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lunedì 17 luglio 2017

Siria, sei anni di guerra... dopo l'incubo, i sogni o la realtà? (1)


Vogliamo proporvi l'intervento dell' ex ambasciatore Michel Raimbaud al convegno organizzato da "Chrétiens d’Orient pour la paix" il 27 giugno 2017 : egli vi dipinge il risultato terrificante di questa guerra che dura dall'inizio del 2011. 
Ci pare che l'autorevole diplomatico francese colga l'orizzonte globale in cui si colloca il conflitto e ne illustri senza infingimenti dinamiche e responsabilità. 
Qui la prima parte del testo da noi tradotto dal francese, il seguito domani. 
Grazie per la vostra attenzione
   Gb. P.
I / Un conflitto universale
Un brutto giorno del mese di marzo del 2011, fu dato il "calcio d'inizio" a questa interminabile guerra siriana che oggi è l'oggetto delle nostre riflessioni. Chi avrebbe potuto immaginare che questa guerra si sarebbe installata nella pubblica opinione con l'etichetta della cosiddetta "guerra dimenticata" tra un movimento popolare "democratico e pacifico" e un "regime massacratore", una buona causa da difendere da parte delle élites (di destra o di sinistra) che da vent'anni hanno cementato un comune consenso attorno a tutte le certezze morbide ereditate da un "neoconservatorismo" all'americana. L'adesione, spontanea o calcolata, ai "valori" veicolati da questo consenso, firmando la loro fedeltà (o la loro appartenenza) allo "Stato profondo", dà loro il diritto (ma dovremmo dire il privilegio) di parlare dalle antenne, dagli schermi e nei notiziari.
E' grazie a questa fede ideologica sommaria che il nostro mainstream si polarizza rapidamente sull'urgenza di "abbattere Bashar" e rovesciare "il regime siriano" adoperandosi (con un certo successo) per far condividere questa ossessione ad ampi settori della popolazione.
Nel paesaggio audiovisivo, intellettuale e politico, nascerà come per incanto un fronte compatto e senza remore che contribuirà a rendere irrilevanti i dissidenti dalla narrazione ufficiale. Il conflitto siriano sarà catalogato immediatamente come un episodio delle "primavere arabe", in linea con quelle di Tunisi, dell'Egitto, dello Yemen, della Libia, e una volta per tutte si decreterà che uno scenario come quello libico è ineluttabile anche per la Siria.
Un tempo si credeva che il lavaggio del cervello fosse appannaggio dei regimi totalitari: adesso, il conflitto in Siria, come prima la Libia, ha dato alle "grandi democrazie", compresa la nostra, l'opportunità di mostrare le proprie competenze in materia. Oscurando totalmente la condanna a morte di un popolo abbarbicato alla sovranità, all'integrità e all'indipendenza del proprio Paese, tacendo sulle distruzioni di massa, falsificando la realtà, è la resistenza stoica del popolo siriano che viene deliberatamente ignorata, l'immagine eroica di un esercito nazionale che sarà sfigurata: la negazione e il colpevole silenzio amplificano di molto ogni sofferenza.
Bisogna ben dirlo: l'impegno a deporre Bachar al Assad (che "non merita di essere sulla terra", ma sarebbe meglio "un metro sotto terra"), la volontà di distruggere (Bashar forse non sarà deposto, ma avremo distrutto la sua Siria, come osò dire di recente un avversario democratico "moderato") e la volontà di uccidere (siamo pronti a sacrificare i due terzi del popolo siriano, al fine di salvare l'ultimo terzo) non hanno poi scioccato un granché molte persone di questa parte del mondo durante questi anni di devastazione della legalità e della moralità internazionale. Malgrado le contraddizioni, le prove, le rivelazioni, le testimonianze, ci sono ancora dei fanatici o degli ingenui senza speranza, che ostinatamente difendono la tesi che la guerra in Siria sarebbe niente più che la lotta di un popolo in rivolta contro un regime oppressivo. Un episodio della "primavera araba" che è andato storto, ma non è detta l'ultima parola...
Tuttavia, quando è troppo è troppo. I ranghi dei fochisti e dei carbonai della " rivoluzione" alla fine saranno chiari. Quando si ha il naso immerso nelle rovine del caos creatore, se non si hanno gli occhi colmi di spavento davanti alla ferocia e la coscienza rivoltata di fronte alla gestione della barbarie jihadista, significa che si è scelto di chiudere gli occhi. Bisogna essere ciechi ed accontentarsi di analisi preconfezionate o di idee ricevute per non vedere nella tragedia siriana altro che un evento banalizzato dentro la sequenza epidemica di "primavere arabe" sparse. Bisogna avere un cervello scadente o particolarmente sempliciotto per negare per principio di inserire questa tragedia nel SUO VERO CONTESTO, che evidentemente si riferisce alle crisi ed alle guerre degli ultimi decenni. È quello di un'impresa geopolitica e geostrategica globale di destabilizzazione e di distruzione, ispirata, pianificata, annunciata e condotta dall'Impero sotto direzione américano-israeliana, utilizzando sistematicamente dei regimi asserviti e dei complici di circostanza (islamisti nella fattispecie) la cui agenda, per differente che sia, è compatibile nel breve e medio termine con quella dei padroni atlantici.
Visto attraverso la lente dei neo-cons che lo ispirano ormai dall'ultimo quarto di secolo, l'Occidente (l'America, Israele ed alleati europei) mira come sua vocazione a competere con l'Eurasia russo-cinese la padronanza del pianeta, e la decostruzione del mondo arabo musulmano che separa questi due insiemi è una condizione imposta dalla geopolitica. Per le forze islamiste radicali, la decomposizione degli Stati di questa "cintura verde musulmana" in entità su base etnica o confessionale è il prerequisito per la creazione di una poltiglia di Emirati, tappe incerte verso la rifondazione di uno Stato islamico basato sulla Sharia (legge coranica) o il ripristino del Califfato, un secolo dopo la sua abolizione. Per motivi storici, culturali, religiosi, politici e geopolitici, la Siria è il centro e l'epicentro di questo confronto il cui esito sarà cruciale per l'istituzione del futuro ordine mondiale in divenire.
In ogni caso, è difficile negare che le guerre di Siria (o le guerre in Siria) sono degenerate in un conflitto universale tra due campi, uno che ha dimostrato la sua forza e il secondo che si trova in completa disarticolazione:
- il campo della Siria legale e i suoi alleati (Iran, Hezbollah, Russia e Cina, e per estensione i paesi BRICS), ma anche di paesi come l'Algeria e sempre di più l'Iraq, le sue forze armate, Hachd al Chaabi (raggruppamento popolare), lo Yemen "legale" del Presidente Ali Abdallah Saleh e altre forze resistenti all'egemonia.
- Il campo avversario: regimi islamici (Turchia, Arabia Saudita, Qatar ed Emirati del Golfo Persico), i terroristi e jihadisti nonché gruppi di miliziani, finanziati, armati, supportati da Israele e, purtroppo, dagli occidentali. Tutti questi avversari della Siria"legale" si consulteranno regolarmente come parte del gruppo "amici della Siria".


Questo scontro universale, che ha conosciuto in più di sei anni numerosi sviluppi, si può riassumere (ho provato a farne una descrizione nel mio libro "Tempesta sul grande Medio Oriente" pubblicato nel febbraio 2015, e poi a febbraio 2017) in una buona dozzina di conflitti uno più spetato dell'altro, mescolando l'odore di santità con l'odore del gas, le illuminazioni messianiste e le ambizioni strategiche, i riferimenti ai valori morali e i valori dei mercato, la guerra santa a sfondo religioso e la lotta profana per il potere politico.
1/ Sulla questione siriana propriamente detta:
1/ E' inizialmente una guerra per il potere, condotta dalla cosiddetta opposizione "democratica e pacifica" contro l'oppressione di un "regime assassino"
2/ Questa lotta interna diverrà rapidamente militare, trasformata dalla penna degli analisti in una "guerra civile", che non lo è affatto in quanto viene importata ...
3/ Infatti, il conflitto sarà internazionalizzato dall'intervento massiccio dei regimi sunniti radicali e di combattenti stranieri a fianco dell'opposizione (pesantemente) armata, poi per l'ingerenza ed il sostegno aperto degli Occidentali, diventando chiaramente una guerra di aggressione, che è crimine internazionale per eccellenza, secondo il Tribunale di Norimberga.
4/ Questa guerra costituirà di fatto un politicidio (che è contro un Stato ciò che l'omicidio è contro un essere umano) mirando a provocare l'implosione dello Stato-nazione siriano in mini-entità a base confessionale o etnica, conformemente ai piani israelo-americani. È l'obiettivo del Protocollo di Doha adottato sotto l'egida del Qatar nel novembre 2012 dalla Coalizione Nazionale siriana delle Forze dell'opposizione e della Rivoluzione.
2/ Sotto l'aspetto religioso:
5/ E' una guerra in nome dell'islam contro un "regime empio", sotto la bandiera della Jihad, "gestita con la ferocia e la barbarie", che è la strategia ufficiale dello Stato Islamico (Da'ech).
6/ riciclata come guerra santa dagli islamisti, la guerra di aggressione, quindi, verrà ben presto ridefinita dalla comunità internazionale come una guerra terroristica.
7/ E quindi genererà una ripresa della guerra globale contro il tal terrorismo, considerato (almeno a parole) come il nemico numero uno di tutti i paesi, una guerra destinata a servire come una foglia di fico per la guerra di aggressione contro la Siria.
8/ Un attacco dei radicali sunniti wahabiti (e simili) contro "l'asse sciita" che va da Teheran fino al Libano attraverso la Siria e l'Iraq, presentato dai wahhabiti e dei loro alleati come componente della lotta anti-terrorismo.
9/ Un'accanita guerra tra i due campi del radicalismo sunnita (Turchia e Qatar contro Arabia Saudita, Fratelli Musulmani contro wahabiti) per la gestione dell'Islam sunnita e dell'Islam.
3/ Dal punto di vista geopolitico :
10/ Una guerra per procura (proxi-war) tra l'Eurasia e l'Occidente atlantista
11/ Una guerra per l'energia, nella fattispecie per il gas
12/ Una guerra per l'interesse superiore di Israele, onnipresente nelle preoccupazioni americane e occidentali
13/ A coronamento di tutto, un risiko planetario giocato sulla "grande scacchiera" che ha come obiettivo il controllo del "Grande Medio Oriente" riaggiornato, la leadership nel mondo.
Il tributo di vite umane, il costo materiale e finanziario delle sole guerre siriane è terrificante, come il bilancio generale della "democratizzazione del Grande Medio Oriente" che dobbiamo a George W. Bush e ai suoi scagnozzi.
II/ Per legittima difesa, la Siria sta facendo valorosamente fronte alla guerra di aggressione
1/ La legittimità dello Stato siriano.
Membro delle Nazioni Unite, la Siria è uno stato indipendente e sovrano. Il suo regime è repubblicano in stile laico. Parlando di "regime siriano" per descrivere il suo governo, ovviamente si cerca di delegittimarlo, a dispetto di un principio generalmente dimenticato: mentre noi volentieri ricordiamo il diritto dei popoli all'autodeterminazione, spesso ci dimentichiamo del diritto degli Stati di decidere il loro sistema politico, senza alcuna interferenza straniera.
Secondo il diritto internazionale, il governo detiene il monopolio dell'uso legale della forza: questo deve essere ricordato a tutti coloro che sognavano di distruggere uno Stato recalcitrante, a coloro che volevano "ucciderlo politicamente", perché ha resistito ai loro obiettivi neocoloniali.
L'Esercito Arabo Siriano non è "l'esercito del regime alawita", ma un esercito nazionale di coscritti con chiamata alle armi. Esso ha il diritto assoluto di riconquistare o liberare qualsiasi parte del proprio territorio senza chiedere il permesso a nessuno. Ripristinando la sovranità dello Stato sul suolo nazionale, non fa altro che consentire allo Stato, di cui esso è uno degli organi legali, di esercitare il suo diritto di controllo del territorio. Non fa che affermare il diritto della Siria a preservare la sua sovranità, la sua integrità, la sua indipendenza.
Da oltre sei anni, un paese che non ha aggredito nessuno deve resistere a una guerra di aggressione che coinvolge in un modo o nell'altro (abitanti, militari, governi ...) più di cento membri delle Nazioni Unite, scontrandosi inoltre con un apparato internazionale e un'ONU tutt'altro che neutrale. La resistenza del "regime siriano" e dei suoi alleati ha comunque bloccato l'impresa della compagnia dei "neocon" e dei takfiristi, tanto che anche i suoi detrattori e nemici ammettono ormai (come l'ex ambasciatore americano a Damasco Robert Ford) che la Siria ha potenzialmente vinto.
   prima parte....   Testo in francese:  
http://arretsurinfo.ch/syrie-six-ans-de-guerre-apres-le-cauchemar-les-reves-ou-la-realite/

venerdì 14 luglio 2017

Kurdilandia, ovvero il paese artificiale

Scrive su MintPress Sarah Abed analizzando il ruolo che alcune fazioni kurde hanno giocato durante la storia: i Kurdi hanno aiutato le maggiori potenze a creare il caos in Medio Oriente - dalla rivolta kurda in Iraq negli anni '60 al conflitto in corso in Siria oggi.
Ancora oggi, essi si rivelano l'arma di USA e Israele per la destabilizzazione del Medio Oriente, in cui gli interessi petroliferi giocano un ruolo primario:


In questo quadro si comprendono le preoccupazioni espresse a Fides dal Vescovo di Hassakè mons Hindo :

Offensiva “autonomista” dei curdi a Hassaké. L'Arcivescovo Hindo: si sentono protetti dagli americani

I militanti e i miliziani che fanno capo al Partito Democratico Curdo (PYD), braccio siriano del Partiya Karkeren Kurdistan (PKK), hanno iniziato a realizzare nei fatti il loro intento – coltivato da anni - di creare una regione autonoma curda nella regione siriana di Jazira, che nei media curdi già viene indicata col nome curdo di Rojava.
Nella provincia siriana nord-orientale di Hassaké, l'auto-proclamata amministrazione autonoma di Rojava ha iniziato a implementare un sistema di tassazione locale per sovvenzionare i pubblici servizi della regione. Secondo quanto affermano i responsabili del progetto, le tasse saranno utilizzate per sostenere i servizi sanitari e educativi locali, per migliorare il sistema di sicurezza e anche per affermare con più forza nelle istituzioni e nella vita sociale i diritti delle donne. Il programma di tassazione prevede imposte per tutti i cittadini che hanno entrate mensili pari o superiori a 100mila lire siriane (circa 200 dollari), e quindi dovrebbe coinvolgere circa il 75 per cento della popolazione locale.
Oltre a cercare di imporre questo nuovo sistema di tasse” riferisce all'Agenzia Fides l'Arcivescovo siro cattolico Jacques Behnan Hindo "quelli del PYD hanno anche requisito e chiuso le scuole. Metà le hanno trasformate in caserme, e nelle altre hanno detto di voler introdurre nuovi programmi scolastici, che verranno realizzati in lingua curda. Tempo fa hanno provato anche a espropriare un terreno appartenente alla nostra Chiesa, ma lo hanno subito restituito, dopo che io avevo inviato lettere di denuncia sia alla Nunziatura che ad alcuni dei loro responsabili”.
Secondo l'Arcivescovo Hindo, che guida l'Arcieparchia siro cattolica di Hassaké-Nisibi, anche la regione di Jazira è coinvolta nella delicata e complicata partita geopolitica che si sta giocando in tutta la regione, e che ruota anche intorno alla 'questione curda': 
I militanti curdi del PYD” riferisce a Fides l'Arcivescovo Hindo “si sentono forti perché credono di avere l'appoggio degli USA. Io li ho messi in guardia: guardate, gli americani prima o poi se ne andranno, e voi vi troverete peggio di prima. Questi militanti sono collegati al PKK, che opera in Turchia, e dicono di aspirare soltanto a una maggiore autonomia locale, senza perseguire mire indipendentiste. Inoltre, sono nemici dei curdi di Masud Barzani, che in Iraq stanno invece marciando verso il referendum per proclamare la piena indipendenza del Kurdistan iracheno. Qui da noi, il progetto di una amministrazione autonoma sostenuto del PYD sembra andare avanti perché loro hanno le armi, ma in realtà non riscuote consensi neanche da parte degli altri curdi. Tanto meno da parte delle tribù musulmane e di noi cristiani. E non credo che sarà mai accettato dal governo di Damasco”.

martedì 11 luglio 2017

Perchè l'Occidente non potrà e non vorrà lasciare vivere in pace la Siria

Vi propongo la mia traduzione di un articolo di Reseau International che ho trovato interessante: per comprendere le ragioni dell'impegno della Russia verso la Siria e la sua posta in gioco in questo duello tra poteri di cui purtroppo non si vede apparire la fine.
  Gb.P.


di Marcus GODWYN (Regno Unito)
Per tutti coloro che si sono risvegliati e sono diventati consapevoli delle cose, o in altre parole, sono fuggiti dal pozzo di menzogne e lavaggio del cervello messo in atto dai media occidentali, la lunga resistenza che dura da sei anni del popolo siriano contro lo "Stato profondo" (neocon e agenzie governative varie, ndt) degli Stati Uniti e relativi proxy terroristici, ISIS, truppe di Al-Qaeda, ecc., è stata profondamente tragica, ma storicamente un'ispirazione eroica per noi tutti. Sono sopravvissuti per quattro anni quasi completamente da soli, fino all'entrata della Russia, per combattere gli USA, la UE, combattenti terroristi di Israele che cercavano di guadagnare terreno sul territorio controllato dal governo siriano. La campagna della Russia è stata esemplare, quel che ne è risultato, al momento di scrivere queste righe, è stato un capovolgimento totale della situazione a svantaggio degli aggressori. Molti tessono a buon diritto le lodi dell'eroico esercito arabo siriano e dei suoi alleati russi, iraniani e di Hezbollah; tuttavia, ho sempre detto che questo ottimismo è fuori luogo, perché le forze che dirigono realmente il mondo occidentale non possono permettere in nessun modo che la Siria rinasca dalle sue ceneri.
Una Siria ricostruita che controlla la sua banca centrale e può emettere la propria moneta di cui ha bisogno, senza controllo esterno, né nessun debito con l'FMI o chiunque altro ( libertà più elementari e più essenziali che i paesi occidentali nella maggior parte non hanno più conosciuto da almeno un secolo.), che potrebbe, attraverso questo, essere in grado di offrire ai suoi cittadini (come ha fatto anche durante la guerra), l'istruzione gratuita fino alle scuole superiori, l'assistenza sanitaria e i servizi pubblici a costi estremamente bassi o gratuiti, QUESTA Siria è un anatema assoluto per i VERI leader del mondo occidentale. Il fatto che i diversi rami dell'Islam e in particolare il fatto che molti cristiani ortodossi in Siria vivano in pace tra loro, brucia la riserva frazionaria occidentale e la schiavitù del debito da parte delle élite bancarie come l'acqua benedetta brucia un vampiro.
I neo-conservatori, vale a dire le persone che dirigono di fatto lo Stato profondo americano, sono l'inferno rivolto al dominio totale del mondo e riescono attraverso il controllo delle banche centrali di ciascun paese e della loro libertà di emettere la propria moneta secondo il loro bisogno, ed una guerra spietata di cultura attraverso un'educazione per un livello culturale costantemente al ribasso con l'aiuto dei principali media.
In soli trent'anni, sono riusciti a trasformare l'occidentale medio in uno zombie la cui "comprensione" del mondo è fondata interamente su delle menzogne e spesso sul capovolgimento totale della realtà, dove la sua possibilità di pensare, di ragionare obiettivamente, la capacità di rappresentare se stesso correttamente e collocarsi nella storia, sono stati ridotti quasi a zero.
Un risorgente Siria sarà un fulgido esempio per il mondo, di come la vita potrebbe essere senza il pugno di ferro dei neocon sulla massa monetaria, sul sistema educativo, sui media, sport, arte e tutto il resto. Rinata, la Siria sarà un blocco di fronte al tanto propagandato "grande Israele" e ai piani occidentali per i gasdotti/oleodotti provenienti dal Qatar verso l'Europa (che potrebbe essere oppure no, visto le ultime vicende che riguardano il Qatar al momento). Infine e soprattutto, c'è il fatto che la sopravvivenza della Siria sarà uno dei principali ostacoli al progetto per il quale l'obiettivo finale è di sottomettere, conquistare e smembrare la Russia, che naturalmente è il primo motivo per il quale la Russia è venuta in aiuto della Siria! Questo è il motivo per cui non accetteranno, e dal loro punto di vista satanico non potranno accettare che la Russia consenta alla Siria di sopravvivere!
Al momento di scrivere queste righe (sera del 26 giugno in Europa) rapporti coordinati sono diffusi negli Stati Uniti, nel Regno Unito e in Francia, secondo i quali un "altro" attacco chimico contro il popolo siriano e "bambini innocenti" da parte del proprio governo e dal suo presidente è in preparazione e atteso da un momento all'altro e per il quale l'Occidente farà "pagare un prezzo molto pesante" al presidente Assad e al suo esercito "quando o forse ancor prima che questo avvenga." (attacco preventivo).
Ora, ovunque nel mondo, tutte le persone sane di mente, informate e sveglie sanno che il governo siriano non ha mai usato armi chimiche contro nessuno e mai lo farà. Sappiamo che questo non è mai avvenuto e che queste menzogne occidentali hanno il solo scopo di portare l'opinione pubblica ad accettare un'altra distruzione occidentale di umanità e di libera cultura, come con la Jugoslavia, l'Iraq, la Libia e ora la Siria, permettendo loro (i potentati sovranazionali, ndt) di avvicinarsi sempre di più al dominio assoluto di tutto il mondo e la riduzione in schiavitù di ogni anima umana. Quindi, quello che vediamo qui è un altro tentativo di utilizzare la stessa vecchia menzogna usata per giustificare un'azione occidentale per un cambiamento di regime, seguita dalla distruzione della Siria laica e civile.
Qualsiasi grande attacco occidentale o israeliano contro la Siria metterebbe la Russia in una situazione difficile, ed è precisamente questa la ragione per la quale alcune delle teste più calde dei capi delle élite occidentali potrebbero semplicemente decidere di correre il rischio.
Il governo russo ed il suo popolo non vogliono assolutamente una guerra e la Russia ha mostrato a più riprese le sue capacità di restare molto "zen" (calma ponderata, ndt) per disinnescare tutte le provocazioni aggressive che l'occidente ha fino qui tramato contro di lei, in Ucraina come in Siria. Non è necessario essere un analista militare o geopolitico per vedere che se la Russia resiste e risponde militarmente, questo potrebbe essere un rischio per un'escalation che condurrebbe direttamente alla terza guerra mondiale. Ciò è qualcosa che la Russia vuole evitare quasi a qualsiasi prezzo, ma se la situazione dovesse diventare esistenziale, sarebbe tutta un'altra cosa e, come molti hanno già commentato, i Russi sono informati e sono pronti a un punto tale che non si può dire in alcun modo delle popolazioni occidentali. La campagna di Russia in Siria ha portato ad un numero molto basso di vittime fino ad ora, ma ad un profilo molto alto. Tutti i morti, uomini e donne, del personale di servizio russo in Siria (tranne agenti segreti, si può supporre) sono stati resi noti ai media. Tutti sono stati sentiti come una grande perdita, ma alcuni di loro hanno causato particolare commozione. Il giovane soldato in ricognizione in una situazione disperata, circondato dai jihadisti dell'ISIS, per evitare di essere catturato e per garantire che tutti i terroristi fossero uccisi ha richiesto un attacco missilistico sulla sua posizione: cosa che è stata fatta. Il pilota che è stato colpito da un caccia turco e poi mitragliato dai terroristi appoggiati dall'Occidente mentre era sospeso in aria impotente, con il suo paracadute. Tutta la Russia ha visto le sue gambe scuotersi sotto i colpi dei proiettili. Sarebbe molto difficile, se non impossibile, immaginare che per l'opinione pubblica russa, l'eroismo e il sacrificio di questi soldati siano stati tutti vani; equivarrebbe a dire che la Russia dovrebbe lasciare che l'Occidente e Israele rovescino il legittimo governo siriano, consegnare il Paese ai terroristi islamici e dei loro padroni, e poi tornarsene a casa con la coda tra le gambe per iniziare a rinforzare i propri confini.
Il governo russo ha sempre detto che era in Siria per sconfiggere i terroristi piuttosto che esservi per "sostenere" il regime di Assad, come i media occidentali amano ripetere. Dei sondaggi recenti dicono che se ci fosse un'elezione domani in Siria, Assad si avvicinerebbe al novanta per cento dei consensi, ed è un fatto che se partisse i terroristi vincerebbero. Un FATTO che è compreso perfettamente a Washington, Londra, Parigi, Tel Aviv, che a Damasco, Mosca, Teheran e Pechino. Se questo accadesse, la prossima tappa sarebbe l'Iran!
Se l'Occidente si impegnasse in un attacco globale per il cambiamento di regime in Siria e se la Russia dovesse decidere che un suo ritiro dalla Siria servirebbe meglio i suoi interessi a lungo termine, ciò potrebbe essere ancora più destabilizzante per l'unità interna della Russia di tutto quello che l'Occidente ha già intrapreso contro di essa finora. L'uso da parte dell'Occidente di quelli che vengono definiti "liberali" e dei "dissidenti adoratori dei Clinton e finanziati da Soros" per perseguire un cambio di regime in Russia ha clamorosamente fallito. Tuttavia, se ci fosse nel Paese un movimento dubbioso riguardo alla presidenza di Vladimir Putin, sarebbe tra coloro che si sentono frustrati per il suo modo di restare "Zen" di fronte all'Occidente, e che vorrebbero vedere una risposta più completa e più vigorosa contro l'aggressione occidentale attorno alle sue frontiere e a protezione degli interessi della Russia nel mondo. Queste persone non digerirebbero una disfatta russa, o un ritiro dalla Siria, e le tensioni interne salirebbero sicuramente più di ciò che è stato a tutt'oggi. Non invidio certamente il presidente Putin e i suoi ministri e consiglieri, se dovessero valutare una tale scelta. È sicuro! Una replica ferma e decisa all'aggressione occidentale potrebbe spingere l'Occidente a rinunciare, poiché su questa decisione (un'escalation ndt) esso è in preda a uno smarrimento più grande che la Russia o che la stessa Siria. D'altra parte, l'Occidente potrebbe forse non arretrare, ed allora che cosa accadrebbe?
Preghiamo affinché una tale decisione non debba essere presa. Che quelle persone non neocon del Pentagono e nell'amministrazione americana siano in grado di contrastare questa ridicola messinscena sotto falsa bandiera. A meno che, come notato da Alexander Mercouris, questo assomigli a una manipolazione pesante per distrarre l'opinione pubblica dall'articolo devastante di Seymour Hersh che ha rivelato come la falsa bandiera dell'ultimo attacco chimico era una menzogna totale!
Le prossime ore e i prossimi giorni saranno cruciali! Qualcuno ha scritto di recente e cerco di parafrasare perché non riesco a trovare l'originale: “Il desiderio neocon per il dominio del mondo li ha "zombificati" a tal punto che essi non possono fermarsi a metà strada. Fino a quando qualcuno spari loro un colpo in testa, continueranno ad andare avanti!”
  Marcus Godwyn è un musicista inglese e un saggista amatoriale.

venerdì 7 luglio 2017

Tutto il mondo occidentale arma i terroristi in Siria

 Traduzione da Sputniknews a cura di OraproSiria 

Il Centro Russo per la riconciliazione dei belligeranti in Siria ha prove inconfutabili che i terroristi dello Stato islamico (Daesh) e al-Nusra (Al Qaeda), gruppi vietati in Russia, stanno utilizzando armi occidentali.

Il Centro ha trasmesso, inoltre, immagini di parti di munizioni con relativi numeri di serie. I percorsi di instradamento delle armi nella zona del conflitto stanno per essere identificati.

Il possesso da parte dei terroristi di moderni fucili di precisione che hanno già causato la morte di soldati russi ( non accaduto in precedenza) è di particolare preoccupazione. Ad esempio: il colonnello Alexeï Boutchelnikov, consigliere militare russo, è stato colpito da un cecchino lontano dalla linea di fronte, su un poligono delle retrovie dove egli addestrava i soldati di Bashar al-Assad per l'uso dell'artiglieria in condizioni notturne. Si è scoperto che il cecchino ha mirato e sparato nella più completa oscurità a parecchie centinaia di metri di distanza, ma anche così è riuscito a individuare l'istruttore russo fra i militari siriani e a ucciderlo con un solo proiettile. Gli specialisti sono convinti che un simile risultato è impossibile senza un'apparecchiatura di precisione avanzata.
I terroristi già da lungo tempo usano diversi fucili di precisione, specialmente quelli a disposizione delle forze della NATO, come il Remington MSR americano o l'austriaco Steyr Mannlicher SSG 08. Gli esperti dicono che queste armi devono essere utilizzate con i più sofisticati occhiali da tiro dotati di dispositivi di visione notturna. È risaputo che questi occhiali con visore notturno di terza generazione, sono fabbricati solo negli USA e in Russia, dal momento che altri paesi non possono permettersi di produrli a motivo della loro complessa tecnologia e del loro costo elevato.

Far uscire questi occhiali per riprese notturne di 3ª generazione fuori dal territorio è proibito sia negli U.S.A. che in Russia. Ecco perché gli esperti russi sono rimasti molto sorpresi di scoprire dentro a questi visori di costruzione occidentale, presi ai terroristi, dei componenti elettronici di origine russa, tra cui i trasformatori optoelettronici. Secondo una delle versioni, questi componenti potrebbero arrivare in Siria attraverso paesi terzi, ai quali la Russia fornisce ufficialmente gli occhiali o pezzi per equipaggiarli. Il fuoco dei cecchini in Siria ha fatto almeno quattro morti tra i militari russi, tra i quali il soldato di fanteria Alexandre Pozynitch, che partecipava nel novembre 2015 alle ricerche e alla spedizione di recupero in elicottero del corpo del pilota abbattuto Oleg Peshkov, eroe della Russia.
Un'inchiesta è in corso relativa ai canali di fuoriuscita di tecnologia sensibile russa a favore dei terroristi. Prima o poi, saranno bloccati. Ma è improbabile che ciò possa influenzare l'arsenale di Daesh e di Al-Nusra, che sono armati praticamente da quasi tutto il mondo occidentale.

Il 15 giugno, un rapporto delle Nazioni Unite ha denunciato che le autorità israeliane hanno finanziato e armato regolarmente terroristi che combattono contro il governo legittimo siriano e l'esercito arabo siriano sulle alture del Golan. Ma il traffico più intenso di armi agli islamisti è partito dalla Bulgaria. Sappiamo che 15 servizi speciali occidentali, tra cui Americani, Inglesi, Francesi e Paesi del Golfo, ha partecipato all'organizzazione del "traffico bulgaro".

I giornalisti bulgari sono riusciti a rintracciare il principale mezzo di trasporto per la fornitura di armi allo Stato islamico e ad Al-Nusra: è la nave Marianne Danica, battente bandiera danese. La sorveglianza via satellite ha dimostrato che fino a poco tempo fa la Marianne Danica faceva due viaggi al mese dal porto bulgaro di Burgas al porto di Jeddah, sulla costa saudita.

giovedì 6 luglio 2017

Astana: Mons. Abou Khazen "ogni occasione di incontro è sempre un elemento positivo”


Asia News, 5 luglio 2017

Ogni occasione di incontro, confronto, dialogo è sempre un fattore positivo e deve indurre all’ottimismo, anche se la situazione sul terreno non è facile e permane una sensazione diffusa di incertezza per l’avvenire. È quanto racconta ad AsiaNews il vicario apostolico di Aleppo dei Latini, mons. Georges Abou Khazen, commentando il secondo giorno di colloqui di pace bilaterali in programma ad Astana (Kazakhstan) sulla Siria, patrocinati da Russia, Turchia e Iran. “La speranza - aggiunge - resta sempre quella di arrivare a un cessate il fuoco permanente, che favorirebbe il ritorno degli sfollati e una ripresa delle attività economiche e commerciali”, fattori chiave per far ripartire il Paese. 
Ad Astana si è aperto il quinto incontro internazionale sulla Siria, con l’obiettivo di rafforzare la “fragile” tregua nazionale in vigore dal dicembre scorso; una due giorni di trattative, che registra la presenza di delegati del governo siriano e rappresentanti delle opposizioni armate. La mediazione messa in campo da Teheran, Mosca e Ankara (su fronti opposti nel conflitto) si affianca agli sforzi diplomatici promossi dalle Nazioni Unite a Ginevra (Svizzera), i quali però non hanno sortito sinora effetti duraturi. 
In passato gli incontri di Astana, durante i quali per la prima volta si sono seduti allo stesso tavolo leader di Damasco e fronte dei ribelli, si sono rivelati più decisivi rispetto ai colloqui patrocinati dall’Onu. All’ultimo appuntamento, nel maggio scorso, si è giunti alla creazione di  zone di “de-escalation” del conflitto che prevedevano il cessate il fuoco, il divieto di sorvolo dell’area, il rifornimento immediato di aiuti umanitari e il ritorno dei rifugiati.
L’obiettivo della due giorni, cui gli Stati Uniti partecipano nel ruolo di osservatori, che si conclude oggi è definire i confini esatti delle quattro aree cuscinetto e le procedure per verificare il rispetto della tregua. A due mesi di distanza dalla firma, resta dunque prioritario definire le zone di de-escalation che riguardano alcuni territori ribelli nella provincia di Idlib, un settore del governatorato centrale di Homs, una enclave ribelle a Ghouta e il settore meridionale del Paese, al cui interno vivono fino a 2,5 milioni di persone. 
All’interno della delegazione anti-Assad, in cui spicca l’assenza del capo negoziatore Mohammad Allouche, si registra un clima di diffuso scetticismo. L’idea è che la Russia voglia promuovere queste discussioni, per “distogliere” l’attenzione generale sui “bombardamenti, sfollamento di civili e ripetute aggressioni” che sta conducendo nel Paese. Dal canto suo, il governo siriano ha dichiarato che non permetterà ai propri nemici di “beneficiare” della formazione di zone cuscinetto nell’ovest per ottenere progressi sul piano militare. 
Un quadro complesso, in cui la diplomazia regionale e internazionale si muove con estrema lentezza e fatica. 
“Dal punto di vista della sicurezza - racconta mons.  Abou Khazen - la situazione in diverse zone, fra cui Aleppo, è migliorata. Manca ancora l’elettricità, ma è tornata l’acqua e la vita riprende a scorrere. Certo, la mancanza di giovani e uomini perché emigrati o richiamati fra i riservisti dell’esercito si fa sentire, in particolare nell’opera di ricostruzione. Ma noi pastori incoraggiamo le persone a rimanere e cerchiamo di aiutarle contribuendo ai fabbisogni delle famiglie, dei loro bambini”. 
Interpellato sui colloqui di Astana, il vicario apostolico vuole essere “ottimista”, anche se “non possiamo essere sicuri che vi sia una davvero una soluzione all’orizzonte, vediamo ciò che succederà”. “Ogni incontro, ogni occasione di dialogo - prosegue - è importante e la speranza è che possa condurre a un cessate il fuoco permanente. Questi colloqui hanno favorito in molte zone la riconciliazione interna, basti pensare che da 500 si è passati a 1300 cittadine in cui i fronti in lotta hanno deposto le armi e rifiutato la guerra come mezzo per risolvere le controversie. Spero possano essere il viatico per una riconciliazione di livello nazionale”. 
In questi villaggi e cittadine, racconta il prelato, le persone “hanno ricominciato a coltivare la terra, a riaprire le scuole, a riprendere le attività. Si parla poi di oltre mezzo milione di sfollati fuggiti in passato e oggi rientrati nelle loro terre di origine, nell’area di frontiera vicino al Libano e nelle zone centrali di Homs e Hama e lungo alcuni tratti dell’Eufrate. Sono un numero significativo, che incoraggia e potrebbe incentivare altri a tornare”. “Questo - conclude - è il primo risultato tangibile dei colloqui e l’attuazione delle zone cuscinetto mi auguro possa dare una ulteriore accelerazione a questo processo”.  
http://www.asianews.it/notizie-it/Vicario-di-Aleppo:-su-Astana-pi%C3%B9-ottimismo-che-incertezza,-favorire-il-rientro-degli-sfollati-41203.html

domenica 2 luglio 2017

Fra Firas: ciò che resta è la carità

Nella guerra in Siria la Russia non è solo una presenza politica e militare, ci sono anche legami nati dalla comune radice cristiana. J.F. Thiry è andato da Mosca a Damasco per offrire l’esperienza di un lavoro culturale che aiuti a ricostruire l’uomo.
La Nuova Europa, 26 giugno
Nella ventina di progetti che i francescani di Aleppo stanno seguendo per riportare speranza e dignità in questa città siriana, divenuta simbolo della «terza guerra mondiale», c’è anche quello di usare la cultura per ricostruire ponti. Ne ha parlato padre Firas Lutfi, superiore del collegio di Terra Santa e vice-parroco di San Francesco ad Aleppo, nell'intervista rilasciata a Jean-François Thiry.
 
Qual è la situazione attuale ad Aleppo?
A partire dal 22 dicembre scorso la città sta vivendo una rinascita. Durante gli ultimi cinque anni abbiamo sentito solo il sibilo e lo scoppio delle bombe. Uno scenario di pianto, sangue, innocenti uccisi barbaramente da entrambe le parti, sia nella parte controllata dal regime sia nella cosiddetta zona orientale. Il 22 dicembre con la mediazione russa è stato raggiunto un accordo tra l'esercito siriano e le varie fazioni di jihadisti. Alcuni hanno deposto le armi e sono rientrati nella società civile, altri hanno deciso di continuare a combattere. Dunque il 22 dicembre ha segnato un nuovo inizio per questa città martire, la più colpita, che ha portato su di sé il peso della guerra. Certo, qui la battaglia è finita, ma non la guerra che si continua a combattere nel resto della Siria, a Raqqa, Idlib, nel Nord… I segni visibili della guerra sono scomparsi, riusciamo a dormire più tranquillamente, dopo notti e notti di allerta e paura!
Ma è una città in ginocchio: non dimenticherò mai l'impatto che ho avuto attraversando la cittadella, sembrava la Berlino della Seconda guerra mondiale, una distruzione totale… Ora i media occidentali non parlano più di Aleppo, come se tutto fosse tornato alla normalità. È vero che la battaglia non c'è più, ma si continua a combattere in periferia e altrove, e alla fine il dramma della guerra ricade ancora qui. Continua la carenza d'acqua, sarebbe necessario ripristinare le infrastrutture, anche se i momenti duri in cui uno doveva stare per ore ad attingere un po' d'acqua sono passati.
 
E dal punto di vista umano? Sta rinascendo una speranza? Qual è il lavoro principale da fare?
Il lavoro principale è ritrovare l'uomo. Tante ferite – come quelle sugli edifici – sono ben visibili, ma quelle che hanno segnato in profondità l'animo di ogni cittadino, sia di Aleppo Est che di Aleppo Ovest, sono sentite in modo particolare dai bambini e dagli anziani. Ci sono migliaia di anziani abbandonati dalle famiglie giovani che hanno dovuto scappare, e io personalmente lavoro nel recupero dei traumi post-bellici nei giovani. Mi sto occupando ad esempio di alcune ragazze sui 13-14 anni che hanno tentato il suicidio: c'è chi non riesce a dimenticare il momento in cui una bomba ha ucciso una compagna di scuola, chi ha perso i genitori e si trova nella preoccupazione costante di vivere da sola… Questi disturbi sono il frutto di una violenza enorme che hanno assorbito come una spugna, perciò l'animo di questi poveretti è tutto da ricostruire. Sicuramente c'è da ricostruire la struttura di una città antichissima, ma prima di tutto c'è da ricostruire l'essere umano che è stato ferito e danneggiato.
 E la vostra parrocchia come interviene?
La parrocchia prosegue quel che aveva iniziato a fare all'inizio della guerra, ad esempio distribuisce pacchi alimentari – l'emergenza non è cessata, siamo ancora in una fase di passaggio. Oppure cerchiamo di assistere le coppie giovani, perché la presenza cristiana prima era di 150mila fedeli, ora siamo rimasti solo 30mila, quindi c'è stato un calo demografico enorme, ecco perché va sostenuto il dono della vita. Seguiamo circa 800 coppie, di tutti i riti, non solo della nostra parrocchia.
La guerra, per terribile che sia, ha facilitato un contesto di solidarietà, di partecipazione, di carità, aperta ai fratelli nella fede e a tutti. Sosteniamo anche la ristrutturazione delle abitazioni, in modo che le famiglie non se ne vadano: il nostro obiettivo è anzitutto quello di aiutare i cristiani a rimanere, a non cedere alla forte tentazione di andarsene. È chiaro che il governo non riesce a coprire le esigenze e le aspettative dei cittadini, per cui la Chiesa sta supplendo anche al ruolo delle istituzioni: ce la mettiamo tutta a sostenere questa scintilla di speranza.
 Tutto ciò rientra nell'«ecumenismo del sangue»?
Sì, questa espressione l'ha usata papa Francesco quando si è incontrato con il patriarca di Costantinopoli, un bellissimo incontro che sintetizza cosa significa essere fratelli, e non solo della stessa famiglia. Il papa intende dire che quando uno jihadista sta per ucciderti non ti chiede se sei ortodosso, cattolico o protestante, ma se sei cristiano. Anche recentemente in Egitto: agli ostaggi gli jihadisti chiedevano di rinnegare la fede cristiana, non se fossero copti o protestanti… Ecco, molti innocenti sono martiri per Cristo.
Era una sensibilità già presente qui. Poi, durante la guerra, nel momento di assoluto bisogno, noi come comunità cattolica abbiamo avuto il vantaggio di avere fratelli sparsi in tutto il mondo, siamo parte della Chiesa universale, sentiamo la vicinanza dei nostri benefattori. I superiori del nostro Ordine francescano hanno lanciato l'appello già all'inizio della guerra, e l'aiuto che ci arriva lo condividiamo con i nostri fratelli, un po' come è descritto negli Atti degli apostoli.
 A Lei, come ai tanti che ancora se ne vanno, non è mai venuta la tentazione di dire «non ce la faccio»? Che cosa permette di ricominciare ogni giorno, di fronte a un lavoro così enorme?
Una volta un giornalista mi ha chiesto: Perché resti lì? Gli ho risposto: non «perché» ma «per Chi». E non è solo il mio caso, lo vedo anche nei miei confratelli. «Per Chi». Credo che abbiamo sperimentato la mano del Signore anche in mezzo al buio totale, a questo tunnel di cui non si vedeva l'uscita.
Una ragazza in confessione mi ha chiesto: ma perché Dio permette questo male, se è il Dio della bontà e della misericordia? E un'anziana: dove sono i nostri fratelli sparsi nel mondo? Perché non si muovono? Alla prima domanda mi è venuto in mente un crocifisso che abbiamo trovato in un quartiere di Aleppo completamente distrutto, era rimasto appeso senza braccia, qualcuno gli aveva anche sparato in faccia… Ecco, i segni di sofferenza ci sono, ma Lui è ancora lì, è lì «appeso», presente. È un Dio che sa condividere, che già duemila anni fa ha offerto fisicamente la vita per amore, e lo continua a fare. Qui ora siamo a Damasco, famosa per l'episodio collegato alla conversione di san Paolo. «Saulo, Saulo, perché mi perseguiti?», chiede Gesù – e Saulo, poveretto: ma chi sei? E lui risponde: sono Gesù che tu perseguiti. Era già morto e risorto, e si riferiva al Suo corpo mistico sofferente. Dio è fortemente presente accanto a chi soffre e piange.
Dove sono i nostri fratelli? Siamo dei testimoni perché facciamo da ponte, nel corpo soffriamo con chi soffre, gioiamo e diamo speranza a chi l'ha persa. Però sappiamo che dall'altra parte del continente ci sono molti amici che pregano per noi, ci sostengono fortemente in questa unità di preghiera, siamo corpo di Cristo, membra gli uni degli altri. Certo, anche il sostegno economico è indispensabile per sostenere questa speranza. Non posso limitarmi a consolare un povero dicendo: beh, io non ho niente da darti, ma intanto preghiamo insieme… No: qualcosa ce l'abbiamo, ed è un dono di Dio e dei fratelli.
 
Cosa ritiene che l'Europa, o la Russia, possano fare?
Il primo dono che ogni siriano desidera è la pace. Se soffriamo è per la guerra. Qualcuno, con la violenza, ha cercato di dividere la società che era già diversificata, era un mosaico di etnie, confessioni e culture. Qualcuno ha gettato benzina sul fuoco della divisione, per questo il primo dono che desideriamo è la pace.
La Russia può e dovrebbe – non da sola – trovare modi per far sì che si ponga fine a questa guerra che non è semplicemente una guerra civile, perché non sono solo i siriani che combattono fra di loro, ma esistono tante fazioni con un altissimo numero di mercenari stranieri che combattono per interesse. La Russia, l'America, non dovrebbero guardare alla Siria solo considerando i propri interessi, ma aiutare il paese a ottenere la stabilità, e un segno concreto sarebbe la rimozione dell'embargo economico. La guerra in Siria è la più terribile del XXI secolo, molto complessa, anche perché legata all'Iraq, alla Libia, all'intero Medio Oriente.
Noi come francescani in Siria costruiamo la pace ogni giorno, con gesti apparentemente insignificanti. All'istituto di teologia per laici, di cui sono direttore, vengono ortodossi, cattolici… Sono responsabile di una realtà bellissima, perché varia, e lì sperimento come si può costruire la pace, mettendo assieme piccoli mattoni.
Lo so, dopo le nostre testimonianze in Occidente, ci chiedono: concretamente, cosa possiamo fare? L'invito primo e più efficace è l'unità spirituale, la preghiera, perché siamo veramente il Corpo mistico, come scrive san Paolo ai Corinzi: se un membro soffre, tutti gli altri soffrono con lui. In questo momento le membra di Cristo sofferenti patiscono in Siria tantissimo. D'altra parte è altrettanto importante la carità concreta, visibile. La carità nel Vangelo è stata sempre concreta: nessuno ha un amore più grande di chi dà la propria vita. L'amore allora non è solo sentimento ma la vicinanza concreta al prossimo, una piccola somma, qualche piccolo sacrificio: quanti amici hanno rinunciato ai doni del matrimonio per aiutare la Siria! Ultimamente un amico vescovo appena ordinato in Germania mi ha detto: le offerte della messa di ordinazione verranno inviate per sostenere il progetto di assistenza psicologica ai bambini.
Mi viene in mente madre Teresa, che era un'esperta nell'aiutare i poveri, e diceva che ogni gesto di bene che si fa è una goccia nell'oceano, e che l'oceano non sarebbe lo stesso senza questa goccia.
Tutto ciò aiuta a dare speranza, a dare le ragioni per rimanere e continuare la presenza dei cristiani. Un travaglio come questo genera una cristianità più purificata e motivata. Se il Signore ci ha voluti lì è perché c'è una missione, dobbiamo portare sempre l'amore di Cristo verso ogni persona, essere dei ponti di riconciliazione e dialogo. Penso a tutto il Medio Oriente con le sue religioni monoteiste, dove i cristiani fanno da ponte perché hanno una parola magica… poco conosciuta dalle altre: il perdono! Siamo portatori di pace, carità, servizio, e durante la guerra ci siamo resi conto che questa carità visibile e umile riesce a conquistare l'altro. Non facciamo proselitismo, ma la carità resta impressa nel cuore. Mi ha raccontato un musulmano russo, venuto in visita dalla madre ad Aleppo, che lei era così contenta quando gli ha mostrato una coperta donatale dai cristiani, e le scarpe distribuite dalla Caritas. Mi ha detto: Quello che fate rimarrà sempre impresso nella memoria. È quello che scriveva san Paolo: la carità è ciò che resta.
 
E come è possibile fare un'offerta, dare un aiuto concreto?
Tramite il 
fondo ATS .

giovedì 29 giugno 2017

La 'pax americana' che minaccia nuova guerra mondiale


Piccole Note, 28  giugno 2017

Stati Uniti e Francia stanno coordinando un’azione comune in caso di attacco chimico di Assad. Probabile che l’asse franco-americano andrà a saldarsi il 14 luglio, quando il presidente degli Stati Uniti si recherà a Parigi per la commemorazione della presa della Bastiglia.

Significativa la tempistica: due giorni fa la Casa Bianca ha annunciato di avere le prove che Assad si accingerebbe a usare nuovamente le armi chimiche nel conflitto che da anni dilania il Paese.

Il giorno successivo le agenzie diffondono il contenuto di una conversazione telefonica intercorsa tra Donald Trump e il presidente francese Emmanuel Macron, i quali avrebbero concordato sulla necessità di «lavorare a un risposta comune» in caso di un attacco chimico.

Oggi la notizia che il presidente americano ha accettato di partecipare alle celebrazioni del 14 luglio è stata rilanciata con enfasi insolita da media e Tv.

Tutto è pronto per una nuova guerra neocon. Questo nonostante la Russia abbia avvertito in maniera categorica che ritiene «inammissibile» un intervento straniero in Siria, il che vuol dire che siamo sull’orlo di un vero e proprio baratro.

Ovviamente Assad non ha alcun motivo di portare un attacco chimico, dal momento che sta letteralmente sgretolando i suoi avversari, ovvero i terroristi armati e finanziati dalle Petromonarchie del Golfo e dall’Occidente, i quali, a breve, saranno costretti a capitolare sotto la spinta inarrestabile dell’esercito siriano e delle milizie sciite alleate di Damasco.

Da questo punto di vista, Assad non ha alcun motivo di portare un attacco chimico, dal momento che sarebbe un vero e proprio suicidio politico-militare.

Allo stesso tempo, gli sponsor dello jihadismo internazionale che hanno lavorato attivamente per attuare il regime-change in Siria reputano «inammissibile» che il loro piano venga vanificato, anzi ribaltato dall’evoluzione del conflitto.

Infatti, se non si verificheranno imprevisti, la guerra porterà alla creazione della mezzaluna sciiita, che congiungerà Teheran a hezbollah, una ipotesi geopolitica che prima della guerra non era neanche contemplata nel campo delle possibilità.

Per scongiurare tale evoluzione del conflitto serve un intervento diretto dell’Occidente, simile a quello realizzato in Iraq o Libia. Il problema è che in Siria ci sono i russi e tutto andrà a complicarsi dal momento che Mosca non può accettare tale eventualità.

A quanto pare la possibile risposta russa non rappresenta un freno per i neocon. L’ambasciatrice all’Onu Nikki Haley ha anzi messo anche Mosca e Teheran nel mirino: in caso di attacco chimico saranno ritenute complici del regime di Damasco, il che vuol dire che anche l’Iran subirà l’intervento americano.

Siamo sull’orlo di una guerra nucleare? Il rischio c’è. Perché i neocon hanno fatto della follia la cifra della loro proiezione globale. Tanto da non escludere, anzi, un conflitto diretto con la Russia. L’opzione apocalisse, appunto, che resta come orizzonte ultimo della loro dottrina esoterica.

Pare che il Pentagono freni, come dimostrano le parole del segretario alla Difesa James Mattis, il quale, in una conferenza stampa tenuta ieri (cliccare qui), ha affermato che gli Stati Uniti non vogliono essere trascinati nella guerra civile siriana e ha elogiato il funzionamento del meccanismo di deconflicting che ha impedito incidenti tra russi e americani durante il conflitto.

Probabile che non sia il solo generale americano a comprendere la portata della follia che si sta preparando, ma lo scontro tra tali ambiti e i neocon si annuncia all’ultimo sangue. Per questi ultimi, infatti, quella che si annuncia è una battaglia esistenziale; e a costo di non perdere sono disposti a tutto.

Come dimostra quanto si sta preparando. Dapprima l’accusa della preparazione di un attacco chimico (del quale, al solito, non vengono mostrate prove), accusa che andrà poi ad avverarsi attraverso una montatura, una delle tante di questa sporca guerra.

Il fatto che l’opinione pubblica possa avere coscienza di un artificio fabbricato ad arte per iniziare una guerra non ha la minima importanza. Anzi, rappresenta una ulteriore dimostrazione di forza degli ambiti neocon, dal momento che in questo modo dimostrano di non aver neanche bisogno di una giustificazione credibile per dare inizio a una guerra.

Frenare tale deriva si annuncia esercizio difficile. Si può solo sperare che gli uomini di buona volontà, che pure restano in Oriente come in Occidente, riescano, nonostante i forti venti contrari.

Nota a margine. Per chi non l’avesse letto, rimandiamo all’articolo di Seymour Hersh sul presunto attacco chimico portato dall’aviazione di Assad a Khan Sheikhoun (cliccare qui).

martedì 27 giugno 2017

mons. Pizzaballa, “a salvare i cristiani sarà la loro testimonianza”.


di Daniele Rocchi, 27 giugno 2017

Siamo in un periodo di cambiamenti epocali. Non sappiamo come sarà il Medio Oriente del futuro. In Terra Santa la situazione è bloccata, non ci sono negoziati in corso ma solo la politica dei fatti compiuti sul terreno. Da una parte, Israele che si sente il più forte e, dall’altra, i palestinesi, deboli e divisi. L’Isis fisicamente non è presente in Terra Santa, lo è invece la sua ideologia estremista. Cresce l’estremismo anche tra gli ebrei e cresce la preoccupazione tra le minoranze, soprattutto tra i cristiani”. Ad un anno dalla sua nomina, 24 giugno 2016, ad amministratore apostolico del Patriarcato latino di Gerusalemme, mons. Pierbattista Pizzaballa, già custode di Terra Santa, traccia un bilancio del suo mandato allargando lo sguardo a tutto il Medio Oriente e lanciando un appello a oltre 200 giornalisti cattolici riuniti nei giorni scorsi in un meeting nazionale a Grottammare 

Il Medio Oriente – dice mons. Pizzaballa – non sarà più lo stesso. Ci vorranno generazioni per ricostruire le infrastrutture ma soprattutto un tessuto sociale stabile e solido. La guerra in Siria e in Iraq ha fatto saltare tutto, compresi i rapporti tra le diverse comunità. Città come Aleppo, in Siria, i villaggi cristiani della Piani di Ninive, un tempo occupati da Isis, sono in larga parte distrutti. A Betlemme, nel 2016, sono emigrate circa 130 famiglie cristiane, 500 persone, tutte con figli in cerca di un futuro migliore”.

Mons. Pizzaballa, qual è oggi il tratto più distintivo delle comunità cristiane mediorientali?
La grande testimonianza. È vero, molti sono partiti, ma chi è rimasto testimonia la sua fede non nel chiuso della propria casa ma aiutando anziani, bambini, disabili, rifugiati, incontrandosi per pregare. Sono rimasto colpito dai giovani cristiani di Aleppo, che a sprezzo del pericolo distribuivano acqua a chi aveva bisogno, ricordo famiglie cristiane di villaggi siriani controllati da Al Nusra, che, ben sapendo che nell’islam l’alcool è bandito, nascondevano il vino per la messa nelle case per poter celebrare la messa. E come non citare il grande impegno dei cristiani di Giordania e Libano nell’accoglienza dei rifugiati di Siria e Iraq. In Israele oggi vivono 125mila cristiani, 11mila abitano a Gerusalemme, in Palestina appena 40mila. Questi sono i numeri. Tuttavia sono convinto che
il cristianesimo in Medio Oriente non sparirà. La nostra forza non è nei numeri ma nella testimonianza.

Da un anno è amministratore apostolico del Patriarcato Latino di Gerusalemme, quale bilancio può tracciare e quanto pensa potrà durare ancora il suo incarico?
È stato un anno molto difficile.
Stiamo vivendo un tempo di transizione ed è impensabile credere che le crisi epocali che stanno segnando il Medio Oriente non tocchino anche la Chiesa. Non c’è una Chiesa in tutto il Medio Oriente che sia in ordine.
E non parlo solo di quelle cattoliche. Per quanto mi riguarda i problemi del Patriarcato latino sono di due generi: di vita ecclesiastica interna e di tipo economico, debiti tanto per essere chiari. In questo primo anno ho lavorato molto con i preti incontrandoli, uno ad uno, nelle loro case, per capire e ascoltare. Nei giorni scorsi due terzi dei sacerdoti sono stati spostati, vescovi inclusi. Ora, dopo un anno, le tensioni si sono sciolte. La sfida è andare avanti in questa direzione e pagare i debiti. Nessuno ci darà i soldi pertanto dovremo vendere alcuni “asset”. Ne verremo a capo certamente. Quanto durerà il mio incarico? Non ne ho idea. La figura di amministratore non può durare in eterno. Ho fatto un anno, forse ne prevedo un altro. Il mio compito è preparare le condizioni perché il futuro Patriarca possa operare in un contesto interno di serenità.

La stessa serenità che manca a tutta la Terra Santa a causa del conflitto ancora aperto, per non parlare del muro di separazione, dell’occupazione militare, delle colonie. La tanto auspicata soluzione “Due popoli, due Stati” è forse tramontata?
Per quanto riguarda il negoziato siamo molto lontani da questo obiettivo. Come cristiani dobbiamo tenere viva l’attenzione sulla necessità del dialogo. Tecnicamente la Soluzione “due popoli due stati” è molto complicata, ma non vedo alternative possibili.
Il muro è una ferita profonda nella storia, nella geografia e nella vita del Paese.
Oggi non se ne parla più anche nell’opinione pubblica. Sembra quasi digerito. Ma non dobbiamo continuare a fingere che la ferita non ci sia. Il nostro compito è quello di parlarne, in maniera chiara e rispettosa, non faziosa. Le colonie e i confini sono un problema, insieme allo status di Gerusalemme. La versione definitiva dei confini tra i due Stati e la rimozione (o meno) delle colonie è uno degli argomenti più dolorosi della crisi poiché influisce sulla vita dei territori in modo pesante soprattutto sui palestinesi. Qualunque Governo farà molta fatica a cambiare la situazione sul territorio anche per i costi, umani, sociali, economici. Tutto ciò rende lontana una prospettiva futura stabile.

Gerusalemme: la Città Santa sta subendo una progressiva ebraicizzazione. Si tratta di un nodo difficile da sciogliere che non può vedere i cristiani fare solo da testimoni…
Il futuro di Gerusalemme viene deciso oggi: chi compra decide.
Se compreranno i musulmani ci saranno musulmani, se comprano gli ebrei ci saranno ebrei, difficile che ci saranno cristiani. Non abbiamo le possibilità e le risorse per competere in questo contesto. A suo tempo come Custodia ci spendemmo molto per edificare 80 appartamenti, permessi, burocrazia lenta, ostacoli di ogni tipo. Oggi con un decreto se ne costruiscono 8.000. Ma è fuori discussione che il carattere di Gerusalemme è universale. La città deve garantire costituzionalmente libertà di accesso, di movimento, di azione, di espressione a tutte le comunità, a prescindere dai loro numeri.

Gerusalemme, città aperta?
Certamente. Non spetta alla Chiesa, alla Santa Sede, stabilire i confini. Su questo devono mettersi d’accordo le parti in lotta. Noi abbiamo il dovere di dire i criteri per definire l’assetto futuro della città. I criteri sono che tutti hanno uguale cittadinanza.
Ciò significa avere tutti gli stessi diritti. Quando si parla del futuro di Gerusalemme i riferimenti sono solo a ebrei e musulmani, i cristiani non sono tenuti molto presenti. Vero anche che negli ultimi 15-20 anni non ricordo un solo discorso della Chiesa cattolica su Gerusalemme. Protestanti e ortodossi sono molto più presenti di noi nel dibattere la questione della Città Santa. Sarebbe importante invece dire una parola a riguardo.

Che impatto avrebbe sulla situazione l’eventuale scelta di Trump di trasferire l’ambasciata Usa da Tel Aviv a Gerusalemme?
Sarebbe come mettere un cerino dentro una tanica di benzina.

Prima invocava il tema della cittadinanza come uno dei criteri per definire gli assetti futuri di Gerusalemme. Per quale motivo?
È la sfida del futuro. La comunità internazionale deve prestare molta attenzione a questo tema soprattutto adesso, preoccupandosi non solo del business della ricostruzione del Medio Oriente ma anche di far sì che si ricostruiscano Legislazioni e Costituzioni.
Il diritto di cittadinanza è determinante, per questo, credo che gli aiuti debbano essere condizionati al suo rispetto: tutti i cittadini sono uguali.
Non si creino riserve indiane per cristiani, sunniti, sciiti, yazidi, curdi e via dicendo. Il modello di convivenza in Medio Oriente, basato su identità tra fede e comunità, oggi è fallito. La convivenza deve basarsi su altre prospettive. Il tema è la cittadinanza e non la laicità positiva che non esiste in Medio Oriente.
Cittadini, curdi, yazidi, cristiani, sunniti, sciti, turcomanni, tutti con gli stessi diritti, libertà di coscienza in primis. Ricostruire il Medio Oriente senza inquadrare questi aspetti sarebbe un fallimento e l’anticamera delle crisi future. Su questo noi cristiani dobbiamo lavorare e insistere. La presenza cristiana obbliga tutte le società in Medio Oriente, e le relative maggioranze islamiche, a interrogarsi su questo aspetto da una prospettiva diversa che non è quella musulmana.

Come sono invece i rapporti tra la Chiesa e Israele?
Ci sono due aspetti da considerare: quello del negoziato tra Stato di Israele e Santa Sede e quello della vita ordinaria della Chiesa locale.
Circa il concordato che definirà dal punto di vista legale il futuro della Chiesa in Israele, esso è in dirittura d’arrivo. La firma potrebbe arrivare entro quest’anno. Poi bisognerà interpretare l’accordo.
Per quel che riguarda la vita ordinaria della Chiesa locale non c’è alcun atteggiamento di Israele. Praticamente non esistiamo. Guardiamo alle scuole: si concedono contributi agli istituti privati meno che a quelli cristiani e, comunque sia, sempre in misura minore che in passato. Come cristiani dobbiamo essere più presenti nel territorio, non possiamo solo lamentarci.
Compito della Chiesa è costruire relazioni sempre più positive con Israele per far capire che siamo una realtà del territorio con cui devono fare i conti. Purtroppo molto spesso le scelte che vengono fatte non ci tengono in nessuna considerazione.

Da tempo i pellegrinaggi sono in calo, complici anche le tensioni in Medio Oriente che allungano ombre sulla sicurezza dei fedeli. Cosa fare per rilanciarli?
La Terra Santa è sicura. I pellegrinaggi sono un sostegno ai cristiani locali perché portano lavoro. Sarebbe utile che i vescovi italiani prendessero a cuore il pellegrinaggio in Terra Santa magari lanciando una sorta di campagna nazionale come accadde nel 2000.

Oltre al pellegrinaggio quale altro strumento può rivelarsi utile per sostenere la Terra Santa e i suoi cristiani?
La comunicazione. Ai giornalisti dico: continuate a parlare di Gerusalemme e della Terra Santa, non solo attraverso la lente del conflitto e delle tensioni ma raccontando le cose belle che ci sono. Venite in Terra Santa.
Non c’è evangelizzazione senza comunicazione. E l’evangelizzazione non può prescindere da Gerusalemme.
Non si può parlare di Cristo senza parlare dei Luoghi dove ha vissuto e dove la sua comunità ne custodisce la memoria. Mostrate che in ogni situazione, anche la peggiore, c’è sempre una luce, per quanto piccola, da cui ripartire.
Raccontate le occasioni di incontro, di dialogo, che in un contesto così drammatico dimostrano che non è tutto odio, rancore, guerra e armi.

https://agensir.it/mondo/2017/06/27/medio-oriente-mons-pizzaballa-a-salvare-i-cristiani-sara-la-loro-testimonianza-a-gerusalemme-fondamentale-il-diritto-di-cittadinanza/