Il 13 dicembre i Patriarchi e i Capi delle Chiese di Gerusalemme hanno firmato una dichiarazione congiunta su “L'attuale minaccia alla presenza cristiana in Terra Santa". Leader cattolici, ortodossi e protestanti hanno lanciato un appello alle autorità civili di Israele, Palestina e Giordania sulla situazione prevalente della comunità cristiana in Terra Santa.
“Dal 2012 ci sono stati innumerevoli episodi di aggressioni fisiche e verbali contro sacerdoti e altro clero, attacchi a chiese cristiane, con luoghi santi regolarmente vandalizzati e profanati, e continue intimidazioni nei confronti dei cristiani locali che cercano semplicemente di adorare liberamente e di svolgere la loro vita quotidiana .”
Gli obiettivi del dialogo richiesto:
“(1) Affrontare le sfide presentate dai gruppi radicali a Gerusalemme sia alla comunità cristiana che allo stato di diritto, in modo da garantire che nessun cittadino o istituzione debba vivere sotto la minaccia della violenza o dell'intimidazione; (2) Avviare il dialogo sulla creazione di una speciale zona culturale e del patrimonio cristiano per salvaguardare l'integrità del quartiere cristiano nella Città Vecchia di Gerusalemme e per garantire che il suo carattere unico e il suo patrimonio siano preservati per il benessere della comunità locale , la nostra vita nazionale e il resto del mondo”.
Organizzazioni cristiane in altre parti del mondo hanno rapidamente aggiunto il loro sostegno all'appello. Anche le Chiese per la pace in Medio Oriente (CMEP), un gruppo di difesa delle Chiese ortodosse, cattoliche e protestanti con sede negli Stati Uniti, hanno aderito all'appello, affermando che le comunità cristiane sono una parte importante della Terra Santa e custodi dei luoghi santi cristiani.
“Mentre i cristiani si preparano a celebrare il Natale”, si legge in una dichiarazione del CMEP, “abbiamo vivo il pensiero dei nostri fratelli in Terra Santa che continuano a portare avanti le tradizioni nel luogo in cui è iniziata la nostra fede”.
Di seguito il testo della "Dichiarazione congiunta su l'attuale minaccia alla presenza cristiana in Terra Santa.":
Throughout the Holy Land, Christians have become the target of frequent and sustained attacks by fringe radical groups. Since 2012 there have been countless incidents of physical and verbal assaults against priests and other clergy, attacks on Christian churches, with holy sites regularly vandalized and desecrated, and ongoing intimidation of local Christians who simply seek to worship freely and go about their daily lives. These tactics are being used by such radical groups in a systematic attempt to drive the Christian community out of Jerusalem and other parts of the Holy Land.
We acknowledge with gratitude the declared commitment of the Israeli government to uphold a safe and secure home for Christians in the Holy Land and to preserve the Christian community as an integral part of the tapestry of the local community. As evidence of this commitment we see the government’s facilitation of the visit of millions of Christian pilgrims to the holy sites of the Holy Land. It is therefore a matter of grave concern when this national commitment is betrayed by the failure of local politicians, officials and law enforcement agencies to curb the activities of radical groups who regularly intimidate local Christians, assault priests and clergy, and desecrate Holy Sites and church properties.
The principle that the spiritual and cultural character of Jerusalem’s distinct and historic quarters should be protected is already recognised in Israeli law with respect to the Jewish Quarter. Yet radical groups continue to acquire strategic property in the Christian Quarter, with the aim of diminishing the Christian presence, often using underhanded dealings and intimidation tactics to evict residents from their homes, dramatically decreasing the Christian presence, and further disrupting the historic pilgrim routes between Bethlehem and Jerusalem.
Christian pilgrimage, in addition to being the right of all the Christians around the world, brings great benefits to Israel’s economy and society. In a recent report by the University of Birmingham, it was highlighted that Christian pilgrimage and tourism contributes $3bn to the Israeli economy. The local Christian community, while small and decreasing in number, provides a disproportionate amount of educational, health and humanitarian services in communities throughout Israel, Palestine, and Jordan. In accordance with the declared commitment to protect religious freedom by the local political authorities of Israel, Palestine, and Jordan, we are requesting an urgent dialogue with us the Church Leaders, so as to:
1. Deal with the challenges presented by radical groups in Jerusalem to both the Christian community and the rule of law, so as to ensure that no citizen or institution has to live under threat of violence or intimidation.
2. Begin dialogue on the creation of a special Christian cultural and heritage zone to safeguard the integrity of the Christian Quarter in Old City Jerusalem and to ensure that its unique character and heritage are preserved for the sake of well-being of the local community, our national life, and the wider world.
—The Patriarchs and Heads of Churches in Jerusalem
Suor
Antonietta, gli occhiali che incorniciano un viso sempre sorridente,
è una delle cinque Suore di Gesù e Maria presenti a Damasco. La
congregazione, fondata a Lione nel 1818 da Santa Claudine Thévenet,
è presente in Siria dal 1983 con la missione fondamentale di educare
i bambini. Dal loro convento, le religiose lavorano duramente per
trovare aiuti per le famiglie cristiane povere che sono fuggite a
Damasco a causa della guerra.
Incontrare gli sfollati
Suor
Antoinette cammina per le stradine della città vecchia. La capitale
è piena di negozi e ristoranti, ma non mancano vicoli non
illuminati, un po' più lontani dalle strade principali, che sembrano
molto più tristi. È in uno di questi vicoli che suor Antoinette
entra, prima di salire su una scala, sotto un portico. Si ferma
davanti a una porta di metallo grigiastro. "Jacqueline",
dice la suora, bussando alla porta. Qualche istante di attesa e
appare una bambina: Sidra, 8 anni, si getta sorridente tra le braccia
di suor Antoinette. Poi è il turno di suo fratello Azar, di 11 anni,
e finalmente Jacqueline, la loro madre, fa entrare la religiosa. La
donna accoglie la suora in un piccolo cortile, che si affaccia
sull'unica stanza, piuttosto umida, della casa dove vive sola con i
suoi tre figli. La figlia maggiore, Sarah, 12 anni, non è presente
perché è a catechismo.
Fuggire o morire
La
storia di Jacqueline è agghiacciante: viveva a Maaloula, qualche
decina di km a nord-est di Damasco. Una città prevalentemente
cristiana. Lei e suo marito, Ghassan, possedevano terreni agricoli,
coltivavano uva e fichi e producevano melassa. Ma quando è scoppiata
la guerra, la situazione si è complicata da un giorno all'altro. Nel
2013, le milizie islamiste di al-Nosra circondano la città e non
mostrano alcuna pietà, soprattutto verso i cristiani. Nella piazza
centrale, effettuano esecuzioni pubbliche. Rapiscono anche diverse
persone, tra cui Ghassan, il marito di Jacqueline. In questo clima di
terrore, la donna non ha altra scelta che quella di fuggire. Con i
suoi figli, parte per Damasco. Come lei, migliaia di famiglie vanno
nella capitale, considerata più sicura. Jacqueline non ha notizie di
suo marito per molto tempo. All’inizio ha ricevuto una richiesta di
riscatto, ma poi nessun contatto con i rapitori o i loro
intermediari. In tutto, ha vissuto per tre anni senza sapere che fine
avesse fatto il padre dei suoi figli, fino a un giorno del 2016 e ad
una telefonata di un ufficiale dell'esercito siriano che le ha detto
che i resti umani di cinque persone erano stati trovati in Libano e
che, secondo le indagini, Ghassan poteva essere una delle vittime,
come confermato poi dall'esame del Dna. Secondo l'esercito, i cinque
uomini sono stati giustiziati dalla milizia islamista e, secondo i
testimoni, hanno tutti rifiutato di convertirsi all'Islam, preferendo
morire come martiri.
Sopravvivere a Damasco
Per
sopravvivere, Jacqueline ha qualche piccolo lavoro, aiuta le suore
del convento. Le armi ora tacciono in gran parte del Paese, ma la
crisi economica che ne è conseguita è profonda. L'inflazione
galoppa, rendendo i beni essenziali praticamente inaccessibili. Nella
stanza in cui vivono Jacqueline e i suoi figli, c'è un letto dove
dorme lei con le sue due figlie, un divano dove dorme Azar, un
vecchio frigorifero, una televisione e una stufa a nafta. Sul bordo
dell'unica finestra, alcune scatole di cibo e pane. Dall'altro lato
del cortile, una zona "cucina" contiene un lavandino e un
fornello a gas. C'è anche una toilette, ma nessun bagno vero e
proprio. Suor Antoinette sta lavorando duramente per trovare il
denaro in modo che possa essere installata almeno una doccia,
affinché i bambini non debbano più andare al convento per lavarsi,
anche se le suore li accolgono ben volentieri.
Le
Suore di Gesù e Maria stanno sostenendo questa famiglia, e molte
altre, in ogni modo possibile: preparano pacchi di cibo, si danno da
fare per trovare vestiti e soldi per aiutare molte persone a pagare
l'affitto. Nonostante le enormi difficoltà della vita quotidiana,
Jacqueline vuole rimanere a Damasco, mentre molti siriani scelgono di
andare all'estero. Ma lei vuole dare una possibilità ai suoi figli:
"Le scuole sono migliori a Damasco", dice.
A
Maaloula, il fratello di Ghassan ha restaurato la casa di famiglia e
sta cercando di rilevare la piccola fattoria originaria. Jacqueline e
i bambini ci vanno d'estate durante le vacanze scolastiche, ma
tornare a vivere a Maaloula è un trauma che la donna non ha la forza
di affrontare.
Georges e Marie
A
pochi chilometri di distanza, suor Antoinette visita un'altra
famiglia. Una coppia con tre figli di età compresa tra i 16 e i 18
anni. Sta piovendo, non c'è corrente elettrica (funziona solo per
tre o quattro ore al giorno), e alcune gocce di pioggia cadono
attraverso il tetto di lamiera, finendo in un secchio. Come molte
famiglie che non possono permettersi un generatore privato, Georges e
Marie (nomi fittizi, per preservare l’anonimato di questa
famiglia minacciata di morte) hanno una batteria che
alimenta una lampada a Led. Vengono da Homs, dove erano apicoltori.
In una notte, hanno abbandonato tutto e sono partiti in pigiama,
sotto il fuoco dei "terroristi". Sono fuggiti a piedi, poi
in auto e infine in autobus verso Damasco. Poco dopo il loro arrivo
nella capitale, Georges ha avuto un infarto. Ha subíto un intervento
chirurgico e si è miracolosamente salvato, ma risente ancora
dell’accaduto e non è più in grado di lavorare e guadagnare uno
stipendio. È quindi Marie, con la sua piccola attività di sarta, a
sfamare i cinque membri della famiglia. Ma ora l'inflazione è tale
che tutto ciò non è più sufficiente. La donna ha anche dovuto
rallentare il suo lavoro a causa di reumatismi alle mani. Quindi, è
stata presa la decisione di ritirare il figlio da scuola in modo che
possa lavorare per integrare il magro reddito familiare. A 18 anni,
il ragazzo consegna cereali e fa il pendolare tra la fabbrica di Homs
e la capitale, Damasco. Dei cinque membri della famiglia, lui è
l'unico che è tornato a Homs.
L'identità della terra
A
Homs, non rimane nulla della loro casa e della loro terra. La villa
in cui vivevano è stata rasa al suolo e gli alberi che alimentavano
i loro alveari sono stati abbattuti per farne legna da ardere. A
Homs, il numero di case abbandonate è incalcolabile; ogni giorno, le
famiglie continuano a fuggire. Spesso le famiglie musulmane che sono
rimaste lì fanno offerte per comprare dai cristiani che sono
partiti. Ma è come se la rivendicazione dell'identità avesse
permeato il terreno. Le famiglie cristiane, nella stragrande
maggioranza dei casi, rifiutano di cedere i loro appezzamenti di
terreno ai musulmani. Qualunque sia il costo. Marie e Georges
potrebbero permettersi una migliore qualità di vita vendendo ciò
che possiedono a Homs. Non hanno intenzione di tornare a vivere lì,
ma se devono vendere, sceglieranno una famiglia cristiana. E se
vendono, spenderanno i loro soldi per lasciare la Siria. Non fanno
mistero del loro desiderio di stabilirsi all'estero. Ma non prima che
il loro figlio abbia conseguito il diploma. Hanno promesso a suor
Antoinette che, in cambio dell'aiuto fornito dalle suore, dei pacchi
di cibo e dei soldi per l'affitto, il ragazzo tornerà a scuola il
prossimo trimestre per finire il suo corso di studio e ottenere la
licenza, uno strumento minimo di garanzia per un lavoro stabile e
pagato meglio.
Alcune cifre
Il
numero di sfollati in Siria è stimato intorno ai 7 milioni. Il 90%
della popolazione vive oggi, come le famiglie di Jacqueline e
Georges, sotto la soglia di povertà (con meno di 1 dollaro al
giorno). 13,5 milioni di persone nel Paese hanno bisogno di aiuti
umanitari. 2,5 milioni di bambini sono senza scuola, in gran parte a
causa della distruzione del 40% degli edifici scolastici durante la
guerra.
Venerdì
26 novembre 2021, padre Jean-Beauduin è stato ordinato diacono nella
Chiesa greco-melchita dal nostro vescovo Jean-Abdo Arbach nella
comunità di Mar Yakub secondo il rito orientale.
Fr.
Jean è arrivato per la prima volta in questo monastero nel 2010. Suo
nipote, Sebastiain de Fooz, aveva intrapreso un'escursione molto
avventurosa da Gand a Gerusalemme nel 2005 e aveva ricevuto un
caloroso benvenuto lungo il percorso al monastero Mar Yakub, a Qâra
in Siria ( A
piedi verso Gerusalemme. Un viaggio in solitaria di 184 giorni ,
Lannoo, 2011 ).
Ha
esortato Jean a contattare la comunità, cosa che ha fatto. Fr. Jean
incontrò madre Agnes-Mariam, che aveva ristrutturato le rovine di
questo monastero un tempo famoso, fondato nel VI secolo, dedicato al
santo persiano Jacob (= Mar Yakub) il Mutilato. Con
l'appoggio dell'allora vescovo, vi aveva fondato l'Ordine
dell'Unità di Antiochia .
Fr
Jean tornò in Belgio per completare i suoi studi di giornalismo e in
seguito si trasferì definitivamente a Mar Yakub.
Nel
frattempo, io stesso ero affascinato dal movimento mondiale Verso
Gerusalemme II (tjcii) :
sulla restaurazione dell'unità originaria della Chiesa, composta
dalla "chiesa
dei Giudei"
e dalla " chiesa
delle nazioni ” (ecclesia ex judaeis
et
ecclesia ex gentibus),
unità nella diversità. In un congresso a Gerusalemme (2009), Madre
Agnes-Mariam ha dato un'affascinante testimonianza sull' “unità
di Antiochia”
il luogo dove la Chiesa per prima (e ultima?) ha sperimentato
quell'unità.
L'ho
invitata a tenere conferenze su questo argomento in Belgio e nei
Paesi Bassi. Dopo una prima serie di lezioni, è stata invitata altre
tre volte da altri, dopodiché mi ha chiesto: “quando
vieni a trovarci?”
E
così sono andato a Mar Yakub come turista nel 2010 per due mesi. Ho
vissuto un vero shock culturale in questo Paese musulmano con la sua
sicurezza, prosperità, ospitalità e convivenza armoniosa di popoli
e religioni diverse. Prima di tornare, Madre Agnes-Mariam mi ha
chiesto se volevo aiutare a creare una scuola del sacerdozio
cattolico, che sarebbe stata la prima nella storia della Siria, cosa
che ho accettato. Abbiamo iniziato con quattro studenti, di cui alla
fine fratel Jean è l'unico rimasto.
Proprio
allora però, le potenze occidentali insieme agli Stati del Golfo,
inscenarono una guerra spietata contro il popolo e il Paese siriano,
per spezzarne l'indipendenza, impadronirsi delle risorse minerarie,
costruire il “gasdotto americano” dall'Arabia Saudita e dal Qatar
attraverso Homs fino al Mediterraneo, rompere la sua alleanza con la
Russia... Sono stati reclutati numerosi terroristi da tutto il mondo
per mettere in ginocchio la Siria. Alla fine, tuttavia, il popolo
siriano, il suo esercito, governo e presidente sono rimasti
sufficientemente uniti e hanno resistito, anche se il Paese è stato
in gran parte distrutto, il popolo in gran parte massacrato e la
prosperità si è trasformata in povertà.
Nel
frattempo, abbiamo lottato insieme per la necessaria formazione
filosofica e teologica. Sotto i bombardamenti più pesanti,
studiavamo le “Marialogie” a lume di candela ai piedi della torre
romana, mentre i fratelli facevano a turno di notte la guardia per
poter dare l'allarme in caso di pericolo. Sono stati prodotti
anche numerosi lavori annuali, tra l'altro sulle divisioni tra la
Chiesa d'Oriente e d'Occidente e sulle notevoli menzioni di Gesù e
Maria nel Corano. Comprendiamo che puoi trovare quasi tutti gli
insegnamenti cristiani su Gesù e Maria nel Corano, anche se
mescolati con molte contraddizioni e confusione.
P.
Jean ha ora potuto ottenere un diploma di laurea online di 3 anni in
2 anni presso la Domuni
Universitas dei
Padri Domenicani a Tolosa (Francia). Parla
anche abbastanza siriaco per dare catechesi ai bambini di Qâra. E
abouna Georges di Qâra è il nostro professore di liturgia che, con
pazienza e dedizione, ha anche sufficientemente formato padre Jean
nella liturgia bizantina. Che padre Jean provenisse dal rito
latino e sia ora ordinato di rito bizantino è rimasta a lungo una
difficoltà (teorica). Dopotutto, diaconi e sacerdoti della
Chiesa greco-cattolica hanno la possibilità di scegliere se sposarsi
o meno. Come monaco di Mar Yakub, p. Jean, però, ha già
fatto la sua scelta.
La
consacrazione si è svolta nel piccolo cortile coperto di St. Jacques e non nell'ancor più piccola chiesa buia. Hanno concelebrato
una dozzina di sacerdoti. Si trattava infatti di tre ordinazioni:
lettore e suddiacono prima dell'Eucaristia e diacono al termine
dell'Eucaristia.
All'ordinazione
come lettore, il vescovo gli consegna la tonsura con l'imposizione
delle mani: il vescovo gli taglia i capelli a forma di
croce. Fr. Jean poi legge un'epistola. Nel suddiaconato si
prostra a terra con la stola. Lava le mani del vescovo in segno
di servizio. Nella preghiera di accompagnamento si implora
l'amore per la casa di Dio. Giunti al diaconato, viene condotto tre
volte intorno all'altare, baciando ogni volta i quattro angoli
dell'altare. Si inginocchia con la fronte sull'altare. Infine,
il vescovo gli mette sul capo la stola insieme alla croce e gli
impone le mani. Nella preghiera, Santo Stefano è presentato
come esempio. Il diacono poi legge le litanie in cui si prega
per ogni genere di necessità: per la pace nel mondo, per la patria,
per questo luogo… Tre volte gli viene gridato che ne è degno.
Nella
sua omelia, il vescovo ha ricordato l'esempio del diacono Stefano e
ha sottolineato che il diacono è al servizio della chiesa locale. Il
Vescovo si è congratulato con noi come comunità Mar Yakub, Madre
Agnes-Mariam, Madre Claire-Marie e me.
L'ordinazione
diaconale di P. Jean è stata accolta con sincero e grande entusiasmo
dai presenti, amici e collaboratori della comunità. Nella sala
c'è stata l'occasione per trasmettere gli auguri al nuovo diacono,
insieme ad alcuni dolci e una bibita. In seguito la maggior
parte di loro è andata a chiacchierare al sole nel grande
cortile. Nel refettorio ogni luogo veniva utilizzato per portare
a tavola i sacerdoti, gli ospiti, gli amici, i collaboratori e gli
operai.
Durante
i vespri solenni di san Jacub, P. Jean ha servito per la prima volta
come diacono. Indossava la lunga stola dorata, graziosamente
ricamata in lettere rosse con la parola “santo” in greco, arabo e
siriaco, ed eseguiva tutte le preghiere del diacono. I vespri si
sono conclusi con la consacrazione dell'olio, del vino e del
pane. Ciascuno è stato benedetto con quest'olio sulla fronte e
ha ricevuto un pezzo di pane intinto nel vino.
La
sera abbiamo avuto una bella riunione con la comunità e alcuni
ospiti nella sala addobbata del nuovo edificio con del formaggio,
pane e tè... Si sono svolte danze popolari spontanee e quasi tutti
cantavano una canzone o raccontavano una storia.
Inespugnabile come una fortezza è il monastero siriano in cui si svolge l’azione di "Mother Fortress", film documentario di Maria Luisa Forenza, girato in Siria durante la guerra.
Madre Agnes, assieme a monaci, monache provenienti da Francia, Belgio, Portogallo, Libano, Cile, Venezuela, Colorado-USA (di cui alcuni ex- giornalisti), affronta gli effetti della guerra in Siria sul suo monastero, situato ai piedi delle montagne al confine con il Libano dove ISIS insidiosamente si nasconde.
Nonostante sia esso stesso obiettivo di attacchi, il monastero accoglie orfani, vedove, rifugiati (cristiani e sunniti), vittime di una guerra fratricida che dal 2011 ha prodotto caos e devastazione. Organizzando un convoglio di ambulanze e camion, che percorrono strade controllate da cecchini, Madre Agnes persegue la rocambolesca missione di fornire aiuti umanitari (cibo, vestiti, medicine) ai siriani rimasti intrappolati nel paese. Esplorazione non della guerra, ma della condizione umana in tempo di guerra, il film è un viaggio fisico e spirituale, una 'storia d'amore' con destinazione Roma dove il senso del racconto si rivela...
MOTHER FORTRESS, “Testimonianza storica sul dramma della guerra in Siria”. (Avanti!, 2020)
Ida Guglielmotti (giornalista): “Film importante che parla di donne in un contesto complesso, difficile, come quello di una guerra, una delle più crudeli della nostra storia presente, che riguarda la Siria.” (Radio InBlu2000 “Le Donne per esempio”, 2021)
Claudio Ranieri (critico): “La Forenza fotografa da un punto di vista inedito la guerra in Siria, attraverso un viaggio che inizia in un monastero e prosegue nei luoghi di resistenza quotidiana, rendendo visibile quell’ordinarietà che prosegue mentre la guerra annichilisce”. (Arte Settima, 2021)
Francesco Zambon (filologo, critico letterario): “un film che nel rappresentare la realtà attuale e drammatica della Siria, ricrea la struttura dei poemi del Graal: il racconto che include altri racconti.” (Religion Today Film Festival, 2020)
Alfredo Baldi (critico cinematografico): “nonostante sia stato girato in un convento, ai piedi delle montagne al confine con il Libano, e che la protagonista sia una suora, Madre Agnes, ci troviamo di fronte a un film assolutamente laico, dove la religione che è pur presente dappertutto, sottesa in ogni momento, non viene mai presa a pretesto, a giustificazione del compimento di qualsiasi (buona) azione.” (BookCiak Magazine, 2020)
Gian Piero Brunetta (storico del cinema): “Una sola persona, una donna che ha fatto tutto: ripresa, suono, montaggio, e questo mi ha emozionato molto sin dall’inizio del progetto. Una tragedia raccontata fuori-scena: non c'è sangue eppure è piena di dolore, di tragedia di un intero paese. Al tempo stesso voglia di vivere… Da tempo la strada era stata aperta da personalità come Olmi: non c’è più differenza tra cinema documentario e cinema di finzione.” (Memoria Festival, 2021)
Cosimo Damiano Fonseca (medievista, accademico dei Lincei): “un film- culto, un documento aderente alla realtà e al tempo stesso racconto simbolico”. (2021)
"Al
culmine della guerra, i leader ai vertici della Chiesa siriana andarono alla Casa Bianca per supplicare l'allora presidente Obama di
abbandonare le disastrose politiche di cambio di regime..."
Ho
appreso attraverso le nostre interviste (ai Cristiani Siriani. NDT),
molte delle quali sono dettagliate nel mio nuovo libro Syria
Crucified con il coautore e amico Zachary Wingerd, che i cristiani
siriani in particolare erano così in tensione durante gli anni
iniziali dell'occupazione statunitense dell'Iraq proprio perché i
rifugiati cristiani iracheni in fuga da oltre il confine verso
Damasco stavano attivamente avvertendo i cristiani siriani: "Voi
sarete i prossimi!"
Un
certo numero di siriani ci aveva detto che anni prima dell'inizio
della guerra nel 2011, avevano capito che non solo la Siria era in
cima alla lista per il cambio di regime, ma che i cristiani in
particolare sarebbero stati presi di mira in una guerra settaria
pianificata, proprio come in Iraq . Sebbene rimanga una storia per
un'altra volta, poiché è ancora oggi troppo delicata per discuterne
apertamente , ho ottenuto conferma da alcuni cristiani siriani che
nel 2010 fino all'inizio del 2011 (poco prima dell'inizio del
conflitto in Siria), gli ufficiali dell'intelligence USA li stavano
contattando e cercavano il loro aiuto in modo molto aggressivo,
cercando di renderli risorse. Mentre questi particolari individui non
sono presenti o menzionati nel mio nuovo libro (sempre a motivo della
delicatezza delle informazioni e le situazioni individuali), mi
limiterò a notare che in ogni caso sono stato in grado di verificare
e confermare, ai funzionari statunitensi è stato detto dai siriani
"vaffanculo!" – o qualche sua variazione.
Basti
dire che alcuni cristiani siriani erano stati essenzialmente
informati dagli agenti dell'intelligence statunitense che qualcosa di
grosso stava arrivando per la Siria, ancora una volta,
significativamente prima dell'inizio effettivo della guerra. Un
caso lampante: un funzionario
dell'allora esistente ambasciata degli Stati Uniti a Damasco (chiusa
nel febbraio 2012) ha cercato di convincere un benvoluto uomo
cristiano siriano locale che aveva trascorso una carriera lavorando
per le principali testate americane in Medio Oriente (quindi aveva
avuto molti contatti con i media di alto livello in tutto il mondo)
per diventare parte dell'"opposizione politica"
riconosciuta dagli Stati Uniti in Siria. Tenete presente che questo
accadeva prima ancora che una
tale "opposizione" fosse creata.
L'attenzione
della mia ricerca sulla condizione dei cristiani durante la guerra è
iniziata seriamente nel lontano 2014, quando ho scritto quanto segue
per il mio blog ormai defunto :
Una
potenziale mappa del Medio Oriente , creata dal colonnello in
pensione Ralph Peters, prevede una futura divisione secondo regioni
sciite, sunnite, curde, senza assolutamente posto per i cristiani,
che saranno "ripuliti" attraverso il genocidio o
l'immigrazione forzata. Un articolo scritto da Peters si chiamava
"Confini di sangue" perché ammetteva che le minoranze
avrebbero dovuto essere eliminate affinché la sua mappa avesse un
senso! (Sì, come nel noto collaboratore di FOX News Ralph Peters).
Molti hanno visto il "Grande Libano" (che si estende molto a nord oltre i suoi confini effettivi fino a Latakia nella "mappa immaginata" in basso), come quella che sarebbe diventata un'enclave principalmente cristiana dopo che gli stati vicini sarebbero stati svuotati della presenza cristiana indigena ..
O
peggio, durante i primi anni della guerra in Siria sono emerse mappe
come quella qui sotto, con gli analisti che suggerivano che i
cristiani sarebbero dovuti fuggire in uno “stato fantoccio”alawita
..
Ho
scritto ulteriormente in quell'articolo precedente del 2014 su come
alcuni paesi dell'Unione Europea stavano spedendo armi agli insorti
jihadisti offrendo allo stesso tempo asilo ai cristiani siriani se
avessero lasciato la loro patria devastata dalla guerra : mentre
alcuni potrebbero comprensibilmente beneficiare dell'ultima offerta
della Francia [di asilo politico per i cristiani Medio orientali], e
questo potrebbe essere un bene per quegli individui e famiglie che
hanno già sofferto abbastanza, il Patriarcato della Chiesa ortodossa
ha una solida comprensione dei progetti attuali e futuri dei
responsabili politici occidentali. Il settarismo etnico-religioso
non è stato una realtà modellante per i movimenti nazionalisti
arabi del XX secolo, ma è il piano strategico a lungo termine
dell'Arabia Saudita. Attraverso l'aiuto del loro più stretto
alleato, gli Stati Uniti, insieme ad altri paesi occidentali, viene
attuata la logica del settarismo, e sono pochi quelli che capiscono
la natura del gioco.
I
leader della Chiesa siriana lo avevano chiamato il complotto del
"Cavallo di Troia" dell'Occidente nei confronti dei
cristiani del Medio Oriente: incoraggiare l'emigrazione cristiana
dalla regione e allo stesso tempo spedire di nascosto le stesse armi
che sarebbero state usate per colpire i cristiani che cercavano di
rimanere (dato anche che i cristiani locali nel complesso sono
rimasti fedeli al governo di Assad, il che si sarebbe rivelato un
problema molto "scomodo" per la politica statunitense visti
gli sforzi per rovesciare detto governo). Questa teoria ha ricevuto
un certo grado di convalida quando ho scritto l'articolo successivo
nel 2015 basato su una indiscrezione saudita classificata e trapelata
- un articolo successivamente diffuso da WikiLeaks ...
Il
nostro nuovo libro, "Syria Crucified" (“Siria
crocifissa: Storie di martirio moderno in un'antica terra
cristiana”), fornisce un'ampia testimonianza ed esempi che
confermano i sospetti dei cristiani siriani secondo cui Washington è
stata a lungo d'accordo nel "buttare i cristiani ai leoni"
mentre cercava di rovesciare Assad (come ha scritto il NY Times in un
articolo del 2013). Ad esempio, citiamo il vescovo della Chiesa
ortodossa antiochena di Baghdad e Kuwait, Ghattas Hazim, che ha
descritto durante il culmine della guerra in Iraq che "i
cristiani vengono massacrati in Iraq e l'Occidente non alza un dito
per proteggerli".
A
questo sospetto che l'Occidente stesse perseguendo un'agenda non
dichiarata di avviare ed esacerbare un conflitto settario che avrebbe
spezzato la Siria, portando infine alla liquidazione dell'antica
comunità cristiana siriana, forte di circa due milioni di persone
(come è successo in larga misura in Iraq), ha fatto eco un medico
cristiano siriano di nome Shaza, con cui Zac e io abbiamo parlato a
lungo. Per decenni era stata un medico che esercitava in uno studio
a Damasco, fino a quando non è fuggita negli Stati Uniti dopo che la
sua famiglia è scampata al fuoco dei cecchini e dei mortai mentre
Al-Qaeda invadeva il suo quartiere (la storia è raccontata nel
capitolo 2), creando posti di blocco a pochi minuti da casa sua e
dalla scuola dei bambini. Ci sono molte storie simili che riempiono
questo nuovo libro e concluderò questa presentazione tortuosa
fornendo un esempio straziante dal libro qui sotto.
Di
seguito la storia della dottoressa siriana Shaza, estratta dal
libro...
Mentre
rifletteva sul catastrofico passaggio da una vita idilliaca a una di
sconvolgimenti, Shaza racconta di aver ricevuto un preavviso della
tragedia cristiana siriana. Come medico Shaza assisteva gli sfollati
a causa della guerra in Iraq: “Ho lavorato con i rifugiati iracheni
dal 2003 al 2010 in un centro di beneficenza. È un programma fatto
dalla Chiesa, ma stanno accettando tutte le persone, cristiani e
musulmani”. Shaza non aveva previsto che in meno di un decennio nel
futuro sarebbero stati gli stessi cristiani siriani a trovarsi in
gravi difficoltà. Shaza ha raccontato come un certo numero di
rifugiati iracheni ha cercato di metterla in guardia:
“Parlano
di storie orribili. Rapiscono, uccidono, stuprano. Quando si fidano
di me dopo un paio d'anni, continuano a dire: "Fatti un piano B.
Lo faranno con i cristiani siriani".Continuo a dire: "No,
non accadrà". Continuano a dire: "No, succederà, quindi
pensa a quale sarà il tuo prossimo passo se è successo". E non
ci abbiamo pensato. Non abbiamo mai pensato che sarebbe successo in
Siria. La maggior parte dei siriani continua a dire che è protetta
perché è una regione forte. Sono stata in Iraq e in Giordania, in
Egitto, in passato come turista, ho visto gente povera. Non li
vediamo mai in Siria. Non abbiamo senzatetto in Siria. È un paese
prospero. Era un buon paese, ma dopo, credo dal 2006 o dal '07 al
2010, abbiamo cominciato a notare qualcosa. Forse la politica, forse
l'economia, non so quale sia il problema, ma è successo qualcosa,
sai. Rende le persone più povere quindi più sofferenti. Hanno
questi pensieri di rivoluzione. Penso che questo li abbia fatti
accettare facilmente."
I
dati raccolti dall'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i
Rifugiati (UNHCR) hanno mostrato che nel 2007 il numero di rifugiati
iracheni fuggiti in Siria ha superato 1,2 milioni. La maggior parte
di questi non erano registrati, il che significa che avevano problemi
a essere raggiunti con gli aiuti umanitari internazionali o ad
accedere ai servizi del governo siriano. Un rapporto citato
dall'Ufficio delle Nazioni Unite per il Coordinamento degli Affari
Umanitari (OCHA) durante quel periodo ha sottolineato che gli
sfollati iracheni sono stati aiutati "principalmente attraverso
organizzazioni della Chiesa locale". L'onere finanziario sulla
Siria, la cui popolazione era meno di venti milioni, di assorbire
bruscamente oltre un milione di iracheni impoveriti che necessitavano
di alloggi, assistenza sanitaria e istruzione aiuta a spiegare parte
del declino economico appena prima della guerra menzionata da Shaza.
Ha
poi riflettuto sulle origini della prima rivolta in Siria e su quanto
rapidamente si sia militarizzata e internazionalizzata:
“Continuo
a pensare all'Esercito Siriano Libero. Ho sentito di alcuni giovani
che hanno i loro pensieri di libertà. Credono in questi pensieri, ma
erano come i pezzi degli scacchi. Qualcuno li sta muovendo per le sue
idee... Quando hanno affrontato i musulmani estremi, hanno perso la
vita. Quei musulmani estremi aprono le strade agli stranieri che
verranno. Non riesco nemmeno a immaginare che il popolo siriano
voglia distruggere la nostra storia, le nostre vecchie città, le
nostre vecchie cose, perché significa molto per sè come siriano. Ma
per gli stranieri, non significa nulla. È facile distruggere tutto.”
* Brad Hoff ha prestato servizio come marine in servizio attivo nei primi anni 2000, osservando con allarme le conseguenze dell'azione degli Stati Uniti all'estero. Dopo aver lasciato l'esercito, si è dedicato al giornalismo indipendente, intraprendendo da ultimo un viaggio di cronaca in Siria al culmine della guerra. Il suo lavoro "Un
Marine in Syria" è stato citato in più pubblicazioni internazionali.
Voglio darvi un resoconto della nostra situazione qui in loco e spero che il maggior numero possibile di voi lo legga. Sto avendo grandi difficoltà ad andare online qui, perché abbiamo a malapena energia elettrica regolare. Solo ogni tanto e non sappiamo mai quando. Diesel per poter far funzionare un generatore è disponibile solo sul mercato nero, a prezzi proibitivi che non possiamo permetterci.
Siamo già felici di avere ancora bombole di gas per cucinare e altrettanto felici che l'inverno si faccia attendere. Grazie a Dio abbiamo ancora intorno ai 25 gradi, quindi non dobbiamo riscaldare. Onestamente non sapremmo nemmeno come farlo.
Anche i prezzi degli alimenti sono aumentati astronomicamente, sempre che ci sia ancora qualcosa da comprare. Quando c'è il pane si formano in pochi minuti lunghe code e si sta in fila per ore. Anche quando arriva la benzina, stesso scenario. Molti dormono nelle loro auto per giorni e aspettano alle stazioni di servizio. Il tasso di mortalità nei bambini piccoli è quintuplicato!
Solo un esempio: prima della crisi causata dalle sanzioni internazionali, un chilo di petto di pollo costava 17 - 18.000 lire libanesi, oggi costa oltre 70.000 lbp! Nessuno può più permetterselo.
Il tasso di conversione prima del collasso era di 1$ = 1.500 lbp . Oggi il corso è 1$ = 24.000 lbp!!!
Le sanzioni internazionali e in particolare le CESAR LAWS USA hanno portato al crollo del Libano!
Se la comunità occidentale di stati senza valori non smette finalmente di ricattare altri paesi, come sta accadendo qui nel Libano, l'Europa sarà letteralmente travolta da un'ondata di profughi senza precedenti!
Il governo libanese ha già annunciato che oltre 280.000 persone hanno lasciato il paese negli ultimi tre mesi. Senza contare le traversate illegali in barca.
Il governo libanese ha continuato a comunicare che le autorità rilasciano e/o rinnovano e prolungano oltre 6.000 nuovi passaporti ogni giorno.
Le condizioni di vita sono talmente deteriorate che milioni di persone hanno perso il posto di lavoro, perfino gli ospedali sono stati chiusi perché non ci sono farmaci e elettricità. Migliaia di negozi di alimentari e di altri generi sono stati chiusi, scaffali vuoti e mancanza di clienti che possono ancora pagare questi prezzi alti.
Le grandi catene commerciali straniere come il Carrefour francese, il Wal Mart americano o gli Spinney inglesi.... sì, c'è tutto quello che il cuore desidera e questo nonostante le sanzioni! Le aziende occidentali, ovviamente, non sono colpite dalle sanzioni. Ma solo i 10.000 più alti si possono permettere di fare shopping lì e ovviamente gli stranieri ben pagati, per lo più dipendenti di ONG internazionali, con stipendi mensili pari a $3.000.
Mentre qui i comuni cittadini del paese guadagnano al massimo 100-150$, sempre che abbiano ancora un lavoro.
La criminalità ha assunto proporzioni così incontrollabili che non posso più lasciare il mio quartiere e devo rimanere a casa dopo il tramonto. Sono già stato aggredito due volte e fortunatamente sono riuscito a difendere me stesso e i miei averi anche se ho riportato qualche ferita.
Le persone sono solo disperate e non sanno più di cosa vivere. Migliaia di persone hanno perso le loro case e vivono nelle loro auto, se ne hanno ancora una, in baraccopoli sempre più grandi alla periferia della città.
Le persone qui NON sono responsabili di queste condizioni catastrofiche
Sono le sanzioni criminali restrittive e ricattatrici della comunità occidentale senza valori che hanno portato il paese alla rovina, costringendo le persone ad abbandonare la propria patria!
Anch'io combatto come i miei amici e tutti gli altri qui, tutti i giorni, per sopravvivere. Spesso non sappiamo come andrà il giorno dopo. Il mio stipendio per il mio lavoro di giornalista online ha perso talmente valore che è quasi impossibile vivere, e io e i miei amici mettiamo insieme il nostro poco denaro che abbiamo, per fare la spesa, cucinare e mangiare insieme.
Non c'è altro modo e si vive vicini ancora di più, spesso a lume di candela, perché dalle 17 è buio. E come noi, ormai, milioni di persone qui nel Libano.
Tuttavia, non lascerò il paese e continuerò a riferire, nonostante tutte le avversità e le catastrofi, le circostanze della vita qui direttamente sul posto, cercando di continuare a tenervi aggiornati con tutte le informazioni importanti.
Ho comunque buone notizie! Due settimane fa, il Generale Maggiore della Security of Immigration mi ha chiamato al dipartimento e dopo quattro anni mi ha concesso il permesso di soggiorno permanente . Quindi ora posso restare quanto voglio. Sono stato molto felice anche se è diventato molto difficile vivere qui. Ma vivo libero e autodeterminato!
Può essere pericoloso ciò che accadrà nei prossimi quattro mesi, il 27 Marzo ci saranno le future elezioni e già tutti parlano di una prossima guerra. Anche le mie ricerche e informazioni vanno in questa direzione.
Le ambasciate di diversi paesi hanno già invitato i loro cittadini a lasciare immediatamente il Libano. L'esercito libanese ha anche annunciato che trasporterà gli stranieri a Cipro in elicottero. Tuttavia, per un supplemento di $300 ... Al governo manca il denaro perfino per finanziare l'esercito. Il governo non ha accesso a oltre 800 miliardi di dollari che le sanzioni hanno congelato nelle banche estere.
Se ci sarà una guerra, cosa che tutti noi non vogliamo, resterò comunque a raccogliere e pubblicare informazioni per voi.
Augurate a tutti noi qui che non si arrivi a questo!!!
Tanti cari auguri dal vostro Marco da Tripoli del Libano.
P.S. Se volete sostenermi, sapete come farmi pervenire il vostro aiuto.
Riprendiamo dal sito Piccole Note queste interessanti annotazioni su - finalmente!- movimenti interni al Governo degli Stati Uniti per il ritiro dell'illegale presenza americana in territorio siriano e della rapina (con l'accordo dei Curdi e dell'FDS) delle risorse di petrolio e di gas di Al-Omar, Al-Tanak, Al-Jafra e Koniko; giacimenti petroliferi che rappresentano i due terzi delle riserve nella Siria.
Con l'avallo del 'Caesar Act', le sanzioni statunitensi imposte da Washington durante l'era Trump prendono di mira aziende, istituzioni e individui (sia siriani che non siriani) che vorrebbero intraprendere affari con settori dell'economia siriana volti alla ricostruzione del Paese dopo 10 anni di guerra. Ma, come ricorda il Vescovo di Aleppo mons Georges Abou Khazen a FIDES, “perpetuare le sanzioni contro la Siria significa condannare a morte molta gente”: “La situazione quotidiana” riferisce all’Agenzia Fides il Vicario apostolico della metropoli siriana “è per molti versi peggiore di quella che vivevamo quando Aleppo era terreno di guerra tra l’esercito siriano e le milizie dei cosiddetti ribelli. Non ci sono medicine, negli ospedali non arrivano i macchinari indispensabili per salvare tante vite, mancano i beni di prima necessità anche dal punto di vista alimentare. Tanti riescono a malapena a trovare il pane per sopravvivere di giorno in giorno”.
“L’amministrazione Biden deve rispondere a queste domande urgenti sul perché e sotto quale autorità l’esercito americano sta combattendo in Siria, qual è la missione e se quella missione è in linea con gli interessi americani”. Così Marcus Stanley, Advocacy Director del Quincy Institute for Responsible Statecraft.
Una dichiarazione che giunge nel giorno in cui 30 membri del Congresso americano hanno scritto una missiva a Biden nella quale chiedono a che titolo l’esercito Usa conduce azioni di guerra in Siria e Iraq. “Il popolo americano – si legge nella missiva – è stanco dell’infinito coinvolgimento militare degli Stati Uniti nelle guerre d’oltremare”.
“È imperativo che il Congresso e i suoi membri, in quanto rappresentanti del popolo americano, esercitino i poteri di guerra garantiti dalla costituzione per supervisionare e autorizzare qualsiasi azione militare all’estero”.
Via dalla Siria
Finalmente, qualcosa si muove, dopo anni di stallo, che vedono l’esercito Usa occupare de facto un terzo della Siria e conservare anche in Iraq una presenza più che invasiva, di fatto una forza d’occupazione, anche qui nonostante il voto del Parlamento iracheno che ne chiedeva il ritiro.
Tale occupazione ha avuto, e ha, una legittimazione del tutto fittizia, cioè la lotta al Terrore, nonostante sia ormai storia che il Terrore si sia oltremodo alimentato grazie all’intervento americano in Iraq – come ha certificato una volta per tutte la Commissione d’inchiesta britannica Chilcot.
Di interesse annotare come anche un media conservatore come il Washington Examiner ospiti una nota nella quale chiede il ritiro dalla Siria, in un articola che spiega come la legittimazione della lotta al Terrore non ha più alcun senso, dal momento che l’Isis non controlla più alcun territorio, ma sopravviva come cellule che operano in clandestinità, contro le quali si stanno muovendo con efficacia gli attori locali (la nota cita solo russi, siriani, iracheni e milizie curde, ma i più formidabili nemici dell’Isis sono i miliziani sciiti).
Non solo il ritiro dalla Siria, Giordio Cafiero, su Responsible Statecraft, spiega come le nazioni arabe si stiamo muovendo per riallacciare i rapporti con Bashar al Assad. A tale proposito cita il viaggio del ministro degli Esteri degli Emirati Arabi a Damasco, spiegando che tale Paese si è impegnato più di altri a far uscire Damasco dallo status di paria internazionale.
“Questo è nell’interesse di tutte le nazioni della regione. L’Iran non solo accoglie con favore questo processo, ma fa anche ogni sforzo per accelerarlo affinché i paesi arabi e siriani riprendano le loro relazioni”, ha, peraltro, affermato Saeed Khatibzadeh, portavoce del ministero degli Esteri iraniano.
Una lettera e qualche articolo di giornale non riusciranno certo a far invertire la rotta, ma il fatto che almeno qualcuno in America metta a tema il ritiro dal Medio oriente è una novità, dopo i tentativi falliti in tal senso da Trump, che più volta ha provato a ritirarsi dalla Siria, dovendo poi cedere alle pressioni contrarie.
L’esercito Usa a difesa degli oppressori
Una presenza sempre più ingiustificata e sempre più inaccettabile, ma dalla quale il Pentagono non vuol recedere. Di interesse, sul tema, un articolo di Doug Barrow su Antiwar, nel quale l’ex consigliere speciale di Ronald Reagan (non certo un estremista comunista) ha criticato aspramente il recente intervento del Segretario della Difesa Usa Lloyd Austin a un forum sulla sicurezza tenutosi in Bahrain, uno dei regimi più oppressivi del Golfo (ma le cui magagne restano nascoste perché è alleato con gli Stati Uniti).
In particolare, Barrow ironizza sul passaggio dell’intervento di Loyd nel quale questi accennava alla geometrica potenza prodotta dell’alleanza tra Paesi arabi e Stati Uniti, dato che sono stati incapaci di piegare l’Iran, nonostante decenni di sanzioni terribili che ne hanno falcidiato l’economia, e stanno perdendo contro i ribelli yemeniti, nonostante lo Yemen sia uno dei Paesi più poveri del mondo.
“Altrettanto ridicolo – prosegue Barrow – è stato il consiglio di Austin ai partecipanti: ‘Ho imparato che possiamo fare molto di più quando siamo uniti rispetto a quando ci lasciamo dividere’. Così ha detto l’uomo che sovrintende a un esercito che è stato responsabile della distruzione di diversi paesi e della morte di centinaia di migliaia di civili grazie alle molteplici guerre degli ultimi due decenni. ‘Stare insieme’ non sembra descrivere adeguatamente la politica degli Stati Uniti in Afghanistan, Iraq, Libia, Siria e Yemen – debacle dopo debacle”.
“Tuttavia, gli americani continuano a lavorare con questi e altri regimi oppressori, molti dei quali affidano tutto il ‘lavoro sporco’ agli stranieri. Dopotutto, chi vorrebbe morire per proteggere i propri corrotti governanti? Eppure il personale militare statunitense è bloccato a fare proprio questo. In questo caso fungono da guardie del corpo per delle élite regali che regnano su cittadini che si rifiutano di combattere” per loro.
Cenni a effetto, che riferiamo per sottolineare il realismo e l’opportunità della missiva inviata a Biden dai membri del governo. Il presidente ha bisogno di tali sollecitazioni, dato che vuol porre termine alle guerre infinite. Non può riuscire da solo: nonostante l’apparente potere che gli è conferito, l’apparato militar-industriale e gli interessi in gioco sono fortissimi.