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mercoledì 28 agosto 2019

Fine del calvario per la città combattente di Mhardeh

Siria, non lontano da Idleb: dopo sette lunghi anni di assedio, i jihadisti si sono ritirati dalla periferia della città cristiana di Mhardeh. Le bombe non cadono più sui civili. 

Ma la gente di Mhardeh come è sopravvissuta? 


Intervista con Alexandre Goodarzy, capomissione in Siria della ONG 'SOS Chrétiens d'Orient'
SPUTNIK , traduzione italiana di Gb.P. per OraproSiria
Alexander Goodarzy, voi siete presenti con 'SOS Cristiani d'Oriente' da tre anni nella città di Mhardeh. L'assedio dei jihadisti è stato recentemente spezzato. Sollevato?
Alexandre Goodarzy: "È qualcosa che aspettavamo da quasi otto anni. Sono quattro anni che conosco Mhardeh e Squelbie, una città vicina. La sacca di Idleb è nella Siria nordoccidentale, queste due città sono a sud-ovest di questa sacca. La prima linea era a 500 metri di distanza, ora è arretrata di 20 km fino a Khan Cheikhoun. Le persone possono ora vivere in pace. Erano minacciate dall'organizzazione jihadista Hayat Tahrir al-Cham*, altro nome di al-Nusra*, che avevano promesso fedeltà ad al-Qaeda, prima di fondersi con altri gruppi. Il nome è cambiato e non dice nulla agli Occidentali, ma hanno gli stessi metodi: decapitazioni, propaganda e intimidazione dei civili. Quando parliamo di "opposizione" o di "ribelli moderati", parliamo di questi tipi ... Per qualche tempo, Mhardeh ha avuto sei mesi di tregua, poi i bombardamenti sono ripresi. È stato duro. La riconquista della zona a sud di Idleb respinge adesso i terroristi a 20 km di distanza. Sono stato vicino a loro per quasi quattro anni. È una grande vittoria, una grande gioia per gli abitanti, ma ci sono stati troppi morti ".
160 civili hanno perso la vita a Mhardeh. In che modo la città è diventata un simbolo di resistenza?
A.G.: "Questa piccola città di 23.000 abitanti (oggi 16.000) si trovata in prima linea. Tra la sua gente, il signor Simon Al Wakil ha deciso di difendere la sua casa, poi il suo quartiere, poi la sua città, e nei fatti, resistere ai terroristi che stavano conducendo razzie e rapine. Ha messo tutti suoi beni al servizio della sua comunità: "il terrorismo si arresterà qui, non ci lasceremo intimidire, resisteremo", ha detto. Sono passati esattamente otto anni dall'inizio di questa resistenza ai tentativi dei terroristi che provengono da Idlib, senza avere esperienza militare. Il signor Simon era un imprenditore, i suoi soldati sono operai, fornai, studenti - che vanno a scuola a Hama la mattina e indossano l'armatura nel pomeriggio ".
Lei dice che gli abitanti del villaggio si sono mobilitati ... da soli?
A.G.: "Si sono sollevati spontaneamente, hanno formato una milizia: l'esercito siriano non poteva essere ovunque. Si sono difesi da soli. Simon Al-Wakil ha messo a disposizione la sua fortuna per la difesa della sua città. L'esercito ha fornito alcune armi. So anche che gli iraniani prendono alcuni uomini e li addestrano in Iran a maneggiare armi, fabbricare missili e così via. È anche un peccato vedere che è la Repubblica Islamica dell'Iran, sciita, a difendere le minoranze cristiane nel Levante. Dovrebbe essere il lavoro della Francia, che preferisce finanziare i "moderati".
Che cosa ha fatto la vostra ONG, SOS Chrétiens d'Orient, a Mhardeh?
A.G.: "In effetti, gli uomini possono partecipare di meno alla vita economica. Abbiamo deciso di aiutarli: portiamo loro del cibo, specialmente alle famiglie i cui mariti vanno a combattere. Abbiamo aiutato l'ospedale cittadino, ridipingendo le sue pareti, portando forniture mediche. Abbiamo sostenuto finanziariamente le associazioni di disabili in modo che potessero arrivare in centro. Abbiamo iniziato ad aiutare la ricostruzione, abbiamo appena finanziato la prima casa. Abbiamo raccolto 50.000 euro [per Mhardeh, ndr], abbiamo speso circa 10.000 euro per ora: è lungo e difficile, la città era ancora sotto tiro fino a ieri ".
Come descriverebbe la situazione umanitaria nell'area?
A.G.: "Siamo stati i primi a portare aiuto a Mhardeh e Squelbie. So che nella zona l'esercito russo compie azioni umanitarie, protegge gli abitanti della regione, come degli iraniani e alcune milizie sciite afghane sotto l'autorità dell'esercito iraniano. Dunque, su Idleb, si sono dette molte bugie, secondo me. Oggi queste menzogne su Idleb sono raccontate di nuovo. Non sono qui per dire che Bashar al-Assad è un angelo, ma alla liberazione di Aleppo-Est, sono andato negli ospedali [a dicembre 2016, ndr]: lì ho incontrato quelli che avevano vissuto sotto l'occupazione terroristica. Ogni volta, mi hanno detto che i Caschi Bianchi o la Siria Charity erano solo terroristi travestiti da umanitari ".
* Organizzazioni terroristiche vietate in Russia


  
Testimonianza di Charles de Meyer, presidente di 
SOS Chrétiens d'Orient: 
"Mhardeh, luce di speranza per i cristiani d'Oriente"
FIGAROVOX/ TRIBUNE  traduzione italiana di Gb.P. per OraproSiria

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Un albero. Molto logoro. I ritratti appesi ispirano sentimenti confusi. Prima emozione, poiché 160 persone hanno dato la vita per mantenere la presenza cristiana a Mhardeh, una piccola città ai margini del fronte con la sacca di Idlib, l'ultima provincia ribelle della Siria nord-occidentale. Anche confusione davanti a questi volti, infantili di alcuni, marziali di altri. Mhardeh è una piccola Vandea nell'inesauribile conflitto siriano, ma una Vandea sopravvissuta alle colonne infernali.
Non era il silenzio delle processioni funebri ad agghiacciare gli abitanti, ma quello dell'indifferenza internazionale. Il lettore francese potrebbe avere difficoltà a immaginare il diluvio di fuoco che è costantemente caduto sui suoi 20.000 abitanti per sette anni. Ogni settimana o giù di lì, il frastuono delle sirene e il tonfo delle esplosioni hanno ricordato alle famiglie il prezzo del sacrificio che hanno accettato rimanendo sulla terra dei loro padri: il sacrificio della loro sicurezza e, a volte, della loro vita. Non è stato il silenzio dei funerali a schiacciarle, comunque. Era l'indifferenza internazionale. A chi importava davvero dei cristiani di Mhardeh? Erano gli "uomini di troppo" di un conflitto che molti volevano riassumere in uno scontro tra Bashar Al-Assad e i gentili costruttori di una nuova esperienza democratica. Ad ogni buon conto, gli abitanti di Mhardeh conoscevano i loro vicini infettati da tutte le sfumature dell'islamismo. Alcuni si attenevano alle versioni levantine di Al-Qaeda, altri aderivano al califfo dell'organizzazione dello Stato islamico. E il mondo ha chiuso gli occhi, troppo preoccupato a ripetere una lettura mediatica semplicistica sul conflitto siriano.
Questa domenica l'intera città ha reso grazie. Si è tenuta una messa e una grande processione per cantare la riconoscenza di una città liberata dal giogo jihadista. Noi abbiamo provato una vera familiarità. Il vescovo Baalbaki, vescovo greco-ortodosso di Hama, ha notato la presenza di SOS Chrétiens d’Orient. Anche in Francia, il Te Deum ha seguito la liberazione. C'erano alcuni figli della "figlia maggiore della Chiesa" (la Francia NDT) a partecipare a questo momento storico. Ma abbiamo anche sentito un sentimento di vergogna di fronte ai fedeli che non hanno potuto permettere che la gioia li travolgesse perché erano ancora prigionieri del lutto. Nessuno restituirà loro quei figli macellati nella notte mentre stavano di guardia, o quelle ragazze sventrate dai mortai che cadevano a caso. La guerra reca con sé sempre molto orrore, a cui la nostra lunga esperienza di conflitti orientali non ci abituerà mai.
Noi come SOS Chrétiens d’Orient abbiamo rifiutato questa politica di intenzionale ignoranza.
L'immagine può contenere: 3 persone, persone in piedi
A Sqelbiye, anch'essa liberata dal giogo jihadista, abbiamo versato molte lacrime quando alcuni bambini sono andati a salutare la fotografia dei loro amici scomparsi nei bombardamenti islamisti. Lo sanno che le armi continuano ad arrivare attraverso il corridoio turco alle fazioni islamiste ammassate in Idlib? Lo sanno che stiamo iniziando a leggere qua e là che Hayat Tharir Al-cham «ammorbidisce» le sue posizioni, mentre questo gruppo terrorista, che ha assorbito la maggior parte dei jihadisti del Fronte al-Nosra e di altri gruppi jihadisti, ha ucciso molti dei loro piccoli compagni?! Forse non ancora... Oggi venerano Simon Al Wakil e Nabel Abdallah che hanno guidato la resistenza agli islamisti.
SOS Chrétiens d’Orient ha rifiutato questa politica dell' ignoranza intenzionale. Determinati, i nostri volontari e i nostri capi missione hanno moltiplicato le azioni di supporto morale e materiale ai cristiani assediati. Abbigliamento e attrezzature per i siti di ricostruzione, attrezzature di pronto soccorso e prodotti alimentari, i volontari della nostra associazione hanno sfidato il silenzio internazionale per mostrare a questa città martoriata che alcune persone in Europa non la stavano abbandonando. E' stato tanto, è stato troppo poco. E il nostro investimento continuerà. Perché di fronte alle forze soverchianti, i figli di Mhardeh hanno preso le armi per salvare il loro destino. Perché di fronte alla morte le madri di Mhardeh hanno sostenuto i loro mariti che rifiutavano l'esilio. Perché questa piccola città della Siria che ha resistito contro una distruzione fatale da parte degli islamisti è un faro per tutti i cristiani d’Oriente: la loro scomparsa silenziosa non è una fatalità.

sabato 24 agosto 2019

La riconquista dell'Esercito Siriano di Khan Sheikhoun segna l’inizio della liberazione di Idlib

 Dalla fine della nostra novena di preghiera  per la pace in Siria, l'esercito siriano ha ottenuto una grande vittoria a Idlib attraverso la conquista di Khan Shaykhun. Un grazie a tutti coloro che si sono uniti alla nostra preghiera! 
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Finalmente le città cristiane martoriate per anni dai colpi dei jihadisti, celebrano la liberazione.



Damasco (AsiaNews)
Con la presa di Khan Sheikhoun due giorni fa, è passata in mano all’esercito siriano il controllo della strada che collega Idlib a Hama. Nella provincia di Hama, ormai totalmente in mano a Damasco, non resta alcuna presenza dei combattenti di Al Nusra. Secondo molte fonti locali, la riconquista di Khan Sheikhoun segna l’inizio di un attacco che porterà alla liberazione di Idlib, divenuta insieme all’Afghanistan uno dei luoghi con maggior concentrazione di terroristi al mondo. Ciò porterà anche alla liberazione di tutte le terre occupate al nord e al sud del Paese. La zona di Khan Sheikhoun è quella dove negli ultimi anni gli “elmetti bianchi” avevano diffuso le notizie sui famigerati attacchi al gas sarin contro i civili, e che secondo altre  fonti erano notizie fabbricate.

La ripresa di Khan Sheikhun segna una svolta storica nei rapporti fra Damasco, Mosca, Ankara e Teheran. Fonti parlamentari siriane spiegano che fino ad ora, Mosca aveva invitato alla calma la Siria, e ciò ha permesso ad Ankara di tergiversare per un anno, evitando di attuare quanto concordato ad Astana. Ora sembra che la pazienza di Damasco sia esaurita. L’esercito siriano ha superato le linee rosse poste da Mosca per non turbare equilibri regionali ed internazionali. Queste linee non hanno più valore per il governo siriano. Sulle colonne del quotidiano Teshreen si legge: “Mosca è un alleato e deve sostenerci e non più obiettare su ciò che va contro agli interessi siriani”.

Per spingere l’esercito siriano a retrocedere e non compiere alcun attacco, 15 giorni fa la Turchia ha inviato truppe di rinforzo. L’esercito siriano non si è fermato e ieri è riuscito perfino ad accerchiare la base avanzata turca di osservazione militare a Mork, a sud di Idlib. Tutto appare più come una guerra fra Siria e Turchia, e non fra Damasco e i mercenari di Idlib, sostenuti da Ankara e Doha.
Ieri, la Radio siriana ha commentato: “La questione non è se Mork sarà evacuata, ma in quale modo avverrà”. La stessa fonte afferma che sono in corso fitte discussioni segrete fra russi e turchi per garantire una ritirata meno umiliante per Ankara. Altre fonti parlano di fuga di gran parte degli occupanti stranieri e turchi da Mork. In realtà, secondo video apparsi ieri sui social, a Mork vi sono ancora persone e combattenti.
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Come accadde con i furti alla liberazione di Aleppo: i miliziani fuggono
verso la Turchia smantellando gli impianti per la fornitura elettrica del governo siriano
Secondo diversi analisti, la scelta di accerchiare Mork appare come una diretta risposta della Siria alla decisione turco-americana di creare una zona di sicurezza nel nord della Siria. La risposta di Damasco sembra essere: “E’ terra siriana e verrà liberata anch’essa”, invitando Washington e i curdi a non confidare troppo sulla resistenza turca in Siria.

Intanto l’aviazione russa bombarda ogni giorno postazioni e depositi di armi sofisticate giunte di recente ad Idlib. La Siria ha aperto un corridoio umanitario per permettere agli abitanti civili di fuggire dalle zone di combattimento garantendo loro protezione, aiuti logistici e sanitari ed immunità per i non responsabili di crimini d guerra.
Molti civili sono già passati in Siria. Ma una gran parte di essi - soprattutto coloro che sono responsabili di azioni bellicose contro il governo ed i loro familiari - hanno optato di ritirarsi al centro di Idlib, la cui difesa appare ormai sempre più fragile.

martedì 20 agosto 2019

Al Meeting di Rimini la voce di chi si prende cura dei bimbi di Isis che nessuno vuole


ALEPPO: UN NOME E UN FUTURO
22 agosto , ore 15

S. Ecc. Mons. George Abou Khazen, Vicario Apostolico di Aleppo;
Binan Kayyali, Direttrice Franciscan Care Center di Aleppo; 
Firas Lutfi, Responsabile Terra Sancta College e Franciscan Care Center di Aleppo; 
Mahmoud Akkam, Gran Muftì di Aleppo (intervento in video-collegamento). 
Introduce Andrea Avveduto, Giornalista, Associazione pro Terra Sancta.

da: S.I.R.

Donne anziane in strada che vendono pezzi di pane per sopravvivere, bambini e ragazzi che giocano tra cumuli di macerie non ancora rimosse. Auto e motorini che si muovono a suon di clacson fra la gente ferma davanti a improvvisate bancarelle e piccoli negozi dove si vende di tutto. La periferia orientale di Aleppo si presenta così dopo cinque anni di guerra (2012- 2017). In questa area si erano arroccati i jihadisti filo Al Qaeda di Al Nusra per contendere la città, capitale economica della Siria, all’esercito regolare del presidente Assad e ai suoi alleati russi e iraniani. Oggi la linea di fronte si è spostata di circa 20 chilometri, in piena campagna, dove si muovono ancora alcune milizie armate ribelli. “Fino a meno di sei mesi fa qui in queste strade non c’era vita. Le conseguenze ancora si vedono, manca acqua e anche l’energia elettrica. Si va avanti con i generatori” dice un negoziante. Ma ora qualcosa sembra muoversi, le famiglie provano a tornare. La gente pare più tranquilla, salvo ripiombare nel terrore, soprattutto di notte, quando razzi e bombe tornano a far sentire il loro frastuono.
L’incontro con Binan e Elia è qui, in mezzo a queste strade polverose che portano ancora i segni della guerra.
Binan Kayyali, psicologa e psicoterapeuta, Elia Kajmini, regista e autore teatrale, musulmana lei e cristiano lui, sono i due coordinatori del progetto “Un nome e un futuro”, voluto dal vicario apostolico latino di Aleppo, mons. George Abou Khazen, dal padre francescano Firas Lutfi e dal Muftì di Aleppo, Mahmoud Akam. L’obiettivo? “Aiutare innanzitutto i bambini nati da donne vittime di stupri e abusi spesso perpetrati dai ribelli jihadisti, molti dei quali stranieri, durante l’assedio di Aleppo”.
L’Unicef stima che in tutta la Siria ci siano circa 29 mila bambini figli di foreign fighters, molti sotto i 12 anni. “Si tratta di bambini e ragazzi guardati con diffidenza, tacciati di essere figli dell’Isis o figli del peccato, e per questo abbandonati dalle proprie famiglie. Così anche le loro madri. Discriminati ed emarginati hanno bisogno di tutto, acqua, medicine, istruzione, supporto psicologico e soprattutto di un nome e di un futuro”. Già, un nome e un futuro, come recita lo slogan del progetto.
Avere un nome significa esistere se non lo hai non esisti, sei invisibile, esposto a violenze e abusi quotidiani. Se non esisti non hai un futuro” spiega Binan mentre indica una vecchia palazzina cadente crivellata di colpi. Su un balconcino campeggia un piccolo striscione con la scritta “Care center” sormontata da un logo con la sigla “Fcc” (Fcc, Franciscan care center). Due rampe di scale, invase da liquami, umidità ovunque, una porta che apre su un piccolo appartamento completamente rinnovato, imbiancato, luci al neon che amplificano gli spazi angusti. Un bianco che stride con l’esterno. E tanti sorrisi, quello degli operatori che qui prestano la loro opera, dei bambini che vengono assistiti e delle loro madri che li attendono fuori le aule. In una stanza un nutrito gruppo di donne, giovani e meno giovani, segue corsi di prima alfabetizzazione e di lingua inglese. Moltissime donne di Aleppo Est sono analfabete – spiega Elia – con questo progetto insegniamo loro a leggere e scrivere. Alla fine del corso riceveranno un attestato di frequenza”.


Sono due i Care center dei francescani che fanno capo al progetto “Un nome e un futuro”. I numeri sono di tutto rispetto: circa 500 persone seguite, 200 disabili e 300 ragazze madri. Un lavoro continuo, sette giorni su sette, per oltre otto ore al giorno, condotto da 15 operatori specializzati. Numeri che crescono man mano che nei due centri affluiscono “tanti orfani ‘invisibili’ trovati a vagabondare per i palazzi distrutti di Aleppo. I cosiddetti figli dell’Isis – dicono Binan e Elia – non sono nemmeno iscritti all’anagrafe. Praticamente ‘non esistono’. In gran parte si tratta di bambini e ragazzi molto aggressivi, poco propensi a relazionarsi con gli altri. Per questo motivo puntiamo alla socializzazione e all’inserimento scolastico grazie alla collaborazione con il ministero dell’Istruzione siriano.  Stare in una classe vuol dire avere un nome, studiare rende possibile un futuro. Ad oggi almeno venti di questi bambini sono stati iscritti nelle scuole pubbliche”.
L'immagine può contenere: una o più persone, persone in piedi e scarpe
Nei due centri giungono anche numerosi ragazzi che non hanno potuto frequentare la scuola durante gli anni della guerra. “Cerchiamo di far recuperare le lezioni perse con un doposcuola in vista del loro reinserimento scolastico” dice Binan. Oggi è giorno di logoterapia e fisioterapia. Su un materassino Mahmoud, poco più di tre anni, fa fisioterapia. “È nato con difficoltà motorie sotto l’occupazione di Al Nusra e nel frastuono dei bombardamenti dell’esercito – dice Binan – del padre nessuna notizia. La madre non poteva uscire se non con il permesso di uno degli uomini della famiglia. La disabilità qui è uno stigma sociale. Suo figlio, costretto in casa, non ha potuto ricevere le cure adeguate”. In una saletta vicina le logoterapiste sono impegnate con due bambini. “Non parlano, sono traumatizzati dalla guerra – aggiunge la psicologa – uno dei due non riesce nemmeno a guardare la sua insegnante. La ascolta con il viso rivolto al muro. Sono bambini con un basso grado di concentrazione. Ogni minimo rumore li impaurisce. Sono gli esiti dei traumi vissuti sotto le bombe”. Ma ci sono due cose che, in prospettiva, spaventano la psicologa: la propensione al suicidio di giovani e bambini rimasti amputati durante i bombardamenti e la tendenza dei ragazzi a giocare in strada usando armi vere che vengono facilmente reperite nei quartieri della città. Hanno una familiarità con le armi al punto da riconoscerle dallo sparo che producono. La guerra sta provocando casi clinici e patologie che non si trovano sui libri scientifici. Non c’è bambino ad Aleppo che non abbia bisogno di aiuto e sostegno psicologico”.
Il lavoro di Binan e di Elia non si esaurisce  nei due centri ma prosegue nel Terra Santa College di Aleppo, guidato da padre Firas. Qui è attivo il centro “Arte e Psicologia” (Art and Psychology) dove tantissimi bambini e ragazzi vengono per frequentare corsi di teatro, di musica, di disegno, e praticare attività manuali e sportive. Lo sforzo di Elia e Binan, insieme a padre Firas, è arrivare anche alle famiglie di questi ragazzi. Il College è dotato di tante strutture, campi di calcio, di basket, piscina, palestre, laboratori, frutto della generosità della Chiesa italiana, di organismi come Misereor e di Ats, l’ong della Custodia di Terra Santa, in prima fila nel reperire fondi per alimentare la missione dei francescani.
L'immagine può contenere: 7 persone, persone che sorridono, folla e spazio al chiuso
Uno dei prossimi obiettivi, afferma Elia, “sarà aprire 10 centri in diverse zone povere della città. Assistere i bambini e le loro famiglie è il modo migliore per recuperare aree e zone della città altrimenti destinate a morire”. 
Aleppo oggi è un grande terreno reso arido dalla guerra – dice Binan – ma va irrigato e reso fertile piantando dei semi molto resistenti. Sono i semi della solidarietà, della vicinanza, della riscoperta dei rapporti interpersonali, del rispetto dei diritti e della dignità di ogni persona.  Sono semi che crediamo possano ricostruire la società siriana e per questo portare alla pace e alla riconciliazione”.
Riedificare case si può e si deve, ma vanno prima ricostruite le vite dei loro abitanti”.
https://www.agensir.it/mondo/2019/06/29/siria-con-binan-ed-elia-tra-i-bambini-invisibili-e-i-figli-dellisis/

venerdì 16 agosto 2019

Al Meeting di Rimini proiezione del film 'Mother Fortress' sul coraggio dei religiosi di Qara



Presentazione e proiezione del film documentario di Maria Luisa Forenza. Partecipa l'Autrice. 

Data: 24 Agosto 2019, ore 14:00 
Arena Percorsi, padiglione A2








...   Le immagini di Mother Fortress — accompagnate da un variegato tessuto sonoro che intreccia francese, inglese, arabo, canti liturgici nella cappella del monastero, echi di mortaio in lontananza, melodie pop alla radio, il colpo secco di un camion carico di viveri che si chiude quando viene preso d’assalto dalla folla affamata — non vogliono raccontare solo gli orrori della guerra, ma anche il mistero del tempo e la tenacia della vita che germoglia instancabile anche nel deserto del male più estremo. Quella dimensione verticale della vita umana, che nessuna angoscia, nessuna morte riesce a spegnere. «È un viaggio materiale e spirituale — si legge nelle note di regia — nella ricerca personale sul tempo come idea-guida delle riprese. Tempo mitico, tempo cronologico, tempo liturgico o kairòs, colto nell’oscillazione fra realtà quantitativa e dilatazione del presente».



La telecamera non cerca mai l’effetto facile; gli orrori di Daesh, i rapimenti, le minacce, le torture, le decapitazioni, vengono raccontati alle suore dalle profughe ospitate in monastero in cucina, mentre tagliano le verdure per preparare il pranzo o scaricano i sacchi di riso. «Il ceceno ha sposato la moglie. Poi l’ha uccisa davanti a suo marito. Poi ha ucciso anche il marito».
 Accanto ai fornelli c’è anche una giovane mamma musulmana, che non rinuncia a un filo di kajal, da ritoccare subito quando viene lavato via dalle lacrime. «Mio marito è morto in guerra due anni fa. Ho due bambini, sono sola, se non mi avessero accolto qui non avrei saputo dove andare». Gli scheletri dei palazzi di Deir ez Zor, completamente distrutti da un assedio durato tre anni, vengono inquadrati mentre le camionette dell’Isis sono ancora a duecento metri di distanza, dietro le colline. Gli abitanti del quartiere si fanno largo in mezzo alle macerie con orgoglio, per mostrare alla troupe che la ricostruzione è già iniziata.
Alla suora sudamericana, arrivata a Qara pochi mesi prima che scoppiasse il conflitto, sfugge un sorriso; sta parlando della pace profonda che sente nel cuore da quando è in convento, e si è appena sentita l’eco di un colpo di mortaio.     «Sono a est, e sono anche a ovest. Noi siamo in mezzo» continua un frate — capelli rossi e accento yankee, viene dal Colorado — spiegando quanto sia strategica la vallata in cui sorge il convento. Soli a presidiare la fortezza, parafrasando il titolo di uno splendido libro della scrittrice americana Flannery O’ Connor, durante una guerra che, quando la troupe ha iniziato a girare rischiando, letteralmente, la vita ogni giorno durante le riprese, ha raggiunto vertici di ferocia difficili da immaginare.
Il titolo del documentario, Mother Fortress, spiega Maria Luisa Forenza, è un diretto richiamo alla fortezza romana di Qara, trasformata in monastero dalle prime comunità cristiane, splendente sotto il sole con le sue pietre bianche murate di fresco. Il convento venne completamente distrutto dagli ottomani nel 1720; durante l’attacco furono uccisi gli oltre cento monaci che vivevano nell’edificio. Nel 1993 il vescovo di Homs ha dato mandato a madre Agnes di ridare vita a queste rovine, è così è stato. Insieme alle consorelle, ha avviato la rinascita materiale e spirituale di questo luogo, in collaborazione attiva con i villaggi limitrofi, che ha visto il fiorire di cooperative agricole e forme di mutua assistenza sociale. Prima della guerra, ovviamente; solo otto anni fa, ma sembrano passati secoli. Adesso la priorità è assistere orfani, profughi e vedove, cristiane o sunnite, nel modo più concreto possibile, scaricando casse di attrezzi chirurgici, organizzando ospedali da campo, sistemando rotoli di bende sugli scaffali, spostando sacchi di cibo in magazzino.
«La parola fortezza — spiega la regista — è anche un richiamo alla forza dei monaci che hanno resistito alla guerra. E un riferimento alle quattro virtù cardinali, perché siano monito per tutti».
  Durante i viaggi in macchina, in mezzo alla desolazione della guerra in corso, nel mirino di armi sofisticate che possono uccidere anche a quattro, cinque chilometri di distanza, le suore pregavano incessantemente Maria recitando il rosario per chiedere aiuto e protezione. «Il mio amico tassista adesso ha una luce negli occhi che umanamente è inspiegabile — racconta un giovanissimo frate siriano — perché è stato plasmato dalla sofferenza. A causa del suo lavoro è passato ogni giorno, per settimane, accanto a corpi che non potevano essere sepolti se non a rischio della vita». Anche madre Agnes ha visto centinaia di cadaveri abbandonati ai lati della strada, come racconta mentre riempie di pigmento bianco l’aureola di un’icona.
«Ho trovato una grande forza — spiega la regista — una grande vitalità e un amore per la vita che non immaginavo possibile in tempi di guerra». Un amore che giunge a vertici incomprensibili nel terribile, struggente racconto finale. Che sarebbe riduttivo descrivere qui: meglio ascoltarlo dalla voce di madre Agnes, quando il documentario sarà proiettato (a ingresso libero)....

venerdì 9 agosto 2019

Una novena, per conservare la speranza


Cari amici, l'interminabile guerra in Siria ci riferisce ogni giorno notizie di vite umane perdute in battaglie o in atti terroristici, e di grande sofferenza per tutto il popolo impoverito e privato delle risorse di base.  All'ingiustizia si unisce l'inadeguatezza di una informazione che rimandi alla verità senza ipocrisie e doppiezze.
La risorsa certa che ci rimane è la preghiera: vi proponiamo quindi di aderire alla NOVENA PER LA PACE IN SIRIA che fu proposta tempo fa da 'Aid to the Church in Need Syria Project'.
La introduciamo con il monito tratto da una comunicazione delle Monache Trappiste di Azeir :
"Dopo tanto silenzio, si ricomincia a parlare della Siria... Ricomincia la solita narrazione: parziale, di parte, falsata.. Una narrazione che sceglie fra vittima e vittima, esaltandone una e dimenticandone completamente un'altra... Questo è un po' inquietante: perchè, ancora una volta, dopo tanto silenzio, dopo tante prove che dicono che se non altro occorre essere più prudenti nel distribuire il bene e il male, riparte tutto come prima? Solita narrazione, asservita alle solite logiche di potere.. Viene un po' di brivido: è come un serpente a cui cento volte si taglia la testa e sempre rinasce. Riaffiora lo spettro di una Siria divisa, spartita.. Allora affidiamoci alla preghiera. Chi vuole, sorrida pure... Potente è l'arma che abbiamo tra le mani nude..."


BUONA SOLENNITA' DELL'ASSUNZIONE DI MARIA SS. 
A TUTTI GLI AMICI!



Preghiera e intercessione per la pace in Siria.
Dio di Compassione,
Ascolta il pianto del popolo siriano.
Conforta coloro che subiscono violenza.
Consola coloro che piangono i morti.
Dona coraggio ai Paesi vicini della Siria di poter accogliere i rifugiati.
Converti il cuore di coloro che hanno imbracciato le armi.
E proteggi coloro che si impegnano per la pace.

Dio della speranza,
ispira i governanti a scegliere la pace piuttosto che la violenza e a cercare la riconciliazione con i nemici.
Infiamma la Chiesa Universale di compassione per il popolo siriano.
E dacci speranza per un futuro costruito sulla giustizia per tutti.


Lo chiediamo attraverso Gesù Cristo, principe della pace e luce del mondo.
Amen.

Litanie per la Siria
Cuore Immacolato di Maria, prega per la Siria, prega per noi.
Cuore Immacolato di Maria, prega per la Siria, prega per noi.
Cuore Immacolato di Maria, prega per la Siria, prega per noi.
San Giuseppe, patrono e protettore della Chiesa Universale, prega per la Siria, prega per noi.
Martiri della Siria e del Medio Oriente, pregate per la Siria, pregate per noi.
Santi della Siria e del Medio Oriente, pregate per la Siria, pregate per noi.
San Charbel, prega per la Siria, prega per noi.
San Paolo, benedici il cristianesimo in Siria, aiuta i cristiani di questo paese. Non dimenticare questo luogo, la culla del cristianesimo.
Maria, Regina della Pace, prega per la Siria, prega per noi.

Grazie per le vostre preghiere e la vostra solidarietà con il popolo siriano.

mercoledì 7 agosto 2019

La politica del "caos" americana in Siria ostacola la stabilizzazione di Idlib

La stabilizzazione del governatorato di Idlib è improbabile, un tale processo politico non può essere attuato fintanto che gli Stati Uniti e i suoi alleati cercano di preservare il caos nella regione, ha detto in un'intervista all'agenzia russa RIA Novosti la giornalista indipendente canadese Eva Bartlett.

La situazione a Idlib rimane una delle questioni più importanti nella risoluzione del conflitto in Siria. Il 1° agosto, il governo siriano ha annunciato un cessate il fuoco nella regione, a condizione che il memorandum della zona di de-escalation del 2018 sia  rispettato. Dopo solo quattro giorni, la Siria ha dichiarato che sta riprendendo un'operazione militare contro alcuni gruppi di terroristi a causa del mancato rispetto da parte di questi della tregua, e degli impegni turco-russi da parte di Ankara.
"Una possibile soluzione sarebbe quella di proporre un accordo ai gruppi terroristici in modo che possano lasciare Idlib e che la Repubblica araba siriana viva in pace, altrimenti rimane solo la soluzione militare", ha risposto la giornalista e attivista canadese Eva Bartlett a una domanda sulla situazione nella regione. Una soluzione politica con un ritiro dei terroristi sarebbe l'ideale ma "gli Stati Uniti e i loro alleati non lo vogliono, preferiscono che regni il caos ".

Come esempio, si riferisce a problemi di presenza terroristica in altre aree in cui ai ribelli di nazionalità siriana era stato permesso di deporre le armi e riprendere una vita normale. Se non avessero concordato, avrebbero potuto trasferirsi in altre aree o andare su Idlib. Tuttavia, nella situazione attuale, il ruolo dei media è cruciale, ha aggiunto.
"È importante capire che quando i media occidentali parlano della situazione a Idlib, non si rendono conto che si tratta di una base di Al Qaeda . Brett McGurk, ex inviato speciale degli Stati Uniti, ha persino affermato che si trattava di un fulcro per questo gruppo terroristico. I media devono svolgere il loro ruolo, è loro obbligo parlarne, ma invece tacciono il fatto che questi terroristi esistono, lasciando immaginare che Russia e Siria attaccano i civili, in modo errato e che non non si attiene alla realtà ", dichiara Eva Bartlett.

"Una donna mi ha detto che i terroristi l'hanno seguita ovunque andasse in Idlib", racconta la giornalista. Secondo Eva Bartlett, gli abitanti locali devono pagare un riscatto per lasciare il territorio detenuto dai ribelli. "Questo è ciò che il grande pubblico deve sapere per capire il contesto con la giusta prospettiva", ha aggiunto.
Tuttavia, la giornalista rimane scettica sulla consapevolezza dei media: "In generale, i media occidentali continueranno a coprire la situazione siriana secondo il principio di una cassa di risonanza, armeggiando con i fatti in molti casi".

lunedì 5 agosto 2019

Quindicina dell’Assunta: preparare 'la festa delle feste' della Madre del Signore

"Porto e difesa, baluardo e riparo sii per chi in te si rifugia, Signora: sii protezione e sorgente di gioia.
O Vergine Madre di Dio, salvaci!"

da Radio Vaticana 

Nella suggestiva basilica romana di Santa Maria in Via Lata è in corso la tradizionale Quindicina dell’Assunta, una pratica di devozione in preparazione alla Solennità dell’Assunzione di Maria del prossimo 15 agosto: nei quindici giorni, i fedeli digiunano e cantano l’ufficio orientale chiamato Paraclisis, composto da inni di supplica per ottenere conforto e coraggio. La celebrazione, che nelle Chiese cattoliche ed orientali di rito bizantino prende il nome di ‘Piccola Quaresima della Madre di Dio’ ed è stata in parte adattata alla nostra tradizione liturgica occidentale ormai più di quarant’anni fa, si concluderà il 14 agosto alle ore 20.00 nella Basilica Papale di Santa Maria Maggiore con la solenne veglia dell’Assunta presieduta dal cardinale Stanisław Ryłko, arciprete della basilica.

Una pratica dal grande valore ecumenico

Il mariologo Antonino Grasso, docente all’Istituto di Scienze Religiose ‘San Luca’ di Catania, spiega che “la Quindicina dell’Assunta assume un grande valore ecumenico visto che unisce i cristiani di Oriente ed Occidente nell'unanime venerazione di Maria. Con questa pia pratica i fedeli chiedono alla Madre di Dio anche di intercedere per la pace sulla terra, l’unità delle Chiese, la benedizione divina sulle famiglie e su ogni creatura umana”. Anche per noi occidentali, aggiunge il prof. Grasso, lo scopo della Quindicina dell’Assunta è quello di alzare lo sguardo verso la Vergine glorificata “per sentirla sempre vicina e per rivolgerle fiduciosi la struggente invocazione di aiutarci a risolvere i grandi problemi personali, familiari, nazionali ed internazionali”.

Maria ci invita a combattere contro il male per la salvezza

Ma cosa ci insegna il guardare incessantemente all’Assunta? “Ci insegna - risponde il mariologo Grasso - che nulla di noi andrà perduto; che tutto di noi sarà salvato per sempre solo se sapremo vincere la nostra battaglia contro il male e se sapremo superare la paura della morte, animati dalla speranza certa e concreta della resurrezione”. In sostanza, Maria ci sollecita ad essere forti e decisi contro il demonio che “con le sue subdole ed affascinanti insidie ci circonda invisibile ma potente, con l’intento di strapparci a quella realizzazione gloriosa e splendente in Dio di cui l’Assunta è l’icona, distruggendo così la nostra esistenza”.

giovedì 1 agosto 2019

Lettera da Aleppo nel cuore dell'estate 2019

dai Maristi di Aleppo
trad. Maria Antonietta Carta
Questa è l'ultima 'Lettera da Aleppo' che gli autori, Nabil Antaki e Georges Sabeh, membri di un'associazione che soccorre sfollati e indigenti nella città di Aleppo dal 2012 fino a oggi, hanno inviato ad amici, conoscenti e sostenitori nel mondo intero, riunite poi a formare un diario che è stato pubblicato in Francia col titolo ''Les Lettres d'Alep'': una cronaca scritta dentro una città martoriata, dove molti hanno scelto di continuare a vivere e affrontare la guerra con le armi della solidarietà e della fratellanza.  
È una storia d' amore, di compassione e di coraggio, e anche una testimonianza sulla resilienza di una minoranza, tra le tante della Siria e una delle più antiche, quella cristiana minacciata, come le altre, nella sua sopravvivenza da chi per i suoi turpi interessi si è inventato uno falso scontro di civiltà. È un’opera sulla follia della guerra e sulla saggezza della coesistenza.
Io ho tradotto il libro in italiano e spero che presto possa essere pubblicato perché lo considero un documento prezioso sulla guerra in Siria.
Maria Antonietta Carta
A luglio, di solito fa molto caldo ad Aleppo. Prima della guerra, era il mese in cui molti giovani trascorrevano le vacanze fuori città: partenze giornaliere di gruppi di campeggiatori verso i luoghi di villeggiatura in montagna, Kassab, Marmarita o Mashta el Helou nella Valle dei cristiani. Chi conosce quelle zone sa che molti bambini e giovani facevano escursioni o campeggiavano nei villaggi e nelle campagne circostanti. Da due anni, le loro strade, rimaste deserte per almeno cinque anni a causa del conflitto, hanno visto tornare molti giovani. Invece, altri luoghi sono ancora inaccessibili: i villaggi popolati in maggioranza da cristiani della provincia di Idleb, Knayeh, Yacubieh e Ghassanieh, dove non resta che una piccolissima comunità di cristiani.

Sebbene una buona parte del Paese sia stata liberata e i media parlino ormai poco della Siria, nella provincia di Idlib e nelle zone del nord-est sussistono ancora focolai di grande tensione L'esercito siriano sta combattendo per liberare il distretto di Idlib in mano al Fronte di al-Nusra. Possiamo sperare che tutte queste regioni siano liberate presto? Noi desideriamo il ritorno della sovranità nazionale di tutti i territori occupati, ma intanto continuiamo a subire le conseguenze di un embargo e delle sanzioni occidentali che impediscono la ricostruzione del Paese e la ripresa economica. Il potere d'acquisto continua a diminuire e i Siriani diventano sempre più poveri.
Penso all’ultrasettantenne ex studente dei Maristi, che si ritrova senza risorse economiche: "I pochi risparmi che avevo sono esauriti. Non mi è rimasto niente. Non ero povero. Mi sono guadagnato da vivere. Ho cresciuto la mia famiglia in maniera dignitosa. Oggi sono povero! ". Povero ... Povertà ... Miseria ... Non mangiare a sufficienza. Non trovare lavoro. Le persone che hanno subìto le atrocità della guerra, continuano a pagare un prezzo troppo alto accettando di restare e resistere. Ascolto molti che rimpiangono di non essere andati via, soprattutto quando parenti o amici emigrati raccontano di essersi inseriti nei Paesi d’accoglienza.
E resta l’angoscia incessante per una possibile guerra che potrebbe incendiare l'intero Medio Oriente.
Alcune zone di Aleppo continuano a essere oggetto di bombardamenti che spesso causano vittime tra i civili, ma nonostante ciò Aleppo vuole rinascere dalle ceneri. I suoi abitanti fanno tutto il possibile per uscire dalla miseria, per "scegliere la vita". Non è facile. Incontriamo spesso madri vedove, divorziate o senza notizie dei mariti scomparsi. Hanno tre o quattro bambini. La guerra è passata nelle loro case, le ha costrette non soltanto a fuggire tante volte e a vivere in quartieri sconosciuti, ma anche alla più grande miseria. Non voglio redigere una lista nera dei drammi, che sono una realtà terribile.  

Nessuna descrizione della foto disponibile.
Si può tornare a camminare in alcune strade di Aleppo, vedere gente che fuma un narghilè in un caffè e osservare le parvenze di una vita normale. Anche una strada dei suk di Aleppo è stata completamente restaurata, mantenendo il vecchio stile, ma resta ancora molto da fare; soprattutto ricostruire l’uomo, la comunità, il senso di appartenenza e di cittadinanza; rieducarsi ai valori condivisi: aprirsi all'altro, rispettarsi nelle differenze, risolvere pacificamente le controversie e andare incontro ai più indigenti.

Due mesi fa, il programma "Pueblo de Dios" della televisione spagnola ha presentato in due puntate l'azione e la missione dei Maristi Blu. La troupe televisiva aveva trascorso una settimana con noi. Il primo servizio era intitolato "The Heroes of Silence". Siamo davvero "Eroi"? Che silenzio è? A quasi tre anni dalla fine dei combattimenti nella città di Aleppo, la nostra missione è sempre più effettiva. Al servizio della popolazione e in particolare delle persone più vulnerabili. Continuiamo ad aiutare gli sfollati. Paghiamo gli affitti per centinaia di famiglie che non sono state in grado di tornare a casa e secondo le nostre possibilità aiutiamo a curarsi gratuitamente i più poveri nei migliori ospedali della città.
Il nostro centro di educazione per adulti, il MIT, continua a offrire formazione, apprendimento e supporto psicologico. Al fine di creare opportunità di lavoro e incoraggiare i giovani a rimanere nel Paese, il programma "Come avviare il proprio microprogetto" continua a formare decine di giovani e sostenere finanziariamente quelli selezionati dalla nostra giuria.
L'anno scolastico dei progetti educativi per bambini dai 3 ai 7 anni (Imparare a crescere e Io Voglio Imparare) è finito, e sono state organizzate le attività estive dei mesi di giugno e luglio. Le registrazioni per il prossimo anno annunciano una domanda crescente che non possiamo ancora soddisfare dato lo spazio limitato.
L'immagine può contenere: una o più persone, cielo, spazio all'aperto e natura


Continuiamo ad animare il campo di sfollati "SHAHBA", a 25 chilometri da Aleppo. Ci andiamo più volte alla settimana per occuparci dell'educazione e dell'istruzione di bambini e adolescenti, per l'accompagnamento delle madri e per la distribuzione di alimenti e prodotti per l'igiene. Di recente, abbiamo avviato un programma medico con visita regolare di un ginecologo e un internista e la fornitura gratuita dei farmaci necessari.
I giovani sfollati del campo hanno partecipato a sessioni di formazione professionale di cinque mesi (corsi di trucco e cucito per ragazze, tinteggiatura di edifici e acconciatura per ragazzi). I partecipanti hanno poi ricevuto un attestato di frequenza e uno strumento di lavoro corrispondente alla professione appresa. Speriamo di continuare a formare i giovani nelle professioni del futuro.
La nostra biblioteca mobile per il campo si arricchisce continuamente. Incoraggiamo tutti i bambini, anche se non sanno leggere, a prendere in prestito libri. Il libro diventa un amico, una fonte di ispirazione e immaginazione; un'opportunità per imparare più velocemente. I coordinatori sfruttano lo schermo installato nella biblioteca per svolgere attività educative, proiettando film o offrendo giochi di cultura generale.
Nel campo, in occasione della fine del Ramadan, abbiamo organizzato una grande festa per famiglie sfollate, una fiera per bambini e la distribuzione di vestiti nuovi per tutti.

Heartmade, per il riciclo di tessuti e abiti, avrà un nuovo look e un nuovo negozio che abbiamo affittato. È situato in una via più commerciale. Le decorazioni saranno finite presto e speriamo di aprire intorno al 15 agosto.
Il team Seeds prepara un nuovo piano d'azione per il prossimo anno. Amplieremo lo spazio della nostra tenda per accogliere altri bambini e giovani, con un supporto psicologico sempre più avanzato.

Diversi amici sono venuti per trascorrere dei bei momenti con noi. Hanno preso parte a molte attività educative: Sumaya Hallak per la musica, Diane Antakli dei Baroudeurs de l’Espoir  e Veronica Hurtubia per una seconda sessione di Resilience Training.
Gli incontri di formazione e sviluppo dedicati alle donne hanno molto successo. Le donne del progetto "Taglio e cucito" hanno terminato la settima sessione di apprendimento e sono molto soddisfatte.
"Goccia di Latte" continua a servire 3.000 bambini che ricevono regolarmente la loro razione di latte mensile.

Quest'estate, e per la prima volta, stiamo organizzando un soggiorno di una settimana in Libano per l'intero team di volontari Maristi Blu. 
I Fratelli Maristi hanno una casa estiva a Faraya (Libano) e saremo presenti dal 5 al 12 agosto per un momento di convivialità e riposo ... Un tempo di spiritualità, scoperta del Libano e, per alcuni, un tempo per ritrovare parenti che non vedono da anni.

Infine, condivido con voi questo testo di Jean d'Ormesson, dal suo libro "Un osanna infinito".
"I cristiani non hanno il diritto di lamentarsi e non si lamentano. Non solo non gli può essere proibito di credere in un Dio creatore del cielo e della terra, ma sono abbastanza fortunati da avere come modello, sotto i loro occhi, un personaggio la cui esistenza e posto nella nostra storia non si può contestare: Gesù. Almeno è permesso ammirarlo e amarlo senza porsi troppe domande sulla sua realtà. Se c’è qualcuno che ha lasciato una traccia sorprendente nelle menti degli uomini, è certo Gesù Cristo. "
  Buone vacanze. Ristoriamoci con la Creazione .

Fr. Georges SABE, per i Maristi Blu

mercoledì 31 luglio 2019

Il racconto di un volontario: la Siria del cuore e non delle parole

"La storia del popolo siriano ha dell’incredibile. Un popolo che viveva in pace e che ha dovuto subire oltraggi e umiliazioni. Una guerra che dura tutt’ora e che lascia vittime non solo sul campo. Perché vivere la Siria non vuol dire solo combattere il nemico. I siriani vivono anche i resti, le conseguenze di rancore e pesantezza di vivere in un quartiere che un tempo chiamavi “casa”."

SOS Cristiani d’Oriente

 Un quartiere che adesso non esiste più, che non ha più le persone care perché sono morte o sono fuggite e manca degli edifici perché ora sono soltanto macerie. Da europeo ci si aspettano capre, beduini del deserto e case malfatte, ma quando non sono i media a parlare ma i tuoi occhi, la storia prende un altro senso. Sebbene partito informato non mi sarei mai aspettato quello che ho visto: autostrade efficienti, vicoli ricchi di gente la sera, case ben arredate. Paesaggi magnifici che raccontano di fortezze inespugnabili, amicizie di lunga data e amori interminabili.

  Le città di Damasco con la bellissima moschea degli Omayadi, Maalula con la sua gente speciale che parla aramaico e le moush moush e infine Aleppo con la sua imponente cittadella. La prima cosa che si vede nelle città infatti è la distruzione nelle periferie, ma il cuore della città rappresenta le più belle meraviglie che nonostante la guerra sono ancora lì. Il cuore della Siria batte ancora. 

Ma quando si viaggia, al ritorno non si portano indietro le foto dei monumenti ma i ricordi delle persone. Sabine, Nour, Farah, Heghine, Abd Al, Rita, Joseph, Maria, Patrissia, Hana, Athar per citarne alcuni: sono stati loro a plasmare quello che ho vissuto qui. Il sorriso amaro della guerra ma la speranza nei loro occhi. Mi hanno fatto riscoprire la gentilezza e l’ospitalità che si dà ad uno sconosciuto. Un aprirsi all’altro, un condividere quello che si ha senza chiedere nulla in cambio. Ho ricevuto regali, cene, inviti ad atelier e perfino sigari cubani (e non fumo) ma non ho mai sentito pressioni di dover dare indietro qualcosa riscoprendo il puro piacere di stare insieme.

L’umanità vuol dire questo: stare insieme non perché ci si aspetta qualcosa ma per il semplice fatto che siamo esseri umani. Significa essere vulnerabili ed aprirsi all’altro senza aver paura di mostrare chi si è. Nel mio viaggio ho incontrato molti “perfetti” che mostrano una felicità apparente ma che contengono un pozzo di sofferenza. Ma l’uomo è imperfetto ed è in questo che risiede la sua bellezza, la bellezza di raccogliere ogni volta qualcosa di nuovo e scoprirsi sempre di più nell’incontro con l’altro in un circolo infinito. 
E la Siria mi ha donato quel qualcosa in più. Mi ha donato la storia di Abir, donna di un martire che prega disperatamente per il ritorno del suo marito prigioniero di Daesh, dei monaci di Qara che si sono ritrovati tra il fuoco dell’esercito siriano e dei terroristi, di Mike che nonostante le lunghe sparatorie sotto casa sua non perdeva la voglia di mettersi sui libri e sapere che un futuro migliore un giorno sarebbe arrivato, di tutti quei giovani siriani che per dieci anni non hanno potuto conoscere la propria città costretti a rimanere nel proprio quartiere. Questo fa riflettere. Fa riflettere non solo sulla brutalità della guerra ma sulla nostra stessa vita.

 C’erano giorni in cui pensavi che non ci saresti stato più” mi hanno ripetuto spesso i siriani. E’ un monito alla vita. A reagire alle sofferenze e “rischiare” di trovare la propria strada perché chi ha passato la guerra sa che ogni istante che ha adesso, è un regalo.

E’ un monito a rischiare la vita che si ha sempre sognato perché molti uomini muoiono ogni giorno. Muoiono spiritualmente perché non mettono la propria passione, la propria volontà, la propria gioia in quello che veramente vogliono fare e così si lasciano morire ogni giorno e arriva il momento che si chiedono “ se in 60 anni della mia vita non è cambiato nulla perché ho vissuto?”. 
Vivete, vivete le vostre passioni, amate il prossimo e fidatevi degli altri.
          Iacopo