflitto (vedi anche il New York Times), nel quale però profonde “volontari” (Jerusalem post) e intelligence. Aiuti riversati in Ucraina senza un’aperta dichiarazione di ostilità nei confronti della Russia.

Una posizione che gli ha permesso anche di spendersi per mediare tra i due litiganti, attirandosi in tal modo le ire funeste degli assertori delle guerre infinite, che vedono il conflitto ucraino come un nuovo e più proficuo capitolo delle stesse.

Resta da capire se Israele riuscirà a conservare tale neutralità o se alla fine sarà costretta a cedere alle pressioni interne ed esterne schierandosi decisamente con Kiev.

Se ciò avverrà, però, non sarà certo per le parole di Lavrov – che più che accusare sembrava evocare – sulle quali c’è stato un “chiarimento” nel faccia a faccia tra il ministro degli Esteri israeliano e l’ambasciatore russo in Israele, in una conversazione della quale “le due parti hanno deciso di non fornire ulteriori dettagli” (Timesofisrael). Cenno pieno di sottintesi.

Al coro di condanna dell’intervista di Lavrov si è unito ovviamente anche Mario Draghi, che deve pur riaffermare il suo atlantismo, ma che pure  oggi, a Strasburgo, ha affermato la necessità di arrivare a un “cessate il fuoco”, aggiungendo che “l’Italia, come Paese fondatore dell’Unione Europea, come Paese che crede profondamente nella pace, è pronta a impegnarsi in prima linea per raggiungere una soluzione diplomatica“.

Insomma, anche un atlantista puro come Draghi sembra recalcitrante, come tanti nel mondo, a obbedire ciecamente alla consegna dei neocon volta a  usare del conflitto per incenerire la Russia, bypassando i rischi connessi a tale missione suicida.

Ma in questa nota val la pena sottolineare anche la ragionevolezza della posizione di papa Francesco, che in un’intervista al Corriere della sera ha espresso ancora una volta l’auspicio che questa guerra abbia fine.

Certo, un papa non può dire altro, è il suo mestiere, e certo non ha detto nulla di rivoluzionario, e però, dal momento che ultimamente si parla solo di inviare armi, derubricando il negoziato a connivenza col nemico, tali parole non suonano di prammatica.

Una guerra d’invasione, certo, quella ucraina, ma papa Francesco sa bene che la realtà è più complessa delle schematizzazioni propagandistiche, così ha voluto dire che il conflitto non nasce solo dalla follia di Putin.

Così il Corriere sintetizza le parole di Francesco: “L’abbaiare della Nato alla porta della Russia” ha indotto il capo del Cremlino a reagire male e a scatenare il conflitto. “Un’ira che non so dire se sia stata provocata — si interroga —, ma facilitata forse sì”.

Quindi, interpellato sull’invio di armi all’Ucraina, ha dichiarato: “Non so rispondere, sono troppo lontano, all’interrogativo se sia giusto rifornire gli ucraini — ragiona — .La cosa chiara è che in quella terra si stanno provando le armi”.

A provarle sono russi, secondo il pontefice, ma anche gli altri, così che si sta ripetendo quel che avvenne nella guerra civile spagnola. Un cenno, quest’ultimo, non certo casuale, dal momento che la guerra civile spagnola fu funesto prologo alla guerra mondiale.

Se abbiamo messo insieme questi avvenimenti (l’intervista a Lavrov, l’apertura inaspettata di Draghi, l’intervista papale) è perché ci sembra che siano sottesi da un filo d’oro. E che siano come un’eco di qualcosa di tacito che si sta muovendo sottotraccia.

Cinque giorni fa il ministero degli Esteri russo pubblicava un tweet con una foto che ritraeva Paolo VI con Gromiko. Questo il testo: “Nel 1966, Papa Paolo VI e il primo ministro sovietico Andrey #Gromyko si incontrarono in #Vaticano . È arduo trovare sistemi statali così diversi tra loro, eppure i loro rappresentanti sono riusciti ad avere un dialogo costruttivo: una lezione da imparare #HistoryOfDiplomacy”. non sembra estraneo agli sviluppi seguenti.

Nell’intervista al Corriere, papa Francesco indugiava su un possibile incontro con Putin, anche se esprimeva le perplessità del caso. Ovvio che tale incontro, se dovesse esserci, dovrebbe avere un qualche risvolto reale, altrimenti sarebbe inutile. E ciò che è inutile, in questa temperie confusa, sarebbe dannoso.

Ma più che auspicare un incontro con Putin, il tweet del ministero degli Esteri russo sembra una sollecitazione diretta ad altro, un invito alla Chiesa perché rinnovi i fasti della propria diplomazia, oggi che il mondo sta attraversando una crisi che richiama quella dei missili cubani, alla cui risoluzione non fu estranea, anzi, la mediazione di Giovanni XXIII.

Certo, non fu solo il Papa a risolvere la situazione, come dimostra il carteggio segreto tra  John Fitzgerald Kennedy e Nikita Kruscev rivelato dal teologo cattolico James W. Douglass nel libro JFK and the Unspeakable: Why He Died and Why It Matters e ripreso, non certo a caso, dai media russi nel 2018 .

A sbrogliare la matassa contribuì non poco la diplomazia italiana, allora guidata dalla Democrazia cristiana, che lavorò sottotraccia per un compromesso: la smobilitazione delle testate atomiche Nato dislocate in Italia e in Turchia in cambio di un’inversione di marcia dei sovietici, che avevano inviato le proprie testate atomiche a Cuba suscitando le legittime preoccupazioni americane (come per la Russia l’allargamento della Nato a Est).