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mercoledì 11 ottobre 2017

SPAZIO DI PAROLA SIRIANA (non censurata) - Tornando al 2011 ...

8 ottobre 2017, DAL BLOG DI ADELINE CHENON RAMLAT:
Messaggio di Wissam Hassam che vive da 25 anni in Francia ed ha quindi seguito l'inizio degli eventi siriani come qualsiasi cittadino che vive fuori dalla Siria: attraverso i media. Egli parla qui di come ha capito che qualcosa era sbagliato nel racconto dei media francesi. Questo spazio è aperto a qualsiasi siriano che volesse esprimere il suo punto di vista.   (Traduz. dal francese di Gb.P.)

SPAZIO DI PAROLA SIRIANA (non censurata) - Messaggio di Wissam Hassan
Quando è iniziata nel 2011, eravamo persi: non si sapeva cosa fosse vero e quello che era falso. La cortina fumogena era così opaca..
Pochi mesi dopo si sono verificati eventi che mi hanno permesso di vedere chiaramente.
Il primo era un amico cristiano di Homs che durante i nostri scambi su un forum privato ci ha informato che la sua famiglia doveva fuggire dalla sua casa. All'epoca, il suo quartiere è stato "liberato" dal famoso Liwaa al Farouk, il cui leader oggi gode di un'ospitalità molto generosa del regime francese. Questo incidente era diventato un'idea fissa per me. Ogni giorno tornavo sul forum e chiedevo a questo amico se la sua famiglia aveva potuto tornare a casa. Ogni volta mi rispondeva di no. Un giorno ci ha informato che la sua famiglia ha dovuto partire per il Libano.
Nello stesso periodo, un altro amico franco-siriano è andato in Siria per visitare i suoi genitori a Latakia. Per capire è opportuno sapere che Latakia è sulla costa e che l'appartamento dei genitori di questo amico dà direttamente sul mare. Al suo ritorno ci ha raccontato la seguente storia: "Stavamo guardando Al Jazeera con i miei genitori quando hanno annunciato che l'esercito siriano stava bombardando Latakia da navi militari in mare. Siamo rimasti sorpresi perché non sentivamo né esplosioni o altro. Siamo andati sul balcone per vedere e abbiamo visto solo piccole barche da pesca, delle persone e degli innamorati che passeggiavano sulla spiaggia."
Pochi giorni dopo, un altro amico siriano che si era recato a Damasco ci ha raccontato una storia simile. Al Jazeera annuncia una imponente dimostrazione nel quartiere di Bab Touma proprio mentre il mio amico era in questo quartiere. Lui ci ha riferito che niente di speciale accadeva in questo quartiere e che tutto era normale, al contrario di quello che affermava la TV Al Jazeera
E poi c'erano le goffe bugie e i video truccati dei "rivoluzionari": l'uomo morto che finisce per tornare in vita con una risata. La supposta dimostrazione di 500.000 persone a Hama su un quadrato delle dimensioni della piazza del Campidoglio! Capito?! Neanche le sardine non ci sarebbero state in quello spazio. Senza dimenticare che il numero di abitanti di tutto il dipartimento di Hama e dintorni è al massimo di 500.000 persone, anziani e bambini inclusi.
C'erano video che mostravano "angeli" che combattevano a fianco dei "ribelli" ... E poi un video che mostrava una piccola dimostrazione nei pressi di Homs dove gridavano: "Gli Alawiti alla tomba, i Cristiani a Beirut ".
Tutto questo e altri eventi e testimonianze di questo genere mi hanno aiutato a vedere chiaramente e ad essere certo che ciò che i media ci dicevano era falso. Ho capito che tutto ciò che si sentiva sui crimini, sui bombardamenti, sulle rivolte, sui ribelli, sulla democrazia, ecc., non erano altro che fandonie, pure e semplici bugie. Al Jazeera mentiva spudoratamente. I media occidentali mentivano vergognosamente. Più la bugia è grande e più è facile credere sia la verità.
L'Occidente e i suoi alleati del Golfo hanno armato e mandato avanti dei banditi e degli islamisti siriani per farli passare per rivoluzionari e per far credere a una massiccia sollevazione popolare.
Cari amici: viviamo in un mondo di realtà virtuale. Diffidate di tutto. Non hanno limiti.

lunedì 9 ottobre 2017

Siria, ragioni di una vittoria

Di Il Simplicissimus

Alle volta sembra di sognare e ci si darebbe dei pizzicotti per svegliarsi. Ma regolarmente ci si accorge che è tutto maledettamente vero, che la realtà è diventata uno sceneggiato. Non parlo del fatto che gli Usa abbiano in sostanza obbligato Al Qaeda e i gruppi di mercenari “democratici” di attaccare con tutte le forze rimaste e le armi concesse le truppe siriane fra il confine turco e Deir Ezzor nel tentativo peraltro fallito di riprendersi la città, ma soprattutto per cercare di impedire che le truppe siriane riconquistino i pozzi di petrolio che sorgono sul legittimo territorio siriano. Sono state persino aperte le dighe sull’Eufrate per aumentare la portata d’acqua e dunque rendere più difficile ai siriani il passaggio del fiume anche a costo di danneggiare gravemente le popolazioni. Ma già ci sono molti reparti al di là del fiume.
Del resto che gliene frega agli “eccezionali”? Ma non è certo questo doppio, triplo, quadruplo gioco americano e occidentale che può stupire essendo diventato un modus vivendi et operandi, quanto l’assoluta oscurità del quadro generale che regna nelle cosiddette opinioni pubbliche occidentali, ormai pastorizzate dai media main stream. Due settimane fa un alto ufficiale francese, Michel Goya, assistente del capo di stato maggiore per quanto riguarda i “nuovi conflitti” e insegnante dell’Istituto strategico della scuola militare ha pubblicato un breve saggio di 15 pagine ( qui per chi conosce il francese o vuole scaricare l’intero testo in Kindle) in cui analizza lucidamente i motivi per cui i russi con un dispiegamento di mezzi molto inferiore a quelli occidentali e spese cinque volte inferiori hanno colto un enorme e inatteso successo.
L’ufficiale oltre a sottolineare l’efficienza degli armamenti russi, ma anche la capacità di creare adattamenti per le situazioni in atto senza i costi colossali che questo comporterebbe in occidente, sostiene che il successo russo è principalmente dovuto al fatto di avere obiettivi chiari e di perseguirli con coerenza e senza esitazioni, cambiamenti di strategie e di tattiche: quando ha deciso di intervenire in Siria lo ha fatto con un dispositivo militare limitato, ma completo, senza intraprendere la via della lenta escalation. Ora si potrebbe facilmente controbattere osservando che in realtà l’obiettivo occidentale era solo in parte Assad, ma in generale proprio la creazione di caos necessario a riedificare la realtà mediorientale in un nuovo sussulto colonial–petrolifero. Del resto dover nascondere la mano dietro supposte guerre civili e un confuso esercito mercenario, fingere di combattere l’Isis, nato dalle costole di queste armate improvvisate, ma farne al tempo stesso il fulcro strategico di questo disegno,  non è davvero facile.
In effetti ciò che manca all’analisi di Michel Goya  o che in qualche modo deriva dalle sue osservazioni nascoste fra le righe come un convitato di pietra, sono per l’appunto le ragioni per cui gli occidentali e nel caso specifico i francesi fossero in Siria e le motivazioni  della resistenza di Assad del tutto inesplicabile e incoerente alla luce della narrazione occidentale perché evidentemente favorita da un sostegno popolare che si è voluto sempre negare. La lucidità dell’analisi sul campo si scontra dunque con l’assoluta insensatezza e indeterminazione del contesto o con l’impossibilità di rivelarlo. Ma che alla fine salta fuori lo stesso quando l’ufficiale riconosce che l’arma vincente e decisiva usata dai russi a partire dal 2016 è stata la creazione di un centro di riconciliazione dedicato alla diplomazia della guerra, alla tutela dei nemici sconfitti e all’ aiuto della popolazione in sinergia con il governo, l’Onu e qualche Ong. 
Questo modello dice il sostanza Goya, si pone in completo contrasto con quello occidentale tutto votato alla distruzione del nemico e non alla trattativa: lascia che sia il lettore a dedurre a quale punto di non ritorno e di disonore siano arrivati gli Usa e il loro codazzo di valletti europei. 
Per cui ci sono sì ragioni di indirizzo politico e militare, di tattiche e di mezzi, ma l’occidente è stato principalmente sconfitto dalla sua tracotanza e dal suo abbandono della civiltà, proprio quella che vorrebbe asserire di voler portare.


Postilla della redazione di OraproSiria: 
L'evoluzione di questi giorni del conflitto siriano è densa di rapidi cambiamenti e pesanti conseguenze, proprio per il nefasto attrito tra Russia e Usa circa il possesso dei campi petroliferi a est dell'Eufrate.
 Segnaliamo la conclusione dell'articolo di Mike Withney : "Allora, cosa significa tutto questo? Significa che la Russia sosterrà i tentativi di Assad di liberare i campi petroliferi, anche se questo dovesse innescare una guerra più ampia con gli Stati Uniti? Sì, è esattamente ciò che significa. Putin non vuole lo scontro con lo zio Sam, ma non vuole neppure abbandonare un alleato. Quindi ci sarà un confronto perché nessuna delle parti è disposta a rinunciare a ciò che ritiene necessario per avere successo.
Così avete visto. Mentre l'impasse comincia a prendere forma nella Siria orientale, le due superpotenze rivali si preparano per il peggio. Chiaramente, abbiamo raggiunto il momento più pericoloso di questa guerra che dura da sei anni."   https://www.counterpunch.org/2017/09/22/uncle-sam-vs-russia-in-eastern-syria-the-nightmare-scenario/

Segnaliamo pure l'articolo di M.o.A. che spiega dettagliatamente gli insidiosi movimenti nella zona :
Russia emette un terzo avvertimento contro la cooperazione statunitense con i terroristi

venerdì 6 ottobre 2017

Le storie di Antun e Fozia


Oggi vogliamo raccontarvi due storie che sono giunte a noi da una delle sorelle della comunità di San Jacques (Maryakub), suor Marie Majd del Chile, e che illustrano la situazione di oggi in Siria e il desiderio di chi ha voluto rimanere sul posto, rimettersi a lavorare e ricostruire le proprie vite.
Suor Marie Majd :
 “Andavamo regolarmente all'antico e millenario souk Hamydié di Damasco, per acquistare del materiale per il Progetto Uncinetto; c'è maggior scelta e tutto è meno caro che nella nostra regione. Purtroppo però, spesso Damasco passa dei periodi di grande violenza, dove i terroristi ancora presenti nella periferia della capitale bombardano senza distinzione l'intera città e ci sono sempre dei morti. Quindi anche se non manca la disponibilità da parte nostra, non possiamo chiedere a qualcuno di andare al mercato in quei momenti...
La Provvidenza ha trovato una soluzione. Sulla strada verso il centro di assistenza umanitaria per incontrare le signore che lavorano all'uncinetto, un' amica cristiana di Qâra si è mostrata interessata agli articoli che stavo portando e mentre parlavamo è uscita la questione della difficoltà di trovare filo a buon mercato nella regione. Allora ci parla di un amico, anch'esso cristiano, che ha una fabbrica a Yabroud e questa è la sua storia:
Yabroud è un antico borgo, uno dei più antichi del mondo, con ancora alcuni resti e monumenti che lo testimoniano. Si trova a 20 km a sud di Qâra ed ha sofferto molto di più per la guerra perché la situazione lì era diversa. E' stato prevalentemente occupato da miliziani stranieri e questi non hanno lasciato il villaggio quando l'esercito è arrivato per riprenderlo; i combattimenti sono quindi avvenuti all'interno della città, le case sono state danneggiate e la popolazione rimasta ha sofferto notevolmente.
Antun (Antonio) e i suoi fratelli avevano una bella impresa familiare prima della guerra: avevano fondato una fabbrica che produceva 200 tipi di filati, avevano negozi, laboratori e anche un negozio nel mercato Hamidyé di Damasco. Poi la guerra è arrivata, sono dovuti fuggire sparpagliandosi un po' dovunque nel Paese e hanno cercato di ricominciare a lavorare là dove si trovavano. Antun si è rifugiato a Damasco per 3 anni.   Ora che la battaglia finale per riconquistare la nostra regione continua con successo (è appena finita in questo 28 agosto 2017) ha deciso di tornare a Yabroud e di riprendere la sua attività. Molti hanno scelto di lasciare la Siria, ma lui non vuole. Ha però trovato il suo magazzino completamente vuoto, non è rimasto nulla, le macchine che potevano essere trasportate erano state rubate, i macchinari più pesanti volutamente danneggiati, il negozio bombardato. Tuttavia lui vuole ricominciare e lavora giorno e notte per rimettere la fabbrica in funzione: vuole dare lavoro alle persone più povere, ma non può più pagare il prezzo reale del lavoro ma solo quello che è necessario per sopravvivere e aiutare gli altri.
Fozia, sarta a Qâra
Alla fine del 2013 l'esercito siriano ha iniziato l'operazione di liberazione della regione del Qalamoun e avanzava liberando villaggio dopo villaggio. La popolazione di ogni villaggio ha agito in modo diverso. Il momento per Qâra è arrivato a metà novembre. Qâra è una città di 22.000 abitanti, la cui popolazione era più che raddoppiata con i profughi venuti da altre regioni, ma si era quasi completamente svuotata all'avvicinarsi dell'esercito, perché considerata una città strategica, si temevano violenti combattimenti o il rischio che i civili venissero usati come scudi umani.
  Fortunatamente, non c'è stato quasi nessun combattimento all'interno del villaggio perché i miliziani hanno lasciato il villaggio poco dopo l'inizio dell'attacco dell'esercito. Ma anche se poche case furono distrutte o danneggiate, esse vennero abbandonate e rimasero un mese o più alla mercé dei ladri. La maggior parte degli abitanti, come Fozia, una volta tornati a casa, hanno trovato la casa saccheggiata, specialmente degli elettrodomestici, dei mobili , delle stoviglie; gli animali erano morti o scomparsi, gli alimenti per l'inverno erano avariati. Bisognava ricominciare tutto da zero. A Fozia, sarta di Qâra, hanno rubato le sue macchine per cucire. Adesso vuole tornare a lavorare per sopravvivere.  Realizza borse in tessuto e indumenti fatti a mano.

martedì 3 ottobre 2017

I cristiani siriani alla prova dei Curdi

qui è possibile leggere l'intero report sulla situazione delle Comunità Assire
della valle del Khabur, nord-est della Siria:  http://www.aina.org/reports/ace201701.pdf

D'Antoine de Lacoste per i lettori di "Salon Beige"
Più di un milione di Curdi popola la Siria settentrionale e coesiste con poco meno di un milione di Arabi. Pragmaticamente, hanno vissuto in buona armonia con il regime, beneficiando di una certa autonomia in cambio della loro neutralità politica.
Le loro relazioni con gli Arabi (Sunniti, Alawiti o Cristiani) erano distanti ma senza una palese ostilità. Era prima della guerra ed i Curdi, nonostante la loro naturale propensione all'egemonia, non avevano altra scelta. Tuttavia, il sogno di uno Stato curdo indipendente è rimasto sempre vivo in essi.
La guerra permetterà loro di far progredire le loro ambizioni.
L'esercito siriano, in grande difficoltà fino all'intervento russo, non aveva più i mezzi per controllare il nord del paese: la priorità era quella di contenere la marea islamista che voleva prendere il potere. Questo non era lo scopo dei Curdi che si sarebbero sempre accontentati di un territorio loro nel Nord. Tra due mali Assad ha scelto il minore e quindi logicamente ha lasciato che i Curdi prendessero il controllo delle città e dei valichi di frontiera, con l'eccezione di uno solo, nel nord-est, detenuto da milizie cristiane e da alcuni militari siriani. Combattimenti tra esercito e milizia cristiana da un lato, e combattenti Curdi dall'altro (raggruppati nel YPG) hanno avuto luogo, facendo vittime e prigionieri in entrambi gli schieramenti. Si era tuttavia lontani dalla conflagrazione generale.
I Turchi vedevano questo di cattivo occhio, ma la loro preoccupazione all'epoca era principalmente quella di organizzare la rivolta islamista per rovesciare Assad.
La battaglia di Kobane cambia tutto.
Grazie all'aiuto dei Turchi, Daesh riuscì a conquistare una parte della Siria settentrionale congiungendosi così con il confine turco. Dopo la conquista della valle dell'Eufrate (Raqqa, parte di Deir ez-Zor, Mayadin, al Quaïm) e dei giacimenti petroliferi del sud-est del paese, gli islamisti sono stati in grado di vendere il petrolio fino alla Turchia grazie a centinaia di camion cisterna che circolavano nell'indifferenza generale. L'aviazione della coalizione internazionale a guida USA non li ha quasi mai attaccati, cosa che è comunque curiosa. Abbiamo dovuto aspettare che fossero i raid Russi a fermare questo traffico.
Tuttavia, rimaneva ancora una città da conquistare per Daesh: Kobane, popolata principalmente dai Curdi. Le battaglie furiose fra il YPG (Peshmerga curdi) e gli islamisti sono durate parecchie settimane. Questo è stato il momento in cui si è realizzata l'alleanza tra i Curdi e gli Americani: gli USA hanno deciso di aiutare i combattenti curdi in maniera massiccia. L'appoggio della loro aviazione è stato decisivo (come sempre nel corso di questa guerra) e Daesh ha dovuto ritirarsi. Il bilancio è stato pesante da entrambe le parti, ma la vittoria dei Curdi avrebbe suggellato la loro alleanza con gli Stati Uniti. Armati e finanziati da loro, i Curdi sono stati in grado di consolidare le proprie posizioni lungo il confine turco, non esitando ad attaccare i militari siriani e le milizie cristiane per meglio consolidare la propria autorità.
L'esercito turco però ha reagito, attraversando il confine per tagliare in due il territorio curdo ed impedire loro di controllare una fetta continuativa di territorio. I Curdi davanti ai carri armati turchi si sono ritirati per ordine degli Americani che non volevano un confronto diretto tra queste due forze ( Turchia fa parte della NATO ndt).
Oggi, i Curdi sono diventati la fanteria degli Stati Uniti: stanno prendendo il sopravvento a Raqqa (l'ex capitale del califfato in questo momento moribondo) e stanno prendendo posizione a nord di Deir ez-Zor al fine di impedire all'esercito siriano di riprendere il controllo di tutto il Paese .
Raqqa e Deir ez-Zor sono degli insediamenti arabi e non curdi, ma poco importa: ciò che conta per gli Stati Uniti è distruggere Daesh e impedire ai Siriani di riconquistare il proprio territorio. Il ritorno della pace sotto l'egida di Assad non è mai stato il loro obiettivo.
Ma una volta di più, sono ancora i Cristiani che patiscono di questa situazione. Essi sono relativamente numerosi nella regione, e occorre sapere che gli abusi curdi contro di loro non sono affatto rari: soprusi, arresti, e più gravemente, uccisioni mirate e perfino il forzato spostamento della popolazione. Il silenzio è assordante sull'argomento, ma i Curdi fanno parte degli eroi mediatici di questa guerra e non devono essere intaccati nella loro reputazione.
Il soggetto non è nuovo purtroppo: i Curdi hanno partecipato al genocidio del 1915, sia per ordine dei Turchi, sia, più spesso, per spogliare dei loro beni gli sfortunati Armeni o Assiri. Il brigantaggio è una vecchia tradizione in casa curda...
Certo, alcuni cristiani devono loro la vita per la loro ostinata resistenza contro Daesh; i Peshmerga curdi sono assai efficaci. Ma questo non deve oscurare la realtà di ciò che i Curdi sono: essi sono Curdi e il resto non conta. Il loro Islam è molto lontano e l'ideologia marxista che li anima è abbastanza teorica, ma i cristiani per loro sono ancora meno importanti.
Essi vogliono un territorio e sono disposti a fare di tutto a questo fine: gli Americani lo hanno capito bene e se ne servono per eliminare Daesh. Parimenti i Curdi usano degli americani per affermare il loro potere locale. 
  
Fortunatamente, i cristiani sono ancora abbastanza numerosi nella regione, soprattutto nel nord-est. Nelle città di Hassake (180 000 ab.) e Qamishli (170 000 ab.) vivono molti siriaci cattolici e ortodossi i cui giovani sono armati e organizzati. Ma la vita è molto difficile e molti stanno pensando di andarsene. 
Che è esattamente quello che i Curdi aspettano.
  ( trad. Gb.P.)

sabato 30 settembre 2017

Lasci stare la Siria, signor Macron. Lei è "fuori".

di BRUNO GUIGUE
20 settembre 2017
Dinanzi all'Assemblea Generale delle Nazioni Unite, lei ha trattato il signor Bachar al-Assad come un "criminale" ed ha dichiarato che egli dovrà rendere conto alla "giustizia internazionale". Infliggendo una smentita a coloro che insistevano nel vedere un punto di svolta nella sua politica, ha pronunciato questa gravissima accusa contro il legittimo Capo di Stato di uno Stato membro dell'ONU. Quale giurisdizione, sig. Macron, l'ha autorizzata a emettere dei mandati di arresto contro leader stranieri che, al proposito, potrebbero avere qualcosa da dirle? Con quale diritto un capo di Stato europeo, che rappresenta l'ex potere coloniale in Siria (1920-1946), si permette di rilasciare certificati di buona o cattiva condotta ai suoi omologhi del Medio Oriente?
Questa ingerenza è ancora più spaventosa in quanto, come i suoi predecessori, lei persevera nel compiacere quelle petromonarchie a cui vende armi che servono a massacrare il coraggioso popolo Yemenita. Lei denuncia i crimini che imputa al presidente siriano, ma distoglie lo sguardo da quelli dei tagliatori di teste, questi ricchi tanto cari all'Occidente. I 10.000 morti, i 500.000 bambini malnutriti dello Yemen, l'epidemia terribile di colera causata dai bombardamenti sauditi non la disturbano, non le causano alcun rimorso, e lei vorrebbe che prendessimo sul serio la sua indignazione contro la Siria?
Che il dramma siriano abbia causato migliaia di vittime innocenti, che questo bagno di sangue sia durato troppo a lungo e che debba essere trovata una soluzione politica una volta che il conglomerato terroristico sarà eliminato, tutti lo sanno. Mentre lei parla, i Russi, gli Iraniani e i Turchi radunati ad Astana ci lavorano. Ma quando imputa crimini al presidente Assad, di cosa sta parlando? A partire dalla primavera del 2011, le proteste contro il governo sono state inquinate da ribelli che hanno aperto il fuoco sulla polizia. La Missione degli Osservatori Arabi in Siria è andata sul posto dal 24 dicembre 2011 al 18 gennaio 2012 su richiesta della Lega Araba. Nonostante le pressioni saudite, la loro relazione denuncia la violenza condotta da entrambe le parti. In Siria non ci sono né buoni né cattivi, signor Macron. Il mito di una "rivoluzione pacifica" ha fatto il suo tempo, e sarebbe ora di dire addio a questa versione romanzata.
Premeditata dagli sponsor dell'opposizione, questa guerra è il risultato di un tentativo di sovvertire lo Stato siriano. Il regime Baathista avrà avuto i suoi difetti, ma la Siria era un paese senza debito, produttivo, dove coesistevano popolazioni e confessioni di origini diverse. Le maggiori manifestazioni nel 2011 erano a favore del governo e delle riforme. Addossare la responsabilità della guerra a un governo che ha affrontato un'insurrezione armata sostenuta da stranieri è distorcere la realtà. È sostenere certi fatti perché servono alla narrazione che si vuole difendere. La smetta, sig. Macron, di stravolgere i fatti così come lo fa con le vittime! Crudele come tutte le guerre, questa ha conosciuto la sua quota di esazioni. Ma chi sono i responsabili, se non coloro che volevano prendere Damasco per stabilirvi la sharia Wahhabita con l'aiuto degli Stati Uniti, della Francia, della Gran Bretagna e dei re del petrolio?
Anche nei bilanci pubblicati dall'OSDH, organizzazione vicina all'opposizione, il 40% delle vittime, a partire dall'estate 2011, apparteneva alle forze di sicurezza, il 35% ai gruppi armati e il 25% ai civili stretti nella trappola di combattimenti generalizzati. Se una guerra potesse risparmiare i civili, questo si saprebbe. La guerra che la Francia supporta in Yemen non lo fa, come non lo fanno i bombardamenti occidentali su Mosul o Raqqa. Ma accusare l'esercito siriano di aver deliberatamente commesso crimini contro la propria popolazione è un insulto al buon senso. Questo esercito è un esercito fatto di coscritti che difendono il proprio territorio nazionale dalle orde di fanatici. Mentre lei sproloquia all'ONU, sig. Macron, "i soldati di Assad" attraversano l'Eufrate per regolare i conti con Daech.
Naturalmente, come carta principale in questo gioco di illusionisti, le rimane sempre la "false -flag" chimica per far girare le rotative della manipolazione. Sfruttando questa telenovela made in CIA, lei ha persino preteso di fissare una "linea rossa"! Che poi un esperto del prestigioso MIT abbia dimostrato che l'attacco del 21 agosto 2013 avrebbe potuto provenire solamente dalla zona ribelle, a lei non importa affatto. Che gli stessi esperti americani abbiano denunciato la vacuità del fascicolo accusatorio contro Damasco riguardo all'attacco di Khan Cheikhoun (aprile 2017), non la turberà ulteriormente. Né ha letto le notevoli indagini pubblicate dal miglior giornalista americano, Seymour Hersch, che demolisce la versione dell'attacco chimico siriano.
Attento, signor Macron, perché questa farsa chimica, vero mantra della propaganda occidentale, finisce per dare la nausea. Spodesta nella classifica delle menzogne di Stato quella precedente di Colin Powell, che brandiva la sua fialetta al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite. Ogni giorno che passa, perde la sua forza d'incantesimo. Coloro che ancora ci credono sono quelli che vogliono credervi, o quelli che pensano che i governi occidentali non mentono mai. Ma la maggioranza del popolo siriano non ci crede, e questo è l'essenziale. Quando un'area viene liberata dall'esercito, i rifugiati vi ritornano, la vita riprende, la speranza rinasce. Agitare le sue piccole braccia dal podio delle Nazioni Unite non cambierà nulla, e questo chiacchiericcio inutile si sta già perdendo nel brusio dei media. Il suo "gruppo di contatto", Sig. Macron, è un gadget nato-morto di cui non si parlerà più fra otto giorni.
Ma perché sto ancora ascoltando il presidente francese? Questa presidenza, a prescindere da chi ne sia il titolare, che dal 2011 ha demonizzato il governo siriano, che ha portato alle stelle i traditori del loro paese mascherati da oppositori, che ha sostenuto l'opposizione armata violenta, che ha incoraggiato la partenza dei terroristi verso la Siria, che ha chiuso il Liceo francese a Damasco, che ha rifiutato la cooperazione per la sicurezza con i servizi siriani, che ha fornito armi ai gruppi estremisti, che ha rifiutato di combattere contro Daech quando Daech combatteva Damasco, che ha auspicato l'assassinio di un legittimo capo di Stato, che ha inflitto al popolo siriano un embargo sui medicinali, questa presidenza che ha violato il diritto internazionale ed è tornata al peggiore dei neocolonialismi, chi ancora la ascolta? Scegliendo di interferire negli affari di altri, la Francia si è posta fuori gioco. Lasci perdere, signor Macron, lei è "fuori"!
  (trad. Gb.P.)

mercoledì 27 settembre 2017

Né Guerra né Pace: da Aleppo il racconto dei Maristi Blu


Lettera da Aleppo n. 31 (24 settembre 2017)

  Né Guerra né Pace. È così che posso definire la situazione attuale in Siria in questo settembre 2017, sei anni e mezzo dopo gli eventi che hanno causato la morte di più di 350.000 persone, distrutto gran parte del Paese, sfollato un terzo della popolazione, spinto all'esilio oltre 3 milioni di persone e distrutto i sogni e il futuro dei giovani e di più generazioni di Siriani.
Attualmente, tutte le parti (governo siriano e poteri mondiali) hanno un solo obiettivo: sradicare Daech in Siria dopo averlo sconfitto in Iraq. Gli ultimi bastioni di Daech sono due città a Est: Raqqa, la capitale del sedicente Stato Islamico in Siria e Deir El Zor dove metà della città, la sua gente e la sua guarnigione furono circondati dai jihadisti per oltre 3 anni e riforniti dell'essenziale con ponti aerei. La prima è stata per metà liberata dalle truppe kurde sostenute dagli Stati Uniti. La seconda è sul punto di esserlo; l'esercito siriano, nonostante le pesanti perdite, è riuscito a liberare la città e villaggi nella provincia di Deir El Zor e ha rotto l'assedio della città raggiungendo gli abitanti circondati. I Siriani delle altre città siriane hanno prematuramente manifestato la loro gioia per la liberazione di Deir El Zor, che però non lo è ancora del tutto. Tuttavia, quando Daech sarà definitivamente battuto in queste due città e nei villaggi circostanti, sarà la sua fine in Siria.
Nel resto della Siria, non è "né guerra né pace". Sotto l'egida della Russia e della Turchia e dell'Iran, ad Astana dove si sono svolti negoziati per molti mesi, sono stati conclusi diversi accordi per l'evacuazione dei ribelli dalle enclaves da loro occupate in varie regioni e permesso il loro trasporto nella provincia di Idlib, bastione di Al Nosra. Inoltre, diversi accordi di de-escalation hanno consentito di fermare i combattimenti e congelare la situazione in varie regioni: Damasco, Homs, Idlib ...
I Siriani, pur felicitandosi per la cessazione dei combattimenti qua e là, prendono atto che il congelamento della situazione non durerà e porterà a un caos prolungato, alla divisione o alla suddivisione in aree di influenza, se il congelamento non è accompagnato da importanti progressi nei negoziati per raggiungere un accordo politico definitivo del conflitto.
Quello che ci rende un po' ottimisti è che la maggior parte dei governi arabi, occidentali e turco, che fin dall'inizio hanno sostenuto, finanziato e addirittura armato i ribelli, per la maggior parte terroristi, finalmente hanno capito che il governo siriano non sarà rovesciato dalle armi come pensavano e desideravano, e che una soluzione politica può esistere solo confermando al potere il presidente , largamente sostenuto dalla popolazione, dall'esercito siriano e dall'alleato russo. Da qui le mutate dichiarazioni di alcuni leaders del mondo occidentale indicanti la loro priorità a combattere Daech e il terrorismo (cosa sempre ripetuta dal governo siriano da 6 anni a questa parte) e non la caduta del regime.
Ad Aleppo, dalla fine del 2016 (data dell'evacuazione degli ultimi terroristi verso Idlib e della liberazione della città), la situazione a tutti i livelli è notevolmente migliorata. Come prima del luglio 2012, non esistono più una Aleppo Est e una Aleppo Ovest, ma una sola città: l'Aleppo multimillenaria. Alcune parti di Aleppo, quelle più occidentali, continuano purtroppo a ricevere proiettili di mortaio quotidianamente lanciati dai ribelli installati a 10 km dalla città sul lato di Idlib.
Ma la stragrande maggioranza dei quartieri è sicura e gli Aleppini possono circolare e vivere senza la paura di un obice o del proiettile di un cecchino. Uno straniero che avesse seguito gli avvenimenti e il martirio di Aleppo, se venisse a trovarci adesso, sarebbe stupito dalla densità del traffico, dall'illuminazione degli incroci, dai bar affollati, dalle strade prima chiuse e ora riaperte al traffico, dai giardini pubblici pieni di bambini che giocano, dagli autobus per il trasporto scolastico in funzione, dai marciapiedi liberati delle migliaia di bancarelle che funzionavano come negozi e per la riapertura di molti negozi chiusi durante la guerra. L'acqua corrente ci viene nuovamente fornita almeno due giorni alla settimana e l'elettricità è fornita 12 o 15 ore al giorno.
(foto Pierre Le Corf)
Tuttavia, il quadro non è poi così roseo. Questa situazione "né di guerra né di pace" non incoraggia le centinaia di migliaia di Aleppini, rifugiati o sfollati, a tornare. L'Organizzazione Internazionale per la Migrazione (IOM) ha affermato di recente che 600.000 persone, la maggior parte della provincia di Aleppo, sono tornate nelle loro case. Questo numero deve essere un po' sfumato perché la maggior parte di queste persone erano sfollati interni che si erano trasferiti in un'altra zona della città o in un'altra città siriana. Questa situazione non aiuta nemmeno la ricostruzione -perché ricostruire se non c'è pace?- nè la ripresa economica, perchè gli investitori restano in attesa. Il costo della vita e la disoccupazione sono ancora molto alti e perciò la povertà. La maggioranza delle famiglie degli Aleppini ha ancora bisogno di aiuto per sopravvivere.
Di fronte a questa situazione e a questi nuovi sviluppi, noi Maristi Blu vogliamo favorire la ricostruzione, concentrarci sullo sviluppo umano e lavorare per ricostruire il futuro dei Siriani e della Siria. Dall'inizio del conflitto, nei momenti peggiori della guerra di Aleppo, quando i programmi di soccorso assorbivano le nostre risorse umane e materiali, abbiamo mantenuto i nostri progetti educativi e ne abbiamo iniziato di nuovi. E ora, pur continuando i nostri progetti di soccorso, abbiamo deciso di rafforzare i nostri programmi di sviluppo umano. Crediamo fermamente che far crescere l'umano contribuisca ad implementare la pace e a preparare il futuro. Tuttavia, non intendiamo fermare i nostri programmi di soccorso, la gente ne ha ancora bisogno.
In quest'ottica abbiamo iniziato un nuovo progetto che abbiamo chiamato JOB, Job per lavoro in inglese e Job (Giobbe) per il profeta famoso per la sua pazienza, qualità necessaria per il successo del nostro progetto. Esso implica l'individuazione di posti di lavoro per i nostri giovani, favorire la creazione di piccoli progetti e incoraggiare la formazione professionale; ciò per rendere le famiglie finanziariamente indipendenti dagli aiuti ricevuti ormai da più di 5 anni e che un giorno dovranno naturalmente finire, per incoraggiare i giovani a rimanere nel paese e, infine, per partecipare alla ricostruzione della Siria. Un team di volontari è responsabile del progetto. Redige gli elenchi delle offerte e delle richieste di impiego e fa in modo che offerta e richiesta s'incontrino. Aiuta i giovani a immaginare e a realizzare i propri progetti di lavoro e li supporta finanziariamente. Forma altri giovani ai mestieri, inviandoli a nostre spese a centri di apprendistato e infine crea dei workshop di produzione per creare posti di lavoro garantendo la redditività dell'impresa. In questa ottica inizieremo presto una bottega di riciclaggio di abiti usati che fornirà lavoro a una dozzina di donne.
Il nostro centro di istruzione per adulti, M.I.T., inaugurato alla fine del 2013, ha celebrato i suoi 4 anni di esistenza due settimane fa con un incontro a cui abbiamo invitato tutti i responsabili delle associazioni caritative e per lo sviluppo di Aleppo. In 4 anni abbiamo organizzato 77 workshop di 3 giorni ciascuno con 1404 persone guidate da 28 istruttori. Inoltre, abbiamo organizzato due sessioni di 100 ore per insegnare a 35 giovani adulti "come avviare il tuo progetto". Abbiamo sostenuto finanziariamente i 6 migliori progetti in termini di fattibilità e creazione di posti di lavoro. Continueremo queste lunghe sessioni sullo stesso tema per dare al maggior numero possibile di giovani la possibilità di imparare a creare la propria attività e, quando necessario, li finanzieremo.
In collaborazione con il Programma delle Nazioni Unite per lo Sviluppo (UNDP), apriremo un laboratorio di abbigliamento per bebè e bambini che fornirà lavoro a 24 persone, laboratorio guidato da un Marista Blu. Per due mesi, su richiesta dell'UNDP, condurremo anche tre progetti con l'obiettivo di rinnovare i legami, spesso problematici e tesi e talvolta spezzati dalla guerra, tra le varie parti della popolazione di Aleppo, per guarire le ferite e per riparare il tessuto sociale della Siria di domani.
Tutti gli altri progetti educativi continuano. I due progetti per i bambini dai 3 ai 6 anni "Imparare a crescere" e "Voglio imparare" riprendono le loro attività con i bambini il 2 ottobre, dopo che le 24 insegnanti hanno trascorso tutta l'estate creando i nostri programmi educativi. La squadra di "Skill School" per gli adolescenti ha lavorato duramente per preparare il programma per l'anno. "Taglio e cucito" continua con le mogli, le madri e le figlie, "Lotta contro l'analfabetismo", "Speranza" e "Douroub" riprenderanno presto le loro attività.
Stiamo provando con tutti questi programmi ad emancipare le persone, preparare il loro futuro e dare loro strumenti per avere un'attività professionale che permetterà loro di vivere.
I nostri programmi di soccorso continuano. Riteniamo, dopo una profonda riflessione e un dialogo all'interno del nostro team, che sia sempre necessaria l'assistenza alla popolazione e che il momento per ridurre il volume del nostro aiuto o per fermarlo non sia ancora arrivato. Soprattutto perché molte delle nostre famiglie sono di nuovo senza risorse, perchè il marito è stato richiamato a servire la patria come riservista.
  Continuiamo a distribuire pacchi alimentari e sanitari ogni mese a circa 1000 famiglie. Aiutiamo le famiglie sfollate a pagare l'affitto delle loro case, distribuiamo l'acqua a chi ne ha bisogno. All'inizio dell'anno scolastico, abbiamo dato a tutti i bambini delle nostre famiglie buoni per l'acquisto di materiale scolastico. Il nostro programma "Goccia di latte" è al suo 29°mese di distribuzione del latte ai bambini di età inferiore ai 10 anni.
 Per quanto riguarda i nostri due programmi medici, siamo lieti di annunciare che il progetto "Civili Feriti di Guerra" è, grazie a Dio, rallentato per la diminuzione dei feriti dopo la liberazione di Aleppo.  Viceversa, il nostro programma medico per aiutare i malati finanziariamente incapaci di prendersi cura di se stessi o di farsi operare si amplia moltissimo, visto il numero delle persone in grande difficoltà.   
   [ N.D.R.: A questo proposito, ricordiamo ai lettori italiani che il progetto 'Aiutiamo Mahmoud' promosso dai Maristi di Aleppo ha ottenuto tramite la trasmissione Tv LE IENE pieno successo: il piccolo Mahmoud ha le sue due gambette nuove e un ortopedico gli fa riabilitazione per le protesi 3 giorni alla settimana; da ottobre anche Mahmoud al mattino potrà partecipare al progetto dei Maristi Blu 'Voglio imparare' ed inserirsi in un percorso scolastico]
In estate abbiamo organizzato nel nostro Centro un club estivo dove le famiglie e i loro figli sono venuti nei pomeriggi per rilassarsi, giocare e trascorrere momenti piacevoli sorseggiando un caffè o una bibita con i loro amici.
Negli ultimi 6 anni abbiamo attraversato periodi diversi che abbiamo dovuto gestire con mezzi differenti. La situazione attuale di "Né guerra né pace" è una delle più difficili, perché le nostre risposte alla situazione non sono scontate. E' un momento che richiede a noi riflessione e adattamento costante alle nuove esigenze, e alle famiglie beneficiarie una rieducazione alla pace tanto desiderata. Vogliamo seminare la Speranza tra le persone e vederla espandersi nella fiducia, nella serenità e nell'amore.
I Fratelli Maristi, nostri partner in seno ai Maristi Blu, il cui carisma e spiritualità condividiamo, in Colombia stanno tenendo attualmente il loro 22° Capitolo Generale, durante il quale i fratelli partecipanti definiranno gli orientamenti della congregazione per gli anni a venire ed eleggeranno la nuova dirigenza. La scelta di tenere il Capitolo in Colombia, al posto di tenerlo presso la casa generalizia di Roma dove si è sempre fatto, è significativa della volontà della congregazione di aprirsi verso "nuovi orizzonti" e di sottolineare la pace che si sta preparando in quel Paese, vittima di una guerra che dura da decenni.
Anche noi, i Maristi Blu, sogniamo di andare verso nuovi orizzonti, verso un nuovo inizio di un tempo da costruire, da realizzare nella convivenza, la concordia, la cittadinanza responsabile e la Pace.
"Né guerra né pace" era il titolo di questa lettera da Aleppo n. 31. Che la n. 32 tra 3 mesi vi possa dire: Nessuna guerra ma una pace vera.
Aleppo, 24 settembre 2017
Nabil Antaki,   per i Maristi Blu

    ( trad. dal francese : Gb.P.)
Chi desidera inviare donazioni può contattare:  https://www.facebook.com/MaristesAlep

lunedì 25 settembre 2017

Vescovi rapiti in Siria: Giovanni X “preghiamo sempre per loro con speranza”

da S.I.R.
La speranza in Siria non muore. Nonostante la violenza sanguinosa che si è abbattuta sul Paese. Nonostante il silenzio indifferente e l’inerzia colpevole della comunità internazionale. E sperare qui significa rimanere radicati come cristiani su questa terra, fedeli a una storia che affonda le sue radici ai tempi degli Apostoli. Tutto questo si legge negli occhi di Sua Beatitudine  Giovanni X, patriarca greco ortodosso di Antiochia e di tutto l’Oriente... 
Sono 4 anni che il patriarca Giovanni X non ha più notizie di suo fratello, il vescovo Paul Yazigi.  È stato rapito il 22 aprile 2013 insieme al metropolita di Aleppo della Chiesa siro-ortodossa Mor Gregorious Yohanna Ibrahim, mentre si trovavano a bordo di un’auto proveniente dal confine turco. Erano diretti ad Aleppo, ma sono stati fermati da uomini armati che hanno intimato a loro e all’autista di scendere dall’auto. Dopo aver ucciso l’autista sul posto si sono dileguati portando con sé i due vescovi in un luogo sconosciuto. Da allora si sono susseguite solo notizie contraddittorie, intercalate da lunghissimi silenzi. E niente più.
"In the beginning of year 2011, some people started what was called the Arabic Spring. I can assure you that, as Christians of the Levant, all that we ever saw of that “spring” was the anemone red of our son’s, our elderly’s, and our martyrs’ blood. From its first moments, they only saw the desperation of wars: violence, displacement, kidnapping, dying on sea coasts, terrorism, extremist movements, destroying churches, targeting people living safely, and dismantling states and systems.
All this, and the world boasts, or simply ignores what is happening, knowingly or unknowingly. All this and the world either falls down or compromises. It blockades food and bountifully dispenses weapons. Sometimes it really cries, and sometimes it turns on the waterworks....
I am here in the heart of Europe to share the sighs of my people with those who hear me from every kind of culture and nation, and to make with all of you, dear brothers and sisters, a sincere call for peace, a call which I place in the ears of this world’s politicians and great powers. Syria has had enough of the wars on its land! Syria has had enough of everyone getting dim and ignoring the facts, satisfied with enthralling false information from the media.
I am here to put forth and whisper into the ears of Christian Europe a handful of the Levantine Christian’s agony, together with their brothers of other communities. Among the killing and displacement that these have suffered because of the present atrocious times is the case of our brothers the Bishops of Aleppo John Ibrahim and Paul Yazigi of the Syrian and Greek Orthodox communities, who have been kidnapped more than four years now in the absence of any information and an international suspicious silence.
Today we call for the peace in Syria and for the stability in Lebanon, in the Middle East and in the whole world, who are paying a very high price, unfortunately, for a restless and wiggly terrorism.
Lord, grant us the spirit of Your righteousness peace, to descend on us as a balm for the long-awaited and sought earthly peace."


Beatitudine, come si vive con un dolore così forte, nella sospensione di non avere più notizie di suo fratello?
Questo rapimento è una cosa molto dolorosa per noi e rappresenta anche un fatto molto pericoloso perché loro sono messaggeri di pace. Purtroppo, sembra che tutto il mondo stia guardando a quanto sta accedendo in Siria con un indifferente silenzio internazionale.
Secondo lei, i due vescovi sono morti o nutre ancora la speranza che siano vivi?  Noi siamo sempre in una preghiera continua per loro. Abbiamo sempre la speranza. Oltre a questi due vescovi, sono stati rapiti tanti preti e laici. Abbiamo pagato un prezzo molto pesante per quello che sta succedendo nel mondo ma rimaniamo fissi nella speranza.
Che cosa significa per lei e per il suo popolo non perdere la speranza?
Significa rimanere fedeli alla nostra Chiesa e radicati nella nostra terra. Come cristiani d’Antiochia, abbiamo plasmato il nostro cristianesimo sulle parole degli Apostoli. Abbiamo succhiato la fede con il latte delle nostre madri e siamo stati iniziati alla vita cristiana insieme a un amore appassionato per la nostra patria. Siamo radicati qui, in tutto l’Oriente, da duemila anni! Siamo nati qui, abbiamo vissuto qui e qui moriremo.
Come vivono i cristiani in Siria?
Vivono la loro fede ed esprimono il loro culto religioso. La nostra terra è ricca di monasteri, tenuti vivi da monaci e monache. Le Chiese sono vive. Accogliamo questa opportunità per chiedere al mondo il dono della pace. Non basta parlare della presenza cristiana in Medio Oriente.
Il mondo deve fare tutto il possibile per costruire la pace in queste terre. Abbiamo sentito in passato e sentiamo ogni giorno tante dichiarazioni che arrivano da tutto il mondo, contro il terrorismo, contro il radicalismo, la guerra e lo spargimento di sangue che colpisce gli innocenti. Ma siamo stanchi delle dichiarazioni, vogliamo vedere qualcosa di concreto. Sono venuto qui nel cuore dell’Europa proprio per questo.
Che cosa chiede alla comunità internazionale?
Innanzitutto sono venuto per condividere il dolore del mio popolo. Il nostro appello è: fermate questo terrorismo e ridateci la possibilità di continuare a vivere nella nostra terra e nel nostro Paese e di poterlo fare in pace.
Secondo lei, Papa Francesco può fare qualcosa di concreto per la Siria?
Papa Francesco sta svolgendo un grande ruolo. Abbiamo fatto tante cose insieme per aiutare la pace. Sì, lui può fare tanto.

domenica 24 settembre 2017

Da Aleppo all'Italia, le parole di speranza del Vescovo Abou Khazen

 Spiragli di pace in Siria. Dopo 6 anni di guerra civile, 6 milioni di sfollati interni e almeno 5 di rifugiati all’estero su 22 milioni di abitanti, il vescovo di rito latino di Aleppo Georges Abu Khazen intravede uno squarcio di luce. Grazie all’accordo di Astana fra la Russia, la Turchia e l’Iran, affiorano piccoli sintomi di ritorno alla normalità in parte delle quattro aree di riduzione delle ostilità. Il vicario apostolico, francescano libanese di 70 anni, li mette in fila come piccole pepite inattese. “In duemila villaggi – spiega – le parti in conflitto hanno fatto praticamente la pace, sono tornati i contadini e hanno riaperto le scuole che erano chiuse da 3 o da 4 anni. Insomma la de-escalation sta funzionando”. Le truppe di Assad hanno lanciato l’assalto finale a Deir Ez Zour  vicina al confine con l’Iraq e capoluogo di una provincia ricca di petrolio e di gas. Il carburante è tornato nei distributori di Aleppo. “La guerra – ammette l’alto prelato – non è ancora finita, ma è calato il livello del pericolo. L’obiettivo dell’esercito siriano è arrivare fino al confine con l’Iraq e non so se gli Stati Uniti lo permetteranno. Si era ridotto al 26 per cento del territorio nazionale, adesso non controlla solo il 16 per cento”.
Se le truppe di Assad arrivassero fino alla linea di demarcazione con il territorio di Baghdad si ricostituirebbe infatti il corridoio sciita del Medio Oriente che parte dall’Iran, attraversa l’Iraq e la Siria e arriva fino al Libano, il Paese degli Hezbollah che hanno combattuto duramente al fianco delle truppe di Assad pagando un prezzo elevato di vite umane. E’ una è prospettiva che Israele vede come il fumo negli occhi e che, di conseguenza, dispiace anche al presidente americano Donald Trump.   “Nel nord del Paese – ricorda il vescovo di rito latino della seconda città siriana – c’è il problema dei curdi. Che cosa succederà se reclameranno l’indipendenza?”. Hanno combattuto l’Isis con forza, coraggio e alte perdite umane, di sicuro hanno accumulato un debito di riconoscenza. Trump li ha aiutati concretamente autorizzando , a partire dal 9 maggio, la fornitura di armi pesanti.  “Infine – elenca Abu Khazen – c’è il problema della provincia di Idlib, una zona occupata dai miliziani (qaedisti ndr.) della ex Jabhat al Nusra. Sono decine di migliaia di combattenti. Io però sono ottimista. C’è il lavoro dei russi in quell’area. I turchi sono coinvolti come garanti dell’accordo. Credo che la riconciliazione sarà possibile per i siriani. Resta invece il problema delle migliaia di combattenti che sono arrivati lì da altri Paesi”.
Il vicario apostolico racconta la rinascita della sua città, alla quale hanno contribuito anche 200 famiglie della Parrocchia della Collegiata di Lugo (Ravenna), che versando ogni mese 20 euro sono riuscite a farne avere al prelato e alla Caritas 74 mila. E’ un rivolo prezioso in una metropoli che cerca di risorgere. Prima della guerra aveva 4 milioni di abitanti. La popolazione si è dimezzata nonostante il flusso dei rientri. “Siamo una nazione senza giovani”, è la sintesi sconsolata del vescovo al quale risulta che nella sola Turchia dal 2012 i giovani profughi del suo Paese abbiano messo al mondo ben 250 mila bambini. Il prelato calcola che nella sua città almeno duemila piccoli (ma secondo altre stime sarebbero seimila) siano abbandonati a se stessi perché non hanno più nessun parente.”Vivono – spiega Abu Khazen – per strada, in case distrutte o accuditi da un fratello maggiore, spesso più vecchio di loro di appena un anno”.  “I figli di donne violentate – rincara – sono moltissimi”. E c’è l’ulteriore complicazione che la religione islamica non prevede l’adozione. Molti anziani sono confinati nei piani alti delle case perché non possono fare le scale. Il richiamo dei riservisti fino ai 45 anni di età ha privato molte famiglie dell’unica fonte di reddito. Tutti gli operai disponibili hanno superato quell’età”.
Sullo schermo della sala della Collegiata si inseguono immagini di macerie, di distruzione, di missili atterrati nel cortile dei francescani. C’è perfino la foto di un rosario fatto con le pallottole che monsignor abu Khazen raccoglieva ogni mattina. La parrocchia del vescovo latino di Aleppo aveva un laboratorio per le donne provvisto di computer e di macchine da cucire. “Ho convinto il Comune- ricostruisce e documenta con foto – a rimuovere le macerie e a riportarci la corrente elettrica”.  Dietro il rosario di proiettili spiccano un mattone della Porta Santa di Roma e la citazione del profeta Isaia che esorta a trasformare le spade in aratri e le lance in falci.

«Stiamo organizzando un sinodo tra tutte le sei Chiese cattoliche, dei diversi riti, presenti ad Aleppo. Come logo dell’incontro abbiamo scelto l’immagine dei discepoli di Emmaus, che vengono confortati dalla presenza di Gesù».

Nell'incontro pubblico a Lecco, Mons Georges Abou Khazen ha soprattutto invitato a una preghiera che nasca dalla consapevolezza di appartenere alla unica chiesa cattolica. 

  di Giulio Boscagli :  leggi qui: http://www.resegoneonline.it/articoli/il-vescovo-di-aleppo-a-lecco-dalla-siria-parole-di-speranza-20170922


«Ci aspettavamo l’invasione da un momento all’altro. E ci chiedevamo che cosa avremmo potuto fare e che cosa avremmo subito. Io ho sempre mantenuto la speranza, perché davvero il Signore aiuta quando viene invocato, e dicevo a tutti: sopravvivremo così come stanno sopravvivendo i nostri fratelli a Idlib».
 di Leone Grotti : leggi qui Aleppo. Guerra e miracolo della riconciliazione | Tempi.it 

mercoledì 20 settembre 2017

Una storia eccezionale: la spedizione organizzata dal team umanitario del monastero Mar Yakub di Qara il 7 settembre, per portare aiuti nella città di Deir ez-Zor, assediata dai gruppi jihadisti per tre anni.

"La loro storia è quella di un incredibile coraggio, e fede in Dio, e il trionfo dello spirito umano."

La prima parte della narrazione è di Frère Jean Baudouin, membro della spedizione.  Il monastero di Mar Yakub in Siria, è stato il primo a fornire assistenza umanitaria il 7 Settembre 2017 alla città di Deir ez-Zor dopo l'arrivo dell'ISIS nel 2014.  
Deir ez-Zor è la città più grande della Siria orientale e la settima città più grande del Paese, situata a 450 km a nord est della capitale di Damasco, sulle rive del fiume Eufrate. Per tre anni la città è stata circondata da forze terroristiche e pertanto è stata tagliata fuori dal mondo esterno. Molte persone sono morte di fame. Altri sono sopravvissuti grazie ai ponti aerei della Mezzaluna Rossa e bevendo acqua inquinata purificandola con cloro. L'esercito siriano ha aperto una strada nel deserto a Deir ez-Zor il 7 settembre. Lo stesso giorno, il monastero di Mar Yakub ha inviato 5 veicoli con aiuto umanitario alla popolazione sofferente.
In questa relazione, presenteremo la spedizione umanitaria in due parti. In primo luogo, la cronologia degli eventi. Cominceremo la cronologia dicendo come abbiamo viaggiato in mezzo al nulla, una strada deserta abbandonata che l'ISIS ha controllato per quattro anni fino a che l'esercito non l'ha riconquistata il 7 settembre. Poi spiegheremo com'è avvenuta la distribuzione degli aiuti umanitari. La seconda parte, di Frère David Johnson, riguarderà le storie delle persone che abbiamo incontrato in Deir ez-Zor e come sono sopravvissute a questo assedio.

CRONOLOGIA DEGLI AVVENIMENTI
6 settembre 2017
A. Sulla strada verso Deir ez-Zor
Alle 7:20 usciamo da Homs con 2 ambulanze, un camion con 5 tonnellate di patate e circa 4000 uova, un camion di forniture mediche, un altro camion riempito con latte in polvere, della farina per neonati, delle tettarelle e dei biberon, un camion con 6000 bottiglie d'acqua e un bus con 2 medici per assistenza medica e una decina di giovani per garantire la distribuzione. Intorno alle 10:30 arriviamo ad un ceck point sulla strada per Raqqa. Lì veniamo fermati. L'esercito ci dice che non possiamo continuare fino a quando la strada per Deir ez-Zor non sarà stata del tutto sminata. Così, aspettiamo fino alle 16:30 quando ci danno il permesso di continuare il nostro viaggio. Dopo di che, a circa 100 km di distanza dalla meta, il nostro camion con patate e uova si è fermato per un guasto ed ha richiesto riparazioni.
Già prima della guerra, alla gente non piaceva avventurarsi sulla strada che da Homs porta a Deir ez-Zor. È una strada asfaltata, solitaria, senza stazioni di servizio. Se la vostra auto si rompe, dovete cercare un meccanico nella città più vicina. Fortunatamente, il nostro autocarro che trasportava uova e patate ha potuto essere riparato rapidamente e unirsi a noi a Deir ez-Zor il giorno dopo. Lungo la strada abbiamo potuto notare diversi muri dipinti con il logo dell'ISIS.
Intorno alle 20, ci siamo fermati ad un altro posto di blocco dell'esercito, dove siamo riusciti a rifornire i mezzi di carburante. Dopo di che, lo stato della strada è andato sempre peggiorando. Ogni 200 mt. circa, era interrotta o aveva un cratere di almeno 1,5 mt. di diametro. Allora abbiamo zigzagato attraverso il deserto abbandonato finché ad un tratto: bam! ... uno pneumatico scoppia. Il camion che portava il latte in polvere e la farina d'avena aveva colpito una grande pietra non vista, che purtroppo stava sulla strada. Tutto il convoglio si ferma, prendiamo le chiavi e il necessario per smontare la ruota, in parecchi tentano di svitare i bulloni... niente da fare, tutti gli sforzi sono inutili, impossibile smontare la ruota. Circa 12 persone attorniavano il camion nell'oscurità del deserto. Fortunatamente, c'era luna piena. Abbiamo poi deciso di lasciare il camion, svuotare il suo contenuto spostandolo sulle due ambulanze in modo da non sprecare troppo tempo. Il conducente sarebbe rimasto al posto di controllo militare più vicino.
L'intera operazione è durata circa un'ora. Alle 22 eravamo pronti a ripartire. Poco più tardi, le persone che ci guidavano ci hanno avvertito che stavamo avvicinandoci alla strada molto malmessa che entra a Deir ez-Zor. Così, siamo costretti a lasciare il grande camion prendendo delle bottiglie d'acqua, temendo di rimanere bloccati nella sabbia. Di tutto il convoglio, sono rimaste solo le 2 ambulanze e il piccolo autobus con i giovani volontari. Ci siamo avventurati sulla strada del deserto. Abbiamo pregato la Vergine Maria di guidarci; salire su e giù per le piccole colline, premendo un po' sul pedale dell'acceleratore per cercare di rimanere sulle tracce della jeep dell'esercito di fronte a noi. Fortunatamente, una sola ambulanza si è bloccata nella sabbia e una jeep ha dovuto tornare indietro per tirarla fuori. Infine, siamo arrivati su una strada del deserto ancora peggiore e in discesa, dove abbiamo dovuto guidare tra barili vuoti che servivano da segnali: questi delimitavano un percorso obbligato per impedire di entrare in una zona pericolosa piena di mine.
B. Arrivo a Deir ez-Zor
All'una di notte, finalmente entriamo in Deir ez-Zor. Siamo stati i primi civili a entrare in città dopo tre anni di assedio. Siamo stati guidati attraverso piccole strade fino all'ospedale generale. Abbiamo incontrato il direttore dell'ospedale che ci ha aperto un corridoio del suo ospedale per trascorrere la notte. Ci ha detto che non si è mosso da Deir ez-Zor da 6 anni e che lui e alcuni altri medici (mentre la grande maggioranza sono fuggiti) stavano facendo quello che potevano per aiutare la popolazione locale. L'ospedale era circondato dall'ISIS, ma è rimasto una zona libera durante tutta la guerra. Mancano di tutto. A causa della carenza di medici e farmaci, spesso sono costretti ad amputare. Il dottore ha anche spiegato che si sentivano molto abbandonati dal mondo esterno, ma ha subito espresso la sua gioia per il nostro arrivo. Così abbiamo trascorso la notte lì e immediatamente ci siamo trovati di fronte al problema principale che la popolazione ha dovuto affrontare: la carenza di acqua. Ogni due giorni l'acqua viene fornita attraverso le tubature. L'acqua però non è pulita e la gente la "purifica" con il cloro. Quasi tutta la popolazione ha calcoli renali a causa dell'acqua sporca e molto carica di minerali. Anche andare prendere l'acqua dal fiume Eufrate è considerata una "mission impossible" perché i terroristi dell'ISIS sparano anche a donne e bambini che osano avventurarsi alla riva del fiume.
7 settembre. La distribuzione
Alle 10.30 abbiamo cominciato a consegnare le forniture mediche all'ospedale generale. I medici e gli infermieri aprivano le scatole per ordinare bende, pillole contro la febbre o farmaci contro i pidocchi. Dopo mezz'ora, siamo andati alla clinica di Khaled Ben Walid nella zona di Qussur, molto ricca prima della guerra. Deir ez-Zor è una delle città più ricche della Siria a motivo delle sue grandi risorse di gas e petrolio, mentre adesso ogni famiglia è ridotta alla povertà e alla fame. Ad ogni famiglia abbiamo distribuito latte in polvere, farina d'avena, delle tettarelle e un biberon. Purtroppo, alcuni teppisti sono arrivati al punto di distribuzione provocando caos e risse tra di loro. La gente ci diceva: "scusate questa gente, sono molto affamati".
Intorno alle 11:30 siamo andati alla clinica di Thawra nel quartiere dallo stesso nome. Gli abitanti ci hanno detto che la "zona di sicurezza" in cui vivono conta circa 70.000 persone ed è divisa in due grandi quartieri. "Zona di sicurezza" però è un eufemismo perché vengono bombardati quotidianamente dai terroristi e devono prestare attenzione ai cecchini. Non sanno mai quando escono dalle loro case se torneranno alla sera.
A mezzogiorno, abbiamo iniziato la nostra distribuzione presso la clinica Thawra, in mezzo alle difficoltà. Le persone erano così affamate e desiderose di ricevere latte in polvere che hanno iniziato a litigare tra loro. Il sistema di registrazione e distribuzione è stato sopraffatto e abbiamo dovuto trasferirci per problemi di sicurezza. Una squadra scriveva i nomi della gente mentre gli altri distribuivano le forniture attraverso la porta posteriore dell'ambulanza. È andata bene finché c'erano solo donne e bambini, ma quando gli uomini si sono uniti alla folla, erano troppo aggressivi. Così siamo stati costretti a spostarci dietro un cordone di polizia e a chiedere ai soldati di aiutarci a separare la folla e formare delle code ordinate. Sulle foto, potete vedere che tutte le persone devono prima scrivere i loro nomi. Soltanto dopo aver fornito un'identità valida e un'età valida dei propri figli, possono ricevere latte in polvere, farina d'avena , una tettarella e un biberon. Inoltre, le immagini mostrano la distribuzione e il momento in cui la folla inizia a spingere in modo tale che abbiamo dovuto interrompere la distribuzione.
Verso le 12.30 siamo stati informati che il camion con le patate e le uova era arrivato. Ma quando la folla ha visto il camion, lo ha circondato e le persone hanno cominciato ad arrampicarsi da tutte le parti. Anche il camion ha dovuto raggiungere rapidamente la nostra ambulanza al punto di controllo dell'esercito. Lì abbiamo fatto un altro tentativo e la distribuzione è stata riavviata. Ma ancora una volta è scoppiata una rissa. Alla fine, andando ulteriormente all'interno della base militare, siamo riusciti a completare la distribuzione in pace. Queste povere persone erano così affamate che erano quasi disperate. Alle 16 abbiamo finito la distribuzione. La popolazione era felice di aver visto gente venire dall'esterno. E mentre stavamo andando via, abbiamo incrociato altri camion che portavano ancora aiuti per la popolazione di Deir ez Zor, gente così affamata ma anche buona e coraggiosa.

2ª PARTE
Storie degli abitanti di Deir ez-Zor: la loro storia è quella di un incredibile coraggio, di fede in Dio e del trionfo dello spirito umano. Da Frère David Johnson, Monastero di Mar Yakub, squadra di aiuti umanitari.
Per un giorno abbiamo assistito a qualcosa di inimmaginabile per noi: le lacrime di sofferenza e le grida di gioia degli abitanti dell'amata città di Deir ez-Zor, cuore del territorio dominato dall'ISIS a est della Siria. E per un giorno essi sono stati testimoni di qualcosa di impensabile per loro: la rottura del loro assedio di tre anni, l'assedio che ha devastato tutte le famiglie di Deir ez-Zor.
Qualsiasi storico ve lo dirà, gli assedi possono essere terribili. 2000 anni fa, l'assedio romano di Gerusalemme annientò la città che Davide chiamava: "Lo splendore della perfezione, la gioia di tutta la terra, il monte Sion, la città del grande Re" (Sal 48,2 ). L'assedio di Deir ez-Zor nella Siria moderna è una tragedia di proporzioni altrettanto epiche, uno dei più grandi crimini del nostro tempo. Ha ridotto la città di un milione e mezzo di abitanti, una delle più ricche in Siria con le sue famiglie di signori del petrolio, in cadaveri e in profughi affamati e in sciacalli senza un soldo erranti per le strade.
Per tre anni, questi 100.000 normali cittadini siriani hanno subito tre ondate di accerchiamento da parte dei terroristi. Il direttore dell'ospedale ha detto al nostro team umanitario la sera in cui siamo arrivati, il 6 settembre 2017: "Per primi, il Free Syrian Army, poi Al-Nusra e infine ISIS hanno bloccato la città e ci hanno circondato. La maggior parte delle persone è fuggita dalla città. Noi abbiamo preferito la neutralità e siamo rimasti nell'area protetta dall'esercito ". "ISIS si trova a 100 metri dalla parete del mio ufficio. E a causa loro, mio figlio ha perso tutta la fede in Dio". Ci ha servito caffè mentre stava preparando le nostre camere. "Ho fiducia", ha scherzato, "ma siamo così abituati al rumore degli spari durante la notte che non riusciamo a dormire senza di esso. Se c'è una notte senza fuoco, noi mettiamo una registrazione di spari solo per riuscire ad addormentarci."
"Non ho visto un fazzoletto di carta da anni!"
I primi cittadini di Deir ez-Zor a raccontarci la loro storia sono Anis e Anis, due amici di 26 e 19 anni. Il più giovane Anis era felice di avere un fazzoletto di carta. Sigaretta in mano, ci dice: "Voi siete la prima gente dall'esterno di Deir ez-Zor che abbiamo visto in 3 anni. Questa città era una volta la regione più ricca della Siria. Ma l'assedio ci ha riportato nella vita nel primo secolo, facendoci uscire a tagliare rami di alberi per cucinare, come la gente d'altri tempi!"
L'Anis più grande ci ha voluto spiegare come le cose si sono svolte fin dall'inizio dell'assedio: "Nulla è entrato o uscito per due anni e nove mesi. Immaginatevi: niente carne, niente verdura, niente farina, nessun cibo cotto o acqua pulita ". Circa l'80% del milione e mezzo di abitanti di Deir ez-Zor è fuggito: "Noi siamo i 100.000 cittadini che sono rimasti", ha detto, "e noi sopravviviamo con il cibo che ci ha paracadutato la Croce Rossa ".
Nella foto Muhannad e i giovani del quartiere Qusur con Frère David

"Grazie per il panino, non ho mangiato pane da tre anni!" dice Muhannad, studente di scuola superiore molto magro ma allegro, mangiando lentamente e con attenzione un panino con pollo. "Wow! con pomodori e cetrioli!" "Tutto quel che ci vuole," dice, "sono così deliziosi, ho dimenticato il sapore che avevano." Indossa la maglietta "Hungry Moose (Alce affamato)", allora gli domando: “Sei un alce affamato?” . Lui mi chiede: "Beh, sai cosa vuol dire avere fame?". "Sì, so a cosa assomiglia il digiuno … per motivi religiosi", dico io. "Ma sai cosa vuol dire avere veramente fame?" mi domanda. "Sai cosa significa guardare la tua famiglia morire di fame?". Ho solo guardato con stupore al suo magnifico sorriso.
Muhannad è così gentile, voleva solo essere mio amico. "Quando la morte e la distruzione sono dovunque, è la fede nella grazia di Dio che ci sostiene". Orgogliosamente, mi ha accompagnato nel salone da parrucchiere di suo padre e mi ha dato dell'acqua fresca, una merce molto preziosa, e voleva radermi, ma non c'era più tempo. Muhannad ha mantenuto i suoi buoni sentimenti studiando: ha appena conseguito il suo baccalaureato ed ha scelto di fare i suoi studi di ingegneria all'università.
"Io sono il pane di vita disceso dal cielo", dice Nostro Signore Gesù Cristo. Il pane è il cuore e l'anima della cucina mediorientale servito ad ogni pasto. Tuttavia, in Deir ez-Zor, ci hanno detto: "Come avremmo potuto mangiare pane? La fila per il pane è così lunga che bisogna aspettare due giorni e dormire davanti alla panetteria per ottenerne solo un po' “.

"Vede quel buco nel muro? E' da là che ci hanno bombardati la scorsa notte ".
Incontriamo Majed, 24 anni. Majed è uno studente intelligente e curioso della Thawra Medical Clinic. "Che lavoro fate al monastero?" chiede. "Frère John si prende cura degli alberi. Ed io sono un pastore ", rispondo. "Le pecore sono fantastiche!" dichiara Majed, "mi sono appena laureato presso il College of Veterinary Medicine." "Cosa? C'è una vita universitaria a Deir ez-Zor?", "Sì, dopo 3 anni di assedio, rimangono solo 17 studenti. Ma abbiamo continuato a studiare all'università e recentemente mi sono laureato".

Il fiume Eufrate attraversa il centro della città, ma è controllato dai terroristi, così che la gente non poteva usare l'acqua nè per irrigazione nè per bere, pena la morte.
Uno dei dipendenti della clinica medica, Samira, ci ha spiegato: "Nessuno può bere dal fiume perché è inquinato e anche a causa dei cecchini ISIS. Quindi non c'è buona acqua da bere. L'acqua che beviamo viene pompata dal sottosuolo una volta alla settimana. A causa della scarsa qualità dell'acqua, moltissimi a Deir ez-Zor hanno calcoli renali, il contenuto minerale dell'acqua è molto elevato ". E' stato molto difficile vivere senza cibo e acqua decente: "Circa un anno fa, alcuni uomini hanno cercato di rompere l'assedio lasciando la città per andare a procurarsi del cibo", spiega un altro volontario "ma hanno avuto la testa tagliata dai terroristi dell'ISIS ". Il bombardamento della clinica è avvenuto la sera prima del nostro arrivo. Oltre alla carenza di cibo, c'è uno sbarramento costante di bombardamenti. "La scorsa notte, la nostra clinica è stata bombardata dall'ISIS", mi raccontano, "guarda! C'è il loro razzo ancora intero nel muro! Grazie a Dio nessuno è rimasto ucciso ".
L'amico di Majed, Khaled, ha spiegato con un'immagine poetica come sono sopravvissuti col cibo inviato dal paracadute: "Come saidna Isa (Gesù) mandò maida (una tavola di cibo) dal cielo ai suoi discepoli nel Santo Corano, riceviamo anche noi cibo dal cielo, inviato dai paracadute della Croce Rossa e della Mezzaluna Rossa ".
 "Ciao, sono Shady Tuma", un giovane hippy di circa 30 anni, viene da noi e dice con orgoglio: "Io sono l'unico cristiano che è rimasto in Deir ez-Zor durante questo assedio. Dopo che ISIS ha distrutto le nostre chiese, la mia famiglia e tutti i cristiani sono partiti. Ma io amo qui, l'assedio non è così insopportabile"..."Quindi, Abuna, quando puoi venire a celebrare la Messa per noi? ".
Ecco le cose di cui a Deir ez-Zor hanno ancora grande bisogno:
1. Forniture mediche di base
2. Sistemi di depurazione dell'acqua
3. Alimenti che non necessitano di cottura
4. Latte in polvere
5. Scarpe
6. Prodotti per l'igiene personale
7. Abbigliamento per neonati
8. Una buona stretta di mano amichevole e una tazza di tè.
Con un'immensa gratitudine ringraziamo tutti i nostri benefattori senza i quali questa spedizione sarebbe stata impossibile. Dio vi benedica! Ora speriamo di poter preparare un'altra spedizione di aiuti umanitari molto più grande nei giorni a venire per la città di Deir ez-Zor.
   Traduzione Gb.P.
https://www.maryakub.net/2017/09/10/first-humanitarian-aid-convoy-to-deir-ez-zor-syria-since-three-years-siege/