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venerdì 9 ottobre 2015

Mons. Hindo ribadisce: Le operazioni statunitensi sono "solo di facciata, in realtà hanno lasciato liberi di agire i jihadisti"

Asia News 
09/10/2015


Vescovo siriano: 
L’ambigua politica Usa favorisce lo Stato islamico. Questa guerra di Daesh nasconde solo interessi economici ed è finalizzata a dividere il Paese, contro la volontà di un popolo.
Timori per i cristiani rapiti. 


I raid aerei americani in Siria sono operazioni di facciata, che in realtà non colpiscono le milizie dello Stato islamico (SI) le quali sono libere di agire sul terreno; solo gli attacchi dei russi degli ultimi giorni si sono rivelati efficaci, costringendo i jihadisti a ripiegare verso il deserto irakeno. 
È quanto racconta ad AsiaNews mons. Jacques Behnan Hindo, alla guida dell’Arcieparchia siro-cattolica di Hassakè-Nisibi, che riferisce le testimonianze raccolte dalla gente che vive nelle aree teatro del conflitto. “L’intervento di Mosca si è rivelato positivo - spiega il prelato - perché stanno colpendo davvero Daesh e i miliziani cominciano a fuggire. In una zona sono scappati a bordo di 20 auto in tutta fretta in direzione dell’Iraq, lasciando altre 20 auto sul posto. Segno di una vera e propria ritirata”. 
Il vescovo di Hassakè-Nisibi vive egli stesso sotto la minaccia dello SI: “Sono a meno di tre chilometri dalla città - racconta - un mese fa una loro offensiva è stata respinta e hanno ripiegato nei dintorni della città. Nelle ultime due settimane, grazie anche agli attacchi dei russi, hanno cominciato a ritirarsi”. 

Di contro, mons. Hindo riserva invece parole durissime verso gli Stati Uniti, i quali starebbero bombardando non le postazioni delle milizie jihadiste ma reparti e mezzi dell’esercito governativo siriano. “Non è questione di essere pro o contro il governo - racconta - ma la gente non ha mai creduto agli attacchi americani. Solo i curdi hanno davvero combattuto sul terreno, ma per difendere le proprie posizioni” e non è plausibile che possano, essi soli, risolvere l’emergenza. Inoltre Stati Uniti, Francia, Gran Bretagna parlano solo di “attaccare Daesh, ma non parlano di al Nusra e di altre milizie fondamentaliste legate ad al Qaeda. Anzi, vi sono gruppi estremisti che hanno cambiato nome per rifarsi una verginità, e questi non vengono nemmeno menzionati. Anche questo è un grosso problema”.
Il presule denuncia una “ambiguità di fondo” nell’atteggiamento di Washington;  come emerge anche dal comportamento tenuto dagli americani durante il sequestro di centinaia di cristiani originari dei villaggi della valle del fiume Khabur. “La notte del 23 febbraio, quando Daesh ha attaccato, gli aerei americani hanno sorvolato a lungo la zona senza intervenire. Poi per tre giorni non si è più visto alcun caccia, lasciando campo libero ai miliziani. Questo ci fa pensare che in qualche modo sono stati aiutati dagli americani, che tengono un atteggiamento ambiguo”. 

In queste ore i media dello Stato islamico hanno diffuso un video (clicca qui per vedere alcuni estratti diffusi dalla tv libanese Otv e rilanciati da Aina) che mostra l’esecuzione di tre degli oltre 200 cristiani assiri ancora nelle mani dei miliziani jihadisti. 
“Ne hanno giustiziati tre - racconta mons. Hindo - e ne stanno preparando altri tre per una prossima esecuzione. In un primo momento hanno chiesto una somma enorme per la liberazione, quasi 120mila dollari per ciascuna delle 203 persone. Hanno respinto la proposta di un milione per il rilascio di tutti, ora è stata fatta una nuova proposta e stiamo aspettando una risposta”. 
Il prelato spiega che è difficile trattare con i rapitori, i contatti “sono brevissimi” e “non lasciano molti margini di manovra”. “Rispondo sì o no - racconta - e poi agiscono di conseguenza. Ora è rientrato nella zona anche il vescovo assiro, che si trovava a Erbil [per l’elezione del nuovo patriarca], per proseguire nelle trattative e seguire la vicenda in prima persona”. Nei giorni scorsi hanno liberato un anziano di 89 anni per comunicare la notizia dell’avvenuta esecuzione, poi la diffusione del video che sarebbe stato girato attorno al 23 settembre, festa islamica del sacrificio. “Analizzando il video - spiega mons. Hindo - si vede che il sole era ancora forte, mentre negli ultimi 10 giorni è calato di intensità. Questo fa ritenere plausibile la data del 23 come momento dell’esecuzione anche se non ci sono riferimenti alle celebrazioni”. 

Alla vicenda dei cristiani si associa anche il dramma vissuto dalla popolazione di Deir el-Zor, città di 250mila abitanti a est della Siria, da tempo assediata dalle milizie dello Stato islamico. “La gente muore di fame - denuncia il vescovo - mancano cibo e medicinali. Pensate che oggi un sacco di 50 kg di zucchero ha raggiunto il valore di una vettura o di una casa. La gente vende la macchina per comprarselo. Lo SI ha imposto un vero e proprio blocco, uomini, donne, anziani e bambini ridotti alla fame”. Per questo egli rilancia l’appello agli Stati Uniti, all’Arabia Saudita, al Qatar perché facciano “davvero qualcosa” per fronteggiare l’emergenza e salvare una popolazione civile allo stremo delle forze. 


In realtà, accusa mons. Hindo, i governi occidentali “stanno lavorando per la sicurezza di Israele e per dividere la Siria e l’Iraq, per mettere così le mani sulle ricchezze di questi Paesi. E non si tratta solo di petrolio, perché al largo delle nostre coste è stato da poco scoperto un importante giacimento di gas naturale. E ancora, sono in ballo - aggiunge - gli oleodotti che dall’Arabia Saudita e dal Qatar dovrebbero arrivare in Occidente. Damasco non ha accettato il passaggio sul proprio territorio, e questa è la conseguenza”. 
È una questione “molto complessa” , conclude mons. Hindo, dietro la quale “vi è l’economia; in Occidente si parla di religione, di sunniti e sciiti, di cristiani e musulmani ma questa guerra di Daesh e degli altri gruppi nasconde solo interessi economici ed è finalizzata a dividere il Paese”, contro la volontà di un popolo che in maggioranza “è unito e che vuole restare unito”.

http://www.asianews.it/notizie-it/Vescovo-siriano:-L%E2%80%99ambigua-politica-Usa-favorisce-lo-Stato-islamico.-Timori-per-i-cristiani-rapiti-35543.html


LEGGI ANCHE : Siria: Russia e Occidente ai ferri corti

venerdì 11 gennaio 2013

Il Vescovo di Hassaké : Il nostro grano saccheggiato e venduto ai turchi

Appelli dell'Arcivescovo Hindo al Premier irakeno al-Maliki e alla Fao

 Due appelli urgenti sono stati rivolti alla Presidenza della Fao - l'Organizzazione delle Nazioni Unite per l'alimentazione e l'agricoltura, con sede centrale a Roma – e al Primo Ministro irakeno, Nuri al-Maliki, con la richiesta di un intervento immediato davanti all'emergenza umanitaria che sta stritolando centinaia di migliaia di siriani nella regione di Jazira, nell'Alta Mesopotamia siriana. 

Agenzia Fides 2/1/2013 
 A richiamare di nuovo l'attenzione su uno dei tanti versanti oscurati del dramma siriano è l'Arcivescovo Jacques Behnan Hindo, titolare della arcieparchia siro-cattolica di Hassaké-Nisibi: le cose si aggravano in fretta, e la situazione – avverte l'Arcivescovo siriano - “potrebbe presto diventare catastrofica”.
Nel testo dell'appello alla Fao, inviato anche all'Agenzia Fides, il deterioramento delle condizioni di sopravvivenza della popolazione dell'area è delineato nei dettagli. All'inizio dell'inverno, ogni attività economica appare paralizzata. Le strade per i rifornimenti in direzione ovest sono interrotte da più di un mese, e ciò provoca il progressivo esaurimento dei beni di prima necessità e un aumento vertiginoso dei prezzi di tutte le derrate. 

La mancanza di carburanti impedisce il riscaldamento delle abitazioni e ha portato al blocco totale di tutte le attività agricole, proprio mentre inizia la stagione della semina. “I silos di grano - riferisce in particolare l'Arcivescovo Hindo - sono stati saccheggiati e il frumento è stato venduto a commercianti turchi che lo hanno convogliato in Turchia, sotto lo sguardo dei doganieri turchi. Il nostro grano è stato venduto a un prezzo molto basso”. La regione di Jazira era rinomata per la produzione di grano di ottima qualità. Nei decenni scorsi, a prelevare sottocosto il frumento pregiato dell'area, erano le politiche agricole del governo centrale di Damasco. 

Oltre al grano saccheggiato, l’Arcivescovo Hindo denuncia la progressiva scomparsa di altri prodotti vitali, come il latte per i bambini e le medicine, a partire dagli antibiotici. L'unica rotta di collegamento con l'esterno rimane la strada internazionale diretta in Irak, che collega l'Alta Mesopotania siriana a Mossul. Nel testo del suo secondo appello, rivolto al Premier irakeno Al-Maliki, Monsignor Hindo pone al leader politico del Paese confinante una richiesta concreta: “Vi preghiamo di soccorrerci il più in fretta possibile, inviandoci 600 cisterne di carburante, 300 cisterne di benzina e alcune tonnellate di farina”. L'Arcivescovo siriano, nel messaggio inviato anche a Fides, accomuna le sofferenze vissute adesso dal suo popolo con quelle che gli iracheni hanno provato nel loro recente passato: 
Noi - scrive Monsignor Hindo ad al-Maliki - soffriamo ciò che ha sofferto il popolo irakeno per l'imposizione dell'embargo. Le prime vittime sono stati i bambini. Voi avete provato nei vostri corpi, nelle vostre anime e nei vostri bambini, tutta l'ingiustizia che ne deriva. Perché ad essere punito è solo il popolo, e non il governo. Gli Stati così pongono i loro interessi al di sopra degli interessi degli uomini, e anche al di sopra dei diritti che Dio ha su ciò che è opera Sua”.
La regione di Jazira, con i centri urbani di Kamishly e Hassakè (capoluogo dell'omonimo governatorato) contava un milione e mezzo di abitanti, ai quali dall'inizio della guerra civile si sono aggiunti almeno 400mila profughi provenienti da Aleppo, Homs, Deir-Ez-Zor e Damasco.


venerdì 11 ottobre 2019

Mons Hindo da Hassakè: «Temo un nuovo esodo dei cristiani»


Intervista di Aiuto alla Chiesa che Soffre

«Come sempre ognuno ha i propri interessi, ma saremo noi cristiani a pagarne le conseguenze». Con profonda amarezza monsignor Jacques Behnan Hindo, arcivescovo siro-cattolico emerito di Hassaké-Nisibi nella zona curda di Siria, commenta ad Aiuto alla Chiesa che Soffre le notizie che giungono dal confine tra Siria e Turchia.
 Due cristiani sarebbero stati uccisi ed altri feriti nell’ambito di un attacco avvenuto nelle scorse ore alla Chiesa di San Giorgio a Qamishli.
Monsignor Hindo si era incontrato lo scorso marzo con i leader del Partito Democratico Curdo (PYD). «Li ho invitati a desistere dai loro piani – afferma – loro credono di aver diritto ad una regione autonoma così come vi è un Kurdistan iracheno ed uno turco. Ma la popolazione curda in quelle aree della Siria è appena del 10%. Inoltre si tratta di persone giunte come richiedenti asilo dopo il 1925, che hanno nazionalità turca o irachena. Non hanno alcun diritto». Il presule è convinto che i curdi perderanno lo scontro con la Turchia, soprattutto per il mancato supporto da parte degli Stati Uniti e delle altre forze occidentali. «È stata una mossa stupida quella curda, era chiaro che nessuno li avrebbe aiutati. Ora perderanno tutto, come è accaduto ad Afrin».
In queste ore il pensiero di monsignor Hindo va alle 5000 famiglie della diocesi di Hassaké-Nisibi. «Nei giorni scorsi in molti si erano già spostati dalle città di frontiera ad Hassaké. Ora il conflitto è divenuto ancor più grave e temo che saranno in tanti ad emigrare. Dall’inizio della guerra in Siria il 25% dei cattolici di Qamishli ed il 50% dei fedeli di Hassaké hanno lasciato il Paese assieme al 50% degli ortodossi. Temo un simile esodo se non maggiore».
Vi è forte preoccupazione anche per l’alta presenza nell’area di affiliati all’Isis. «Questa mattina ho appreso che sarebbe stata colpita la prigione di Chirkin, dove sono detenuti jihadisti dello Stato Islamico. A che pro? In questo modo la gran parte di loro sarà libera. Questo è un piano per distruggere la Siria e non solo. Ora i terroristi arriveranno anche in Europa, attraverso la Turchia e con il sostegno dell’Arabia Saudita».
Monsignor Hindo richiama altresì la comunità internazionale alle proprie responsabilità. «Stati Uniti, Italia, Francia, regno Unito, Germania, dovrebbero tutti fare mea culpa. Hanno agito in Siria per i loro interessi, nascondendosi dietro gli ideali della libertà e della democrazia. E invece non hanno fatto che indebolire il nostro Paese a spese della popolazione. Per quale motivo non combattono per la libertà e la democrazia in Arabia Saudita?».

venerdì 27 maggio 2016

"Dice di volere il bene del popolo siriano e invece ..."

Giunge oggi la notizia della decisione dell'Unione Europea di rinnovare le sanzioni contro la Siria per un altro anno. Riportiamo l'intervista rilasciata qualche giorno fa dal Vescovo di Hassakè Behnan Hindo , come primo commento a tale scelta, che per altro comporta conseguenze inumane per il popolo siriano


Piccole Note, 24 maggio

Sono cinque anni che una guerra feroce tormenta la Siria. Una tragedia senza fine si è abbattuta sulla popolazione siriana, che le sanzioni imposte dalla comunità internazionale strangolano ancora di più. «E le organizzazioni non governative e l’Onu invece di aiutarci, ci affamano», afferma monsignor Jacques Behnan Hindo, arcivescovo dell’eparchia siro-cattolica di Hassaké Nisibi, che la guerra in Siria la vede da vicino.

Lo incontriamo in una visita romana, ed è proprio su questo tema che inizia il suo dire: «L’Onu dovrebbe avere un ruolo istituzionale. Dice di volere il bene del popolo siriano e invece… basta pensare agli aiuti destinati ai siriani: le Nazioni Unite comprano merce fuori dal Paese per poi distribuirla sotto forma di aiuti umanitari. Un terzo dei finanziamenti destinati a questo scopo finiscono al personale Onu, altro si spende nel trasporto, molto costoso date le difficoltà della guerra. Se invece si comprasse merce siriana, che tra l’altro costa anche molto meno, si eviterebbero tante di queste spese, ma soprattutto si aiuterebbe il commercio locale, alleviando le sofferenza di un popolo su cui grava un’estrema povertà. Eppure si sceglie la strada più tortuosa, più costosa e meno efficace. Ci domandiamo perché…».

In fondo, anche questa discrasia è in linea con l’evanescenza dell’Onu riguardo la tragedia siriana, aggiunge monsignore, che ricorda con ironia le esternazioni «angosciate» di Ban ki-Moon a seguito delle stragi più efferate: «Parole, solo parole… è il nostro popolo a essere davvero “angosciato”, ma nessuno fa niente. Perché all’Occidente non interessa far finire questa guerra, dal momento che persegue i propri interessi, che poi sono in linea con quelli dell’Arabia Saudita, del Qatar e della Turchia».

Guerra per procura, quella contro Assad, che ha scatenato in Siria miliziani stranieri provenienti da ogni parte del mondo. Legioni che sono arrivate nel Paese sotto gli occhi complici dei servizi segreti di Stati Uniti, Francia, Gran Bretagna, Italia, aggiunge monsignore. Ci sono anche dei siriani tra le fila dei miliziani, certo. Reclutati con un sistema di arruolamento antico ma sempre efficace: il libero esercito siriano paga 10.000 lire siriane al mese: al Nusra, la più terribile milizia jihadista (le cui stragi non hanno eco in Occidente) paga 25.000 lire, mentre Daesh, ovvero l’Isis, 50.000 lire.

Cifre astronomiche per i normali stipendi siriani, che hanno sedotto i cuori di tanta povera gente che così ha trovato l’America. Non solo i soldi: quando iniziò la cosiddetta primavera araba siriana, in un mese il Paese si riempì di armi, come racconta il presule, che accenna anche alle decine di migliaia di pik-up Honda bianchi, con tanto di mitragliatrice posizionata nel retro, arrivate nel Paese: veicoli nuovi fiammanti che qualcuno ha comprato e girato ai miliziani e che oggi fanno bella mostra di sé in tutto il Paese.

Quanto ai cosiddetti “ribelli moderati”, come sono chiamati in Occidente alcuni battaglioni di miliziani, monsignor Hindo è netto: semplicemente non esistono. I miliziani passano da un gruppo all’altro con estrema facilità, come anche le armi che l’Occidente fornisce ai loro protetti.

Guerra sporca, quella siriana, dove tutto è ribaltato e dove tutto è usato per uno scopo diverso da quello dichiarato. Anche il recente cessate il fuoco, spiega monsignore, è stato usato a scopo bellico: per rifornire di armi i jihadisti e per farne entrare di nuovi dai confini turchi: circa diecimila.

La sua regione, tra l’altro, vede anche l’attivismo curdo, che certo è diretto contro le bande terroriste, ma che ha le sue ambiguità. Monsignor Hindo spiega che i curdi sono arrivati negli ultimi decenni, da Iraq e Turchia, a seguito delle repressioni subite in quei Paesi. Oggi tale minoranza combatte una battaglia che non coincide con quella dei siriani, tanto che esiste una conflittualità latente tra curdi ed esercito siriano e una diffidenza di fondo tra questi e le popolazioni locali. Storie di un Paese frammentato, a tutto vantaggio dei costruttori di caos.

E dei costruttori di caos è la formula magica «scontro di civiltà», una formula usata da tempo per spiegare la nuova conflittualità globale, che vede il mondo dilaniato dal conflitto tra islamici e cristiani. Una narrativa che vede l’Occidente ergersi a difensore dei cristiani. «Non abbiamo bisogno di protettori – spiega monsignore -. Abbiamo solo bisogno di essere lasciati in pace… Piuttosto la smettano di alimentare questa guerra. Dalle crociate in poi, quando l’Occidente ha usato la difesa dei cristiani come copertura per i propri interessi, i cristiani del mondo arabo hanno sempre pagato un prezzo altissimo. È ora di finirla».

Gli chiediamo del dramma dei profughi, e della nuova propensione all’accoglienza (pur oggetto di controversia) dell’Europa. Anche su questo tema monsignor Hindo ha idee molto chiare: non gli piacciono le distinzioni con le quali si accompagnano tali proclami, ovvero un’accoglienza mirata ai soli cristiani. «Non si tratta di salvare i soli cristiani, ma tutti i siriani. Dio ha donato la sua creazione all’uomo, e si è abbassato a servirlo. Anche a noi è stato dato il compito di servire l’uomo, tutti gli uomini, non solo i cristiani».


venerdì 7 settembre 2018

Monsignor HINDO: «È in atto un piano per cacciar via i Cristiani dalla regione»

La Scuola Elementare 'Amal' in Hassakè (foto AINA).
Hassakeh contava 420 000 abitanti di cui 50 000 cristiani prima che Daesh circondasse la zona, ora la città conta solo 150 000 abitanti di cui 5000 cristiani. Ricordiamo che le chiese assire siriane fanno parte del patrimonio mondiale e sono tra le più antiche della cristianità.

di Gianandrea Gaiani
Dopo aver subito uccisioni, espropri, stupri e violenze di ogni tipo da parte dei miliziani jihadisti, prima qaedisti e salafiti e poi dello Stato Islamico, che hanno ridotto al lumicino la loro presenza, i cristiani delle regioni nord orientali siriane subiscono da tempo la “pulizia etnica” attuata dalle forze curde.
"Sono anni che lo ripeto, è in atto un tentativo da parte dei curdi di eliminare la presenza cristiana da quest' area della Siria" ha detto sabato monsignor Jacques Behnam Hindo, arcivescovo siro-cattolico di Hassaké-Nisibi, nel nord-est della Siria. Il presule conferma all’organizzazione Aiuto alla Chiesa che Soffre” (ACS - autrice ogni anno di un rapporto che evidenzia le persecuzioni dei cristiani perpetrate in tutto il mondo e in particolare nel mondo islamico) la chiusura di alcune scuole cristiane da parte delle Forze Democratiche Siriane (FDS), la milizia curdo-araba istituita dagli Stati Uniti per strappare le aree tra Raqqa e la provincia di Deir Ezzor all’Isis e impedire alle truppe regolari di Damasco di riconquistare la regione orientale del Paese. Grazie agli aiuti Usa, che in quell’area mantengono basi e oltre 2mila militari, la regione nord orientale siriana è di fatto un territorio autonomo amministrato dalle Forze di difesa popolare curde (Ypg - braccio militare del partito curdo dell'Unione Democratica – PDY), protagoniste della difesa di Kobane e celebrate in Occidente come le più acerrime avversarie del Califfato.
"Già dall' inizio dell'anno, l'amministrazione locale ha preso possesso di un centinaio di scuole statali, nelle quali ha imposto un proprio programma scolastico e i propri libri di testo” – ha sottolineato monsignor Hindo. “I funzionari curdi ci avevano assicurato che non si sarebbero neanche avvicinati alle scuole private, molte delle quali sono cristiane. Invece non soltanto ci si sono avvicinati, ma ne hanno anche serrato le porte". La motivazione ufficiale della chiusura di varie scuole cristiane nelle città Qamishli, Darbasiyah e Malikiyah, è che tali istituti hanno rifiutato di conformarsi al programma imposto dalle autorità della regione. "Loro non vogliono che si insegni nella lingua della Chiesa, il siriaco antico, e non vogliono che insegniamo la storia, perché preferiscono inculcare agli alunni la propria storia". Nulla di diverso, in fondo, da quanto attuato negli stessi territori negli anni scorsi quando erano controllati dallo Stato Islamico.
Hindo non nasconde la preoccupazione, sia per la probabile chiusura di altre scuole cristiane - ve ne sono altre sei soltanto ad Hassaké - sia per i gravi danni che il programma scolastico "curdo", differente da quello ufficiale siriano, potrà causare agli studenti. "Ho detto ad un funzionario curdo che così una intera generazione verrà penalizzata, perché non potrà accedere a gradi di istruzione superiori. Lui mi ha risposto che sono disposti a sacrificare anche sei o sette generazioni pur di imporre la loro ideologia". La vicenda rappresenta una conferma del tentativo di "curdizzazione" di quella regione, un piano che secondo Hindo prevede anche l'allontanamento della locale comunità cristiana.
"È almeno dal 2015 che continuiamo a denunciare tale pericolo. Vogliono cacciar via noi cristiani per aumentare la loro presenza”. Ad oggi i curdi rappresentano soltanto il 20 percento della popolazione siriana ma controllano quasi per intero l’oriente siriano, a est del fiume Eufrate, soltanto grazie al sostegno dell’Occidente, Stati Uniti e Francia in testa, che grazie alle milizie curde cercano di impedire che l’intera Siria torni nelle mani di Assad e dei suoi alleati russi e iraniani. Le FDS controllano infatti un’area molto più ampia di quella abitata dalla popolazione curda siriana e la “pulizia etnica” ha l’obiettivo di allontanare i cristiani e “omogeneizzare” la popolazione ricollocando in queste aree le popolazioni curde cacciate dai militari turchi dalle aree di Afrin e Manbji. Attraverso ACS, il presule ha lanciato un appello alla comunità internazionale ed in particolare alle nazioni europee. "La chiusura delle nostre scuole ci addolora. È dal 1932 che la Chiesa gestisce questi istituti e mai ci saremmo immaginati che potessero venire chiusi. L'Occidente non può rimanere in silenzio. Se siete davvero cristiani dovete gettare luce su quanto sta accadendo ed impedire nuove violazioni dei nostri diritti e ulteriori minacce alla nostra presenza nella regione" ha concluso Hindo.
Non è la prima volta che i curdi, in Siria come in Iraq, puntano ad allargare le aree sotto il loro controllo a spese di minoranze di peso etnico inferiore. Lo hanno fatto nella città petrolifera irachena di Kirkuk cacciando soprattutto i turcomanni e, più a est nel Sinjar, gli Yazidi. Dopo la caduta di Mosul e la sconfitta dell’Isis in Iraq, l’invio di truppe di Baghdad e di milizie scite filo-iraniane in quelle regioni ha fatto tramontare il sogno indipendentistico del Kurdistan iracheno relegandolo a un’autonomia molto limitata. In Siria invece l’espansionismo curdo continua a manifestarsi grazie al supporto militare di Washington che finora ha impedito che prendesse piede la proposta di Damasco che offre autonomia ai curdi, ma limitata alla regione del Rojava, in cambio della restituzione allo Stato siriano dei territori oggi occupati dalle FDS che includono giacimenti e pozzi di gas e petrolio.
Il regime siriano di Bashar Assad ha sempre tutelato minoranze e confessioni diverse ed è stato in questi anni di guerra l’unico a sostenere le comunità cristiane. Donald Trump ha più volte manifestato l’intenzione di ritirare i militari statunitensi dalla Siria, iniziativa che renderebbe problematico per le FDS far fronte alle truppe di Damasco e ai loro alleati, inclusi gli iracheni che, come i turchi, non vedono certo di buon occhio la nascita “de facto” di uno Stato curdo nella Siria Orientale.

venerdì 2 ottobre 2015

Vescovo Hindo: "E' un'ammissione spudorata del fatto che dietro alla guerra ad Assad c'è anche la Cia, e che si tratta di un conflitto etero-diretto”

L'Arcivescovo Hindo: “inquietanti le parole di McCain sui ribelli anti-Assad armati dalla Cia”


Agenzia Fides   2/10/2015

Hassakè -  “Il senatore statunitense John McCain ha protestato dicendo che i russi non stanno bombardando le postazioni dello Stato Islamico, ma piuttosto i ribelli anti-Assad addestrati dalla Cia. Io trovo inquietanti queste parole. Rappresentano un'ammissione spudorata del fatto che dietro alla guerra ad Assad c'è anche la Cia, e che si tratta di un conflitto etero-diretto da circoli di potere lontani dalla Siria e dai loro alleati nella regione mediorientale”. 
Così l'Arcivescovo siriano Jacques Behnan Hindo, alla guida dell'Arcieparchia siro-cattolica di Hassakè-Nisibi, commenta con l'Agenzia Fides alcuni recenti sviluppi del conflitto siriano, segnati dall'intervento diretto delle forze militari russe contro le postazioni delle milizie jihadiste. 

“La propaganda occidentale” sottolinea l'Arcivescovo Hindo “continua a parlare di ribelli moderati, che non esistono: nella galassia dei gruppi armati, quelli dell'Esercito Siriano Libero li trovi solo se li cerchi con la lente d'ingrandimento. Tutte le altre sigle, a parte lo Stato Islamico (Daesh), sono confluite o sono state fagocitate di fatto dal Fronte al-Nusra, che è il braccio militare di al-Qaida in Siria”. 
A giudizio dell'Arcivescovo siro-cattolico, “c'è qualcosa di veramente inquietante in tutto questo: c'è una superpotenza che a 14 anni dall’11 settembre protesta perchè i russi colpiscono le milizie di al-Qaeda in Siria. Che vuol dire? Che adesso al-Qaida è un alleato degli Usa, solo perchè in Siria ha un altro nome? Ma disprezzano davvero così tanto la nostra intelligenza e la nostra memoria?”.

Nel colloquio con Fides, l'Arcivescovo Hindo ripete che “a decidere se e quando Assad dovrà andare via, saremo noi siriani, e non il Daesh o l'Occidente. Ed è certo che se Assad va via adesso, la Siria diventerà come la Libia”. 
L'Arcivescovo siriano lancia anche un allarme: “Ci giungono notizie tremende dalla città di Deir el Zor, assediata dal Daesh da molto tempo. I viveri non possono arrivare in città, non hanno più cibo, e la popolazione sta letteralmente morendo di fame. Occorre fare subito qualcosa, prima che sia troppo tardi”

http://www.fides.org/it/news/58508-ASIA_SIRIA_L_Arcivescovo_Hindo_inquietanti_le_parole_di_McCain_sui_ribelli_anti_Assad_armati_dalla_Cia

UN APPROFONDIMENTO QUI: 
Da dove è venuto fuori #ISIS /Daesh? Dubbi sospetti e evidenze.

 http://www.lastampa.it/2015/10/01/blogs/underblog/da-dove-venuto-fuori-isis-daesh-dubbi-sospetti-e-evidenze-st2OctKibM7VeDQXE8crMJ/pagina.html

venerdì 14 luglio 2017

Kurdilandia, ovvero il paese artificiale

Scrive su MintPress Sarah Abed analizzando il ruolo che alcune fazioni kurde hanno giocato durante la storia: i Kurdi hanno aiutato le maggiori potenze a creare il caos in Medio Oriente - dalla rivolta kurda in Iraq negli anni '60 al conflitto in corso in Siria oggi.
Ancora oggi, essi si rivelano l'arma di USA e Israele per la destabilizzazione del Medio Oriente, in cui gli interessi petroliferi giocano un ruolo primario:


In questo quadro si comprendono le preoccupazioni espresse a Fides dal Vescovo di Hassakè mons Hindo :

Offensiva “autonomista” dei curdi a Hassaké. L'Arcivescovo Hindo: si sentono protetti dagli americani

I militanti e i miliziani che fanno capo al Partito Democratico Curdo (PYD), braccio siriano del Partiya Karkeren Kurdistan (PKK), hanno iniziato a realizzare nei fatti il loro intento – coltivato da anni - di creare una regione autonoma curda nella regione siriana di Jazira, che nei media curdi già viene indicata col nome curdo di Rojava.
Nella provincia siriana nord-orientale di Hassaké, l'auto-proclamata amministrazione autonoma di Rojava ha iniziato a implementare un sistema di tassazione locale per sovvenzionare i pubblici servizi della regione. Secondo quanto affermano i responsabili del progetto, le tasse saranno utilizzate per sostenere i servizi sanitari e educativi locali, per migliorare il sistema di sicurezza e anche per affermare con più forza nelle istituzioni e nella vita sociale i diritti delle donne. Il programma di tassazione prevede imposte per tutti i cittadini che hanno entrate mensili pari o superiori a 100mila lire siriane (circa 200 dollari), e quindi dovrebbe coinvolgere circa il 75 per cento della popolazione locale.
Oltre a cercare di imporre questo nuovo sistema di tasse” riferisce all'Agenzia Fides l'Arcivescovo siro cattolico Jacques Behnan Hindo "quelli del PYD hanno anche requisito e chiuso le scuole. Metà le hanno trasformate in caserme, e nelle altre hanno detto di voler introdurre nuovi programmi scolastici, che verranno realizzati in lingua curda. Tempo fa hanno provato anche a espropriare un terreno appartenente alla nostra Chiesa, ma lo hanno subito restituito, dopo che io avevo inviato lettere di denuncia sia alla Nunziatura che ad alcuni dei loro responsabili”.
Secondo l'Arcivescovo Hindo, che guida l'Arcieparchia siro cattolica di Hassaké-Nisibi, anche la regione di Jazira è coinvolta nella delicata e complicata partita geopolitica che si sta giocando in tutta la regione, e che ruota anche intorno alla 'questione curda': 
I militanti curdi del PYD” riferisce a Fides l'Arcivescovo Hindo “si sentono forti perché credono di avere l'appoggio degli USA. Io li ho messi in guardia: guardate, gli americani prima o poi se ne andranno, e voi vi troverete peggio di prima. Questi militanti sono collegati al PKK, che opera in Turchia, e dicono di aspirare soltanto a una maggiore autonomia locale, senza perseguire mire indipendentiste. Inoltre, sono nemici dei curdi di Masud Barzani, che in Iraq stanno invece marciando verso il referendum per proclamare la piena indipendenza del Kurdistan iracheno. Qui da noi, il progetto di una amministrazione autonoma sostenuto del PYD sembra andare avanti perché loro hanno le armi, ma in realtà non riscuote consensi neanche da parte degli altri curdi. Tanto meno da parte delle tribù musulmane e di noi cristiani. E non credo che sarà mai accettato dal governo di Damasco”.

lunedì 28 novembre 2016

L'arcivescovo Jacques Behnan Hindo spiega le dinamiche della guerra siriana


Intervista di Rodolfo Casadei

Tempi, 28 novembre 2016

Parla della sua regione e la sua arcidiocesi (o arcieparchia), che si estende da nord a sud dalla città di Qamishli, al confine con la Turchia, fino alla derelitta Der Ezzor non lontano dal confine con l’Iraq occupato dall’Isis, e verso ovest fino a Raqqa compresa, la capitale del califfato di al-Baghdadi.

Stiamo parlando dell’angolo nord-est della Siria, quello incuneato fra Turchia e Iraq. In Europa questa regione è chiamata la Mesopotamia siriana, nel mondo arabofono è nota come la Jazira, parola che significa “isola”: si tratta dei territori compresi fra l’alto corso dei due fiumi che poi entrano in Iraq, il Tigri e l’Eufrate. Gran parte dell’area è fertilissima e rappresentava in tempo di pace il granaio della Siria. Nella parte di questa regione coincidente col governatorato di Hassaké, prima della guerra i cristiani erano numerosi, circa 200 mila pari al 15 per cento di tutti gli abitanti. Appartenenti principalmente a sei chiese diverse: siro cattolici, siro ortodossi, armeni apostolici, armeni cattolici, caldei e assiri orientali. Sia nell’agricoltura sia nell’industria, rappresentavano l’élite sociale: secondo i dati di monsignor Hindo detenevano il 60 per cento del Pil prodotto nel governatorato di Hassaké. Ora la loro presenza è dimezzata, molti sono fuggiti per non restare coinvolti nei sanguinosi combattimenti iniziati nel 2011 e che oggi vedono scontrarsi soprattutto le Forze democratiche siriane (Fds), composte dai miliziani curdi dell’Ypg e da milizie locali beduine, e l’Isis, che ha da queste parti la sua roccaforte siriana. Le principali città sono in parte sotto controllo dei governativi di Damasco, in parte sotto quello dei curdi dell’Ypg o dell’Isis.

Monsignor Hindo spiega qual è stato il ruolo delle Chiese nel momento in cui l’episodio siriano della cosiddetta Primavera araba stava tracimando dalle proteste di piazza alla guerra civile. «Nella nostra regione i cristiani sono sempre stati considerati i mediatori dei conflitti. Quando sono cominciate le tensioni, siamo stati chiamati ad appianare le divergenze politiche sorte all’interno delle tribù beduine e della componente curda. Nei primi tempi ci siamo riusciti, come succedeva spesso in passato, ma in seguito abbiamo perso completamente il controllo della situazione».

Tu paghi, io combatto
Del ruolo delle tribù beduine nella guerra civile siriana parlano solo gli specialisti, letti e consultati da pochi, ma si tratta di uno dei fattori decisivi del conflitto. I beduini, fra nomadi e sedentarizzati, rappresentano il 12-15 per cento della popolazione siriana. Alcune tribù sono fedelissime del governo centrale, altre sono legate all’Arabia Saudita, ma in generale i beduini non nutrono sentimenti di appartenenza a un paese oppure a un altro: si legano ad altri solo per il vantaggio della propria tribù.
«I beduini non hanno patria, sono devoti solo alle loro gerarchie tribali, e anche se sono tutti musulmani sunniti non sono molto religiosi: in Europa li definireste dei credenti non praticanti. In Siria il governo, che negli anni Sessanta ha tolto le terre ai loro capi per darle alle famiglie povere, nei decenni successivi ha cercato di ingraziarseli con politiche assistenziali. Gli anni precedenti il 2011 sono stati caratterizzati da grandi siccità nelle regioni semidesertiche della Siria che loro abitano, e ciò li ha resi disponibili ad aderire alla ribellione. In quegli anni molti di loro si sono trasferiti in città a Damasco, ad Aleppo e a Daraa, e lì sono stati il nerbo delle proteste. All’inizio hanno aderito in massa al Free Syrian Army (Fsa) filo-occidentale, che però pagava solo 10 mila lire siriane al mese (che nel 2012 equivalevano a 185 dollari), ma quando è apparsa Jabhat al-Nusra (l’equivalente siriano di Al Qaeda), sono passati in massa con lei soprattutto perché pagava il doppio! Quindi è arrivata l’Isis, che noi chiamiamo Daesh, e di nuovo molti beduini, parliamo di migliaia di combattenti, hanno cambiato bandiera, perché loro pagavano mille dollari a persona! Una famiglia con sei figli maschi poteva incassare 6 mila dollari al mese, una somma enorme per loro. In quel periodo i beduini hanno cominciato a vestirsi e a comportarsi come pretendeva lo Stato islamico. Poi gli americani, i russi e i curdi hanno cominciato a bombardare e attaccare il Daesh, i suoi pozzi petroliferi e le autobotti con cui il petrolio veniva trasportato al confine. Le loro risorse sono svanite, e adesso i combattenti locali sono pagati solo 200 dollari. Un po’ per questo, e un po’ perché hanno visto che l’Isis era attaccata da tutti e perdeva terreno, i beduini che combattevano per loro sono passati in massa dalla parte dei curdi».
Le divisioni tra i curdi
E così cominciamo a proiettare un po’ di luce sul mistero delle Forze Democratiche Siriane (Fds), coalizione di combattenti curdi dell’Ypg e di milizie arabe. Le milizie arabe altro non sono che le varie tribù beduine che hanno cambiato bandiera e sono passate coi curdi. Anche su questi ultimi Hindo fornisce informazioni molto interessanti: «Non tutti i curdi stanno dalla parte dell’Ypg e del suo braccio politico, il Pyd, che ha come obiettivo l’indipendenza di un vasto territorio sotto il nome di Rojava. I curdi rappresentano forse il 30 per cento degli abitanti della regione, e di questi solo la metà o poco più appoggia la linea politica del Pyd, che ha la stessa ideologia laicista del Pkk di Abdullah Ocalan in Turchia. Molti giovani curdi sono fuggiti nel Kurdistan iracheno per non essere costretti a combattere prima con l’Ypg e poi con le Fds. Fino a un anno fa, quando appunto sono nate le Fds, c’era un accordo di non belligeranza fra i curdi dell’Ypg e le forze governative. Damasco ha pure fornito segretamente armi e risorse ai curdi, ai quali è stato permesso di controllare gran parte dei territori del nord-est. La cosa è cambiata quando gli americani hanno sponsorizzato la nascita delle Fds e hanno cominciato ad armarle e finanziarle con larghezza. Allora i rapporti con le forze governative si sono logorati, e in alcune località, come nella città di Hassaké, ci sono stati aspri scontri, in particolare nel quartiere cristiano delle sei chiese, che adesso è zeppo di check-point. Sono stati otto giorni molto sanguinosi».

Milizie cristiane
Facciamo presente al nostro interlocutore che nel nord-est della Siria i cristiani appaiono divisi politicamente e militarmente: la milizia Sootoro appoggia le forze governative (esercito e Ndf, le milizie popolari di quartiere), la quasi omonima milizia Sutoro sta dalla parte delle Fds. «È vero, c’è questa divisione, ma i cristiani filo-curdi in realtà sono poco numerosi: credo 300 famiglie in tutto, dai cui ranghi provengono gli armati di Sutoro. Si tratta di elementi ideologicamente di estrema sinistra o di nazionalisti etnici assiri e siriaci. Sono pochi anche i cristiani coinvolti in Sootoro. La grande maggioranza di noi o sostiene il governo, o critica il governo ma resta leale al presidente Assad. I Sutoro cercano di farsi valere all’interno delle Fds: recentemente la componente curda ha deciso di requisire tutte le case dei cristiani che sono emigrati a causa della guerra, ma Sutoro ha protestato e ha ottenuto che le case siano affidate alla loro competenza. Stanno cacciando i nuovi residenti, spesso arabi a cui i cristiani avevano venduto o affittato la casa prima di andarsene, e mettono dentro persone che scelgono loro».
Monsignor Hindo classifica se stesso fra coloro che criticano il governo ma riconoscono l’autorità del presidente Assad: «Il 28 giugno scorso ho incontrato il presidente e gliel’ho detto di persona, poi ho scritto una lettera in quattro punti perché restasse agli atti: il governo deve cambiare il suo modo di agire, il partito dominante, il Baath, continua a comportarsi come se vivessimo in tempi normali, e non in tempo di guerra. Nomina le persone sbagliate nei posti sbagliati, seguendo logiche partitocratiche, settarie, di clan, di fazione. Per il 95 per cento, le persone competenti, oneste e intelligenti che ci sono nel partito vengono tenute ai margini e non vengono promosse alle responsabilità che meriterebbero. Il risultato è l’incancrenimento della corruzione amministrativa. L’ho detto anche al governatore militare di Hassaké: “Lei ha tutti i poteri, lei può sradicare la corruzione”. Mi ha chiesto cos’è che vogliamo noi cristiani. Gli ho risposto: “Per noi stessi non vogliamo nulla, vogliamo la giustizia, la pace, la sicurezza personale e comunitaria per tutto il popolo, e vogliamo che siano colpiti coloro che rubano il denaro pubblico”».
Come si vive a Raqqa
Monsignor Hindo ne ha anche per le Nazioni Unite: «Da tempo il governo pratica la politica dell’amnistia e della riconciliazione per chi depone le armi e firma l’impegno a non praticare più la lotta armata. In alcuni casi si è provveduto a trasportare nelle zone controllate dalla ribellione chi voleva continuare a combattere, per poi dichiarare la cessazione delle ostilità in quartieri, villaggi e città dove restano molti ex combattenti che riprendono la loro vita normale. È la strada giusta, è l’unico modo per ricomporre il tessuto della società siriana strappato dalla guerra. Abbiamo una serie di esperienze positive a Homs, Mouadamiya, Daraya, Qudssaya. Quando invece si mettono di mezzo le Nazioni Unite, quando l’Onu entra nelle trattative, le cose si complicano e spesso i negoziati falliscono. Perché? Perché quando vedono rappresentanti degli enti internazionali, i ribelli si sentono molto importanti e alzano il prezzo della resa. Si sentono spalleggiati da autorità di livello mondiale, e allora si irrigidiscono. Dove le trattative si svolgono esclusivamente fra siriani, spesso si arriva a una soluzione negoziata, dove si mette in mezzo l’Onu, le trattative stentano. In parte questo sta succedendo anche ad Aleppo».
L’arcidiocesi di monsignor Hindo si estende fino a Raqqa, ed è una vera sorpresa venire a sapere da lui che nella capitale del califfato vive più di qualche cristiano: «Le sole famiglie siro cattoliche sono 15. Escono di casa solo per andare al lavoro, hanno molta paura a farsi vedere in giro. Ma non si lamentano dell’amministrazione: l’Isis fa rispettare tutte le leggi, non solo quelle di ispirazione religiosa, e dopo che hanno pagato la tassa di sottomissione coranica, la jizya, i cristiani sono trattati come gli altri cittadini. Lo Stato islamico ha fissato il prezzo di tutti i servizi, e fa rispettare rigorosamente le norme: se qualcuno non paga a un cristiano la riparazione effettuata presso la sua officina meccanica, il cristiano va a protestare dallo sceicco e quello rapidamente costringe il cliente a saldare il conto alla cifra fissata. Per i sacramenti, battesimi e matrimoni soprattutto, vengono da noi ad Hassaké: celebriamo il rito e festeggiamo insieme, poi loro tornano a Raqqa. Chi è in regola col pagamento della jizya non ha problemi e può viaggiare».
L’ombelico di Dio
Il vescovo non è mai stato a Raqqa da quando è scoppiata la guerra, e forse è meglio così, sentendo quel che dice quando parla della sua fede cristiana: «Io non credo in un Dio unico, credo in un Dio trino. Perché un Dio unico che ama se stesso sarebbe un Dio narcisista. Non credo in un Dio potente, perché sono creatura debole come debole è tutta la creazione. E non credo in un Dio eterno che eternamente ruota attorno al suo ombelico, perché sarebbe un’eternità vuota. Credo che Dio lo abbiamo conosciuto in Cristo quando è salito sulla croce e ci ha rivelato l’amore di Dio. Dio ha amato tanto il mondo da mandare Suo figlio, e Suo figlio si è fatto sacrificio per noi per aprire al mondo la strada della resurrezione e ci ha inviato il Suo Spirito vivificante. Credo in un Dio che ha una storia, che ha un presente e un futuro, in quanto verrà. Un Dio che non soffre non è un Dio che ama, Dio si è fatto uomo per soffrire e per amarci. Non possiamo conoscere Dio che a partire dal sacrificio di Suo figlio. La Chiesa ci aiuta a diventare uno in Cristo, e quando saremo uno in Lui e con Lui, saremo anche uno con il Padre».

martedì 17 marzo 2015

Gli Usa “aprono” alle trattative con Assad. L'Arcivescovo Hindo: scelta obbligata, no a condizioni-capestro

 Agenzia Fides.  16/3/2015

Hassakè  – La disponibilità dell'Amministrazione Usa a trattare con il regime siriano di Bashar al Assad è una “opzione che si doveva imboccare già da tempo” e a questo punto rappresenta “una scelta obbligata, se davvero si vuole cercare una via d'uscita da questa tragedia iniziata quattro anni fa”. Così l'Arcivescovo Jacques Behnan Hindo, a capo dell'arcieparchia siro-cattolica di Hassakè-Nisibi, commenta con l'Agenzia Fides le dichiarazioni rilasciate dal Segretario di Stato Usa, John Kerry, il quale in un'intervista televisiva ha ammesso che gli Usa “alla fine” dovranno negoziare con Bashar al Assad per porre fine al conflitto in Siria entrato nel quinto anno. Secondo l'Arcivescovo siro-cattolico, tutto potrà dipendere dal modo con cui verrà prospettata la via negoziale da parte degli Usa e degli altri attori geopolitici. 
“Prima di tutto - sottolinea Mons. Hindo - una proposta concreta di negoziato deve essere posta sul tavolo in tempi brevi. In caso contrario, vorrà dire che si sta prendendo solo tempo, credendo così di favorire l'ulteriore indebolimento dell'esercito siriano, che in realtà sta guadagnando terreno su tutti i vari fronti”. 
Inoltre, a giudizio dell'Arcivescovo Hindo, eventuali trattative potranno partire “solo se si eviterà di porre pre-condizioni stupide e provocatorie all'interlocutore. In questo senso - aggiunge Mons. Hindo - non mi tranquillizzano le voci che prefigurano offensive militari nelle aree di conflitto autorizzate a non tenere in nessun conto i confini tra Stati sovrani. Non mi sembra un modo corretto di iniziare. Chi vuole il bene del popolo siriano e di quello iracheno, non può continuare a approfittare delle crisi per perseguire propri interessi geopolitici. E deve farla finita anche di accreditare l'esistenza di fantomatici 'ribelli moderati' . Perchè col passare del tempo tutte le fazioni armate contro Assad si sono omologate all'ideologia jihadista”.

http://www.fides.org/it/news/57216-ASIA_SIRIA_Gli_Usa_aprono_alle_trattative_con_Assad_L_Arcivescovo_Hindo_scelta_obbligata_no_a_condizioni_capestro#.VQcGHo6G92V





foto diffuse dagli jihadisti sulla distruzione delle statue , icone, pietre tombali e croci dalle chiese in Iraq











Basta frottole

di Fulvio Scaglione

venerdì 14 novembre 2014

I Vescovi siriani e 'il gioco del domino mondiale'

Trattative per la tregua di Aleppo. Il Vescovo Abou Khazen: è utile solo se ci avvicina alla pace vera


Agenzia Fides 12/11/2014

Aleppo  – “Tra la popolazione di Aleppo c'è speranza, ma anche scetticismo davanti all'ipotesi di una tregua che faccia tacere le armi nella regione di Aleppo”: così il Vescovo Georges Abou Khazen OFM, Vicario apostolico di Aleppo per i cattolici di rito latino, descrive i sentimenti contrastanti tra gli abitanti della metropoli siriana davanti alle trattative messe in campo dall'Onu per raggiungere in quell'area un cessate il fuoco nel conflitto tra esercito siriano e milizie ribelli.
La possibilità che si arrivi alla fine delle violenze è ovviamente auspicata da tutta la popolazione civile. “Ma tutti - spiega all'Agenzia Fides il Vescovo francescano - desiderano che la tregua rappresenti solo il primo passo per instaurare un processo autentico di pace e di riconciliazione. 
In caso contrario, un cessate il fuoco provvisorio darebbe solo alle parti in lotta il tempo di riorganizzarsi, provare a infiltrarsi nei territori controllati dall'altra parte e riprendere la lotta con ancor più virulenza, come è già capitato altre volte. 
In questo senso - chiarisce il Vescovo Abou Khazen - le espressioni che parlano di 'congelamento' della situazione sul campo non convincono, e finiscono per alimentare scetticismo. La popolazione è esausta, non ce la fa più, vuole la pace vera e duratura. E spera che Aleppo possa fare da battistrada a un processo di pacificazione che si allarghi gradualmente a tutto il Paese”. 

La proposta di una tregua nell'area di Aleppo è portata avanti dall'inviato delle Nazioni Unite in Siria, Staffan de Mistura, che a tale scopo in questi giorni sta svolgendo una missione nel Paese arabo. 
Ieri, durante una conferenza stampa a Damasco, ha parlato di ''interesse costruttivo'' espresso dal governo siriano davanti all'ipotesi di un cessate il fuoco nella metropoli contesa tra esercito fedele a Assad e milizie ribelli.



L'Arcivescovo Hindo: se gli Usa attaccano l'esercito siriano, avremo una seconda Libia



Agenzia Fides 14/11/2014

Hassakè - “Se l'intervento a guida Usa contro i jihadisti dello Stato Islamico finirà per rivolgersi contro l'esercito siriano, in Siria potremmo avere una seconda Libia”. Così l'Arcivescovo Jacques Behnan Hindo, titolare dell'arcieparchia di Hassakè-Nisibi, descrive le incognite e i pericoli connessi ai possibili sviluppi delle iniziative militari a guida Usa realizzate anche in territorio siriano contro le postazioni dello Stato Islamico. 
In una conversazione con l'Agenzia Fides, l'Arcivescovo cattolico di rito orientale conferma che per ora le incursioni aeree dell'esercito siriano contro le postazioni dei jihadisti si sommano a quelle compiute contro gli stessi obiettivi dagli aerei Usa. 
Descrive poi, con toni preoccupati, la condizione incerta vissuta dalle popolazioni nella regione che comprende le città di Hassake e Qamishli, nella provincia siriana nord-orientale di Jazira.
 “Più di un mese fa - riferisce a Fides mons. Hindo - l'esercito siriano ha attaccato il quartiere di Hassakè dove si trovavano circa 250 militanti dello Stato Islamico, prendendone il controllo. Da allora, nei due centri abitati si vive una relativa calma. Ma le postazioni dei jihadisti sono solo a 15 chilometri da Hassakè e a una ventina da Qamishli. Se decidono di attaccare, magari coi rinforzi delle loro milizie cacciate dall'Iraq, una loro offensiva su larga scala metterebbe in pericolo la vita di quasi un milione di persone, tra cui 60mila curdi e 120mila cristiani”.
L'Arcivescovo Hindo ridimensiona anche le notizie circolate in rete su presunte “milizie cristiane” in azione nella regione: “si tratta solo di qualche centinaio di assiri, collegati in parte alle milizie curde e in parte alle truppe dell'esercito regolare. Ma è una piccola fazione che non può avere nessun peso determinante nel caso di un'escalation degli scontri armati”.



Siria: il gioco del domino mondiale e la variabile dei gruppi jihadisti

di Patrizio Ricci


Cosa conta veramente in Siria? La vita dei civili e la democrazia? La parola ai fatti, mai ascoltati. 

leggi su: La  Perfetta Letizia  : http://nblo.gs/11mj8F


Isis in Syria: In the shadow of death, a few thousand Christians remain to defy militants

Robert Fisk ,  Qamishli, Wednesday 12 November 2014


Micalessin: "In Siria massacrano i cristiani e Obama si affida a ribelli moderati che non esistono"

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http://notizie.tiscali.it/articoli/esteri/14/11/14/siria-crisi-intervista-gian-micalessin.html