I bombardamenti a Damasco e in altre località siriane sono l'altra faccia della guerra sulla sponda opposta del Mediterraneo. La gente vuole la pace e si chiede chi invece continui a volere la guerra e a fornire armi al posto di cibo e farmaci
21-11-2015 Diario dalla Siria, a cura di Maddalena Maltese
fonte: Città Nuova
fonte: Città Nuova
Mentre i colpi di mortaio stanno cadendo vicino a noi, la paura e la preoccupazione ci assalgono sia per la nostra vita che per quella di tutti quelli che conosciamo crisitiani o musulmani, siriani o stranieri: ci accomuna l'appartenenza all'umanità e l'essere tutti fratelli e sorelle. In queste vie di Damasco si vive e si muore insieme, senza distinzione alcuna.
Il bilancio del bombardamento è tragico: 9 morti e 52 feriti. Nessuno ne parla. Parigi ha per ora la ribalta. Ma questi sono i numeri della guerra dall'altra parte del Mediterraneo, sono i numeri di questa giornata. Non voglio fare somme che rendano ancora più raccapricciante quanto qui è per tutti una normale quotidianità. Appena il frastuono termina, perchè il rumore delle bombe è assordante, prendo il cellulare e chiamo tutti: "Stai bene? Dove sei? Non muoverti! Aspetta...". Queste sono le domande ricorrenti dopo ogni lancio di bombe o dopo i colpi sul quartiere. Ci raccomandiamo a vicenda di restare fermi nel posto che per ora ci ha dato rifugio e scampo e lì si resta perchè non si capisce dove andare.
L'ufficio, la cucina, l'androne diventano rifugi o tombe a seconda se le bombe ti hanno risparmiata o ti hanno centrata. Dentro di me le domande persistono, continue come un mantra: "Ma è normale vivere con questa agitazione? E' normale che la gente debba vivere sempre nella paura? Perchè l'altra parte del mondo tace? Fino quando dovrà durare questa assurdità? E' possibile che il potere, i soldi, gli interessi possono vincere sulla volontà di pace dei popoli e della gente semplice?
Aleppo all'inizio di novembre è rimasta per 15 giorni senza viveri e le strade di accesso erano chiuse. Le mine sono un altro dei lasciti di questa guerra. Prima di riaprire ogni via di transito, bisogna sempre sminarla. Un villaggio vicino Homs è stato preso di mira dall'Isis e ci sono circa tremila sfollati. La gente desidera che la guerra finisca e si fa tante domande: "Chi procura le armi a queste milizie crudeli? Perchè non arriva il cibo ma arrivano munizioni e ordigni bellici?".
Questi interrogativi ci lacerano, mentre la preghiera diventa il balsamo, la nostra roccia. La comunità cristiana cerca di vivere nella normalità, si incontra alle celebrazioni, lavora a tanti progetti di solidarietà, ma siamo in pochi.
Si parte inesorabilmente, si lascia una terra amata perchè non si vedono prospettive e tutto è costosissimo, dai farmaci ai cibi. Ma anche chi parte, desidera tornare: la vita è salva, ma non è la vita in Siria, non gli stessi rapporti, non gli stessi gusti, non la stessa complicità. Eppure non si è divisi. Si è sparsi, ma si continua a vivere tutti insieme per la stessa pace.
Si parte inesorabilmente, si lascia una terra amata perchè non si vedono prospettive e tutto è costosissimo, dai farmaci ai cibi. Ma anche chi parte, desidera tornare: la vita è salva, ma non è la vita in Siria, non gli stessi rapporti, non gli stessi gusti, non la stessa complicità. Eppure non si è divisi. Si è sparsi, ma si continua a vivere tutti insieme per la stessa pace.
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