da Il Sussidiario -19 ottobre 2012
di Augusto Lodolini
Come sembra ormai inevitabile per qualsiasi evento, anche la tragedia siriana viene letta secondo il “politicamente corretto” del momento, al servizio di interessi altri rispetto a quelli del popolo siriano e a favore dell’una o dell’altra fazione nella guerra civile in corso. Definizione questa accettata con fatica, perché significava ammettere che le pacifiche dimostrazioni iniziali in nome della libertà si erano trasformate in una vera e propria guerra interna, anche a causa degli interventi esterni.
Tuttavia, le descrizioni continuano in gran parte con toni manichei, da una parte tutti i buoni e dall’altra tutti i cattivi, invocando l’intervento di eserciti stranieri per una missione, si dice pudicamente, di “peace keeping”. Ma qui non c’è alcuna pace da mantenere e la missione straniera sarebbe di “peace enforcing”, cioè di imposizione della pace, un vero e proprio atto di intervento armato nelle vicende interne, per quanto drammatiche, di un altro Paese. Sarebbe cioè una guerra vera e propria mascherata da intervento umanitario. Come è stato fatto, peraltro, in Libia.
A questo punto, in Occidente molti dovrebbero porsi qualche domanda, a partire da cosa ha legittimato ieri una guerra per abbattere Gheddafi, e oggi la legittimerebbe contro Assad, mentre l’equivalente operazione contro Saddam Hussein viene considerata un grave crimine. Si pensa davvero che Gheddafi fosse un sanguinario dittatore e Saddam, invece, un leader democratico? Almeno Russia e Cina non ammantano i propri interessi con sacri principi e, nella nuova contrapposizione verso l’Occidente, continuano apertamente ad appoggiare i loro alleati nella Guerra Fredda.
Molti europei, soprattutto nelle sinistre ma non solo, dovrebbero spiegarci perché gli Assad, padre e figlio, venivano un tempo tollerati o addirittura sostenuti in funzione anti-israeliana. Per esempio, mi piacerebbe conoscere l’opinione di Massimo D’Alema sulla vicenda siriana, non avendo dimenticato la sua ostentata “passeggiata”, da Ministro degli Esteri, a braccetto di un leader di Hezbollah. Non credo che D’Alema ignorasse che Assad finanziava e riforniva
d’armi, insieme all’Iran, la sciita Hezbollah e la sunnita Hamas, le due fazioni islamiche che lottano per la cancellazione di Israele.
La vicenda siriana fa cadere un altro mantra delle sinistre, e non solo, che gli Stati Uniti fanno le guerre per conquistare il petrolio e per questo hanno invaso l’Iraq. A parte che noi europei, in particolare noi italiani, siamo molto più dipendenti dal petrolio mediorientale di quanto siano gli americani, la Siria non è un grande produttore di olio nero e, causa l’embargo americano, il petrolio degli iraniani viene ora comprato da Russia e Cina.
Tuttavia, le descrizioni continuano in gran parte con toni manichei, da una parte tutti i buoni e dall’altra tutti i cattivi, invocando l’intervento di eserciti stranieri per una missione, si dice pudicamente, di “peace keeping”. Ma qui non c’è alcuna pace da mantenere e la missione straniera sarebbe di “peace enforcing”, cioè di imposizione della pace, un vero e proprio atto di intervento armato nelle vicende interne, per quanto drammatiche, di un altro Paese. Sarebbe cioè una guerra vera e propria mascherata da intervento umanitario. Come è stato fatto, peraltro, in Libia.
A questo punto, in Occidente molti dovrebbero porsi qualche domanda, a partire da cosa ha legittimato ieri una guerra per abbattere Gheddafi, e oggi la legittimerebbe contro Assad, mentre l’equivalente operazione contro Saddam Hussein viene considerata un grave crimine. Si pensa davvero che Gheddafi fosse un sanguinario dittatore e Saddam, invece, un leader democratico? Almeno Russia e Cina non ammantano i propri interessi con sacri principi e, nella nuova contrapposizione verso l’Occidente, continuano apertamente ad appoggiare i loro alleati nella Guerra Fredda.
Molti europei, soprattutto nelle sinistre ma non solo, dovrebbero spiegarci perché gli Assad, padre e figlio, venivano un tempo tollerati o addirittura sostenuti in funzione anti-israeliana. Per esempio, mi piacerebbe conoscere l’opinione di Massimo D’Alema sulla vicenda siriana, non avendo dimenticato la sua ostentata “passeggiata”, da Ministro degli Esteri, a braccetto di un leader di Hezbollah. Non credo che D’Alema ignorasse che Assad finanziava e riforniva
d’armi, insieme all’Iran, la sciita Hezbollah e la sunnita Hamas, le due fazioni islamiche che lottano per la cancellazione di Israele.
La vicenda siriana fa cadere un altro mantra delle sinistre, e non solo, che gli Stati Uniti fanno le guerre per conquistare il petrolio e per questo hanno invaso l’Iraq. A parte che noi europei, in particolare noi italiani, siamo molto più dipendenti dal petrolio mediorientale di quanto siano gli americani, la Siria non è un grande produttore di olio nero e, causa l’embargo americano, il petrolio degli iraniani viene ora comprato da Russia e Cina.
Sarebbe bene che la si finisse con tutte queste ipocrisie, le cui conseguenze vengono pesantemente scontate dalle popolazioni coinvolte. Non vi è alcun dubbio che in Siria sia al governo un sanguinario regime dittatoriale, come ve ne sono, peraltro indisturbati, tanti altri in giro per il mondo, ma bisogna decidere se l’obiettivo è abbattere a ogni costo Assad e fare arrivare la democrazia sulla punta delle baionette. Ma non è di questo che si accusava la politica di Bush e dei suoi ministri neocon?
A mio parere l’obiettivo dovrebbe essere quello di far finire la dittatura e attivare una transizione verso un sistema più democratico, nella versione che i siriani riterranno più consona come risposta al loro desiderio di libertà. Ciò che sta avvenendo, invece, porta a un abisso senza fine, dove la minoranza ora al potere, gli alawiti, potrebbe diventare la perseguitata di domani, dove altre minoranze si stanno autonomamente attrezzando, come quella curda, e dove la nuova Siria rischia di cadere in mano a facinorose fazioni estremiste. Perfino l’Onu sembra essersi reso conto del pericolo e della quasi impossibilità a sconfiggere il regime sul campo, della necessità, quindi, di attivare trattative in vista di un periodo di transizione.
Guarda caso, questa è la posizione da sempre sostenuta in Siria da cattolici e
cristiani e dalle loro gerarchie, spesso contrabbandata sui nostri media come un
appoggio al regime per salvaguardare propri interessi particolari. In Siria,
come in Iraq e in Egitto, i cristiani hanno sempre operato per una convivenza
pacifica con la maggioranza musulmana, non solo per la loro fede o per la loro
concreta sopravvivenza, ma per l’apertura che ha sempre contraddistinto
parecchie delle loro opere nel sociale e nell’educazione.
I loro inviti a una transizione pacifica non sono, comunque, stati gli unici, ma
anche quelli provenienti dal mondo musulmano sono stati messi a tacere, forse
per non irritare i ricchi Stati arabi, come Arabia Saudita e Qatar,
aggressivamente coinvolti nella questione siriana. Si è preferito descrivere i
ribelli come una compagine unita e democratica a priori, sostenuta compattamente da tutti i siriani. La realtà è però diversa e, come in ogni guerra civile, la maggioranza della popolazione non ne è parte, ma vittima.
A conferma, diverse interviste o articoli pubblicati anche su Ilsussidiario. Si
prenda, per esempio, l’intervista del 31 gennaio scorso ad Ammar Waqqaf del
Syrian Social Club, gruppo di espatriati siriani che sostengono la riforma del
sistema, piuttosto che la sua fine violenta, al fine di evitare il baratro già
accennato. A un certo punto, Waqqaf dice che a suo parere la richiesta dei
cristiani è solo di avere uno spazio in cui vivere e praticare la loro fede
senza che qualcuno gli dica: “Sei diverso, devi andare via o sarai ucciso.”
È quasi la stessa frase di una suora italiana che vive in Siria e intervistata
nel servizio di Gian Micalessin su Rete 4, nella trasmissione Terra! dell’8
ottobre: “Se i ribelli passassero, il nostro villaggio cristiano maronita
sparirebbe. Nel giro di mezz'ora direbbero ai cristiani: ‘O con noi, o ve ne
andate’”. Non credo che questa sia la nuova Siria per la quale tanti siriani,
compresi i cristiani, stanno combattendo.
A mio parere l’obiettivo dovrebbe essere quello di far finire la dittatura e attivare una transizione verso un sistema più democratico, nella versione che i siriani riterranno più consona come risposta al loro desiderio di libertà. Ciò che sta avvenendo, invece, porta a un abisso senza fine, dove la minoranza ora al potere, gli alawiti, potrebbe diventare la perseguitata di domani, dove altre minoranze si stanno autonomamente attrezzando, come quella curda, e dove la nuova Siria rischia di cadere in mano a facinorose fazioni estremiste. Perfino l’Onu sembra essersi reso conto del pericolo e della quasi impossibilità a sconfiggere il regime sul campo, della necessità, quindi, di attivare trattative in vista di un periodo di transizione.
Guarda caso, questa è la posizione da sempre sostenuta in Siria da cattolici e
cristiani e dalle loro gerarchie, spesso contrabbandata sui nostri media come un
appoggio al regime per salvaguardare propri interessi particolari. In Siria,
come in Iraq e in Egitto, i cristiani hanno sempre operato per una convivenza
pacifica con la maggioranza musulmana, non solo per la loro fede o per la loro
concreta sopravvivenza, ma per l’apertura che ha sempre contraddistinto
parecchie delle loro opere nel sociale e nell’educazione.
I loro inviti a una transizione pacifica non sono, comunque, stati gli unici, ma
anche quelli provenienti dal mondo musulmano sono stati messi a tacere, forse
per non irritare i ricchi Stati arabi, come Arabia Saudita e Qatar,
aggressivamente coinvolti nella questione siriana. Si è preferito descrivere i
ribelli come una compagine unita e democratica a priori, sostenuta compattamente da tutti i siriani. La realtà è però diversa e, come in ogni guerra civile, la maggioranza della popolazione non ne è parte, ma vittima.
A conferma, diverse interviste o articoli pubblicati anche su Ilsussidiario. Si
prenda, per esempio, l’intervista del 31 gennaio scorso ad Ammar Waqqaf del
Syrian Social Club, gruppo di espatriati siriani che sostengono la riforma del
sistema, piuttosto che la sua fine violenta, al fine di evitare il baratro già
accennato. A un certo punto, Waqqaf dice che a suo parere la richiesta dei
cristiani è solo di avere uno spazio in cui vivere e praticare la loro fede
senza che qualcuno gli dica: “Sei diverso, devi andare via o sarai ucciso.”
È quasi la stessa frase di una suora italiana che vive in Siria e intervistata
nel servizio di Gian Micalessin su Rete 4, nella trasmissione Terra! dell’8
ottobre: “Se i ribelli passassero, il nostro villaggio cristiano maronita
sparirebbe. Nel giro di mezz'ora direbbero ai cristiani: ‘O con noi, o ve ne
andate’”. Non credo che questa sia la nuova Siria per la quale tanti siriani,
compresi i cristiani, stanno combattendo.
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