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È fra i più antichi scrittori di lingua siriaca e il più importante fra essi. Nacque a Nisibi, sentinella avanzata dell'impero romano nella Siria orientale, fra il 306 e il 307 (Treccani) |
UDIENZA GENERALE DI BENEDETTO XVI
Cari
fratelli e sorelle,
secondo
l’opinione comune di oggi, il cristianesimo sarebbe una religione
europea, che avrebbe poi esportato la cultura di questo Continente in
altri Paesi. Ma la realtà è molto più complessa, poiché la radice
della religione cristiana si trova nell’Antico Testamento e quindi
a Gerusalemme e nel mondo semitico. Il cristianesimo si nutre sempre
a questa radice dell’Antico Testamento. Anche la sua espansione nei
primi secoli si è avuta sia verso occidente – verso il mondo
greco-latino, dove ha poi ispirato la cultura europea – sia verso
oriente, fino alla Persia, all’India, contribuendo così a
suscitare una specifica cultura, in lingue semitiche, con una propria
identità. Per mostrare questa pluriformità culturale dell’unica
fede cristiana degli inizi, nella catechesi di mercoledì scorso ho
parlato di un rappresentante di questo altro cristianesimo, Afraate
il saggio persiano, da noi quasi sconosciuto. Nella stessa linea
vorrei parlare oggi di sant’Efrem Siro, nato a Nisibi attorno al
306 in una famiglia cristiana. Egli fu il più insigne rappresentante
del cristianesimo di lingua siriaca e riuscì a conciliare in modo
unico la vocazione del teologo e quella del poeta. Si formò e crebbe
accanto a Giacomo, Vescovo di Nisibi (303-338), e insieme a lui fondò
la scuola teologica della sua città. Ordinato diacono, visse
intensamente la vita della locale comunità cristiana fino al 363,
anno in cui Nisibi cadde nelle mani dei Persiani. Efrem allora emigrò
a Edessa, dove proseguì la sua attività di predicatore. Morì in
questa città l’anno 373, vittima del contagio contratto nella cura
degli ammalati di peste. Non si sa con certezza se era monaco, ma in
ogni caso è sicuro che è rimasto diacono per tutta la sua vita e
che ha abbracciato la verginità e la povertà. Così appare nella
specificità della sua espressione culturale la comune e fondamentale
identità cristiana: la fede, la speranza – questa speranza che
permette di vivere povero e casto nel mondo, ponendo ogni aspettativa
nel Signore – e infine la carità, fino al dono di se stesso nella
cura degli ammalati di peste.
Sant’Efrem
ci ha lasciato una grande eredità teologica. La sua considerevole
produzione si può raggruppare in quattro categorie: opere scritte in
prosa ordinaria (le sue opere polemiche, oppure i commenti biblici);
opere in prosa poetica; omelie in versi; infine gli inni, sicuramente
l’opera più ampia di Efrem. Egli è un autore ricco e interessante
per molti aspetti, ma specialmente sotto il profilo teologico. La
specificità del suo lavoro è che in esso si incontrano teologia e
poesia. Volendoci accostare alla sua dottrina, dobbiamo insistere fin
dall’inizio su questo: sul fatto cioè che egli fa teologia in
forma poetica. La poesia gli permette di approfondire la riflessione
teologica attraverso paradossi e immagini. Nello stesso tempo la sua
teologia diventa liturgia, diventa musica: egli era infatti un grande
compositore, un musicista. Teologia, riflessione sulla fede, poesia,
canto, lode di Dio vanno insieme; ed è proprio in questo carattere
liturgico che nella teologia di Efrem appare con limpidezza la verità
divina. Nella sua ricerca di Dio, nel suo fare teologia, egli segue
il cammino del paradosso e del simbolo. Le immagini contrapposte sono
da lui largamente privilegiate, perché gli servono per sottolineare
il mistero di Dio.
Non
posso adesso presentare molto di lui, anche perché la poesia è
difficilmente traducibile, ma per dare almeno un’idea della sua
teologia poetica vorrei citare in parte due inni. Innanzitutto, anche
in vista del prossimo Avvento, vi propongo alcune splendide immagini
tratte dagli Inni sulla natività di Cristo. Davanti alla
Vergine Efrem manifesta con tono ispirato la sua meraviglia:
«Il
Signore venne in lei
per farsi servo.
Il Verbo venne in lei
per
tacere nel suo seno.
Il fulmine venne in lei
per non fare
rumore alcuno.
Il Pastore venne in lei
ed ecco l’Agnello
nato, che sommessamente piange.
Poiché il seno di Maria
ha
capovolto i ruoli:
Colui che creò tutte le cose
ne è entrato
in possesso, ma povero.
L’Altissimo venne in lei (Maria),
ma
vi entrò umile.
Lo splendore venne in lei,
ma vestito con
panni umili.
Colui che elargisce tutte le cose
conobbe la
fame.
Colui che abbevera tutti
conobbe la sete.
Nudo e
spogliato uscì da lei,
Egli che riveste (di bellezza) tutte le
cose»
(Inno sulla Natività11, 6-8).
Per
esprimere il mistero di Cristo, Efrem usa una grande diversità di
temi, di espressioni, di immagini. In uno dei suoi inni, egli collega
in modo efficace Adamo (nel paradiso) a Cristo (nell’Eucaristia):
«Fu
chiudendo
con la spada del cherubino,
che fu chiuso
il
cammino dell’albero della vita.
Ma per i popoli,
il Signore
di quest’albero
si è dato come cibo
lui stesso
nell’oblazione (eucaristica).
Gli alberi dell’Eden
furono
dati come alimento
al primo Adamo.
Per noi, il giardiniere
del
Giardino in persona
si è fatto alimento
per le nostre
anime.
Infatti tutti noi eravamo usciti
dal Paradiso assieme
con Adamo,
che lo lasciò indietro.
Adesso che la spada è
stata tolta
laggiù (sulla croce) dalla lancia
noi possiamo
ritornarvi»
(Inno 49,9-11).
Per
parlare dell’Eucaristia, Efrem si serve di due immagini: la brace o
il carbone ardente e la perla. Il tema della brace è preso dal
profeta Isaia (cfr 6,6). E’ l’immagine del serafino, che prende
la brace con le pinze, e semplicemente sfiora le labbra del profeta
per purificarle; il cristiano, invece, tocca e consuma la Brace, che
è Cristo stesso:
«Nel
tuo pane si nasconde lo Spirito,
che non può essere
consumato;
nel tuo vino c’è il fuoco, che non si può bere.
Lo
Spirito nel tuo pane, il fuoco nel tuo vino:
ecco una meraviglia
accolta dalle nostre labbra.
Il serafino non poteva avvicinare le
sue dita alla brace,
che fu avvicinata soltanto alla bocca di
Isaia;
né le dita l’hanno presa, né le labbra l’hanno
inghiottita;
ma a noi il Signore ha concesso di fare ambedue
cose.
Il fuoco discese con ira per distruggere i peccatori,
ma
il fuoco della grazia discende sul pane e vi rimane.
Invece del
fuoco che distrusse l’uomo,
abbiamo mangiato il fuoco nel pane
e
siamo stati vivificati»
(Inno sulla fede10,8-10).
Ed
ecco ancora un ultimo esempio degli inni di sant’Efrem, dove egli
parla della perla quale simbolo della ricchezza e della bellezza
della fede:
«Posi
(la perla), fratelli miei, sul palmo della mia mano,
per poterla
esaminare.
Mi misi ad osservarla dall’uno e dall’altro
lato:
aveva un solo aspetto da tutti i lati.
(Così) è la
ricerca del Figlio, imperscrutabile,
perché essa è tutta
luce.
Nella sua limpidezza, io vidi il Limpido,
che non diventa
opaco;
e nella sua purezza,
il simbolo grande del corpo di
nostro Signore,
che è puro.
Nella sua indivisibilità, io vidi
la verità,
che è indivisibile»
(Inno sulla
perla 1,2-3).
La
figura di Efrem è ancora pienamente attuale per la vita delle varie
Chiese cristiane. Lo scopriamo in primo luogo come teologo, che a
partire dalla Sacra Scrittura riflette poeticamente sul mistero della
redenzione dell’uomo operata da Cristo, Verbo di Dio incarnato. La
sua è una riflessione teologica espressa con immagini e simboli
presi dalla natura, dalla vita quotidiana e dalla Bibbia. Alla poesia
e agli inni per la liturgia, Efrem conferisce un carattere didattico
e catechetico; si tratta di inni teologici e insieme adatti per la
recita o il canto liturgico. Efrem si serve di questi inni per
diffondere, in occasione delle feste liturgiche, la dottrina della
Chiesa. Nel tempo essi si sono rivelati un mezzo catechetico
estremamente efficace per la comunità cristiana.
E’
importante la riflessione di Efrem sul tema di Dio creatore: niente
nella creazione è isolato, e il mondo è, accanto alla Sacra
Scrittura, una Bibbia di Dio. Usando in modo sbagliato la sua
libertà, l’uomo capovolge l’ordine del cosmo. Per Efrem è
rilevante il ruolo della donna. Il modo in cui egli ne parla è
sempre ispirato a sensibilità e rispetto: la dimora di Gesù nel
seno di Maria ha innalzato grandemente la dignità della donna. Per
Efrem, come non c’è redenzione senza Gesù, così non c’è
incarnazione senza Maria. Le dimensioni divine e umane del mistero
della nostra redenzione si trovano già nei testi di Efrem; in modo
poetico e con immagini fondamentalmente scritturistiche, egli
anticipa lo sfondo teologico e in qualche modo lo stesso linguaggio
delle grandi definizioni cristologiche dei Concili del V secolo.
Efrem,
onorato dalla tradizione cristiana con il titolo di «cetra dello
Spirito Santo», restò diacono della sua Chiesa per tutta la vita.
Fu una scelta decisiva ed emblematica: egli fu diacono, cioè
servitore, sia nel ministero liturgico, sia, più radicalmente,
nell’amore a Cristo, da lui cantato in modo ineguagliabile, sia
infine nella carità verso i fratelli, che introdusse con rara
maestria nella conoscenza della divina Rivelazione.
https://www.vatican.va/content/benedict-xvi/it/audiences/2007/documents/hf_ben-xvi_aud_20071128.html