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lunedì 1 maggio 2017

Suor Yola e la speranza invincibile

Sono circa sei milioni i bambini che in Siria hanno subito il trauma della guerra, una iniziativa dei cristiani di Damasco per aiutarli a riprendere fiducia. L'intervista a suor YOLA GIRGIS

"Per favore, riporti tutto come le ho detto, non come fanno sempre i giornali quando parlano della Siria, ribaltando tutto e inventandosi le cose" dice suor Yola Girgis, superiora della Comunità di Damasco delle Suore Francescane Missionarie del Cuore Immacolato di Maria, a Roma per la presentazione del progetto di collaborazione con la Fondazione Giovanni Paolo II e l'Ospedale Bambin Gesù rivolto ai piccoli siriani colpiti da disturbi post-traumatici da stress. Ha ragione da vendere suor Yola, che accusa i media occidentali di perseguire gli obiettivi delle loro leadership politiche: indicare in Assad il diavolo da abbattere e sostenere gli jihadisti. "Le bombe americane? Senta: Damasco esiste da 7mila anni, ha una storia e una civiltà che hanno resistito a tutte le guerre, pensa ci faccia paura un paese che non ha neanche 500 anni di storia?" dice ancora, mostrando il coraggio da vendere che ha permesso a questo popolo di resistere a sei anni di carneficina. Il progetto, che accoglie bambini cristiani e musulmani ("Perché noi abbiamo vissuto sempre di amore dei concordia e lo facciamo ancora adesso nonostante le bombe") si rivolge a quei 6 milioni di bambini siriani che vivono sotto i bombardamenti. Di questi, circa 3 milioni sono cresciuti vedendo solo la guerra (fonte UNHCR). Una generazione di bambini colpiti dalla guerra e dalle sue conseguenze come gravissimi disturbi post-traumatici da stress.
Suor Yola, ci spiega di cosa si tratta questo progetto che siete venuti a presentare all'Ospedale Bambin Gesù di Roma?
E' un progetto già iniziato che grazie alla Fondazione San Giovanni Paolo II ha adesso le risorse per continuare. Noi accogliamo bambini dai 6 agli 8 anni dando loro un sostegno psico-sociale attraverso metodi come il disegno, la recitazione, la condivisione. Abbiamo preparato dei giovani istruttori che aiutano i bambini a esprimere i loro sentimenti riguardo al trauma subìto per via della guerra. Purtroppo la guerra e la violenza lasciano nei bambini segni devastanti. Con il nostro lavoro li aiutiamo a esprimere le loro paure, le loro gioie, li aiutiamo a riavere fiducia in se stessi.
Molti di loro saranno anche orfani.
Alcuni sono orfani, altri hanno il padre che è al fronte a combattere. Vedendo tanti soldati morti la notizia che aspettano ogni giorno, invece di sapere se il padre sta tornando a casa, è se il loro papà è morto. E' questo che si aspettano, la morte del loro papà.
Sono bambini sia cristiani che musulmani?
Certamente, non facciamo alcuna differenza. Anzi, visti i risultati straordinari sui bambini musulmani l'anno prossimo aumenteremo ancora la loro quota, facendo 50 più 50 per cento. Per loro cose come l'oratorio, il campeggio, la condivisione guidata non esistono, i musulmani non hanno queste cose, stanno in strada da soli. Abbiamo visto come il nostro modello educativo li abbia colpiti e affascinati.
Ed è la possibilità di ricostruire un dialogo?
Questa realtà condivisa in Siria è sempre esistita. Io sono nata qui, i musulmani per noi cristiani sono siriani e niente altro. Abbiamo giocato insieme, abbiamo fatto le stesse scuole. Adesso cerchiamo di ricucire questa ferita che la guerra ha cercato di produrre per dividerci, ma senza riuscirci.
Come è la situazione adesso a Damasco? 
La gente continua a fare le sue cose, a vivere la sua vita, ma c'è sempre l'attesa che accada qualcosa di brutto. Tranquilli non lo siamo mai. Spesso di notte mi affaccio alla finestra del convento e prego perché ho paura che un terrorista entri nel convento, loro vogliono prendere Damasco. Però la vita va avanti, le scuole sono sempre rimaste aperte e le attività delle chiese vanno avanti anche sotto i missili. 
Quando l'America vi ha bombardati vi siete sentiti traditi?
Tutto il mondo ci ha abbandonati. Anche l'embargo di medicine è una cosa orribile, la gente muore di cancro perché non ci sono medicine. Ringraziamo l'Italia che con iniziative come questa ci sta vicino, ci dà speranza, ci dice che Dio è vicino.
E il papa?
Il papa è la voce di Dio. A volte io dico: Dio perché stai in silenzio, perché non fermi questa guerra? Ma ogni volta che sento il papa sento la voce di Dio, che dice: non preoccupatevi io sono sempre con voi. Possono distruggere le nostre case ma la nostra cultura non la distruggerà neanche Trump.
(Paolo Vites) 

venerdì 28 aprile 2017

Papa di pace in Egitto di pace

C'è grande attesa, e tanta preghiera, per la visita del Papa in Egitto.

Sono molte le aspettative legate a questa visita: nel segno dell'abbraccio ecumenico, i Cristiani Copti, come la sparuta minoranza Cattolica, sperano fortemente che attraverso le parole di Francesco passi un messaggio capace di cambiare il clima di violenza di cui sono l'obbiettivo e smuovere il cuore di tanti musulmani che hanno abbracciato una visione fondamentalista intrisa di odio, pretendendo di attingerla dalla religione di Maometto.

Muovere il cuore, i sentimenti genuinamente umani che ognuno ha in sé come semi piantati originariamente, che le erbacce dell'ideologia fondamentalista ha soffocato. La speranza è quella che anzitutto l'abbraccio empatico e poi le parole del Papa possano almeno in parte rimuovere la zizzania e consentire di guardare ai Cristiani e al loro messaggio con occhi diversi e più benevoli. 
In ogni caso i Cristiani Egiziani vivono già un senso di gratitudine per questo viaggio. Attraverso di esso percepiscono la vicinanza e l'amore del Pastore e la consolazione di un Padre che condivide la sofferenza dei figli feriti e se ne lascia a sua volta confortare.

C'è anche l'attesa di Al Sisi che vede in questa visita la possibilità di un attutimento delle tensioni che pervadono l'Egitto.
Un'attesa condivisa anche da quei Musulmani che anelano a vivere la propria religione con spirito di tolleranza e di collaborazione con i Cristiani e con qualsiasi altra religione.
Ma molte sono le forze e anche gli interessi geopolitici che osteggiano una vera pacificazione.

Rimandiamo alla lettura di tre articoli apparsi in questi giorni, contenenti tra le altre considerazioni alcune argomentate correzioni alla generalizzazione di 'islam-religione-di-pace':

- Padre Samir Khalil Samir attraverso un'intervista rilasciata al sito www.rossoporpora.org offre molti spunti di riflessione sulla visita papale e sulla situazione dei Cristiani Copti, il ruolo di Al-Azhar e il mondo Islamico Egiziano.

- Un'intervista dell'Osservatore Romano al gesuita Henri Boulad sui problemi interni all'islam dîn wa dawla e la sfida che l'islam pone anche alla moralità nostra.

- Il contributo ad AsiaNews di un giovane amico musulmano in merito al rapporto tra islam e Daesh e la necessità urgente di riforma interna all'islam.

  Gb. P.

mercoledì 26 aprile 2017

Gli sceneggiatori sono stanchi


7 giugno 2011: «Arrestata in Siria la blogger di “A gay girl in Damascus”». «Era la voce della libertà in un Paese in cui ogni diritto è calpestato. Era una donna, era lesbica. Amina Abdallah Arraf cercava di gridare al mondo il disagio e i soprusi che le persone ogni giorno vivono in Siria. Lunedì un'auto dei servizi segreti l'ha prelevata e di lei si è persa ogni traccia». Pochi giorni dopo si scopre che Amina, che da mesi teneva banco col suo blog, era Tom McMaster, un americano che scriveva da Edimburgo.
Quando si parla di “fake news” teniamo in mente questa vicenda: un isolato come Tom McMaster ha imbrogliato l’intero sistema mediatico. E quindi chi davvero gestisce l’informazione non ha difficoltà a creare notizie false.
I vaccini contro le fake news sono tre: un ampio archivio di notizie certe, una memoria viva e allenata, un uso continuo della logica. E poi ci sono alcune linee guida:
  1. Un video o una foto non sono mai una notizia; chi li usa vuole spesso trasmetterci una notizia falsa.
  2. Dipendere solo da rilanci d’agenzia equivale a non avere informazioni o ad avere informazioni false.
  3. Quando un’informazione scatena una reazione immediata, le probabilità che sia falsa sono alte. Perché? Perché una persona con un minimo di cervello verifica prima di agire. E per verificare occorrono giorni o mesi. Se reagisce subito, significa che vuole cavalcare l’onda emotiva, per cui è probabile che la notizia sia stata costruita ad arte.
  4. Sono preziose le informazioni fornite in tempi non sospetti e riguardanti altri scenari. Ad esempio all’attacco chimico di Halabja del 1988 Wikipedia attribuisce l’uccisione di 5000 curdi.
Seguendo queste linee è possibile costruire una “macro notizia” attendibile sulla Siria.

C’era una volta la Siria, paese che godeva di una relativa pace, di un relativo benessere, di una ragionevole convivenza tra minoranze. Mangiare, curarsi, muoversi, lavorare, studiare, viaggiare, era la norma. Il paese era senza debiti e senza emigrazione. Il tutto grazie anche a Bashar al-Assad, che aveva imposto il pugno di ferro sull’islamismo radicale.
Oggi la Siria è un paese distrutto e affamato, con 400.000 morti e milioni di sfollati.
In mezzo cosa c’è stato? Una guerra di ribellione dell’islamismo radicale contro l’ordine e il benessere. Nel remoto inizio ci furono manifestazioni di piazza per avere “più democrazia” (come se uno Stato a maggioranza islamica potesse davvero avere democrazia), ma la regìa occidentale (quel mix dove USA Francia e Gran Bretagna lavorano insieme a paesi dittatoriali della Penisola Arabica) aveva già predisposto l’apparizione dei “ribelli moderati” in armi. Moderati per i media, islamisti radicali nella realtà.

In Siria gli stanchi sceneggiatori ci ripropongono lo stesso copione libico: il dittatore contro il suo popolo, i bombardamenti di ospedali, gli orrori generici attribuiti ad Assad. E quando la popolazione festeggia la liberazione di Aleppo, non sanno più cosa dire. Ci propinano allora la bambina senza famiglia che corre tra le macerie, hashtag #Save_Aleppo: poco importa che l’immagine sia tratta da un videoclip del 2014 di una cantante libanese.

Arriva poi l’attacco“chimico” da 70 morti, ridicolo sia rispetto ai morti totali della guerra di Siria sia rispetto alla realtà di un vero attacco chimico. Ma la responsabilità di Assad è “certa” e Trump tira i missili.
Solerte si accoda il nostro ministro Alfano, dicendo che la reazione è “proporzionata”. Naturalmente anche Alfano dipende solo da rilanci d’agenzia, avendo rinunciato a usare la logica. L’unica cosa assodata è che “Assad se ne deve andare”. Perché mai? Forse la Siria creata da Assad era peggiore della Siria creata da questo orrendo conglomerato di occidentalismo e islamismo?
Nel 2011 un ministro libico commentava: «Una commissione ONU che fosse venuta a verificare cosa stava davvero accadendo il Libia vi sarebbe costata meno del lancio di un solo missile». In Siria non sarebbe stato diverso. Ma perché muoversi e indagare? E’ tanto comodo dipendere da rilanci d’agenzia e ripetere le cose che gli stanchi sceneggiatori hollywoodiani ci dicono di credere.

«Un paese che non si indebita fa rabbia agli usurai». La finanza internazionale vuole sempre degli “Stati mendicanti”, bisognosi dei loro soldi. Uno Stato che riesce a farcela da solo prima o poi finisce male. Non so se è una regola generale, di certo vale per la Libia e la Siria.
    Giovanni Maria Lazzaretti  
    Taglio Laser, Vita Nuova, 21 aprile 2017

domenica 23 aprile 2017

Maaloula piange i suoi cinque nuovi martiri

Papa Francesco si è recato sabato nella basilica di san Bartolomeo all’Isola Tiberina, divenuta, dopo il Giubileo del 2000, 'Memoriale dei testimoni della fede del XX e del XXI secolo'.  Durante  la liturgia ha dichiarato:
 “Se guardiamo bene, la causa di ogni persecuzione è l’odio del principe di questo mondo verso quanti sono stati salvati e redenti da Gesù con la sua morte e con la sua risurrezione. Nel Vangelo Gesù usa una parola forte e spaventosa: la parola ‘odio’. Lui, che è il maestro dell’amore, al quale piaceva tanto parlare di amore, parla di odio. Ma Lui voleva sempre chiamare le cose con il loro nome. E ci dice: ‘Non spaventatevi! Il mondo vi odierà; ma sappiate che prima di voi ha odiato me’. Gesù ci ha scelti e ci ha riscattati, per un dono gratuito del suo amore. Con la sua morte e risurrezione ci ha riscattati dal potere del mondo, dal potere del diavolo, dal potere del principe di questo mondo. E l’origine dell’odio è questa: poiché noi siamo salvati da Gesù, e il principe del mondo questo non lo vuole, egli ci odia e suscita la persecuzione, che dai tempi di Gesù e della Chiesa nascente continua fino ai nostri giorni. Quante comunità cristiane oggi sono oggetto di persecuzione! Perché? A causa dell’odio dello spirito del mondo”.
Da venerdì 21 aprile, l'annuncio è ufficiale: i cinque Cristiani rapiti dal villaggio di Maloula sono stati ritrovati uccisi [I loro resti rinvenuti in una grotta a Arsal, cittadina libanese al confine siriano]. Erano ostaggi di Al-Nusra dal settembre 2013.
Il giorno in cui la notte si abbattè su Maaloula è il 7 settembre 2013: il villaggio è circondato, i colpi risuonano e gli obici colpiscono ovunque. I combattimenti sono di una violenza inaudita! Il gruppo terroristico al-Nusra (branca siriana di Al Qaeda) penetra in Maaloula. Sono Siriani, Tunisini, Marocchini, Giordani ma anche qualche abitante di Maalula e si infiltrano come una scia di polvere tra le abitazioni.
Mikhail, Antoun e Sarkis, tre abitanti cristiani, vengono giustiziati sommariamente con una pallottola in testa, traditi dai loro vicini abituali. Questo è il prezzo da pagare per chi vuole restare fedele alla propria patria e a Cristo. Nella stessa giornata Ghassan, Jihad, 'Taef, Shadi, Daoud e Moussa vengono prelevati.
Con la liberazione di Maaloula da parte dell'esercito arabo siriano, il Fronte al-Nusra si ritira sulle montagne libanesi con gli ostaggi. Agli abitanti viene poi ingiunto di permettere che i musulmani tornino nel villaggio. Senza condizione, accettano. Ma le richieste di Al Nusra non finiscono qui: 100 milioni di sterline siriane, l'equivalente di 200.000 dollari, sono da versare come riscatto. Ancora una volta, accettano e pagano. Poi, per due anni, dei rapiti non si ha più alcuna notizia.
Tutti i volontari di  SOS Chrétiens d’Orient  , in Siria conoscono questa storia. I ritratti dei tre martiri da tempo campeggiano sulla piazza del paese. Ma gli altri, i sei ostaggi, che fine hanno fatto? Una questione rimasta in sospeso da oltre 3 anni e mezzo, per le famiglie ferite, in attesa di un possibile ritorno, che non arriverà mai!
Infine, su sei, cinque corpi sono stati trovati... sgozzati. La loro morte risalirebbe a più di un anno fa. Questi eroi cristiani avevano un nome e un volto, una storia, un futuro. Per tutti, erano dei padri, dei fratelli, degli amici e sono andati via per sempre.
Ghassan 48 anni, lavorava nella fabbrica di Debess che stiamo aiutando a ricostruire, aveva tre figli. Suo fratello Moussa 43 anni il cui corpo non è stato ritrovato, possedeva un negozio di spezie. Jihad, 48 anni, era un muratore, suo nipote Shadi (il cui padre è uno dei tre martiri) era uno studente all'università di Damasco. Taef, 43 anni, era pasticciere. Daoud, 31 anni, era l'autista del taxi.
Vi invitiamo a unire le vostre preghiere alle nostre, soprattutto martedì in occasione del ritorno dei corpi nel villaggio per i funerali.
 SOS Chrétiens d’Orient en Syrie

giovedì 20 aprile 2017

Stragi di bambini in Siria: 2 Fouaa e Kafarya, il massacro che Trump non piange


Gli Occhi della Guerra, 19 aprile 2017

In tanti, nella giornata di sabato, hanno raccontato l’orrore di Rashideenn, ossia la località dove sorge l’area di servizio lungo l’autostrada M5 dove è avvenuto l’attentato contro civili sciiti che ha ucciso più di cento persone, molti dei quali bambini; in pochi però, hanno fatto riferimento tanto ai responsabili dell’accaduto, quanto al contesto attorno al quale è avvenuto uno degli episodi più cruenti della guerra siriana, macabro nei numeri ed ancor di più nei dettagli. Quello di sabato in Siria, non era un ‘semplice’, se così si può definire, trasferimento di profughi, bensì si trattava dell’evacuazione di due comunità di altrettanti villaggi a maggioranza sciita (Kafraya e Foua) da anni minacciati dagli islamisti definiti ancora ‘ribelli’ da buona parte dell’occidente; oltre a mettere al sicuro questi civili da future e probabili rappresaglie jihadiste, l’operazione aveva come obiettivo quello di mostrare la buona volontà delle parti in causa di poter giungere a piccoli accordi locali in grado di salvaguardare i cittadini maggiormente esposti al conflitto e, in tal senso, il boicottaggio delle forze islamiste è stato espresso in tutta la sua brutalità.

Non era la prima volta che in Siria, dallo scoppio della guerra, si procedeva ad un’evacuazione e ad un trasferimento della popolazione da un punto all’altro del paese dopo accordi tra le parti; questa strategia è stata inaugurata già nel 2014 quando, una volta accerchiati e senza possibilità di vittoria, gli islamisti presenti ad Homs hanno accettato l’evacuazione del centro storico ed il loro trasferimento in zone presidiate dai gruppi dell’opposizione. Tra il 2016 e questa parte di inizio anno, diverse volte questi accordi hanno permesso la fine delle ostilità in diverse località senza ulteriore spargimento di sangue: a Darayya, sobborgo nel sud di Damasco, il trasferimento ad Idlib di militanti islamisti e famiglie al seguito, ha messo la fine su una delle battaglie che più ha tenuto con il fiato sospeso la capitale della Siria, stesso scenario in altri quartieri damasceni ed in altre località attorno la città.
Anche ad Aleppo si è provata la stessa strada: i famosi ‘bus verdi’, che prima della guerra erano i normali mezzi del trasporto pubblico della metropoli siriana, per giorni sono rimasti stazionati ai limiti del fronte che divideva le zone governative da quelle occupate dagli islamisti, per cercare di far andare a buon fine le trattative tra Russia, Turchia e sauditi ed evitare ulteriori scontri nel centro urbano. Soltanto nelle battute finali della battaglia per riprendere la seconda città siriana tali accordi hanno fruttato l’evacuazione delle ultime zone rimaste in mano jihadista, nonostante altri tentativi di sabotaggio costati la vita ad alcuni autisti di bus attaccati dai terroristi; le trattative, oltre al trasferimento dei cosiddetti ‘ribelli’, hanno spesso previsto l’alternativa della riconciliazione con il governo di Damasco dove, in cambio della deposizione delle armi, si viene reinseriti all’interno del contesto sociale e, se non si è accusati di gravi crimini, si evitano i processi per tradimento.

l trasferimento in atto sabato, è stato frutto di uno di questi accordi locali mediati da alcuni attori internazionali in campo; in particolare, le trattative in questo caso sono state condotte da Iran e Qatar ed il perché è presto detto: oggetto principale dei colloqui era l’evacuazione di due cittadine sciite e la Repubblica Islamica si è fatta promotrice della messa in sicurezza dei civili di fede sciita. L’accordo è inserito in un contesto molto più ampio, che abbraccia situazioni simili nel resto del paese: in cambio del trasferimento dei civili da Kafraya ed al – Foua, l’esercito siriano ha permesso l’evacuazione dei terroristi dalle sacche jihadiste di Madaya e Zabadani, due località della ‘Rif’ di Damasco; in tal modo, risultano evidenti anche vantaggi militari sia per il governo che per gli islamisti: le forze di Assad possono riprendere il controllo di due centri vicino la capitale, le forze che controllano di Idlib invece si garantiscono l’eliminazione di una sacca governativa vicino il capoluogo di provincia.
Pur tuttavia, all’interno di questo accordo, vi è presente una novità importante:  è infatti la prima volta che ad essere evacuati sono soltanto civili e non militari o ribelli ed inoltre, è stata anche la prima volta del trasferimento da località in mano governative.  Kafraya ed al – Foua, sono infatti due cittadine a maggioranza sciita che però si sono ritrovate nel bel mezzo di una provincia in cui islamisti e jihadisti hanno iniziato ad imperversare dall’inizio della guerra; l’esercito siriano ed alcuni reparti degli Hezbollah hanno garantito, in questi anni, la sicurezza delle cittadine la cui difesa però, forse anche in previsione dell’offensiva governativa su Idlib, è diventata ad un certo punto molto difficile ed onerosa. L’evacuazione dei civili quindi, secondo l’accordo, ha avuto anche lo scopo di liberare diversi reparti dell’esercito e del movimento popolare libanese e poter in questo modo meglio distribuire mezzi e uomini su altri fronti.
Mentre i trasferimenti da Zabadani e Madaya sono andati a buon fine, con i bus arrivati  ad Idlib, quello dei civili sciiti invece ha subito il grave attacco di sabato; un convoglio di mezzi che trasportava i cittadini di Kafraya ed al – Foua, mentre era giunto a Rashideenn, a pochi chilometri dall’ingresso ad Aleppo e dunque nelle zone governative, è stato raggiunto da un’autobomba.

Secondo alcuni testimoni, pare che l’ordigno sia stato azionato mentre nell’area di servizio un uomo aveva fatto avvicinare dei bambini al mezzo poi esploso offrendo loro alcuni pacchetti di patatine; un gesto macabro e che lascia senza fiato e parole, compiuto con il solo scopo di uccidere i civili e creare terrore tra i sopravvissuti. Un gesto però che, dopo alcuni servizi televisivi in cui non sono mancate omissioni di dettagli e dove, allo stesso tempo, non è stato spiegato il contesto dell’evacuazione di questi profughi, è ben presto passato in sordina e nel dimenticatoio.
Dopo l’arrivo dei soccorsi, alcuni dei quali inviati dalla Croce Rossa presente nel vicino quartiere governativo di Hamadaniyah, i bus non colpiti dall’esplosione hanno ripreso il proprio cammino e sono arrivati ad Aleppo, concludendo poi l’evacuazione di Kafraya ed al – Foua; pur tuttavia, non può non rimanere vivo il ricordo dei tanti civili uccisi, che si aggiungono ad una lista oramai troppo lunga dopo sei anni di conflitto.

Rimane anche, tra le altre cose, la constatazione del fatto che continuare a considerare ‘moderati’ i ribelli di Idlib è operazione intellettualmente disonesta e che non favorisce i tentativi di far concludere la guerra nel più breve tempo possibile; se è vero che alcuni gruppi islamisti hanno preso le distanze dall’attentato, è anche vero che se si è avuta l’esigenza di evacuare i civili dalle due cittadine sciite vi era evidentemente il concreto pericolo di rappresaglie jihadiste che, di certo, non sono sintomo di ‘moderazione’ e di volontà di dialogo. Prima l’intero occidente prende definitivamente le distanze dai ‘ribelli’, prima si potrà far chiarezza su tutti i fronti che riguardano il conflitto siriano.


A completamento dell'articolo, un'ulteriore terribile notizia: per rendere le cose ancora peggiori, durante l'attentato oltre 200 civili da Foua e Kafraya sono stati rapiti nella zona Rashideen. La maggior parte dei rapiti sono ragazze giovani.
Secondo una fonte di Al-Masdar news, si ritiene che gli abitanti sciiti di Fouaa e Kafraya siano stati rapiti da Hay'at Tahrir Al-Sham (HTS), una fazione ribelle affiliata ad Al Qaeda, che è accusato di aver ucciso 126 civili nell'attacco con un'autobomba ieri “

martedì 18 aprile 2017

Stragi di bambini in Siria: 1 Attacco chimico false flag o attacco chimico made in Hollywood?


I Fatti (o presunti tali)
Nella mattinata di martedì 4 aprile secondo quanto si può giudicare dalle ombre nei filmati, o intorno a mezzogiorno secondo il rapporto del portavoce delle forze aerospaziali russe presenti in Siria, due aviogetti Sukhoi della aviazione militare siriana avrebbero attaccato con armi chimiche il villaggio di Khan Sheikhoun provocando, a seconda delle fonti, tutte rigidamente riconducibili alle formazioni jihadiste, o 59 morti di cui 11 bambini  o 79 morti di cui 28 bambini o 45 morti di cui 11 bambini. Le fonti affermavano che l’aggressivo chimico utilizzato era gas nervino Sarin. A seguito di questo attacco e nonostante la smentita e del governo siriano e delle forze russe operanti in Siria, senza che alcuna inchiesta indipendente potesse accertare i fatti, gli alleati occidentali della NATO, l’amministrazione USA e le monarchie del golfo con a capo l’Arabia Saudita condannavano l’uso di armi di distruzione di massa attribuendone senza riserve la responsabilità al governo siriano. Solo il veto russo impediva la condanna dello stesso da parte del Consiglio di Sicurezza dell’ONU. Il presidente americano Trump affermava poi che una linea rossa era stata superata e che provvedimenti adeguati sarebbero stati presi anche al di fuori delle direttive dell’ONU. Nella notte tra il 6 e il 7 aprile due cacciatorpedinieri  della sesta flotta USA, in navigazione al largo di Creta, lanciavano una salva di 59 missili Tomahawk come ritorsione contro la base aerea dalla quale erano partiti gli aerei per il raid su Khan Sheikhoun.

Alcune considerazioni tecniche.
L’accusa alle forze armate siriane di aver usato armi chimiche nel raid del 4 aprile dovrebbe confutarsi da sola poichè le forze armate siriane non dispongono più di armi chimiche. Queste sono state consegnate alle Nazioni Unite e distrutte per idrolisi nel mediterraneo nel 2013, a seguito dell’incidente di Ghouta (sobborgo di Damasco) in cui i governativi siriani vennero accusati di aver impiegato aggressivi chimici contro la popolazione. Accusa poi dimostrata infondata da numerose inchieste indipendenti tra cui quella del MIT di Boston, di Carla del Ponte, già magistrato del tribunale internazionale dell’Aia, e del giornalista premio pulitzer Seymour  Hersch. Per evitare la rappresaglia minacciata dal Presidente Obama, con la mediazione della Russia il governo di Damasco acconsentì a consegnare tutto il suo arsenale chimico e di sottostare alle ispezioni dell’agenzia internazionale per la eliminazione dello stesso. Inoltre l’accusa parla specificatamente di gas nervino che l’apparato industriale siriano, dopo le distruzioni causate da 6 anni di guerra non è più in grado di produrre mancando anche dei precursori che non può acquistare sul mercato internazionale per via dell’embargo .
L’uso di gas nervino verrebbe smentito anche dai filmati prodotti a prova dell’aggressione. Il Sarin è un agente neurotossico che inibisce la trasmissione neuroelettrica degli impulsi che nel sistema nervoso provocando il blocco della muscolatura volontaria e involontaria. La morte avviene, a seconda della concentrazione del gas, in pochi secondi o al massimo in pochi minuti salvo che si pratichi immediatamente una iniezione di atropina che neutralizza l’azione della neurotossina. L’assorbimento avviene per  inalazione o per penetrazione cutanea per cui la maschera antigas è assolutamente inutile se non associata ad una tuta completa impermeabile e stagna. Nei filmati si vedono i soccorritori [i rinomati White Helmets] trattare le vittime a mani nude ovvero con guanti di lattice che sono porosi e permeabili alla molecola del gas o ancora con mascherine di carta assolutamente ridicole in aree contaminate dal Sarin.
Si vedono anche soccorritori lavare le persone con getti d’acqua, altra cosa inutile perchè occorre unire all’acqua dei detergenti che provochino la scomposizione della molecola del gas nervino. In poche parole se ci fosse stato un attacco col Sarin o con qualsivoglia altro neurotossico derivato dall’acido ortofosforico  (Tabun o Soman) tutte le persone che si vedono nei filmati sarebbero dovute morire in pochi minuti. Un'altra considerazione che smentisce l’uso del Sarin viene dalle condizioni meteorologiche del giorno, invero perfette per un attacco chimico, che però se ci fosse stato avrebbe provocato non un centinaio ma decine di migliaia di morti. L’ipotesi che si sia trattato di un attacco con vescicanti come l’iprite, che agisce sulle mucose dei polmoni distruggendole e provocando la morte per asfissia viene smentita dall’assenza sui corpi delle vittime (come appaiono nei filmati che sono stati prodotti esclusivamente dai jihadisti)  di ulcerazioni  che invece avrebbero dovuto essere presenti stante l’abbigliamento leggero. Resta il cloro che però non viene citato dai soccorritori forse per sviare i sospetti visto che proprio il cloro è stato usato più volte, sia ad Aleppo che contro i Curdi e in Iraq dalle milizie salafite di Al Nusra e dell’Isis. Sempre dal punto di vista tecnico poi bisogna rilevare che i cacciabombardieri Sukhoi impiegati nel raid non hanno gli attacchi per i dispenser per la diffusione del cloro o per la diffusione di qualsivoglia altro aerosol. Le immagini poi dell’edificio teoricamente epicentro dell’attacco lo mostrano completamente distrutto, segno evidente di un bombardamento con bombe ad alto potenziale esplosivo. Se veramente fosse stato attaccato con ordigni caricati con aggressivi chimici avrebbe avuto al massimo qualche buco nei muri o sul tetto, non parliamo poi se il gas fosse stato disperso come aerosol , l’edificio sarebbe stato perfettamente intatto. Tutto questo fa pensare che se una contaminazione da aggressivi chimici c’è stata questi fossero stoccati nell’edificio distrutto da un bombardamento convenzionale.
Da ultimo, prima di passare ad altro genere di considerazioni, se alla base di Al Shayrat ci fosse stato stoccaggio di armi chimiche il bombardamento americano ne avrebbe provocato la dispersione e comunque il pericolo che potessero disperdersi avrebbe impedito la ripresa dell’operatività della base il giorno dopo l’attacco.

Passiamo ora a considerazioni di carattere etico, stante che la verità è la prima vittima della guerra e la menzogna una delle sue armi più micidiali.
Sorvolando sul fatto che un attacco aereo americano, effettuato il 12 aprile sull’area di Deir Ezzor, ha colpito un deposito di armi chimiche delle forze dell’ISIS che assediano la città provocando una nube tossica che ucciso centinaia di civili senza che alcuna protesta si levasse da parte delle anime candide dell’occidente, e senza che i media mainstream ne facessero cenno, i filmati, e le foto, che possiamo vedere in abbondanza su internet pongono una serie di pesanti interrogativi. Per prima cosa nessuno di loro è stato diffuso da una fonte indipendente. I diffusori sono stati i famigerati Caschi Bianchi associazione “umanitaria” affiliata ad Al Nusra, l’osservatorio di Londra composto da un solo individuo che vive in Inghilterra da anni ed è finanziato da una moltitudine di sigle tutte riconducibili ai nemici giurati del presidente Assad e la televisione ufficiale del partito curdo iracheno di Al Barzani notoriamente sostenuto e finanziato da Israele. Il medico che, nonostante la dichiarata grave emergenza, invece di stare al capezzale dei pazienti, ha trovato il tempo di esibirsi davanti alle telecamere denunciando il fatto che i feriti ricoverati avevano evidentemente subito un attacco con gas nervino, risultava poi essere il Dott. Sjahul Islam, cittadino del Regno Unito, ricercato dall’MI6 britannico come terrorista per aver partecipato al rapimento da parte dell’ISIS di due giornalisti John Cantlie e Jeoren Orlemans di cui uno ancora prigioniero dei Jihadisti.  La moltitudine di immagini profuse poi sul web ha permesso di constatare che stranamente in nessuna comparivano, nè morti nè vivi, i genitori delle piccole vittime il che pone il dubbio che i bambini non fossero di Khan Sheikhoun ma quelli rapiti durante l’offensiva della fine di marzo nei villaggi cristiani occupati dai miliziani. E in effetti la stessa cose era successa a Ghouta nel 2013 quando le uniche piccole vittime identificate provenivano dai villaggi Alawiti vicino a Latakia dove erano stati rapiti dai Jihadisti. Compare poi nelle immagini un “salvato” riconoscibilissimo per struttura corporea e particolarità del volto, che già compariva nelle vesti di Casco Bianco ad Aleppo prima della liberazione della città, poi ancora ad Aleppo come vittima estratta dalle macerie, poi sempre ad Aleppo come donatore di sangue, quindi a Idlib come ferito e finalmente a Khan Sheikhoun come sopravvissuto all’attacco chimico. Esiste un filmato in cui uno dei bimbi “morti” non si accorge che la telecamera è ancora puntata su di lui e apre gli occhi. Da ultimo i Dottori Svedesi per i Diritti Umani (swedhr.org) hanno analizzato un video, relativo ad un altro episodio denunciato dai Caschi Bianchi come attacco chimico da parte di forze governative,  dove viene filmata un’operazione per salvare un bambino vittima di aggressivi chimici. I dottori hanno constatato che nel video sono chiaramente presenti delle falsificazioni, dal momento che in sottofondo si sentono delle autentiche indicazioni “di regia” in arabo, e che la cosiddetta “operazione” è in realtà un omicidio. Un’analisi superficiale del video sembrerebbe infatti suggerire che i medici stessero cercando di rianimare un bambino che era ormai clinicamente morto (https://youtu.be/WAxg9_T-W7Y).In realtà, dopo un più attento esame, il gruppo di SWEDHR ha accertato che il bambino aveva perso coscienza a causa di un’overdose di oppiacei. Nel video si vede il bambino che riceve un’iniezione al petto, nel settore cardiaco, iniezione che alla fine lo ha ucciso, mentre gli veniva data una falsa dose di adrenalina. Si è trattato di un omicidio.

Da questo a pensare che ci si trovi di fronte ad una messa in scena “Hollywoodiana” non ci fa sentire particolarmente colpevoli o in malafede.

Chiudiamo con alcune considerazioni di carattere politico e strategico. Se Assad che nel 2013, quando la situazione del legittimo governo siriano era difficile se non disperata, ha accettato di disfarsi del suo arsenale chimico, avesse ordinato oggi, quando la vittoria è alle porte, grazie all’intervento degli alleati russi, iraniani ed Hezbollah, un inutile attacco chimico con armi non si sa bene come conservate, si dimostrerebbe come uno stupido incapace mentre nei sei anni di guerra passati aveva dimostrato al contrario di essere un politico estremamente accorto nel gestire la situazione.

Il presidente Trump ponendosi fuori della legalità internazionale ordinando una rappresaglia senza avere alcuna prova concreta di quanto è accaduto, ha dimostrato che negli USA la politica estera non è gestita dalla Casa Bianca ma dai circoli “neo conservatori” legati al complesso militare industriale. Questi ultimi credono di poter gestire il mondo dall’alto di una potenza militare calcolata avendo come parametro i miliardi di dollari che ogni anno vengono  profusi nel comparto militare, tanto da aver portato il bilancio USA della difesa ad essere superiore alla somma di quelli delle 5 potenze, di cui 3 alleate, che li seguono nella classifica. In verità però il risultato del lancio di 59 missili cruise Tomahawk, per una spesa complessiva di 90 milioni di dollari, è stato a dir poco deludente. Solo 23 sono arrivati sul bersaglio o nelle sue prossimità, probabilmente perché deviati in mare dalle contromisure elettroniche del sistema di difesa aerea installato dalle forze armate russe, cosi come pare fosse successo nel 2013 a due lanci ordinati da Obama. Quelli che hanno colpito il bersaglio hanno fatto danni così irrilevanti da permettere che la base tornasse operativa 48 ore dopo l’attacco Se fossi un ammiraglio della “marina più potente nel mondo” sarei un po' preoccupato.

Alcuni commentatori solitamente dispensatori di analisi acute come Maurizio Blondet e Thierry Meyssan ritengono che anche la rappresaglia sia stata una messa in scena ad uso interno per risollevare le sorti di una presidenza sempre più assediata dall’apparato. L’attacco sarebbe stato concordato con i Russi, avvertiti, questo è assodato, in anticipo, per fare il minor danno possibile in Siria e il maggior effetto possibile a Washington mettendo così la mordacchia agli esagitati alla McCain. Aderirei a quest’analisi se non ci fossero state le due mosse successive e cioè la virata di 180 gradi nell’impostazione politica sulla Siria che è passata dal sostanziale riconoscimento della legittimità del governo di Assad (cosa per altro dato di fatto dal punto di vista del diritto internazionale) al porre come priorità il suo rovesciamento che, se tentato porrebbe gli USA in rotta di collisione con la Federazione Russa, l’Iran e probabilmente anche con la Cina. Federazione Russa che per altro ha già fatto sapere che qualsiasi altro tentativo di aggressione alla Siria darà luogo a risposte militari.  La seconda mossa ben più preoccupante consiste nell’invio della lettera di richiamo a 150.000 riservisti cioè l’organico di 30 brigate. Atto che non si può fare per mera attività di propaganda perché corrisponde, mutatis mutandis, alla mobilitazione generale proclamata dalle potenze europee nell’agosto del 1914.

A noi osservatori impotenti non resta che stare a guardare nella speranza, ahimè flebile, che i potenti d’Oltreoceano rinsaviscano.
S.E.  
http://www.appunti.ru/articolo.aspx?id=930&type=home

domenica 16 aprile 2017

Paschal message of the Patriarchs Greek Orthodox and Syriac Orthodox 2017


Greek Orthodox 
Patriarchate 
of Antioch 

and all the East

Syriac Orthodox 
Patriarchate 
of Antioch 

and all the East
2017-04-14
Paschal message
Beloved spiritual brethren and children,
Christ is risen, truly He is risen.
Christ is risen and the East is bleeding. Christ is risen and our people of all faiths pay with their own lives the cost exacted from selfish interest. Christ is risen and the destiny of our brother-archbishops Paul and John is still unclear. Pascha falls this year close to the day of their abduction, the twenty-second of April. This fourth anniversary is perhaps the most appropriate time for us to raise our voice once more, and to put in the ears of our believers and of all the world the voice of our pain in the Church of Antioch, and the voice of all those who are afflicted in this East.
We are being crucified in this East, suffering this great ordeal. The world looks at the cross of our agony, and is satisfied merely by expressing grief over us. Nevertheless, the power of this world will not drive us out of our land, because we are the sons of the cross and the resurrection. We have been displaced throughout history, and we are still being displaced up to this day, but each of us is called to remember that the land of Christ will not be emptied of his beloved ones and of those who were named after him two thousand years ago. And if the act of kidnapping the two archbishops and priests aims at defying our Eastern Christian presence, and uprooting it from this land, our answer is clear. Even though it has been four years since the two archbishops were kidnapped and this crisis has lasted six years, we are staying here next to the tombs of our fathers, and their hallowed ground. We are deeply rooted in the womb of this East. We are determined not to leave our land, furthermore we will defend it with our own blood and lives.
In giving his peace, Christ said, "Fear not, for lo, I am with you until the end of the age." We remind ourselves and our children and the whole world that the open-minded Christian presence in this East is more than a presence; it is an identity rather than a boast. Our summons today brings to the attention of the world, organizations, states, governments, associations and embassies, a cry of truth: We want to live in this East in harmony and peace with all faiths. We are not in need of sympathy for us or denunciation of others, but we are in need of serious and sincere good will from all parties to foster peace in our land. The lives of our people are not cheaper than anyone else’s life. Archbishops Paul Yazigi and John Ibrahim were kidnapped and no one troubled himself to issue more than a mere statement of denunciation or promise yielding no results up to this very moment. We value and appreciate the work and zeal of some who have worked with all their strength in behalf of this issue, but the truth must be said: We were, and are still awaiting more than that, especially from those who have the power of binding and loosing internationally and regionally. We do not leave this issue in the care of the civilized world, which has burdened us with its talk about democracies and reforms, while our eastern man is deprived of bread and of all means of livelihood. The ever-higher cost of living and the asphyxiating siege are affecting the livelihood of the poor. There is a war, unfortunately, imposed upon us as Syrians, and there are consequences that burden us as Lebanese. And there is a price which we pay as Easterners all over the Middle East stemming from the results of all wars, as though bets are waged on our land. Our summons today reflects upon events, as we cry "enough!" in the face of those who feed our land with terrorism, takifirism and blind extremism. Our summons today is a cry "enough!" in the face of those who finance the terrorist, but feign blindness of his existence, and later rush to fight him or to make a claim to fight him.
In the Holy Paschal season, we supplicate the risen Lord to remove the stone from our hearts and to break with his spear the war of this world. In these holy days, we pray again for our abducted archbishops, repeating our call for their release. We have knocked on the doors of embassies, omitting no international and regional forum, in our effort to present the crisis in Syria and to explain its repercussions, including kidnapping and displacement of our people to the world at large. We have raised the issue of the kidnapped archbishops. On this occasion, we call on everyone, here and abroad, to work hard toward the liberation of the Archbishops of Aleppo and toward closing this case, which has been suspended by international amnesia. However, this issue is always present in our souls and in the souls of all our children Christian and Muslim, as well as all those of good will.
On the day of the resurrection of Christ, we ask that the peace of his resurrection be upon you, and upon our sons at home and abroad. During Pascha, which means passing over, we raise our earnest prayers to the Lord of the angels to bring peace to our country and to the whole world. Our earnest prayer is for all the kidnapped, all the abductees. Our prayers are for every displaced, homeless, miserable, afflicted and poor person. Our heartfelt prayer to the risen Lord is that He may send his true spirit of peace to silence all the voices of strife and unrest in the Middle East and in the world at large.
In the Resurrection of Christ, those who are called by his name, the Christians of the Church of Antioch, always pledge to remember that the path of the resurrection began with the Cross, and was crowned with the light of the empty Tomb. As we imitate Christ, we do not fear death or adversity, but we pray in our weakness, as our Lord Jesus Christ Himself prayed, that the cup of suffering may pass.
We are in the days of remembering the resurrection of Christ, even though mingled with a heartache that has not been healed for four years. We pray today to the risen Lord to instill his hope in our hearts, granting to them His Holy Spirit, and bestowing upon us the gift of the release of all the kidnapped, so that we may always cry: Christ is risen and the angels are exulted. Jesus is risen and the bars of Hades are destroyed. Christ is risen and life is renewed; to whom is due all glory and dominion unto ages of ages. Amen.
Christ is risen, truly He is risen.
Damascus, April 14, 2017.
John X
Greek Orthodox 
Patriarch of Antioch

and all the East

Ephrem II
Syriac Orthodox 
Patriarch of Antioch 

and all the East 
and the Primate of the Syriac 
Church in the world.

sabato 15 aprile 2017

Verrà la Pasqua anche in Siria (?)









«Lasciate il nostro popolo libero di risorgere». Parlano i cristiani Khaled Salloum, Mons Abou Khazen, Padre Mounir, Nabil Antaki


di Leone Grotti

Anche quest’anno, il sesto consecutivo, a Pasqua i siriani si identificheranno più nella passione che nella risurrezione. E dire che le premesse sembravano buone: a dicembre il governo di Bashar al Assad, con l’aiuto della Russia e degli alleati sciiti, ha riconquistato Aleppo e cacciato da Palmira lo Stato islamico. I jihadisti indietreggiano e perdono terreno. La Turchia ha annunciato a fine marzo la conclusione dell’operazione Scudo sull’Eufrate (non proprio un successo), i colloqui di pace faticosamente vanno avanti e l’ambasciatrice americana presso le Nazioni Unite, Nikki Haley, si è lasciata finalmente sfuggire parole che a Damasco si attendono dall’inizio della guerra: «Non dobbiamo necessariamente concentrarci su Assad, come la precedente amministrazione. La nostra priorità è capire come far finire la guerra, con chi dobbiamo lavorare per fare davvero la differenza per il popolo siriano»

Tacitamente, ma inesorabilmente, davanti agli occhi dei siriani andava materializzandosi un sogno: la fine della guerra e la definitiva sconfitta delle milizie ribelli e jihadiste. Cinquantanove missili Tomahawk a stelle e strisce hanno spazzato via nottetempo questa immagine felice, causando un brusco risveglio a chi, come
Khaled Salloum, sperava che Donald Trump «avrebbe agito diversamente da Barack Obama». L’ingegnere cristiano di 66 anni, oggi in pensione, abita a Homs, nella Valle dei cristiani, a una sessantina di chilometri dalla base aerea governativa di Shayrat, pesantemente danneggiata dal raid americano, che ha anche causato la morte di almeno 15 persone. «Non ci aspettavamo un attacco così diretto da parte degli Stati Uniti – confessa a Tempi – ma non credo che la situazione cambierà molto: è da anni che finanziano e armano gruppi di terroristi. E visto che questi non sono riusciti a vincere la guerra, ora intervengono direttamente. Trump parlava diversamente da Obama, ma ormai lo sappiamo: gli americani non possono mai essere presi sul serio».

Il presidente repubblicano, che ha ordinato l’offensiva dalla Florida prima di mettersi a tavola con il suo omologo cinese Xi Jinping, ha voluto così «rispondere all’orribile attacco chimico contro civili innocenti con cui Assad ha stroncato la vita di uomini, donne e bambini». È dalla base di Shayrat infatti che si sarebbero alzati in volo gli aerei che avrebbero ucciso circa 70 persone a Idlib. Il condizionale è d’obbligo, visto che nella provincia governata dai jihadisti di Al Nusra (ora hanno cambiato nome ma restano la branca siriana di Al Qaeda) non ci sono giornalisti e l’unica fonte di informazioni sull’attacco è quell’Osservatorio siriano per i diritti umani che parteggia per i ribelli contro Assad.

«Non c’è diritto d’ingerenza»
«È sempre la stessa storia. Hanno fatto lo stesso in Iraq, in Libia e ora in Siria. Purtroppo l’ipocrisia degli Stati Uniti non cambia mai. L’attacco chimico è solo una scusa. Se volevano sapere davvero che cosa è successo, perché non hanno inviato una commissione? Perché non hanno mandato una squadra per capire chi sono i responsabili?».
Georges Abou Khazen, vicario apostolico di Aleppo, non si dà pace. Il raid americano lo ha lasciato sgomento e arrabbiato. «Noi dobbiamo domandarci: a chi giova questo attacco chimico?», si sfoga con Tempi. «Chi avvantaggia? Non la Siria, non Assad ma i terroristi islamici. Io l’ho sempre detto: non si può cantare vittoria, con gli americani bisogna aspettarsi di tutto. Perché vogliono decidere loro per noi? Perché non lasciano che sia il popolo siriano a scegliere da chi vuole essere governato?».
Anche Nabil Antaki, medico di Aleppo ovest che ha vissuto sulla sua pelle la tragedia dell’assedio da parte dei ribelli e la gioia della riunificazione, non riconosce alcuna superiorità morale a Washington. «Che diritto hanno gli Stati Uniti di bombardare la Siria?», risponde a Tempi via mail in uno dei pochi momenti della giornata in cui è disponibile l’elettricità. «Chi li ha nominati poliziotti globali? Questo famoso “diritto d’ingerenza” non è semplicemente il diritto del più forte di intervenire a casa degli altri senza il loro consenso? La popolazione di Aleppo è in collera e abbiamo anche paura che scoppi una terza guerra mondiale». Mentre gli alleati di Damasco, Russia e Iran, promettono infatti che non resteranno a guardare («risponderemo se verrà ancora superata la linea rossa»), l’ambasciatrice americana Haley rincara la dose: «Non ci sarà soluzione politica con Assad alla guida del paese. Siamo pronti a intervenire ancora».

 «Dovete dire la verità»
Dalla capitale economica della Siria a quella politica il sentimento della gente è sempre lo stesso.
Padre Mounir, 33 anni, è originario di Aleppo, ma dopo essere entrato nell’ordine dei salesiani, e ordinato sacerdote quattro anni fa a Torino, è andato a svolgere il suo ministero a Damasco, dove si occupa in oratorio di oltre 1.200 giovani. Ha deciso lui di tornare in Siria: «Non vedevo l’ora», racconta a Tempi. «Non ho mai pensato di rimanere in Italia, anche se i miei genitori e la mia famiglia sono scappati e hanno dovuto lasciare Aleppo per la Germania. Hanno cercato di convincermi ma più infuriava la guerra, più desideravo di tornare a servire il mio popolo in difficoltà». Per padre Mounir l’attacco chimico è una «fake news». «I siriani sono arrabbiati, delusi e pensano tutti la stessa cosa», dice il sacerdote. «Il governo non è stupido: perché dovrebbe fare una cosa simile e rivitalizzare i suoi avversari? La verità è che gli Stati Uniti vogliono favorire l’Isis, ridare loro entusiasmo dopo le ultime sconfitte per mano del governo e dei russi. La gente non fa altro che parlare dell’Arabia Saudita e della Turchia, che hanno esultato all’indomani dell’offensiva americana. Qui anche i bambini sanno che senza questi sponsor internazionali la guerra sarebbe già finita. Ma se serviva una conferma, è arrivata». Chi, dopo sei anni, sembra ancora non capire, è l’Occidente: «Questa non è una guerra civile. Se Europa, America e paesi del Golfo smettessero di armare i terroristi, gli scontri finirebbero subito. Voi giornalisti avete un’enorme responsabilità: dovete dire la verità e dare voce al popolo siriano, non solo agli alleati dei governi europei. Purtroppo è difficile trovare un giornale occidentale che faccia questo lavoro».

 «Eppure continueremo a lottare»
Ora i siriani sono divisi tra rassegnazione e voglia di reagire. L’ingegnere di Homs,
Salloum, rientra sicuramente nella seconda categoria. «Siamo circondati da forze e milizie straniere che entrano nella nostra terra per conquistarla. Ma noi non la abbandoneremo e resisteremo», continua. «Dopo sei anni di guerra nessuno ha più paura, tutti hanno visto in faccia la morte e ormai non ci importa più. Non sarà bello da dire, ma io preferisco morire piuttosto che vedere comandare chi usurpa casa mia».
Certo continuare a sperare in una risoluzione pacifica del conflitto che lasci la Siria intatta, senza smembrarla in stati e staterelli confessionali, è arduo. Anche per un prete alle porte della Pasqua. «Davanti ai giovani cerco sempre di mostrarmi speranzoso, ma dopo questo attacco dentro di me faccio fatica a credere che anche la Siria prima o poi conoscerà la risurrezione pasquale», ammette. «Eppure il popolo siriano ama la vita e ha ancora voglia di lottare. Le celebrazioni di questi giorni, che noi siamo liberi di fare in chiesa e per strada al contrario di quanto avviene in tanti paesi del Medio Oriente, ci aiuteranno ad andare avanti».


Anche il medico Antaki, membro laico dell’ordine dei frati maristi blu, attende la Settimana Santa per non arrendersi alla disperazione: «Malgrado il pessimismo che ci circonda, celebreremo ugualmente la Pasqua nella speranza della risurrezione, della fine della guerra. Se noi non avessimo creduto alla speranza che solo Gesù porta, avremmo abbandonato il nostro paese da tempo e ce ne saremmo andati come milioni di altri siriani».

martedì 11 aprile 2017

Un siriano ci scrive: 'le bombe e il nostro appello'


Sono un siriano fuggito da Aleppo cercando una terra sicura per proteggere i miei bambini: un missile dei ribelli ha colpito la mia casa lasciando molti danni oltre il terribile spavento che hanno preso i miei bambini, queste condizioni mi hanno costretto a lasciare il mio paese dopo cinque anni dall'inizio della guerra....
  Nel paese ospitale Italia da quando sono arrivato mi sono messo in contatto con i parenti in patria per aggiornarmi sulle ultime notizie della mia città quasi tutti giorni, con l'intenzione di tornare in patria appena tutto sarà ristabilito. Nessuno può negare quanti sacrifici l'Esercito Nazionale ha sopportato fino ad oggi in questa guerra per rendere la terra di Siria una terra pura priva di qualsiasi tipo di terrore; finalmente quattro mesi fa circa, Aleppo tutta è stata liberata grazie all’Esercito Nazionale e non solo Aleppo ma anche sono state liberate Palmira, i dintorni di Homs, Hama e molte altre zone. Questo è un motivo importante per cui io sto pensando sul serio di ritornare in patria. 
 Sul telefono in linea c’era mio fratello di Aleppo dicendo “Aleppo tutta tranquilla, Aleppo non è più con le bombe potete tornare quando decidete”, appena finito questo discorso il giorno seguente scoppia la storia del bombardamento con il gas di cui è accusato il governo siriano e Assad. Eppure, tutti sappiamo che l’Onu ha chiesto al governo siriano di distruggere le armi chimiche e che le ha distrutte tutte. Tutti noi sappiamo che il deposito di queste armi con gas si trova in zona controllata dai terroristi quindi i siriani non sono colpevoli di questi armi, l’Occidente anziché accusare Assad di bombardarli non era meglio che si domandasse come hanno fatto ad arrivare queste armi pericolose fino qua?! attraverso la Turchia , Giordania, altro..
  Anziché fare questa ricerca, il presidente americano con una decisione singolare da parte sua, lancia suoi missili colpendo una base siriana come castigo, ma è possibile accettare questo fatto? Più si avvicina l’Esercito Siriano Regolare a pulire la Siria e più l’Occidente e gli USA trovano una scusa per parlare di nuovo di eliminare Assad, non sanno che Assad combatte oggi contro ottanta nazionalità di fanatici da tutto il mondo orientale e occidentale? Vengono per morire in terra siriana per raggiungere le sirene!! Fondamentalisti che nel nome della religione hanno distrutto questo mio paese Siria, il paese ricco di radici di storia e civiltà, il paese fatto per il ricco e il povero dove un chilo di pane costava venti centesimi e dove conviveva il cristiano a fianco del musulmano e tutto un tessuto di diverse etnie sono tutti sotto l’ombrello della tolleranza. 
 Io sono un siriano, ho imparato nelle scuole siriane e mi sono laureato in Università siriane pagando una quota simbolica, e tuttora dove governa Assad la gente vive in condizioni dignitose mentre dove governano i terroristi si trascorre la vita nel terrore. Perchè il paese cosi è ricco di tutto non vogliono lasciarlo in pace? Oggi organizzazioni islamiche combattono in terra siriana mentre gli Usa dicono “bisogna eliminare Assad”, ma io vi chiedo: eliminato Assad chi comanda al posto suo?, lasciamo il paese per l’Isis o lo lasciamo comandato dall' Islam fanatico o da chi altro??
Insomma ogni tanto una storia viene esplosa e gli Usa la utilizzano come scusa per continuare questa guerra, stasera addirittura leggo che si preparano a fare ancora altri attacchi alla Siria inventando qualche altra storia di bombe chimiche... 
 Da siriano, vi dico che io spero di poter tornare in patria e spero dal mondo che lasci la Siria in pace con il suo governo con la sua sovranità, finitela di voler decidere per noi. 
 Noi siriani perdiamo la nostra identità quando siamo all’estero vogliamo tornare, ma basta vittime, la morte è diventata un fatto di vita quotidiana , vi chiediamo solo : basta guerra, basta basta...

Joseph M.