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martedì 2 ottobre 2018
Ad Aleppo, un lavoro educativo
di Pierre le Corf
Pubblico poco ma va tutto bene, ho solo un sacco di lavoro invisibile per il momento.
Abbiamo un programma con i bambini per sensibilizzare alla non violenza in generale, sia nei confronti delle persone che verso animali, in particolare dei gatti, cani e uccelli.
Non c'è solo molta violenza all'interno di alcuni bambini a causa della guerra, ma anche un sacco di incomprensioni e di ignoranza. Chi ruba un uovo oggi poi ruberà un bue, chi batte un animale adesso, poi sfogherà la sua violenza altrove e sugli altri in futuro. Un giorno sui suoi figli? Su sua moglie?
Per quanto riguarda i bambini che ho in classe o nei miei programmi, si tratta di dare loro alternative di vita, insegnando loro a fare scelte positive e ad esternare ed espellere ciò che li ferisce, altrimenti le stesse armi che li hanno feriti loro le useranno per ferire altri.
Nel frattempo il nostro rifugio è sempre aperto, la nostra strada viene sempre bombardata, è successo sia ieri che l'altro ieri, ma tutto va bene.
We are superheroes
domenica 30 settembre 2018
Accogliamo l’invito alla preghiera alla Santa Madre di Dio e a San Michele Arcangelo che ci viene dal Sommo Pontefice
... nella coscienza che il compito che ci è assegnato è proprio la creazione di spazi di verità, di fede e di carità
L'inno ' Sub tuum praesidium' in arabo
Comunicato della Sala Stampa della Santa Sede
Il Santo Padre ha deciso di invitare tutti i fedeli, di tutto il mondo, a pregare il Santo Rosario ogni giorno, durante l’intero mese mariano di ottobre; e a unirsi così in comunione e in penitenza, come popolo di Dio, nel chiedere alla Santa Madre di Dio e a San Michele Arcangelo di proteggere la Chiesa dal diavolo, che sempre mira a dividerci da Dio e tra di noi.
Nei giorni scorsi, prima della sua partenza per i Paesi Baltici, il Santo Padre ha incontrato padre Fréderic Fornos S.I., direttore internazionale della Rete Mondiale di Preghiera per il Papa; e gli ha chiesto di diffondere in tutto il mondo questo suo appello a tutti i fedeli, invitandoli a concludere la recita del Rosario con l’antica invocazione “Sub Tuum Praesidium”, e con la preghiera a San Michele Arcangelo che ci protegge e aiuta nella lotta contro il male (cfr. Apocalisse12, 7-12).
La preghiera – ha affermato il Pontefice pochi giorni fa, l’11 settembre, in un’omelia a Santa Marta, citando il primo libro di Giobbe - è l’arma contro il Grande accusatore che “gira per il mondo cercando come accusare”. Solo la preghiera lo può sconfiggere. I mistici russi e i grandi santi di tutte le tradizioni consigliavano, nei momenti di turbolenza spirituale, di proteggersi sotto il manto della Santa Madre di Dio pronunciando l’invocazione “Sub Tuum Praesidium”.
L’invocazione "Sub Tuum Praesidium" recita così:
“Sub tuum praesidium confugimus Sancta Dei Genitrix. Nostras deprecationes ne despicias in necessitatibus, sed a periculis cunctis libera nos semper, Virgo Gloriosa et Benedicta”.
[Sotto la tua protezione cerchiamo rifugio, Santa Madre di Dio. Non disprezzare le suppliche di noi che siamo nella prova, ma liberaci da ogni pericolo, o Vergine Gloriosa e Benedetta].
Con questa richiesta di intercessione il Santo Padre chiede ai fedeli di tutto il mondo di pregare perché la Santa Madre di Dio, ponga la Chiesa sotto il suo manto protettivo: per preservarla dagli attacchi del maligno, il grande accusatore, e renderla allo stesso tempo sempre più consapevole delle colpe, degli errori, degli abusi commessi nel presente e nel passato e impegnata a combattere senza nessuna esitazione perché il male non prevalga.
Il Santo Padre ha chiesto anche che la recita del Santo Rosario durante il mese di ottobre si concluda con la preghiera scritta da Leone XIII:
“Sancte Michael Archangele, defende nos in proelio; contra nequitiam et insidias diaboli esto praesidium. Imperet illi Deus, supplices deprecamur: tuque, Princeps militiae caelestis, Satanam aliosque spiritus malignos, qui ad perditionem animarum pervagantur in mundo, divina virtute, in infernum detrude. Amen”.
[San Michele Arcangelo, difendici nella lotta: sii il nostro aiuto contro la malvagità e le insidie del demonio. Supplichevoli preghiamo che Dio lo domini e Tu, Principe della Milizia Celeste, con il potere che ti viene da Dio, incatena nell’inferno satana e gli spiriti maligni, che si aggirano per il mondo per far perdere le anime. Amen].
martedì 25 settembre 2018
Nella tana qaedista di Idlib una sparuta comunità di Cristiani vive e testimonia la propria fede
Testimonianza dalla roccaforte jihadista di Idlib: “Resteremo cristiani fino alla morte”
Da Knayeh, non distante da Idlib, ultima roccaforte dei ribelli anti-Assad e dei jihadisti filo-qaedisti del fronte Hayat Tahrir al-Sham (al-Nusra), arriva la testimonianza dei pochi cristiani rimasti sostenuti dagli unici religiosi, due frati della Custodia di Terra Santa, rimasti al loro fianco, padre Hanna Jallouf e padre Louai Bsharat. Minacciati da rapimenti e omicidi, privati di case e terreni, tollerati nel culto sottoposto a rigide restrizioni: "Ai fondamentalisti diciamo che siamo cristiani e lo resteremo fino alla morte. Anche se nella sofferenza viviamo un tempo di grazia"
di
Daniele Rocchi
Agensir,
25 settembre 2018
“Ringraziamo
il Signore che ancora siamo vivi”. La
voce di padre Hanna
Jallouf,
66 anni, francescano siriano della Custodia di Terra Santa, è quella
dei cristiani che vivono nei villaggi di Knayeh, Yacoubieh e Gidaideh
che si trovano nella zona di Idlib, nel nord della Siria, ultimo
bastione degli oppositori al presidente siriano Assad e dei
terroristi islamisti. Qui, a poca distanza dal confine turco, si sono
concentrati, in questi anni di guerra, decine di migliaia di
combattenti, anche stranieri, del fronte Hayat Tahrir al-Sham –
gruppo jihadista di ideologia salafita, affiliato ad Al-Qaeda ed
erede del meglio conosciuto Jabhat Al Nusra – decisi a non
arrendersi all’esercito regolare siriano e ai suoi alleati russi e
iraniani. Nei giorni scorsi si era parlato di un’imminente attacco
volto alla riconquista della roccaforte jihadista poi rientrato in
seguito al vertice di Sochi, sul Mar Nero, durante il quale il
presidente russo Putin e il leader turco Erdogan hanno trovato un
accordo per creare, intorno a questa area contesa, una zona
demilitarizzata. L’accordo dovrebbe portare al “ritiro di tutti i
combattenti radicali” da Idlib, scongiurando una crisi umanitaria
di vaste proporzioni dal momento che nell’area vivono anche due
milioni e mezzo di siriani, molti dei quali sfollati interni.
Una
sofferenza comune. L’accordo
ha fatto tirare un sospiro di sollievo a padre Hanna, e al suo
confratello Louai Bsharat, gli unici religiosi cristiani rimasti a
Knayeh e Yacoubieh, nei conventi di san Giuseppe e di Nostra Signora
di Fatima. Allontanato per ora lo spettro di nuovi combattimenti, sul
terreno restano i problemi di sempre e “condizioni di vita sempre
più dure man mano che sale la tensione”.
“Non
sappiamo come andrà a finire – dice padre Hanna che è parroco
latino di Knayeh – i ribelli non intendono né arrendersi né
ritirarsi. Se lo facessero tutti noi che viviamo qui, cristiani e
musulmani, ne trarremmo giovamento. Anche i nostri fratelli musulmani
soffrono molto. Vengono costretti ad andare in moschea e a seguire
pratiche che sono solo nella mente di questi fanatici”.
Cristiani
vittime di rapimenti e omicidi. Dal
canto loro i cristiani di Knayeh e Yacoubieh vivono rintanati in casa
terrorizzati. “La paura è enorme per le nostre comunità già
povere – dichiara il frate -. Gli aiuti non arrivano come un
tempo e sono iniziati i rapimenti non conosciamo gli autori di
questi crimini, se siano semplici malviventi o membri delle milizie
che controllano la zona. Alcuni
giorni fa è stato rapito il nostro avvocato e la famiglia ha dovuto
sborsare circa 50mila dollari per il suo rilascio. Una cifra
enorme”. Anche
padre Hanna ha vissuto l’esperienza del rapimento: venne prelevato
da miliziani del fronte Jahbat Al-Nusra, nell’ottobre del 2014, con
16 parrocchiani. “Dopo diversi giorni sono stato riportato al mio
convento di Knayeh”, ricorda il religioso.
“Volevano
costringerci alla conversione e prenderci il convento. Ma siamo
rimasti saldi nella fede e tornati a casa più forti e motivati di
prima”.
Adesso
ai rapimenti si sono aggiunte le esecuzioni sommarie e gli
omicidi: “Il
19 settembre – rivela padre Hanna – un uomo, da sempre vicino
alla nostra parrocchia, è stato ucciso. La sua unica colpa? Quella
di aiutare i cristiani”. Nella
comunità locale cresce la paura e nessuno vuole uscire più.
“Nessuno va più a lavorare i propri terreni. Dentro casa si
sentono più al sicuro”. Tuttavia i timori vengono messi da parte
quando si tratta di andare a messa. “Ogni giorno vengono in
chiesa almeno 50-60 persone. La domenica sono molte di più perché
arrivano anche dai villaggi vicini. I cristiani che vivono nei tre
villaggi – spiega padre Hanna – sono circa 1.100, tra latini,
armeno ortodossi e greco ortodossi”.
La
loro sofferenza non è di oggi.
“Viviamo così dal 2011, dall’inizio della guerra. Qui sono
passati tutti i gruppi di ribelli e terroristi, da Isis fino ad
al-Nusra e Hayat Tahrir al-Sham – sottolinea il francescano -.
Tutti i preti e i sacerdoti che c’erano sono andati via o fuggiti.
Molte chiese e luoghi di culto armeni e greco ortodossi sono stati
distrutti o bruciati. Tra questi anche il nostro convento di
Ghassanie. Siamo rimasti due frati in due conventi e cerchiamo di
assistere materialmente e spiritualmente i cristiani. La vita è
difficile, manca praticamente tutto, i prezzi per acquistare i beni
necessari sono altissimi. Non abbiamo elettricità e acqua corrente”.
“I
miliziani di al Nusra hanno preso le nostre terre, anche quelle dei
conventi, e hanno cacciato i cristiani dalle proprie case per dare
alloggio ai loro profughi e ai loro combattenti”.
Gli
aiuti ai cristiani locali arrivano dalla Custodia
di Terra Santa e
dalla sua ong “AtsPro Terra Sancta”:
“Ogni mese – racconta padre Hanna – riusciamo a dare alle
nostre famiglie, circa 260, beni di prima necessità come medicine e
latte oltre a voucher per acquistare gasolio per elettricità e
riscaldamento, vestiti e libri scolastici. Abbiamo organizzato anche
un servizio per portare i bambini a scuola. Le scuole non danno
sostegno che per il Corano, l’arabo, l’inglese e la matematica.
Ai nostri alunni diamo anche altro materiale di studio ma
all’insaputa dei gruppi fondamentalisti che controllano la zona. Se
lo sapessero sarebbe un guaio per noi”.
Testimonianza
e martirio.
Nella
tana del fronte qaedista Hayat Tahrir al-Sham questa sparuta comunità
di poco più di 1000 cristiani vive e testimonia la propria fede,
anche se le restrizioni sono tante.
“Le
nostre celebrazioni sono tollerate solo se svolte all’interno della
chiesa, ma ci è vietato esporre all’esterno croci, statue dei
santi, immagini sacre, suonare campane”, spiega il parroco, che poi
rivela: “Due mesi fa sono stato convocato dal tribunale religioso
dove mi è stato intimato di non vestire più l’abito da frate in
quanto segno religioso indicante la fede cristiana. Così mettiamo il
saio in valigia quando dobbiamo muoverci e lo indossiamo nelle zone
dove ci è permesso”.
Padre
Hanna sa bene che questo è il
prezzo da pagare da
chi ha scelto di “restare tra la nostra gente e il nostro popolo.
Restiamo saldi nella fede con la nostra comunità. Qui è nato il
cristianesimo, qui sono le nostre radici. A 500 metri da Knayeh,
nella strada che da Apamea portava ad Antiochia è passato san Paolo. Ai
fondamentalisti diciamo che siamo cristiani e lo resteremo fino alla
morte. I
nostri avi sono nati e morti qui. Così faremo anche noi”.
“La
situazione è grave – conclude padre Jallouf – ma continuiamo a
pregare e sentiamo ogni giorno sentiamo la mano di Dio che veglia su
di noi. Preghiamo
per la pace in Siria, perché finisca questa strage inutile. Abbiamo
paura del futuro ma nel dolore e nella sofferenza viviamo un tempo di
grazia”.
sabato 22 settembre 2018
La 'Grande Israele': la guerra alla Siria come parte del processo di espansione territoriale israeliana.
Come introdotto nel precedente articolo sul 'piano Feltman-Bandar' , proponiamo una seconda chiave di lettura degli attuali eventi, nel contesto del Piano per il 'Grande Medio Oriente' , o meglio il 'Grande Israele'. A questo 'piano' si riferiscono le parole dell'ambasciatore siriano presso le Nazioni Unite Bachar al-Jaafari, pronunciate il 18 settembre 2018 all'indomani dell'attacco israeliano sulla città di Latakia :
Introduzione di Michel Chossudovsky
"Questi governi hanno voluto questa guerra contro il mio paese per influenzare la politica adottata dal suo governo e per cambiare la sua identità nazionale, al fine di servire il progetto di un nuovo Medio Oriente composto da entità o stati deboli e permanentemente in conflitto, fondati su una base religiosa, settaria o etnica, che imita il progetto sionista di uno Stato-nazione del popolo ebreo in Israele, che nega il diritto del popolo palestinese a uno Stato indipendente. Quindi tutta la storia si riassume nella Palestina. L'intera storia si riassume a Palestina e Israele!"
"Grande Israele": il piano sionista per il Medio Oriente |
Introduzione di Michel Chossudovsky
Il
seguente documento relativo alla formazione della "Grande
Israele" costituisce la pietra angolare di potenti fazioni
sioniste all'interno dell'attuale governo Netanyahu, del partito
Likud, nonché all'interno dell'establishment militare e
dell'intelligence israeliani .
Il
presidente Donald Trump ha confermato senza mezzi termini il suo
sostegno agli insediamenti illegali di Israele (ivi compresa la sua
opposizione alla risoluzione 2334 del Consiglio di Sicurezza delle
Nazioni Unite, relativa all'illegalità degli insediamenti israeliani
nella West Bank occupata). Inoltre, spostando l'ambasciata degli
Stati Uniti a Gerusalemme e permettendo l'espansione degli
insediamenti israeliani nei territori occupati e non solo, il
presidente degli Stati Uniti ha fornito una approvazione di fatto del
progetto "Greater Israel" (Grande Israele) come formulato
nell'ambito del Piano Yinon.
Tenete
a mente: questo progetto non è strettamente un progetto sionista per
il Medio Oriente, esso è parte integrante della politica estera
degli Stati Uniti, ovvero l'intento di Washington di fratturare e
balcanizzare il Medio Oriente. La decisione di Trump di riconoscere
Gerusalemme come capitale di Israele ha lo scopo di innescare
l'instabilità politica in tutta la regione.
Secondo
il padre fondatore del sionismo Theodore Herzl, "l'area dello
Stato ebraico si estende: "Dal ruscello dell'Egitto fino
all'Eufrate". Secondo Rabbi Fischmann, "La Terra Promessa
si estende dal fiume dell'Egitto (il Nilo) fino all'Eufrate,
includendo parti della Siria e del Libano".
Visto
nel contesto attuale, compreso l'assedio su Gaza, il Piano Sionista
per il Medio Oriente intrattiene uno stretto rapporto con l'invasione
dell'Iraq del 2003, la guerra del Libano del 2006, la guerra in
Libia del 2011, le guerre in corso in Siria, Iraq e Yemen, per non
parlare della crisi politica in Arabia Saudita.
Il
progetto "Greater Israel" consiste nell'indebolire ed
infine nel fratturare i vicini stati arabi come parte di un progetto
espansionista israeliano-statunitense, con il sostegno della NATO e
dell'Arabia Saudita. A questo proposito, il riavvicinamento tra
Arabia Saudita e Israele è dal punto di vista di Netanyahu un mezzo
per espandere le sfere di influenza di Israele nel Medio Oriente e
affrontare l'Iran. Inutile dire che il progetto "Greater Israel"
è coerente con il disegno imperiale americano.
"Greater
Israel" consiste in un'area che si estende dalla Valle del Nilo
fino all'Eufrate. Secondo Stephen Lendman : "Un secolo fa, il
piano dell'Organizzazione Sionista Mondiale per uno Stato Ebraico
includeva:
• La
Palestina storica;
• Il
Libano meridionale fino a Sidone e al fiume Litani;
• Le
alture del Golan in Siria, la pianura di Hauran e Deraa; e
• il
controllo della ferrovia Hijaz da Deraa ad Amman, Giordania e il
Golfo di Aqaba.
Alcuni
sionisti volevano di più - terra dal Nilo ad Ovest all'Eufrate
nell'Est, comprendente Palestina, Libano, Siria occidentale e Turchia
meridionale ".
Il
progetto sionista sostiene il movimento degli insediamenti ebraici.
Più in generale si tratta di una politica di esclusione dei
Palestinesi dalla Palestina giungendo all'eventuale annessione della
Cisgiordania e di Gaza allo Stato di Israele.
La
Grande Israele creerebbe un numero di Stati proxy. Che
comprenderebbero parti del Libano, della Giordania, della Siria, del
Sinai, nonché parti dell'Iraq e dell'Arabia Saudita. (Vedi mappa).
Secondo
Mahdi Darius Nazemroaya in un articolo di Global Research del 2011,
[Preparare
la scacchiera per lo "scontro di civiltà": dividere,
conquistare e dominare il "nuovo Medio Oriente"] il
Piano Yinon era una continuazione del progetto coloniale britannico
in Medio Oriente:
"[Il
piano Yinon] è un piano strategico israeliano per garantire la
superiorità regionale israeliana. Insiste e afferma che Israele deve
riconfigurare il suo ambiente geopolitico attraverso la
balcanizzazione degli Stati Arabi circostanti in Stati più piccoli e
più deboli. Gli strateghi israeliani consideravano l'Iraq come la
loro più grande strategica sfida da uno Stato arabo. Questo è il
motivo per cui l'Iraq è stato delineato come il fulcro della
balcanizzazione del Medio Oriente e del mondo arabo. In Iraq, sulla
base dei concetti del Piano Yinon, gli strateghi israeliani hanno
chiesto la divisione dell'Iraq in uno Stato Curdo e due Stati arabi,
uno per i musulmani sciiti e l'altro per i musulmani sunniti. Il
primo passo verso la creazione di questo è stata la guerra tra Iraq
e Iran, che il Piano Yinon studia. The Atlantic, nel 2008, e il
Giornale delle Forze Armate dell'Esercito degli Stati Uniti, nel
2006, hanno entrambi pubblicato mappe ampiamente diffuse che
seguivano da vicino le linee del piano Yinon. A parte un Iraq diviso,
che anche il Piano Biden richiede, il Piano Yinon prevede la
divisione di Libano, Egitto e Siria. Anche la partizione di Iran,
Turchia, Somalia e Pakistan segue in linea con questa visione. Il
Piano Yinon prevede anche la disgregazione del Nord Africa e la
prefigura con partenza dall'Egitto per poi riversarsi nel Sudan, in
Libia e nel resto della regione.”
La "Grande Israele "richiede la disgregazione degli Stati
Arabi esistenti in piccoli stati.
"Il
piano opera su due premesse essenziali. Per sopravvivere, Israele
deve 1°) diventare un potere regionale imperiale e 2°) deve
effettuare la divisione dell'intera area in piccoli Stati mediante la
dissoluzione di tutti gli Stati arabi esistenti. Quanto piccoli,
dipenderà dalla composizione etnica o settaria di ogni Stato. Di
conseguenza, la speranza sionista è che Stati basati sul settarismo
diventino satelliti di Israele e, ironia della sorte, la sua fonte
di legittimazione morale... Questa non è una nuova idea, né emerge
per la prima volta nel pensiero strategico sionista. In effetti,
frammentare tutti gli Stati Arabi in unità più piccole è stato un
tema ricorrente. "(Piano Yinon, oppure vedi QUI la versione originale edita da Israel Shahak)
Viste
in questo contesto, la guerra alla Siria e all'Iraq sono parte del
processo di espansione territoriale israeliana.
A
questo proposito, la sconfitta dei terroristi sponsorizzati dagli
Stati Uniti (ISIS, Al Nusra) da parte delle forze siriane con il
sostegno di Russia, Iran e Hezbollah costituisce una battuta
d'arresto significativa per Israele.
Michel
Chossudovsky, Global Research, 6 settembre 2015, aggiornato il 18
settembre 2018
Traduzione in italiano di Gb.P.
mercoledì 19 settembre 2018
Si ripresenta il piano per la 'balcanizzazione' della Siria ?
Per
comprendere gli eventi caotici che in questi giorni hanno spiazzato le
aspettative di una ormai vicina pace per la Siria, riproponiamo
alcuni articoli apparsi qualche tempo fa. Iniziamo con un articolo
di F.
William Engdahl (*)
pubblicato nel febbraio 2016 su New
Eastern Outlook.
Riteniamo che valga la pena rileggerlo per comprendere, se ce ne
fosse ancora bisogno, cosa soggiace alla guerra in Siria. Ce l'hanno
presentata come una guerra civile degenerata per l'intromissione
degli estremisti (una delle versioni), ma va ribadito che questa
guerra dai risvolti geopolitici molto complicati è ben altro che un
guerra di liberazione dall'oppressione di un dittatore.
Gb.P. OraproSiria
Gb.P. OraproSiria
Fonte: New Eastern Outlook
Il
piano
Feltman-Bandar
Jeffrey
D.Feltman ( fino
a marzo 2018
sottosegretario Generale per gli Affari politici dell'ONU) è uno
specialista dei
trucchi sporchi del Dipartimento di Stato degli Stati Uniti. Fu
ambasciatore
in Libano nel
periodo dell'assassinio
di Hariri
nel 2005. Prima ancora
Feltman prestò servizio
in Iraq all'indomani dell'invasione militare statunitense.
Ancor
prima, fu inviato in Jugoslavia, nei primi anni '80, per svolgere un
ruolo nello smembramento di quel Paese
da parte di
Washington. Il suo curriculum suggerisce che
egli sia uno
specialista di Washington nell' amata e spesso praticata arte dello
smembramento di
una nazione.
La distruzione del regime di Bashar al Assad è la sua attuale
ossessione. Non esattamente quel
che dovrebbe essere un
"mediatore
neutrale"
di
pace. Infatti, nel 2008, Feltman ha scritto un piano segreto con
l'ex ambasciatore saudita a Washington, il principe Bandar bin
Sultan,
soprannominato
"Bandar Bush" da
George W. Bush per i suoi intimi legami con la famiglia Bush. Quel
piano Feltman-Bandar è stato rivelato in documenti interni estratti
nel 2011 tra
le
migliaia di file di STRATFOR, la torbida consulenza di "intelligence
strategica" degli Stati Uniti del
Dipartimento della Difesa e dell'industria
militare .
Quel
programma denominato
"Feltman
plan",
finanziato da un contributo
di
2 miliardi di dollari provenienti
dalle
casse
saudite di
Bandar, descrive in dettaglio cosa è successo da quando Washington,
sotto l'allora Segretario di Stato Hillary R. Clinton, ha lanciato la
guerra in Siria nel marzo 2011, dopo aver distrutto la Libia di
Gheddafi. Il piano Feltman-Bandar
"strategicamente"
dipendeva dallo sfruttamento del legittimo desiderio dei popoli di
libertà, dignità e affrancamento
dalla corruzione,
trasformando questi desideri in una rivolta contro Assad.
Il
piano Feltman-Bandar prevedeva la divisione della Siria in diversi
gruppi etnici: alawiti, sunniti, sciiti, curdi, cristiani e di
suddividere
il paese in tre zone:
grandi città, piccole città e villaggi. Da
allora
gli Stati Uniti e il Regno dell'Arabia Saudita più
alcuni alleati selezionati,
iniziarono l'addestramento segreto e il reclutamento di cinque
livelli o reti di attori, controllati dalla CIA e dall'intelligence
saudita, che Bandar in seguito guidò, per eseguire la distruzione o
lo smembramento nazionale della Siria. Il piano delineava le cinque
reti che avrebbero manipolato.
(traduzione testuale):
(traduzione testuale):
1-
Il "carburante": giovani istruiti e disoccupati che devono
essere collegati ma
in
modo decentralizzato.
2-
I "teppisti": fuorilegge e criminali provenienti da aree
remote, preferibilmente non siriani.
3-
I "settarismi etnici": giovani con una formazione limitata
che rappresentano comunità etniche che sostengono o si oppongono al
presidente. Devono avere meno di 22 anni.
4-
I "media": alcuni leader delle istituzioni della società
civile che hanno finanziamenti europei e
non
americani, per nascondere il ruolo degli Stati Uniti.
5-
Il "Capitale": commercianti, proprietari di società,
banche e centri commerciali solo a Damasco, Aleppo e Homs .
Lo
scopo di quel "piano" di Feltman-Bandar del 2008 secondo
fonti ben informate era quello di riportare la Siria "all'età
della pietra".
Fu
comandato ad
ogni setta reclutata dai sauditi e dalla CIA
di
"commettere orribili e
sanguinosi
massacri contro i trasgressori. Questi crimini devono essere filmati
e pubblicati sui media il prima possibile".
Se
vediamo le innumerevoli foto delle città, dei villaggi e delle città
siriane oggi, è più o meno quello che è stato realizzato in cinque
anni di guerra.
Esattamente l'obiettivo del piano.
Ora,
come Segretario
Generale
aggiunto
delle Nazioni Unite per gli affari politici, non ci si può aspettare
che Jeffrey Feltman, come il proverbiale gattopardo,
abbia cambiato le sue posizioni. Di fatto, il Segretario
Generale
aggiunto
delle Nazioni Unite ai colloqui di Ginevra può sabotare
sapientemente qualsiasi esito positivo in termini di un cessate il
fuoco in Siria in
modo che
si
possa
preparare la strada a elezioni nazionali pacifiche prive di
malversazioni saudite, turche o del Qatar.
La
strategia dei Sauditi: Incolpare
i Russi
e Assad
per il fallimento dei negoziati.
A
Ginevra, l'"opposizione" sostenuta dall'Arabia Saudita, la
pomposa HNC,
High
Negotiations Committee
(Alto
Comitato per i Negoziati),
i cui membri sono stati scelti dalla monarchia saudita come lealisti
tribali sunniti, descritta
dai
media come "la più importante alleanza dell'opposizione" ,
non
ha fatto altro che sconvolgere
ogni tentativo,
insistendo sul fatto che nessun colloquio di Ginevra può andare
avanti,
a meno che l'ONU non ponga fine ai
"crimini"
del
governo siriano come pre-condizione
per la loro partecipazione. Infine, il 2 febbraio, la delegazione
saudita di HNC di Ginevra si
è ritirata dai
colloqui, di fatto annullando
l'intero sforzo. La loro giustificazione era una bugia. Hanno addotto
come motivazione della loro fuoriuscita
il continuo bombardamento di sostegno russo per liberare Aleppo e
altre città dall'assedio
terrorista,
incolpando la Russia e Assad per violazione del "diritto
internazionale". Ovviamente
non
hanno specificato quale legge o
diritto avessero
in mente.
In
particolare, Farah al-Atassi, portavoce del Comitato per le alte
negoziazioni, ha accusato, in modo del tutto falso, che un'offensiva
russo-siriana contro il DAESH o l'ISIS e il gruppo terroristico Al
Qaeda chiamato Al Nusra Front erano il motivo del gruppo per
rifiutare l'incontro:
"Il
nostro l'obiettivo è garantire l'immediata attuazione dei paragrafi
12 e 13 della risoluzione 2254 del Consiglio di sicurezza delle
Nazioni Unite prima dell'inizio di qualsiasi negoziato. È chiaro
dalla situazione attuale che il regime e i suoi alleati - in
particolare la Russia - sono determinati a respingere gli sforzi
delle Nazioni Unite per attuare il diritto internazionale ".
Il
paragrafo 12 della risoluzione del Consiglio di sicurezza delle
Nazioni Unite del dicembre 2015 è qui estratto: " 12. invita le
parti a consentire immediatamente alle agenzie umanitarie un accesso
rapido, sicuro e senza ostacoli attraverso la maggior parte delle
rotte dirette, consentendo un'assistenza umanitaria immediata per
raggiungere tutte le persone bisognose, in particolare in tutte le
aree assediate e difficili da raggiungere ... " Questo sforzo
umanitario con derrate
e voli medici dell'Air Force Siriana è stato costantemente sabotato
da DAESH e Al Nusra e altri gruppi terroristici legati all'Arabia
Saudita. Inoltre, l'articolo 13 non dice nulla su un completo
cessate il fuoco PRIMA che i colloqui di Ginevra possano persino
iniziare. Il paragrafo 13 è estratto qui: "13. Esige che tutte
le parti cessino immediatamente qualsiasi attacco contro civili e
oggetti civili in quanto tali, compresi attacchi contro strutture e
personale medico,
e qualsiasi uso indiscriminato di armi, anche attraverso
bombardamenti e raid
aerei,
accoglie
con favore l'impegno dell'ISSG a pressare
le parti in materia,
e chiede inoltre che tutte le parti rispettino immediatamente gli
obblighi previsti dal diritto internazionale, ivi compreso il diritto
internazionale umanitario e il diritto internazionale in materia di
diritti umani, come applicabile".
Ora,
con la perfetta orchestrazione di Washington, il loro uomo alle
Nazioni Unite, Feltman, il
Principe
Salman e Recep Tayyip Erdogan, la miccia sta per essere accesa su
quello che si preannuncia come uno dei casi più drammatici di
"smembramento nazionale" dal 1939 . Accade
invece che mentre il
"solo
troppo intelligente"
Principe Salman ed Erdogan vengono
convinti dal
suadente e
sottile incoraggiamento di
John Kerry, da Joe Biden e da quelli di Washington che danno
una luce verde per invadere e prendere il controllo del petrolio e
del gas
dei giacimenti siriani e irakeni,
vicini
di casa
della
Turchia, con
le
sue immense ricchezze petrolifere di Mosul, in
realtà essi
stanno per cadere in un'orrenda trappola.
Questa
trappola vedrà probabilmente la mappa dell'intero Medio Oriente
ridisegnata fondamentalmente per la prima volta dopo
l'accordo segreto britannico-francese
(e russo fino alla presa del potere bolscevico
nel 1917) Sykes-Picot Plan. Come nel 1916, non saranno né i
cartografi né i geografi di Riyadh o Ankara a tracciare i nuovi
confini. Lo faranno quelli anglo-americani, almeno questo è il
piano. Sembra che noi americani in questi giorni possiamo solo
organizzare guerre. In
questo modo costruiamo
la nostra industria con macchine di qualità, acciaio, macchine
utensili.
(*)
F.
William Engdahl è consulente e docente
di
rischio strategico, ha conseguito una laurea in politica presso la
Princeton University ed è un autore di best-seller su petrolio e
geopolitica, in esclusiva per la rivista online "New Eastern
Outlook" .
domenica 16 settembre 2018
Idlib: I "Guardiani della Religione" ...ovvero la nuova ala armata di Al Qaeda in Siria
Immagine di miliziani di Jaysh al-Badia, membri di Hurras al-Deen, che entrano in combattimento con una bandiera con il logo di "Al-Qaeda"
Comité Valmy, 13 settembre 2018
Traduzione in italiano di Gb.P.
La
complessità del dossier Idlib legata alla molteplicità delle
interferenze regionali e internazionali, ai conflitti di interesse
tra i belligeranti e all'escalation dei combattimenti raggiunge una
nuova dimensione in relazione alle organizzazioni armate sul terreno;
queste ultime stanno considerando la loro integrazione in
organizzazioni meglio dotate di mezzi militari e materiali, come il
Fronte di Liberazione Nazionale [al-jabhat al-watania lil'tahrir]
sostenuto dalla Turchia, il Fronte al-Nusra e l'Organizzazione dei
guardiani della religione [Tanzim Hurras al-Dine] tutti
ideologicamente legati ad Al Qaeda.
Per
quanto riguarda il Fronte Al-Nusra, avendo la Turchia alla fine
accettato, sotto la pressione dei Russi, di collocarlo nella sua
lista delle organizzazioni terroristiche, per un ultimo tentativo di
separare i cosiddetti gruppi armati "estremisti" dai gruppi
suoi alleati che essa descrive come "moderati", molti dei
suoi combattenti saranno indotti a cercare la loro salvezza unendosi
al Tanzim di Hurras al-Deen [THD]; un'organizzazione nata nel
febbraio 2018.
Una
tempistica che spinge qualsiasi osservatore della situazione siriana
a interrogarsi sulle ragioni e sugli obiettivi della creazione di
questo secondo braccio armato di Al-Qaeda in questo ultimo "quarto
d'ora" della guerra in Siria. Domande le cui risposte derivano
dall'osservazione dei conflitti tra i gruppi armati dentro Idlib che
riflettono, in primo luogo, gli interessi contrastanti degli Stati
che li sostengono e la necessità di creare un sostituto per il
Fronte al-Nusra per il recupero dei suoi leader in caso di un accordo
sulla sua eliminazione. Da qui il ruolo svolto dalla CIA
nell'emergere del THD, che è stato schierato nelle aree
precedentemente invase dall'organizzazione Jound al-Aqsa [I soldati
di al-Aqsa] notoriamente sostenuta dagli Stati Uniti prima che
fossero costretti a metterla nella lista delle organizzazioni
terroristiche; specialmente nel nord della provincia di Hama e in
alcune zone intorno a Sarmine, vicino alla città di Idlib.
Da
notare che il THD si è rivelato più generoso dell'organizzazione
Jound al-Aqsa, offrendo stipendi di 200.000 Lire siriane e che il suo
finanziamento, di origine oscura, passa attraverso le banche
kuwaitiane che sono sotto il controllo del sistema bancario
statunitense.
È
quindi molto probabile che presto vedremo aumentare l'attività dei
'Guardiani della Religione' THD a spese di altre organizzazioni
armate, anche se l'accordo regionale e internazionale per eliminare
il Fronte al-Nusra si è rivelato simbolico. A sostegno di questa
tesi:
1.
Lo sfruttamento da parte del THD della sua grande fedeltà ad al
Qaeda e il reclutamento di nomi diventati famosi sul campo di
battaglia, per meglio accreditarsi sul mercato dei finanziatori del
takfirismo e dei sostenitori preoccupati di farlo tornare al suo
glorioso passato, in Siria. Tra queste celebrità: Abu Hammam
al-Shami, soprannominato "Abu Hammam al-Askari", che ha
preso il comando del THD; l'ex comandante militare di al-Nusra,
Samir al-Hijazi; il giordano Iyad Tubas, espulso dalla Siria
meridionale due anni e mezzo or sono, soprannominato "Abu
al-ourdouni Julaybib"; Bilal Khreissate soprannominato "Abu
Khadija al-Urdini"; questi ultimi due hanno contribuito ad
attrarre la corrente salafista giordana e altre correnti salafite dei
paesi del Golfo. In questo, i 'Guardiani della Religione' mostrano
l'immagine che si vuole dare: quella di un'organizzazione che ha
rifiutato la separazione di Al-Nusra da Al Qaeda, ha formato un corpo
militare indipendente, ha dichiarato la sua fedeltà ad Al Qaeda e
agisce sotto la sua direzione e secondo la sua dottrina.
2.
Il reclutamento del maggior numero di combattenti stranieri e
locali possibile, in modo che il THD abbia un peso importante nel
nord del paese. Infatti, dal suo inizio il THD ha raccolto circa
9.000 combattenti [e quindi, tanti combattenti terroristi a Idlib
quanti sono i combattenti statunitensi nella Siria nord-orientale]
cifra che dovrebbe triplicare e persino quadruplicare in base alle
previsioni grazie al suo finanziamento e al suo coordinamento. Tra
queste reclute troviamo ex di Daesh (ISIS) che erano stanziati a
Idlib, oltre a noti terroristi che hanno preso parte ai combattimenti
in Iraq e in Afghanistan, dove hanno acquisito grande esperienza nei
combattimenti e probabilmente nella raccolta di informazioni;
abilità che possono rafforzare i suoi legami con la leadership
centrale di Al-Qaeda ed estendere la sua rete di contatti a diverse
sezioni dell'organizzazione terrorista.
3.
L'esasperazione delle tensioni militari e politiche a Idlib:
alcune fonti indicano che i servizi segreti statunitensi cercano di
riunire tutti gli estremisti arabi e stranieri all'interno del THD al
fine di raggiungere diversi obiettivi:
•
Trasferire la maggior
parte di queste reclute in quello che chiamano "Ard al-Tamkin"
[la Terra del Califfato] in Libia e sul Sinai egiziano, per
riciclarle poi in nuove battaglie.
•
Logorare il più possibile
l'Esercito Arabo Siriano nella battaglia imminente di Idlib, partendo
dal principio che gli adepti di THD sono estremisti e stranieri con
fede nella dottrina della morte, non interessati nel processo di
riconciliazione.
•
Tirare il tappeto sotto i
piedi dei Turchi minando il loro ruolo nei colloqui di Astana e
privandoli della carta del Fronte al-Nusra, da un lato; e torcere
loro il braccio costringendoli a sottomettersi di fronte al rischio
di attacchi terroristici di THD all'interno del loro territorio,
dall'altro. In quest'ultimo caso, possiamo dire che Washington e
Riyad sarebbero i primi beneficiari.
Quindi
è chiaro che nell'ultimo quarto d'ora della crisi siriana vedremo
tutti i tipi di eventi drammatici con il ricorso a tutte le possibili
mosse contorte, come le accuse sull'uso di armi chimiche da parte
dell'Esercito Siriano, come si sta sbandierando al momento, al fine
di giustificare una conseguente probabile aggressione straniera e
cercare di salvare quelli che possono salvare tra gli estremisti
armati, evacuandoli attraverso "corridoi sicuri" verso
altri campi di combattimento .
Pertanto,
probabilmente non sarà una sorpresa concludere che quando Staffan de
Mistura - inviato speciale delle Nazioni Unite in Siria - riduce il
numero di terroristi nella provincia di Idlib a 10.000 [Consiglio di
sicurezza del 7 settembre 2018] e propone di offrirsi personalmente
ed andare lì egli stesso per assicurare un corridoio di uscita...
tende a servire lo stesso progetto:
"Probabilmente
ricorderete l'orribile periodo ad Aleppo, quando i combattenti di
al-Nusra rifiutarono la mia offerta di accompagnarli fuori dalla
città ... e alla fine partirono per Idlib. Per questo abbiamo perso
almeno due mesi e migliaia di persone sono morte ... Quindi, ancora
una volta, sono pronto a impegnarmi personalmente e fisicamente.
Questa volta con la cooperazione del governo [siriano] poiché esso
controlla le aree circostanti. Sono pronto a fornire un corridoio
umanitario temporaneo in modo che i civili possano partire e tornare
a casa incolumi quando tutto sarà finito "[*].
NdT Comité Valmy : Ci ricordiamo in particolare signor de Mistura, la sua proposta di
un "blocco dei combattimenti" ad Aleppo, seguita da quella
di creare "commissioni locali per terroristi" nelle parti
orientali della città. Come dimenticare? Oggi Aleppo, liberata dai
terroristi, ma non ancora dalle loro bombe, vive di nuovo. E' fuori
questione che il governo siriano le consenta di farla di nuovo
sanguinare. Così come è fuori questione che Idlib e il popolo
siriano debbano continuare a essere dissanguati sotto i colpi della
diplomazia dell'ONU che si pretende umanitaria, ma certamente è
inumana.
Mohammad
Nader al-Oumari , Scrittore e ricercatore
|
venerdì 14 settembre 2018
«L’Isis è pronto a rinascere. Con i bambini». Un documentario inquietante.
Tutte le guerre "civili" una
volta finite, lasciano scie di odio, di risentimento e di vendetta a
prescindere dagli interessi in gioco e dagli attori belligeranti. Il
quadro che questo documentario ci mostra però è qualcosa di più
terribile e pericoloso. Lo è proprio per i semi ideologici/religiosi
del fanatismo jihadista che entro pochissimi anni potrebbero
germogliare e deflagrare in altre più terribili guerre.
Isis, Tomorrow. The Lost Souls of Mosul
di Luca Balduzzi
«L’Isis è pronto a rinascere. Con i bambini». Non hanno il minimo dubbio Francesca Mannocchi e Alessandro Romenzi, rispettivamente giornalista e fotografo collaboratori del settimanale L’Espresso, nonché autori e registi del documentario Isis, Tomorrow - The Lost Souls of Mosul, presentato fuori concorso alla settantacinquesima edizione della Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia. «Oggi lo Stato islamico cova sotto la cenere. Indottrinando i mujahiddin del futuro».
Che cosa è rimasto del Califfato dopo la liberazione di Mosul, il bastione dell’Isis in Iraq? Ma, soprattutto, quale futuro avranno gli orfani e le vedove dei miliziani che si sono immolati per la causa? Padri e sposi che alcuni figli e mogli hanno ammirato e non smetteranno mai di ricordare come degli eroi.
E questo bel risultato a chi lo
dobbiamo? La risposta è tanto semplice quanto negata: gli USA e i
loro proxi in Medio Oriente con un pretesto sempre diverso hanno
sfruttato, quando non direttamente creato, addestrato e finanziato,
sia l'ISIS che le altre milizie Jihadiste in Iraq e in Siria (e
altrove) in funzione destabilizzatrice, per arrivare a cambi di
regime e alla predazione delle risorse di questi Paesi. Quel 'caos
creativo' tanto caro ai neoconservatori di cui era punta di diamante
il senatore Mc Cain, “eroe del Vietnam” recentemente scomparso.
C'è però un altro genere di seme che
è stato abbondantemente sparso in queste terre: si tratta del sangue
dei Martiri Cristiani che da sempre rigenera la vita e il futuro
delle comunità e delle nazioni. Secondo molte testimonianze ci sono
anche tante conversioni dall'Islam al Cristianesimo che per ovvie
ragioni non vengono palesate e pubblicizzate; un differente Fuoco di
tipo spirituale cova e c'è solo da sperare che divampi con nuovi
frutti di tolleranza e di pacifica convivenza e collaborazione.
E' avvenuto nei secoli e può
riaccadere oggi e nei giorni a venire.
Questa è la nostra speranza e la
nostra preghiera.
Gb.P. , OraproSiria
A Venezia il futuro dello Stato
islamico
Presentato fuori concorso il 30 agosto
alla 75.ma Mostra del Cinema di Venezia, un documentario su Mosul
(Iraq) dopo il passaggio dell'Isis. I semi dell'odio germoglieranno
ancora.
Isis, Tomorrow. The Lost Souls of Mosul
«L’Isis è pronto a rinascere. Con i bambini». Non hanno il minimo dubbio Francesca Mannocchi e Alessandro Romenzi, rispettivamente giornalista e fotografo collaboratori del settimanale L’Espresso, nonché autori e registi del documentario Isis, Tomorrow - The Lost Souls of Mosul, presentato fuori concorso alla settantacinquesima edizione della Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia. «Oggi lo Stato islamico cova sotto la cenere. Indottrinando i mujahiddin del futuro».
Che cosa è rimasto del Califfato dopo la liberazione di Mosul, il bastione dell’Isis in Iraq? Ma, soprattutto, quale futuro avranno gli orfani e le vedove dei miliziani che si sono immolati per la causa? Padri e sposi che alcuni figli e mogli hanno ammirato e non smetteranno mai di ricordare come degli eroi.
«Amavo
mio marito. Molto», racconta
una vedova,
mostrando le foto del coniuge con un fucile in mano, una sorta di
cartoline «dalla terra del Jihad».
«Lo vedevo così convinto che poi mi sono convinta anch’io. Lui
combatteva in nome dell’Islam. Come è scritto nel Corano:
“Combattete i miscredenti dovunque li troviate”. Noi siamo
cresciuti credendo in questo».
«Vedove
reiette, stigmatizzate, dolenti ma non pentite, che stanno diventato
reclutatrici involontarie dei loro stessi figli, nati
per diventare martiri,
nati per essere il futuro del Califfato», aggiungono i due autori e
registi del documentario. «I semi dell’Isis sono già a Mosul.
Sono i bambini, l’arma più potente del Califfo. Il mattone più
solido del progetto».
Ancora: come
si sta comportando l’Iraq nei
confronti di questi orfani e di queste vedove? E come tratta i
bambini e le vedove civili che hanno perso i propri genitori e i loro
mariti, decapitati, fucilati o lapidati nelle piazze?
«Ovunque
vada mi gridano “Sei dell’Isis, sei dell’Isis”», racconta un
ragazzo. «Mi dicono che sono un
figlio dell’Isis.
Mi insultano. Se fossimo morti sarebbe andata meglio. Perlomeno non
ci direbbero che siamo dell’Isis». «Gli occhi di tutti sono
puntati su di noi», racconta un’altra donna. «Ci trattano come
dei prigionieri di guerra. Un uomo mi ha minacciata: “Daremo fuoco
alle vostre tende”. Gli ho risposto: “Invece di bruciare le
tende, perché non ci metti tutti in fila, donne e bambini, ci uccidi
e ti vendichi?”».
Sul
versante opposto, un bambino iracheno racconta: «Mio zio e mio
cugino sono stati uccisi dall’Isis. C’erano
dei bambini con loro. Moltissimi bambini. Hanno imparato a
combattere e
a chiamare le persone “apostata” o “infedele”. Ho visto
bambini della mia età, più grandi e più piccoli impugnare le
armi». «Una volta, mia madre non era vestita nella maniera
corretta, hanno cominciato a frustarla sulla schiena, davanti a
tutti. Ero lì assieme a lei. Se avessi potuto, li avrei uccisi. Se
fossi stato armato, avrei sparato. Spero che Dio faccia giustizia.
Spero che vengano uccisi loro e le foro famiglie».
«La
vendetta regola le azioni e le valutazioni. E in questo, ahimè,
niente di nuovo quando si parla di guerra e dopoguerra», soggiungono
la Mannocchi e Romenzi. «Perché li considerano perduti, perché
rischiano di diventare peggiori dei padri, perché il
degrado del dopoguerra non può che abbruttirli,
perché i sopravvissuti saranno marchiati per sempre e quel marchio
che all’inizio sarà un’onta negli anni diventerà un segno di
riconoscimento, un fattore unificante, una ideale medaglia alla
continuità del progetto del Califfato».
Per
raccontare quello che sta succedendo a Mosul «abbiamo
cercato la fiducia dei colpevoli»,
spiegano i due autori e registi, già alle prese con un’inchiesta
su questo argomento pubblicata sull’Espresso a metà agosto, «e ci
siamo posti, senza pregiudizi, in loro ascolto».
Il
documentario «nasce dall’esigenza
di riportare un grado di complessità alla natura di fenomeni
ampi che
condizionano la vita quotidiana di milioni di persone»,
proseguono. «Nasce poi dall’urgenza di raccontare qualcosa
che è già sotto i nostri occhi, ma resta scientemente ignorato».
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