Traduci

venerdì 31 maggio 2024

Jeffrey Sachs e TuckerCarlson discutono le vere ragioni per cui i neocon hanno orchestrato la guerra di cambio di regime in Siria

 

RILETTURA DELLA INTERVISTA A  J.SACHS PUBBLICATA SULLA PAGINA X DI TUCKER IL 28 MAGGIO '24, COMMENTATA  DAL GIORNALISTA, GESTORE DEL SITO SYRIANAANALYSIS ,  KEVORK ALMASSIAN

traduzione di Marinella Correggia

Sachs: "Abbiamo iniziato ad armare i jihadisti in Siria e gli Stati Uniti hanno detto che Assad deve andare." 

Tucker: "Perché gli Stati Uniti volevano rovesciare Bashar al-Assad?" 

Jeffrey Sachs nell'intervista ha fatto riferimento a diversi punti, come la presenza della marina russa sul Mediterraneo in Siria, o la volontà di piazzare un fantoccio degli Usa a Damasco, ma anche la pura ignoranza da parte dei decisori statunitensi. 

Ma, a mio parere, c'è di più. Gli Stati Uniti volevano togliere di mezzo Assad per alcune altre ragioni: anche se rimuovere la Marina russa dal Mediterraneo (e il mar Nero) era una priorità geopolitica, c’era in gioco anche il fattore iraniano. L'alleanza strategica tra Siria e Iran ha creato una rete tra attori statali e non statali in Iraq, Yemen, Siria e Libano e ha posto serie sfide all'egemonia statunitense e israeliana sulla regione. Sotto Bashar al-Assad, la Siria è diventata una base strategica nel cosiddetto asse della resistenza contro il dominio americano e israeliano nella regione. 

Ad esempio, nel 2006, il siriano Assad  fornì a Hezbollah mezzi militari che furono utilizzati per respingere l'invasione israeliana del Libano e costringere Tel Aviv a ritirarsi. Dopodiché, Hezbollah ha consegnato armi siriane a Gaza come i razzi anticarro Kornet. Pertanto, i neocon e i sionisti pensavano che la rimozione di Assad dal potere avrebbe minimizzato l'afflusso di armi ai gruppi che combattevano contro le forze di occupazione israeliane.

In secondo luogo, la Siria è un importante pezzo di geografia nella Belt and Road Initiative della Cina. Questo spiega il motivo per cui le forze degli Stati Uniti sono di stanza sulla costa orientale dell'Eufrate; non solo per controllare il petrolio, ma anche e soprattutto per bloccare i confini tra Iraq e Siria, e alla fine bloccare l'accesso della via della Seta al Mediterraneo. 

In terzo luogo, i teorici sionisti più incalliti mirano al "Grande Israele". Dove finisce il confine orientale di questo Grande Israele? Sulla riva occidentale dell'Eufrate. Secondo questi sionisti, i curdi sarebbero i loro vicini sulla costa orientale dell'Eufrate, e questo è esattamente ciò che gli Stati Uniti hanno fatto in quella regione. Washington ha creato una grande milizia dominata dai curdi Ypg e li ha incoraggiati a separarsi dalla Siria e formare una propria entità.   

Alla fine, non importa quali fossero le ragioni, gli Stati Uniti hanno commesso un crimine contro l'umanità in Siria. Un crimine che non sarà dimenticato. Centinaia di migliaia di siriani sono morti e altri milioni sono diventati rifugiati. Gli Stati Uniti hanno sostenuto i jihadisti e hanno creato l'Isis, il Fronte al-Nusra, l'esercito islamico, Ahrar al-Sham, l'esercito islamico del Turkistan e molti altri gruppi terroristici, distruggendo un paese bello e pacifico con una ricca storia e civiltà.

 In questo caos, i cristiani di Siria sono stati cacciati da molte città e villaggi da questi eserciti di terroristi appoggiati dagli Stati Uniti.

mercoledì 29 maggio 2024

Il Consiglio Ue rinnova di un altro anno le sanzioni contro la Siria

" L'Unione Europea, che è completamente subordinata agli interessi delle multinazionali e della N.A.T.O. (ovvero degli U.S.A.), ha esteso le sanzioni alla Siria fino al 1 giugno 2025.  
Sono sanzioni durissime che vietano alla Siria di importare medicinali, macchinari sanitari, macchine per l'edilizia, cibo e moltissimi altri prodotti e vietano al contempo alla Siria di esportare i suoi prodotti. 
Le sanzioni non solo sono del tutto ingiustificate, perché la Siria è il paese che è stato aggredito dai gruppi terroristi dell'ISIS  armati, finanziati e appoggiati dalla N.A.T.O., da Israele, dall'Arabia Saudita e da altri paesi.  Non è il paese aggressore, ma la vittima dell'aggressione.  
La guerra, che dura dal 2011, ha fatto danni per 1000 miliardi di dollari oltre ad almeno 500.000 morti e innumerevoli feriti. ..."
     Prof. Matteo D'Amico 

In occasione dell’ottava edizione della Conferenza di Bruxelles sul “Sostegno al futuro della Siria e della regione”, l’UE si è impegnata a stanziare 2,12 miliardi di euro per il 2024 e il 2025. Questa assistenza sosterrà sia i siriani all’interno della Siria che quelli nei Paesi limitrofi, nonché le comunità che li ospitano in Turchia, Libano, Giordania e Iraq.La riunione ministeriale, che ha riunito i delegati degli Stati membri dell’UE, dei Paesi confinanti con la Siria, di altri Paesi partner e donatori e di organizzazioni internazionali, tra cui l’ONU, ha ribadito la necessità di un processo politico in Siria, in linea con la risoluzione 2254 del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite (UNSCR), e la necessità di mobilitare un sostegno finanziario vitale per rispondere ai bisogni più urgenti della popolazione siriana e delle comunità che la ospitano.


da Asianews

Il card. Zenari, che da anni segue le vicende siriane dalla nunziatura a Damasco denunciando prima gli orrori del conflitto poi la “bomba della povertà” che miete più vittime delle armi, chiede di non guardare alla nazione “come un pezzente”. Al contrario, bisogna aiutarla a “stare in piedi e camminare con le proprie gambe” che è anche “più dignitoso”. E per farlo serve parlare di ricostruzione, di ripresa dell’economia, dell’industria, far ripartire o creare nuove fabbriche: “Ricordo quanto detto da papa Paolo VI nel 1967, che il nuovo nome della pace è lo sviluppo. Lo stesso qui in Siria, dove non vi può essere pace senza sviluppo; dove vi è miseria non si possono creare le condizioni per la pace. 

“Nel marzo scorso la Siria - ricorda il porporato - è entrata nel suo 14mo anniversario di guerra, ignorata dai media e dalla stessa comunità internazionale” con il 90% della popolazione “sotto la soglia della povertà: tutti concordano nell’affermare che la situazione è diventata più dura rispetto agli anni della guerra. Manca l’elettricità in gran parte della Siria, molta gente ha in media due ore al giorno di corrente elettrica; la sanità e la scuola sono un disastro; servono infrastrutture necessarie; l’economia è al collasso e la gente trova una soluzione alternative. Chi può - prosegue il card. Zenari - cerca di scappare, unica via di uscita da questo tunnel, soprattutto per i giovani molti qualificati” alla ricerca del “modo per varcare i confini e andare all’estero“.

Un altro fattore di emergenza è quello legato ai rifugiati: “La guerra si dice abbia causato circa mezzo milione di morti, tra i quali 29mila bambini e minorenni - afferma il nunzio apostolico - e circa 12 milioni, poco più della metà della popolazione pre-conflitto, costretti a fuggire dalla proprie case, dai quartieri e dai villaggi. Secondo statistiche Onu vi sono sette milioni di sfollati interni e circa cinque milioni nei Paesi vicini”. Questo esodo ha determinato una nuova emergenza, in particolare nel Libano che è “un Paese piccolo, con una popolazione limitata e un numero sproporzionato di rifugiati” osserva il diplomatico vaticano. “Anche questo un tema grave e urgente - prosegue - ma non si sa come risolverlo. L’agenzia Onu per i rifugiati dice che non ci sono ancora le condizioni per un ritorno volontario, dignitoso e in sicurezza, intanto la gente comincia a perdere la speranza: si assiste, dopo le molte vittime, alla morte stessa della speranza, la gente non ha più fiducia nel futuro” tanto che, dalle ultime stime, si calcola che “circa 500 persone al giorno tentino di lasciare la Siria con ogni mezzo, in genere giovani e qualificate”.

I cristiani siriani

Come e più della gran parte dei siriani, perché rappresentano una piccola minoranza, anche i cristiani soffrono le conseguenze del conflitto e della povertà ormai diffusa nel Paese e che ha colpito diversi strati della popolazione. Una comunità che ha pagato in termini di vite umane, esodo, sparizioni forzate - fra le oltre 100mila persone scomparse nel nulla vi sono il gesuita italiano p. Paolo Dall’Oglio e i due vescovi, siro-ortodosso e greco-ortodosso, di Aleppo solo per fare alcuni nomi - e di fuga volontaria oltre-frontiera. Questa è “un’altra grossa ferita che sanguina nel cuore della Siria”. Ecco perché, per i cristiani, è un “soffio di speranza” l’annuncio di papa Francesco che saranno proclamati santi i martiri di Damasco, francescani e tre maroniti: la loro testimonianza, afferma il porporato, è “attuale” nel modo in cui essi ricordano e rappresentano “quanti hanno sofferto in vari modi in questo conflitto e per la fede”.

La Siria è “molto importante anche dal punto di vista del cristianesimo”, perché oltre ad aver dato il nome dei cristiani ad Antiochia, oggi territorio turco, è la terra cui è legato san Paolo e delle apparizioni di Cristo risorto. E ancora, nei primi sette secoli ha dato sei papi alla Chiesa e quattro imperatori, a conferma della sua importanza “sia dal punto di vista cristiano che sotto il profilo culturale e politico” sottolinea il card. Zenari. Vi è infine l’aspetto legato al turismo “che era in aumento” prima del conflitto, grazie anche a “reperti archeologici che risalgono a 4 o 5mila anni fa” e che permetteva di sostenere anche la comunità cristiana, mentre oggi “è una tragedia vederli partire”. Del resto, ricorda, “nei conflitti i gruppi minoritari sono sempre l’anello debole della catena” e questo è un danno ulteriore laddove essi rappresentano “una finestra aperta sul mondo”. “Basti pensare - conclude - al loro contributo nel campo culturale, dell’educazione con le scuole, nella sanità con gli ospedali, e anche nel campo politico. Anche questa è una ferita molto profonda per le Chiese, che hanno visto partire più della metà dei loro fedeli, e per la stessa società siriana”.

lunedì 20 maggio 2024

Il card. Pizzaballa entra a Gaza e incontra la comunità cristiana

 Ad AsiaNews la testimonianza di padre Romanelli rientrato dopo 7 mesi nella Striscia

“Non vogliamo il potere, ma chiediamo di essere forti” e se anche vi è un sentimento di “stanchezza, di profonda stanchezza” per questi mesi di guerra, in realtà “voi siete forti” perché durante le discussioni che ho avuto con voi, non ho mai sentito una sola parola di ira. Questo è il segno più evidente della vostra forza”. Con queste parole il patriarca di Gerusalemme dei latini, il card. Pierbattista Pizzaballa, si è rivolto alla comunità cristiana di Gaza durante la messa della Pentecoste. Il porporato ha concluso la tre giorni di visita inaspettata, ma attesa a lungo da lui stesso e dai fedeli della Sacra Famiglia, nella Striscia martoriata dal conflitto lanciato da Israele contro Hamas, in risposta all’attacco del 7 ottobre scorso. E che ha causato profonde devastazioni e decine di vittime anche in seno ai cattolici. 

“Sono venuto a testimoniare prima di tutto il mio amore personale e anche l’amore di tutta la Chiesa, unito al nostro impegno forte a sostenervi, e aiutarvi, in ogni modo possibile. Voi siete isolati, ma non siete soli. Possa lo Spirito Santo scendere su di noi tutti. Possa scendere in particolare sui nostri due giovani che faranno la Cresima. Possa scendere su tutti noi e darci la forza di vivere in queste circostanze speciali non solo per rimanere e resistere, ma per essere il futuro dei nostri figli qui a Gaza”.

Il card. Pizzaballa ha osservato con i propri occhi le distruzioni, le abitazioni ridotte a un cumulo di macerie e le famiglie che piangono i morti innocenti. “Ho davvero apprezzato la vostra accoglienza e il vostro atteggiamento” e, pur avendo riscontrato molta “stanchezza per questa situazione” e che “nemmeno una casa è rimasta intatta”, egli esorta a non guardare solo al passato ma volgerlo al “futuro: il futuro è quello delle case, delle scuole, specialmente delle scuole per i bambini”. Istruzione e lavoro, partendo da uno dei beni primari e alimento base del quotidiano: il pane. Nelle giornate trascorse nella Striscia, il card. Pizzaballa ha visitato e benedetto il forno “Delle famiglie” a Gaza, gravemente danneggiato dai bombardamenti e riaperto di recente grazie anche al sostegno e al contributo del Patriarcato latino. Esso è nato nel 1984 grazie all’iniziativa di Bishara Shehadeh e offre lavoro a cristiani e musulmani. 

La visita del porporato è stata anche occasione per permettere il ritorno del parroco della Sacra Famiglia, p. Gabriel Romanelli, sacerdote del Verbo Incarnato che si trovava a Betlemme nei giorni in cui è iniziata la guerra e non ha più potuto rientrare. Ad AsiaNews il sacerdote affida una breve testimonianza sulla situazione della comunità e le speranza per il futuro. “Le persone - sottolinea - sono serene, anche se è forte la sensazione di sfinimento, di depressione, ma è altrettanto vero che molti hanno voglia di riprendere la vita, di ricostruire, altri ancora stanno pensando di ricominciare una vita fuori, pur se con grande dolore”.

“Ora sono qui con voi, vi voglio bene e vi accompagno, seguo con attenzione le notizie che provengono dalla vostra comunità. E siate certi che stiamo lavorando per una pace giusta, completa e vera”. Sono le parole che il patriarca di Gerusalemme dei latini, il card. Pierbattista Pizzaballa, ha rivolto ai fedeli della parrocchia di Gaza nella prima visita che il porporato  ha compiuto nella Striscia. Una due giorni di visita inaspettata, ma accolta con gioia dalle centinaia di cristiani ospiti della parrocchia. Dai dati forniti dal patriarcato, al momento vi sono almeno 500 persone rifugiate nel complesso della parrocchia della Sacra Famiglia a Gaza, in larghissima maggioranza cattolici. Altri 200 sono ospiti della chiesa ortodossa di san Porfirio. Prima del conflitto divampato a ottobre, i cattolici nella Striscia erano 135, di cui oggi ne sono rimasti circa 90 dopo che una piccola parte è riuscita a lasciare l’area teatro di guerra nelle scorse settimane. Il card. Pizzaballa è entrato nella Striscia da un varco segreto e vi è massimo riserbo sull’organizzazione e i canali che hanno permesso di ottenere il via libera da governo ed esercito israeliano, che da mesi combatte una sanguinosa guerra a Gaza contro Hamas. “Bisogna considerare che pochissime persone - prosegue il portavoce del patriarca - siano esse religiose, politiche o ambasciatori hanno avuto la possibilità di entrare a Gaza” e il porporato “è il primo” di questo spessore e autorità a farlo. “Ed è andato - aggiunge - per portare un messaggio alla gente, per dare loro un segnale grandissimo di incoraggiamento”. Possiamo affermare con certezza che questa visita è frutto del lavoro del patriarcato e conferma una volta di più il ruolo di ponte, di pace della Chiesa che cerca prima di tutto di mantenere la sua presenza”. Come ha sottolineato il porporato nell’omelia della messa stanno passando “tanti momenti difficili, situazioni tragiche” ma sono rimasti “fermi nella libera scelta di restare in questa terra e noi siamo con voi”. da AsiaNews 17/05]

Di seguito, la testimonianza di p. Romanelli ad AsiaNews:

Abbiamo trovato la comunità cristiana di Gaza in condizioni abbastanza buone, per quanto possano esserlo dopo più di sette mesi di guerra e con un conflitto tuttora in corso. 

Noi abbiamo nel compound della parrocchia della Sacra Famiglia più di 500 persone, contando pure i bambini di Madre Teresa. 

Le persone sono serene, anche se è forte la sensazione di sfinimento, di depressione, ma è altrettanto vero che molti hanno voglia di riprendere la vita, di ricostruire, altri ancora stanno pensando di ricominciare una vita fuori, pur se con grande dolore. Tutti loro hanno amato, e amano, la loro terra. Nella comunità cristiana, infatti, ci sono tanti che da sempre vivono e hanno vissuto qui nella striscia e ad essa sono legati. Poi ci sono cristiani che erano rifugiati da altri luoghi, da Gerusalemme, da Jaffa o Tel Aviv, da Migdalia e Ashkelon, coloro i quali hanno perso la casa e sono dovuti partire per le guerre del passato. 

Tuttavia, tantissimi cristiani sono originari di Gaza e a questa terra sentono di appartenere. Per questo per alcuni di loro è grande il dolore al pensiero di andarsene, mentre altri vogliono rimanere. 

La città è molto colpita e porta i segni del conflitto, quasi non si vede nemmeno un edificio che non sia stato centrato, che sia stato risparmiato dalle bombe. 

Noi come parrocchia continuiamo con le attività, innanzitutto con la vita spirituale grazie a p. Yusuf [Assad, il vice-parroco] che per tutti questi mesi è restato con i fedeli e ancora adesso sarà qui con me. Io rimarrò in parrocchia, è venuto con me anche p. Carlos Ferrero il nostro provinciale [della congregazione del Vero Incarnato]. E non dimentichiamo poi le suore: con Pilares Ocorro è venuta anche una nuova sorella, sr. Maria “Maravillas” de Jesus, una argentina che rimarrà qui a testimonianza di una realtà viva e che prosegue nelle attività. Abbiamo già ricominciato l’oratorio, alcune lezioni per incominciare a fare delle attività con i bambini anche se non si tratta di una vera e propria scuola. Stiamo cercando comunque di fare tante altre iniziative con l’aiuto di molti ragazzi e, soprattutto, delle famiglie più giovani. 

La visita del patriarca [card. Pierbattista Pizzaballa] è stata splendida, si è conclusa con la Pentecoste e l’amministrazione del sacramento della Cresima a due ragazzi della parrocchia. Tutto questo è un segno di speranza, anche le persone sono state molto contente di rivederci e di sapere che sono tornato e che rimango qui, con l’aiuto di Dio. 

* Parroco della Sacra Famiglia a Gaza

venerdì 10 maggio 2024

"Non c'è pace senza giustizia, non c'è giustizia senza perdono"

 

abouna.org

Ogni volta che si accende la radio o la televisione si sentono notizie di guerre che infuriano in varie parti del mondo, che devastano vaste aree di territori, uccidono e feriscono innumerevoli persone, devastano ogni fonte di vita e privano le nuove generazioni di ogni speranza di vita. un futuro brillante. Oltre a queste notizie, i notiziari riportano anche dichiarazioni di funzionari che chiedono il raggiungimento della pace, ma inutilmente perché non vengono compiuti passi concreti in questa direzione. 

Il 19 aprile 2024 Sua Santità Papa Francesco ha chiesto ai bambini italiani di essere “artigiani di pace” pregando per i loro coetanei in Ucraina e Gaza durante un incontro con studenti e insegnanti della Rete Nazionale Italiana delle Scuole di Pace in Vaticano.  Nel corso dell'incontro, Papa Francesco ha lanciato un appello speciale per ricordare i bambini martoriati da guerre e conflitti, in particolare i bambini dell'Ucraina “che hanno dimenticato come si sorride”, e per i bambini di Gaza, “uccisi a colpi di arma da fuoco” e che soffrono la fame.  

Il Papa ha avvertito che le sfide di oggi sono davvero globali, riguardano tutti e richiedono “il coraggio e la creatività di un sogno collettivo che animi un impegno costante per affrontare insieme la crisi ambientale, economica, politica e sociale che il nostro pianeta sta attraversando”. Ha inoltre sottolineato le due parole chiave al centro del loro impegno, ovvero “pace” e “cura”. Le opinioni espresse da Papa Francesco sono quanto mai attuali poiché riassumono l’obiettivo acquisito che definisce un percorso di progresso e prosperità sociale, vale a dire la pace e la cura.

Queste opinioni ci riportano al 1° gennaio 2002, precisamente al messaggio di Sua Santità Papa San Giovanni Paolo II in occasione della celebrazione della Giornata Mondiale della Pace, intitolato "Non c'è pace senza giustizia, non c'è giustizia senza perdono". 

In realtà, questo messaggio dovrebbe essere attentamente rivisto in quanto funge da pietra angolare per il raggiungimento della pace, tenendo presente che pace, giustizia e perdono sono interconnessi e servono allo stesso tempo come piattaforma per la tanto agognata pace globale.  

Sottolineando che “la vera pace è frutto della giustizia”, Papa San Giovanni Paolo II afferma che “il perdono non è in alcun modo contrario alla giustizia, come se perdonare significasse trascurare la necessità di riparare il male commesso. È piuttosto la pienezza della giustizia, conducendo a quella tranquillità dell’ordine che è molto più di una fragile e temporanea cessazione delle ostilità, poiché comporta la più profonda guarigione delle ferite che marciscono nei cuori umani”. Di conseguenza, la giustizia e il perdono sono entrambi essenziali per tale guarigione. 

Riferendosi alla realtà del terrorismo, il Papa afferma che «è un diritto a difendersi dal terrorismo, diritto che, come sempre, deve essere esercitato nel rispetto dei limiti morali e legali nella scelta dei fini e dei mezzi», poi prosegue: “Non ucciderete in nome di Dio” e “Chi uccide con atti di terrorismo in realtà dispera dell'umanità, della vita, del futuro” e aggiunge che “il terrorismo sfrutta non solo le persone, sfrutta Dio: finisce per renderlo un idolo da usare per i propri scopi”. Invita poi a seguire l'insegnamento e l'esempio del Signore Gesù, Cristo.  Invita inoltre i leader religiosi ebrei, cristiani e islamici a prendere l'iniziativa di condannare pubblicamente il terrorismo e di negare ai terroristi qualsiasi forma di legittimità religiosa o morale.   

Riflettendo sul perdono, afferma che «la nostra mente si rivolge naturalmente a certe situazioni di conflitto che alimentano incessantemente odi profondi e divisivi e una sequenza apparentemente inarrestabile di tragedie personali e collettive. Mi riferisco soprattutto a quanto sta accadendo in Terra Santa, luogo benedetto dell'incontro di Dio con l'uomo, dove Gesù, il Principe della pace, ha vissuto, è morto ed è risorto”. 

Conclude il suo messaggio affermando che «non c'è pace senza giustizia, non c'è giustizia senza perdono: questo desidero dire ai responsabili del futuro della comunità umana, supplicandoli di lasciarsi guidare nelle loro decisioni pesanti e difficili dalla luce del vero bene dell'uomo, sempre in vista del bene comune. Non mi stancherò di ripetere questo avvertimento a coloro che, per un motivo o per l’altro, nutrono sentimenti di odio, desiderio di vendetta o volontà di distruzione”.

Nonostante il fatto che questo messaggio sia stato lanciato quasi 22 anni fa, è ancora valido soprattutto oggigiorno poiché illumina il percorso dei politici e mostra loro che, anche se i problemi sono persistenti, possono essere risolti con la pace raggiunta attraverso l’attuazione di misure pertinenti per intraprendere un nuovo cammino rappresentato dalla giustizia e dal perdono, poiché la giustizia tiene a bada la violenza e il perdono lava via il rancore che spinge ad atti di ritorsione.  

Possano i leader mondiali intraprendere nuovi percorsi politici che portino a infondere giustizia rivedendo questo messaggio estremamente importante, in base al quale i problemi cronici verrebbero affrontati portando ad atmosfere di giustizia e perdono.  

È tempo di agire in conformità con questo messaggio di grande valore, vecchio di 22 anni, espresso da San Papa Giovanni Paolo II prima che sia troppo tardi, mentre le guerre che infuriano in varie parti del mondo devastano tutti gli ambiti della vita e creano uno stato irreversibile di instabilità globale.