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domenica 10 agosto 2025

L'irreale retorica statunitense sulla "Siria unificata"

Carta di Laura Canali - 2024  Limes
di Erkin Oncan

Le recenti dichiarazioni dell'inviato speciale degli Stati Uniti per la Siria, Thomas Barrack, potrebbero a prima vista sembrare il riflesso di un impegno diplomatico, ma gli sviluppi sul campo e le alleanze segrete degli Stati Uniti rivelano che questa retorica è in gran parte una manovra propagandistica.

Parlando all'Associated Press (AP), Barrack ha sottolineato che le "morti e i massacri" da entrambe le parti del conflitto nella Siria meridionale sono inaccettabili, affermando: "Credo che l'attuale governo siriano, che è un governo nuovo con pochissime risorse per affrontare i problemi emergenti, stia facendo del suo meglio".

Tuttavia, se parliamo di "integrità territoriale" nel contesto di una nuova Siria, è chiaro che la politica de facto degli Stati Uniti in Siria serve in realtà a rafforzare strutture che indeboliscono l'unità territoriale del Paese. Sul campo, gli Stati Uniti hanno stabilito un fragile equilibrio tra il nuovo governo siriano e le Forze Democratiche Siriane (SDF). Sebbene questo equilibrio possa dare l'apparenza di una stabilità localizzata nel breve termine, esso porta con sé il potenziale per aprire la strada alla frammentazione della Siria a lungo termine. Queste entità sono ideologicamente, etnicamente e politicamente in conflitto, con aspettative nettamente contrastanti per una nuova Siria.

Linee rosse nei colloqui di Damasco-SDF

Sono chiari i piani dell'amministrazione di Damasco di integrare le SDF nel Nuovo Esercito Siriano, smantellarne la struttura autonoma e trasferire il controllo delle risorse del nord-est (petrolio, confini, istituti scolastici) allo Stato siriano.

Nel frattempo, le SDF, pur continuando i contatti con la nuova amministrazione siriana, mantengono una serie di “linee rosse”: preservare l’amministrazione autonoma, integrare le proprie forze nell’esercito indipendentemente dal comando centrale, ricevere una quota di risorse e mantenere il controllo sui confini.

In questo scenario, gli Stati Uniti, una potenza che nel tempo ha fornito ampio sostegno militare e politico a entrambe le parti, sembrano tentare di “nascondere” questo processo profondamente incerto con dichiarazioni diplomatiche e messaggi di buona volontà.

La strategia di Israele per procura

Israele, che è di fatto "entrato" nell'arena siriana attraverso gli scontri di Suwayda, probabilmente considera le critiche espresse dall'inviato speciale del suo più grande alleato come una mera formalità. La strategia principale di Israele in questo caso è quella di separare la Siria meridionale da Damasco e creare nuove zone di controllo tramite forze per procura, con il pretesto della sicurezza dei confini.

In altre parole, mentre si enfatizza retoricamente una "Siria unificata", ciò che si sta costruendo sul campo è una realtà multistrutturale sempre più radicata. Un possibile accordo tra le SDF e HTS (Hay'at Tahrir al-Sham), ad esempio, non riguarda solo due gruppi armati seduti al tavolo dei negoziati; racchiude in sé gli interessi contrastanti di attori regionali e globali.

I negoziati tra SDF e HTS non coinvolgono solo questi due attori; il resto include l'intervento di Stati Uniti, Israele e Turchia. La Turchia, partendo dal presupposto che questi negoziati procederanno parallelamente al processo di disarmo del PKK, cerca di assicurarsi la sua "quota" nella governance della nuova Siria.

Le SDF, che hanno ricevuto il più ampio sostegno dagli Stati Uniti durante l'era Trump, sono consapevoli che un simile sostegno militare e politico diretto potrebbe non continuare sotto la guida dei Democratici. Inoltre, le priorità regionali di Washington sono cambiate. Pertanto, le SDF si stanno impegnando per garantire una posizione equilibrata ma forte contro HTS, con l'obiettivo primario di garantirne la continua esistenza. Tra le affermazioni riportate dai media israeliani e regionali, si legge che il gruppo ha intrattenuto una serie di incontri non solo con gli Stati Uniti, ma anche con Israele.

Israele, da parte sua, è determinato a sfruttare al massimo il "vuoto di potere" che si sta creando nella nuova Siria. Ciò che è iniziato sotto le mentite spoglie della sicurezza dei confini si è ora fuso con la politica espansionistica strutturale di Israele. Se Israele decidesse di "accelerare" le sue operazioni in Siria, è ben consapevole che Damasco potrebbe non essere in grado di opporre una seria resistenza.

Il governo di Damasco non è all'altezza?

Il nuovo governo guidato da Shara non è finora riuscito a dimostrare la capacità di ricoprire il ruolo di "nuova leadership". Deve affrontare una crisi di governance, massacri etnici che hanno suscitato la condanna internazionale, continui scontri con Israele e gravi problemi economici.

Pertanto, il governo di Damasco si trova costretto a “trovare una via di mezzo” con le SDF, gli Stati Uniti e persino Israele per consolidare il suo potere.

All’interno di questa equazione, la percezione dell’Iran come “minaccia primaria” a livello regionale offre indizi significativi sul futuro delle attuali lotte di potere.

La “minaccia iraniana” determinerà l’equilibrio

Nonostante il duro colpo subito con la caduta del regime di Assad, l'Iran rimane uno degli attori più forti nella regione. Il potenziale delle SDF di fungere da "forza di bilanciamento indipendente" contro l'Iran si allinea perfettamente con gli interessi dell'asse Tel Aviv-Washington. Pertanto, nei negoziati tra le SDF e Damasco, lo scenario in cui le richieste delle SDF acquisiscono peso e il potere del governo centrale viene ridotto è altamente probabile.

Nonostante gli appelli diplomatici degli Stati Uniti all'"unità", l'autonomia di fatto delle SDF, la sua capacità di proseguire i negoziati con Damasco grazie agli attuali equilibri di potere e la strategia di posizionamento anti-Iran di Stati Uniti e Israele ostacolano una reale unificazione della Siria. Nelle circostanze attuali, è pressoché impossibile per il nuovo governo siriano sotto la guida di Shara evolversi in una struttura stabile e funzionante. Le continue crisi militari, politiche ed economiche, unite alla strategia generale del "principale pericolo è l'Iran", rendono necessario il mantenimento dell'attuale struttura frammentata.

In conclusione, la retorica di Washington su una "Siria unificata" è in gran parte propagandistica se considerata alla luce della complessa rete di interessi e alleanze segrete sul campo. Con gli Stati Uniti e Israele che cercano di espandere il fronte anti-iraniano, lo scenario in cui le SDF continuano a svolgere un ruolo importante al di fuori del quadro del governo centrale rimane l'esito più probabile.

 FONTE: https://strategic-culture.su/news/2025/08/07/how-real-us-rhetoric-unified-syria/

                         E INFATTI....  

STENDARDO DELLE SDF- FORZE DEMOCRATICHE SIRIANE

La Siria si ritira dai colloqui di Parigi con i curdi

9 AGOSTO 2025

di Israa Farhan


Il governo siriano ha annunciato che non prenderà parte ad ulteriori negoziati con le Forze democratiche siriane (SDF), compresi i prossimi incontri a Parigi, in seguito a un'importante conferenza ospitata dall'Amministrazione autonoma a guida curda nel nord-est della Siria.

Damasco ha descritto l'incontro come un duro colpo per gli sforzi di dialogo in corso. La conferenza, tenutasi venerdì nella città di Hasakah, ha visto i discorsi in collegamento video dello sceicco Hikmat al-Hijri, un importante leader spirituale druso della città di Sweida, e dello sceicco Ghazal al-Ghazal, capo del Consiglio islamico alawita della Siria.

Nella dichiarazione conclusiva, l'incontro ha chiesto una conferenza nazionale siriana completa che riunisca un'ampia gamma di forze nazionali e democratiche.

In una dichiarazione diffusa dall'agenzia di stampa statale Syrian Arab News Agency (SANA), il governo ha affermato che l'evento, che ha riunito personalità curde insieme a rappresentanti delle minoranze alawita e drusa, ha minato il processo di dialogo.

Damasco ha sottolineato che non parteciperà a nessun incontro programmato a Parigi e che si rifiuterà di negoziare con qualsiasi parte che ritenga stia tentando di far rivivere quella che ha definito "l'era del vecchio regime" con qualsiasi pretesto.

Il governo siriano ha condannato fermamente l'accoglienza di quelle che ha definito figure separatiste coinvolte in azioni ostili, definendo l'iniziativa una chiara violazione dell'accordo del 10 marzo. Ha ritenuto le SDF e la loro leadership pienamente responsabili delle conseguenze di tale comportamento. 

giovedì 31 luglio 2025

Dichiarazione di Sua Beatitudine Cardinale Pierbattista Pizzaballa al rientro da Gaza

«Siamo afflitti, ma sempre gioiosi; poveri, ma arricchiamo molti; non possediamo nulla, ma possediamo tutto». - (2 Corinzi 6,10)

 Patriarcato Latino di Gerusalemme - 22 luglio 2025

Cari fratelli e sorelle,

il Patriarca Teofilo III ed io siamo tornati da Gaza con il cuore spezzato. Ma anche incoraggiati dalla testimonianza di molte persone che abbiamo incontrato.

Siamo entrati in un luogo devastato, ma anche pieno di meravigliosa umanità. Abbiamo camminato tra le polveri delle rovine, tra edifici crollati e tende ovunque: nei cortili, nei vicoli, per le strade e sulla spiaggia – tende che sono diventate la casa di chi ha perso tutto. Ci siamo trovati tra famiglie che hanno perso il conto dei giorni di esilio perché non vedono alcuna prospettiva di ritorno. I bambini parlavano e giocavano senza battere ciglio: erano già abituati al rumore dei bombardamenti.

Eppure, in mezzo a tutto questo, abbiamo incontrato qualcosa di più profondo della distruzione: la dignità dello spirito umano che rifiuta di spegnersi. Abbiamo incontrato madri che preparavano da mangiare per gli altri, infermiere che curavano le ferite con gentilezza e persone di tutte le fedi che continuavano a pregare il Dio che vede e non dimentica mai.

Cristo non è assente da Gaza. È lì, crocifisso nei feriti, sepolto sotto le macerie eppure presente in ogni atto di misericordia, in ogni candela nell'oscurità, in ogni mano tesa verso chi soffre.

Non siamo venuti come politici o diplomatici, ma come pastori. La Chiesa, l'intera comunità cristiana, non li abbandonerà mai.

È importante sottolineare e ripetere che la nostra missione non è rivolta a un gruppo specifico, ma a tutti. I nostri ospedali, rifugi, scuole, parrocchie – San Porfirio, la Sacra Famiglia, l'ospedale arabo Al-Ahli, la Caritas – sono luoghi di incontro e condivisione per tutti: cristiani, musulmani, credenti, scettici, rifugiati, bambini.

Gli aiuti umanitari non sono solo necessari, sono una questione di vita o di morte. Rifiutarli non è un ritardo, ma una condanna. Ogni ora senza cibo, acqua, medicine e riparo provoca un danno profondo.

L'abbiamo visto: uomini che resistono al sole per ore nella speranza di un semplice pasto. È un'umiliazione difficile da sopportare quando la si vede con i propri occhi. È moralmente inaccettabile e ingiustificabile.

Sosteniamo quindi l'opera di tutti gli attori umanitari – locali e internazionali, cristiani e musulmani, religiosi e laici – che stanno rischiando tutto per portare la vita in questo mare di devastazione umana.

E oggi leviamo la nostra voce in un appello ai leader di questa regione e del mondo: non può esserci futuro basato sulla prigionia, lo sfollamento dei palestinesi o sulla vendetta. Deve esserci un modo per restituire la vita, la dignità e tutta l'umanità perduta. Facciamo nostre le parole di Papa Leone XIV pronunciate domenica scorsa durante l'Angelus:

«Rinnovo il mio appello alla comunità internazionale affinché osservi il diritto umanitario e rispetti l'obbligo di proteggere i civili, nonché il divieto di punizioni collettive, l'uso indiscriminato della forza e lo sfollamento forzato della popolazione».

È ora di porre fine a questa assurdità, di porre fine alla guerra e di mettere al primo posto il bene comune delle persone.

Preghiamo e chiediamo il rilascio di tutti coloro che sono stati privati della libertà, il ritorno dei dispersi e degli ostaggi e la guarigione delle famiglie che da tempo soffrono da tutte le parti.

Quando questa guerra sarà finita, avremo un lungo viaggio davanti a noi per iniziare il processo di guarigione e riconciliazione tra il popolo palestinese e il popolo israeliano, dalle troppe ferite che questa guerra ha causato nella vita di troppi: una riconciliazione autentica, dolorosa e coraggiosa. Non dimenticare, ma perdonare. Non cancellare le ferite, ma trasformarle in saggezza. Solo un percorso di questo tipo può rendere possibile la pace, non solo politicamente, ma anche umanamente.

Come pastori della Chiesa in Terra Santa, rinnoviamo il nostro impegno per una pace giusta, per la dignità incondizionata e per un amore che trascende tutti i confini.

Non trasformiamo la pace in uno slogan, mentre la guerra rimane il pane quotidiano dei poveri.

*Traduzione a cura dell'Ufficio Stampa del Patriarcato Latino

mercoledì 30 luglio 2025

Coloni ebrei attaccano di nuovo il villaggio cristiano di Taybeh in Cisgiordania

Dichiarazione sull'attacco perpetrato nella città cristiana di Taybeh

Gerusalemme, 29 luglio 2025

 Noi, Patriarchi e Capi delle Chiese di Gerusalemme, esprimiamo la nostra profonda preoccupazione e incrollabile condanna a seguito dell'ennesimo violento assalto che ha preso di mira la città cristiana cisgiordana di Taybeh. Diversi veicoli sono stati incendiati e sono stati spruzzati graffiti pieni di odio: un inequivocabile atto di intimidazione diretto a una comunità pacifica e fedele, radicata nella terra di Cristo.

Questo grave incidente non è un fatto isolato. Fa parte di un allarmante schema di violenza dei coloni contro le comunità della Cisgiordania, comprese le loro case, gli spazi sacri e i modi di vita. Solo pochi giorni fa, i coloni sono entrati con la forza a Taybeh, radunando il bestiame nel cuore della città. Individui mascherati - alcuni armati, altri a cavallo - si sono aggirati per le strade, seminando il terrore e minacciando la sacralità della vita quotidiana. Il fuoco ha raggiunto le mura dell'antica chiesa, testimonianza vivente della presenza duratura della fede cristiana in Terra Santa.

Ci rammarichiamo che le dichiarazioni ufficiali della polizia israeliana abbiano ridotto la questione ai soli danni alla proprietà, omettendo il contesto più ampio di intimidazioni e abusi sistematici. Queste omissioni distorcono la verità e non affrontano le violazioni del diritto internazionale umanitario e dei diritti umani, compresi il diritto alla libertà religiosa e la protezione del patrimonio culturale.

Un'ulteriore preoccupazione è la campagna di disinformazione reazionaria da parte di gruppi affiliati ai coloni israeliani, lanciata in risposta alle recenti visite diplomatiche a Taybeh. Anziché affrontare le gravi violazioni in atto, queste narrazioni cercano di screditare le vittime e di sminuire il significato della solidarietà internazionale. Tali distorsioni mirano a deviare il controllo e a sminuire la condotta criminale in violazione delle norme internazionali.

Siamo gravemente turbati dal clima di impunità prevalente, che mina lo Stato di diritto e mette a rischio la coesistenza pacifica nella terra della Risurrezione. La mancanza di responsabilità non solo minaccia le comunità cristiane, ma indebolisce anche le basi morali e legali che sostengono la pace e la giustizia per tutti.

Chiediamo al governo israeliano di agire con chiarezza morale e impegno:

- di consegnare alla giustizia senza indugio i responsabili di questi crimini;

- di assicurare una protezione efficace e coerente alla popolazione di Taybeh e a tutte le comunità vulnerabili;

- di rispettare i suoi obblighi davanti al diritto internazionale e di garantire l'uguaglianza di fronte alla legge.

Ringraziamo di cuore le missioni diplomatiche e i partner internazionali che hanno visitato Taybeh e sono stati solidali con la sua popolazione. La vostra presenza offre speranza e forza morale. Vi esortiamo a continuare il vostro sostegno. L'aggressione persiste - e anche la nostra vigilanza e la nostra preghiera unite per una pace radicata nella giustizia.

  • I Patriarchi e i Capi delle Chiese di Gerusalemme

*Tradotto dall'Ufficio Stampa del Patriarcato Latino

https://lpj.org/it/news/statement-on-the-attack-perpetrated-in-the-christian-town-of-taybeh

mercoledì 23 luglio 2025

Cronaca da Qara di Padre Daniel

Qara, 18 luglio 2025

Sabato scorso, abbiamo visitato i monasteri di Ma'alula e Seydnaya.  Poiché il nostro autobus è stato purtroppo distrutto nel tragico incidente stradale di Homs di quasi un anno fa, abbiamo viaggiato con un minibus e quattro auto. 

A Ma'alula si parla ancora l'aramaico, la lingua di Gesù. La madre di Sylvie, la moglie di Zaki, è originaria di questa regione. Nel convento greco-ortodosso di Santa Tecla, discepola di San Paolo, abbiamo incontrato una sorella della nostra Sonja, che è suora lì. Abbiamo prima cantato e pregato nella chiesa. Alla grotta di Santa Tecla, vicino all'enorme albicocco che cerca un po' di sole lungo l'arco, abbiamo bevuto l'acqua che sgorga dalla roccia.

Nel monastero greco-cattolico di San Sergio (ufficiale romano ucciso per la sua fede nel 297) e San Bacco, troviamo diverse curiosità nella chiesa. Innanzitutto, sono state costruite delle travi nei muri per proteggere la chiesa (che risale al 320 d.C., una delle più antiche!) dai terremoti. L'altare conserva la forma dell'altare pagano originario del tempio dedicato ad Apollo. C'è un'antica icona dell'Ultima Cena in cui Gesù non è seduto al centro, ma di lato, come servo. C'è anche un Cristo crocifisso con il sangue che scorre sul fianco destro, perché solo nel VII secolo si scoprì che il cuore era a sinistra!

A Seydnaya abbiamo visitato per prima cosa il monastero di Sant'Elia. Quando siamo arrivati, la prima cosa che abbiamo fatto è stata cantare sotto la cupola, che produce un meraviglioso effetto stereo. 

Abbiamo poi sceso 212 gradini fino alla chiesa e alla grotta di Elia. Dopo aver vinto la sua battaglia contro i profeti di Baal e aver ucciso tutti i profeti di Baal, dovette fuggire dalla regina Gezabele, che sosteneva questi profeti. Ella era furiosa e voleva uccidere Elia. Dietro l'altare della chiesa, bisogna scendere decine di gradini difficili nelle grotte, e soprattutto bisogna stare attenti a non sbattere la testa. Probabilmente Elia era stanco, e anche noi....

Infine, abbiamo visitato il monastero siriaco ortodosso e la facoltà teologica di Sant'Efrem, con le sue tre chiese. Era l'unico posto che non avevamo ancora mai visitato. Abbiamo ricevuto un'accoglienza molto calorosa e alla fine siamo stati ricevuti dal loro vescovo, Mons. Jakub Babawi, di Ninive (Iraq), che è responsabile dei monaci e dell'educazione teologica qui. Non si è trattato solo di un dialogo amichevole, ma anche di una calda evangelizzazione. È stato incoraggiante sentire un vescovo testimoniare così liberamente di Gesù Cristo. 

Ha anche spiegato il significato del loro tipico copricapo nero (bonnet) con le 12 croci per i 12 apostoli e la 13ª croce per Gesù Cristo.


Poi è arrivato il momento di trovare un posto dove mangiare. I nostri Zaki e Sylvie avevano già organizzato tutto in un magnifico ristorante coperto, per metà all'aperto, senza pareti esterne. Abbiamo potuto preparare e gustare il nostro pasto abbondante da soli, mentre le patatine e le bevande erano fornite dal ristorante. La musica vivace invitava alle danze popolari.  Poiché il nostro pasto per oltre trenta persone richiedeva una lunga preparazione, abbiamo portato chi voleva a visitare la basilica greco-cattolica di Santa Sofia a Seydnaya. È composta da tre chiese: a sinistra, la grotta risalente all'epoca delle persecuzioni, e a destra, la chiesa costruita dopo l'Editto di Milano del 313, con un'acustica molto particolare per il sacerdote all'altare. La piccola apertura nel muro di fronte a lui funge da microfono! Poi, al centro, la grande chiesa a forma di basilica con 9 ingressi al santuario. Madre Agnès-Mariam ha dipinto il Pantocratore nella grande chiesa con Madre Claire Marie nella cupola.

Così siamo arrivati, affamati, al ristorante semiaperto, dove il pasto era pronto. La musica ad alto volume si è fermata per un momento e tutti abbiamo pregato solennemente il Padre Nostro con le mani alzate, dopodiché ho benedetto il pasto. Che festa! I giovani si sono occupati da soli del servizio e presto sono iniziate le danze popolari.

Oggi abbiamo salito più di mille gradini, cosa possibile anche per chi come me ha più di 87 anni, in un gruppo dove tutti sono pronti a dare una mano! Ci sono ancora giorni felici davanti a noi, anche in un Paese duramente colpito dalla guerra.

Riporto da "Al Manar": “Nei sette mesi trascorsi dalla caduta del governo di Bashar al-Assad e dallo scioglimento dei servizi di sicurezza, della polizia e dell'esercito da parte del nuovo governo di Ahmad al-Sharaa (ex Abu Mohallad al-Julani), sono già stati uccisi più di 8.000 siriani”, secondo l'Osservatorio siriano per i diritti umani, una ONG con sede in Inghilterra. I massacri sono perpetrati impunemente da gruppi estremisti, mentre gli attuali leader negano i fatti e si rifiutano di controllare i gruppi estremisti. L'ONG parla di una pericolosa escalation, citando in particolare lo slogan delle Brigate dei sostenitori della Sunna (SAS), che vogliono sbarazzarsi “degli alawiti e degli infedeli”. 

Secondo Dabiq News, il 3 luglio hanno appiccato incendi nella regione di Latakia con l'obiettivo di allontanare la popolazione. Il loro piano è quello di eliminare gli alawiti, i drusi e poi i cristiani?

Aiuti umanitari

Padre Bassam, maronita, vive in una regione collinare vicino a Tartus. In questa regione ci sono ancora molti cristiani, soprattutto greco-ortodossi e maroniti. Gli abitanti di questa zona, che vivono principalmente di agricoltura, devono affrontare molte sfide: pochi posti di lavoro, povertà, insicurezza, aumento della concorrenza delle verdure importate e siccità persistente.

Questo buon padre ha un pozzo profondo 10 metri e ha avviato un progetto per pompare l'acqua. Vuole offrire acqua gratuita ai vicini e ai residenti locali. Il monastero ha finanziato l'acquisto di un sistema di pompaggio per realizzare questo progetto. Ora gli abitanti della zona possono raccogliere l'acqua gratuitamente, permettendo loro di seminare e piantare liberamente e aiutandoli a continuare le loro attività agricole nonostante le difficoltà.

      Padre Daniel - dalla Siria 

venerdì 18 luglio 2025

La Siria è spacciata

I raid aerei con cui Tel Aviv ha imposto alle truppe di Damasco il ritiro dalla città drusa di Sweida e bombardato il ministero della Difesa fanno da cupo presagio al futuro della Siria (Scaglione)


 Avvenire  17 luglio 2025 - di Fulvio Scaglione

I raid aerei con cui l’aviazione di Israele prima ha imposto alle truppe siriane il ritiro dalla città a maggioranza drusa di Sweida e poi ha bombardato il ministero siriano della Difesa nel cuore della capitale Damasco, dimostrando di poter colpire liberamente in qualunque punto del Paese, non parlano tanto di Israele ma fanno da cupo presagio al futuro della Siria. Per almeno due ragioni.

La prima ha a che fare con la sua storia contemporanea. Nei lunghi e drammatici anni della guerra civile, si era diffusa l’illusione che la rimozione del dittatore Bashar al-Assad avrebbe portato, quasi di per sé, a una specie di riconciliazione nazionale in nome della riconquistata libertà. Assad è scappato a Mosca ma è successo il contrario: sparatorie tra milizie curde e sunnite, bombe islamiste nelle chiese cristiane, stragi di alawiti da parte dei sunniti, una vera guerra tra i reparti sunniti fedeli al presidente al-Jolani/al-Sharaa e i gruppi di autodifesa della comunità drusa, a loro volta aiutati dagli alawiti. Tutte le vecchie faglie etnico-religiose si sono spalancate e rischiano di inghiottire il Paese, eccitate anche da un progetto di nuova Costituzione che, a credere alle voci che arrivano da Damasco, mostra più di un tratto islamista. Che corrisponde alla natura e all’origine dei nuovi governanti, ex dirigenti o capi militari del gruppo qaedista Hayat Tahrir al-Sham (Hts), ma ovviamente inquieta le numerose, corpose e influenti minoranze siriane.

E poi c’è la situazione internazionale. Nel 2011 Recep Tayyip Erdogan diceva di voler cacciare Assad per andare a pregare nella moschea degli Omayyadi di Aleppo. Nel dicembre scorso, lanciando all’offensiva gli uomini di HTS che aveva a lungo finanziato e armato, il presidente ha mostrato di non aver rinunciato al vecchio sogno. Anche lui, però, ha sbagliato molti conti. Fino a quel punto, infatti, aveva più o meno retto un equilibrio perverso ma utile per cui la Russia teneva a bada Assad, permetteva a Israele di attaccare le basi iraniane in Siria, trattava con la Turchia e faceva, più o meno, da elemento d’equilibrio. Non è un caso se a parlare con i capi delle comunità druse ora ribelli fossero, negli anni scorsi, più i militari russi che i funzionari assadiani.

Erdogan ha creduto che al-Jolani e i suoi potessero prendere in fretta il controllo del Paese, sottovalutando le difficoltà interne di cui sopra. In più, ha male interpretato le mosse di Israele, che del ribaltone siriano ha approfittato per allargare il cerchio delle proprie operazioni e rendere ancora più ambiziosa la propria strategia. Ora Erdogan è paralizzato: non vuole e non può fare la guerra a Israele ma non sa come difendere il “suo” al-Jolani, di bomba in bomba sempre più avviato al ruolo di sindaco di Damasco più che di presidente della Siria. Con il Nord controllato dal padre-padrone Turchia, il Golan a Sud dominato da Israele attraverso i drusi, l’Est ricco di petrolio sotto la tutela degli americani e dei loro protetti curdi.

Ed è proprio questo che giustifica i pronostici pessimistici sul futuro del Paese. Oggi tutti i Paesi occidentali corrono a stringere la mano ad al-Jolani e si affrettano a eliminare le sanzioni con cui è stato affamato per anni il popolo siriano, senza però muovere un dito per difendere la stabilità e l’integrità territoriale della Siria. È un paradosso solo in apparenza. Alle potenze regionali va benissimo poter rosicchiare parte del territorio siriano per soddisfare le loro più o meno credibili esigenze di sicurezza. Alle altre, quelle più lontane, non va male che in Medio Oriente venga realizzata l’ennesima ristrutturazione delle aree di influenza, se non anche dei confini, che in questo caso prevede la cacciata della Russia, la mortificazione delle ambizioni dell’Iran e la riduzione della stessa Siria a un piccolo Paese disarmato e fragile, avviato al ruolo di semplice piattaforma di interessi altrui. Una specie di secondo Libano, insomma, costretto a sperare nella benevolenza dei più forti. Con una certa libertà di azione, però, per Al Jolani o chi per esso. A difendere i Drusi è intervenuto Israele in base a precisi interessi strategici. A difendere gli Alawiti non è arrivato nessuno, e anche i venti cristiani uccisi in chiesa hanno destato un’attenzione insufficiente.

«Il mondo non distolga lo sguardo dalla Siria», ha detto papa Leone XIV pochi giorni fa. Ma la sensazione è che dei siriani e del loro destino importi poco. E che lo sguardo della comunità internazionale sia distolto, ma non per caso.

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FIDES, 14 luglio 2025

Arcivescovo Jacques Mourad: "Gesù vuole che la Sua Chiesa rimanga in Siria. E questa idea di svuotare la Siria dei cristiani, non è certo la volontà di Dio».

È tornato da pochi giorni l’Arcivescovo Jacques Mourad, dopo aver partecipato a Roma al Sinodo dei Vescovi della Chiesa siro cattolica. E subito è stato preso dalle tante cose che a Homs lo stavano aspettando. «In questi giorni celebro le prime comunioni dei bambini e delle bambine nelle parrocchie dei villaggi. È una gioia che tocca il cuore. Ringraziamo il Signore per tutti questi segni di speranza che Lui offre a noi, nella nostra povertà».

Calibra ogni parola, Jacques Mourad, quando parla del tempo che sta vivendo la sua Patria e il suo popolo.
Il monaco della comunità di Deir Mar Musa, divenuto Arcivescovo siro cattolico di Homs Hama e Nabek, ha anche lui nel cuore il tumulto per la strage dei cristiani massacrati a Damasco il 22 giugno, mentre erano riuniti con i fratelli e le sorelle per partecipare alla messa domenicale nella chiesa di Sant’Elia.

Le parole del Vescovo Jacques, nato a Aleppo e unitosi alla comunità monastica fondata dal gesuita romano Paolo Dall’Oglio, sono a tratti taglienti, mentre racconta il presente siriano.
Ripete che «Oggi la Siria è finita come Paese». Ma vede anche che, in tale naufragio, la Chiesa in Siria continua il suo cammino e la sua opera, per il bene di tutti. E ciò accade solo «perché questa è la volontà di Gesù. Gesù vuole che la Sua Chiesa rimanga in Siria. E questa idea di svuotare la Siria dei cristiani, non è certo la volontà di Dio».

La strage dei cristiani
  Il nuovo potere che domina a Damasco cerca parole rassicuranti. Anche dopo la strage nella chiesa di Sant’Elia, rappresentanti governativi ripetono che i cristiani sono una componente ineliminabile del popolo siriano. «E io voglio dire» scandisce l’Arcivescovo Mourad «che il governo porta direttamente la responsabilità di tutto quello che è successo. Perché ogni governo è responsabile della sicurezza del popolo. E non parlo solo dei cristiani. Anche tanti sunniti, tanti alawiti sono stati uccisi, tanti sono spariti. Se una squadra mandata da qualche organismo internazionale venisse a ispezionare le carceri, adesso ci troverebbe tanta gente che non ha nulla a che fare con i crimini del regime passato. Credo si possa dire che questo governo sta perseguitando il popolo. Tutto il popolo».

L’Arcivescovo siro cattolico di Homs percepisce ostilità anche nelle formule rassicuranti utilizzate dal nuovo regime siriano verso i battezzati: «Ogni volta che sento parlare della “protezione” dei cristiani, sento che siamo messi sotto accusa. E sotto minaccia. Sono formule usate non per manifestare benevolenza, ma per incriminare. Quello che devo dire è che questo governo fa le stesse cose fatte dal regime di Assad contro il popolo. Ambedue i regimi, quello di Assad e quello di adesso, non hanno alcun rispetto per il popolo siriano e la sua storia».
 
Siria finita 

La Siria - riconosce l’Arcivescovo Jacques - ha una grande eredità, e ha il presente del suo popolo giovane. «Ma gli ultimi governi «sembrano voler annichilire, distruggere, questa civilizzazione, la civiltà di questo popolo. È un crimine mondiale, non riguarda solo noi».
 «L’Unesco proclama patrimonio dell'umanità tanti luoghi della Siria. Poi nessuno li protegge. E ora abbiamo bisogno di proteggere il nostro patrimonio vivente, non solo i monumenti».
 
Prima i megafoni, poi il terrore
   Le sigle del terrore cambiano spesso la loro “griffe”. Fonti governative siriane, per l'attentato alla chiesa di Damasco, hanno chiamato in causa non meglio specificati militanti di Daesh, lo "Stato Islamico". Ma a rivendicare la strage dei cristiani è stata una sigla jihadista appena inaugurata, Saraya Ansar al-Sunna, creata forse da fuoriusciti da Tahrir al-Sham. Strategie di mercato, gestione "professionale" della comunicazione e della propaganda.
 
I cristiani ortodossi della chiesa di Sant'Elia a Damasco - questo ripetono più fonti e testimoni sul campo -  sono stati massacrati "per punizione", dopo che alcuni di loro avevano avuto un alterco coi militanti islamisti che andavano di continuo davanti alla chiesa con gli altoparlanti montati sulle automobili per sparare a alto volume nelle orecchie dei battezzati i versetti del Corano e i richiami a convertirsi e a aderire all'Islam. La stessa cosa - conferma l'Arcivescovo Jacques - succede anche a Homs e in tutta la Siria: «Passano con le macchine di sicurezza del governo, e dagli altoparlanti chiedono ai cristiani la conversione. Se poi noi chiediamo ragione di questi comportamenti a quelli della sicurezza, ci rispondono che si tratta di iniziative individuali. Ma intanto continuano a usare le auto della sicurezza…il popolo non crede più a questo governo».

Sponsor d'Occidente
  Intanto chi comanda oggi in Siria continua a cercare accreditamenti da parte di circoli e poteri esterni. Rappresentanti del governo si sono detti pronti a rifare l'armistizio con Israele del 1974.
 «Io» riconosce l’Arcivescovo Mourad «non sono un politico. E vedo che quasi tutto il popolo siriano desidera la pace. Desidera anche arrivare a un accordo di pace con Israele, per tutti i Paesi del Medio Oriente. Dopo tutti questi anni sono tutti veramente stanchi di questa guerra, e di considerare gli ebrei come nemici. Ma se arrivassimo adesso a un accordo con Israele, ciò avverrebbe solo perché adesso la Siria è debole. E un simile accordo, in un momento come questo, sarebbe solo un altro atto di umiliazione del popolo.  Quindi, prima che il Presidente arrivi a siglare tale accordo, bisognerebbe almeno parlare chiaro al popolo, spiegare cosa significa questo accordo, e cosa c'è dentro. Quali sono le condizioni per Israele e per i siriani».
 
L’esercito israeliano - prosegue l’Arcivescovo siro cattolico di Homs «ha occupato tanti territori siriani dopo la fine del regime di Assad. Questo vuol dire che forse dobbiamo dimenticarci per sempre delle alture del Golan. E questo vuol dire che il popolo siriano, soprattutto a Damasco, potrà sempre essere sotto minaccia con lo strumento della sete, perché l'acqua a Damasco arriva dal Golan. E se rimaniamo sotto il potere di Israele per l'acqua, immaginiamoci per le altre cose…».
 
Oggi - aggiunge padre Jacques, entrando dentro i drammi del presente siriano «la Siria è finita come Paese. Continuiamo a ripetere che è il primo Paese del mondo, che Damasco e Aleppo sono le città più antiche del mondo, ma questo nel presente non vuol dire più niente. È finita, gran parte del popolo vive sotto il livello di povertà, siamo massacrati, umiliati, stanchi. Non abbiamo la forza di riprenderci da soli la nostra dignità. Se non c'è un sostegno politico sincero a favore del popolo, e non del governo, siamo finiti.  Nessuno può condannare il popolo siriano perché emigra, e cerca salvezza fuori dalla Siria. Nessuno ha il diritto di giudicare».  In una situazione dove tutta l'economia, e il sistema educativo, e anche quello sanitario sono al collasso.

Da dove ricominciare 
  È possibile trovare delle strade per andare avanti, quando l’orizzonte è così buio e sembra mancare il respiro?
L'Arcivescovo sceglie parole forti e impegnative per tratteggiare oggi la condizione e la missione delle Chiese e dei cristiani siriani.
«Secondo me la Chiesa è l'unico riferimento di speranza per tutto il popolo siriano. Per tutto, non solo per i cristiani. Perché noi facciamo tutto per sostenere il nostro popolo, nel modo che possiamo».
 
«Dopo la caduta di Assad, tanti nelle nostre comunità e parrocchie sono entrati in una crisi di paura. Una disperazione terribile. Anche io ho fatto visite a tutte le parrocchie, in ogni villaggio, per incoraggiare i cristiani, parlare del futuro. Grazie a Dio, ogni volta io mi sento accompagnato dal Signore, nelle parole, nel discorso che faccio per il popolo. E così, in questa situazione, siamo presi a organizzare regolarmente gli incontri per i giovani, per i bambini, per i gruppi impegnati nella Chiesa in diversi modi».
 
Anche in una situazione per molti versi tragica, la vita ordinaria delle comunità ecclesiali prosegue il cammino.
E proprio le comunità ecclesiali provano a promuovere il dialogo per la convivenza tra tutti i gruppi e le componenti, in un contesto lacerato, impregnato di dolore e risentimenti.
 «A Aleppo e anche a Damasco sono veramente bravi. I Vescovi hanno dato spazio anche ai laici per riflettere e prendere l'iniziativa.
A Homs proviamo di fare incontri con tutte le altre comunità. Alawiti, ismailiti, sunniti, cristiani. Le persone che incontriamo sono tutte preoccupate per la politica del governo, anche i musulmani. Siamo uniti, perché siamo tutti sulla stessa barca, come ripeteva Papa Francesco».
 
L’incontro con Papa Leone 
  È stato Papa Leone a chiedere ai Vescovi siro cattolici di venire a Roma per tenere nella città eterna il loro Sinodo ordinario, svoltosi dal 3 al 6 luglio. «È stata un'occasione bellissima poterlo incontrare, conoscerlo e avere la sua benedizione.  Ho seguito con attenzione i discorsi che lui ha fatto parlando delle Chiese orientali e dell’Oriente cristiano. Ho approfittato di questo incontro per ringraziarlo e chiedere di incoraggiare tutta la Chiesa cattolica a prendere l'iniziativa soprattutto per sostenere il popolo siriano nelle sue urgenze primarie».

La speranza traspare nelle opere concrete 
  «Per me» sottolinea Jacques Mourad «è importante che la Chiesa si coinvolga intensamente nella ricostruzione delle scuole e di tutto il tessuto educativo in Siria. E anche che nella costruzione di ospedali decenti per il nostro popolo. Già abbiamo in funzione delle scuole, a Aleppo, a Damasco, ma non bastano. A Homs non c’è niente. Dobbiamo lavorare su questo, perché questo può aiutare anche a arginare l’emigrazione dei cristiani. Tutti i genitori pensano al futuro dei loro figli. E se non possono garantire loro scuole dove studiare e ospedali che funzionino, rimane solo la scelta di andar via. Abbiamo bisogno di tutto. Abbiamo bisogno anche di far rinascere centri pastorali e culturali che possano accompagnare la crescita anche umana e culturale dei nostri giovani. E anche di case per i giovani che vogliono sposarsi. Così si possono incoraggiare tutti i giovani a rimanere nel Paese, a non andar via».

Così il presente e il futuro dell'Arcivescovo Jacques si riempie di cose buone da fare. Mancano le risorse, ma l'orizzonte è chiaro:  «Così possiamo andare avanti, nel cammino della nostra Chiesa in Siria. Perché questa è certo la volontà di Gesù. Gesù vuole che la Sua Chiesa rimanga in Siria. Questa idea di svuotare la Siria dei cristiani, non è certo la volontà di Dio».
«E noi per primi, i discepoli di Cristo, e chi esercita delle responsabilità a nome suo, abbiamo il dovere di proteggere i nostri fedeli e fare tutto il possibile garantire il futuro della Chiesa in Siria». 

martedì 15 luglio 2025

Dichiarazione dei Capi delle Chiese di Gerusalemme durante la Visita di Solidarietà a Taybeh

Patriarcato Latino di Gerusalemme, 14 luglio 2025

Noi, il Consiglio dei Patriarchi e Capi delle Chiese di Gerusalemme, siamo oggi a Taybeh in solidarietà con la comunità locale a seguito di una tendenza crescente di attacchi sistematici e mirati contro di loro e la loro presenza. Chiediamo le preghiere, l’attenzione e l’azione del mondo, in particolare quella dei cristiani a livello globale.

Lunedì 7 luglio 2025, radicali israeliani provenienti dagli insediamenti vicini hanno appiccato intenzionalmente il fuoco vicino al cimitero della città e alla Chiesa di San Giorgio, risalente al V secolo. Taybeh è l’ultima città completamente cristiana rimasta in Cisgiordania. Queste azioni sono una minaccia diretta e intenzionale, innanzitutto per la nostra comunità locale, ma anche per l’eredità storica e religiosa dei nostri antenati e dei luoghi santi. Di fronte a tali minacce, il più grande atto di coraggio è continuare a chiamare questo posto la propria casa. Siamo al vostro fianco, sosteniamo la vostra resilienza e vi assicuriamo le nostre preghiere.

Ringraziamo i residenti locali e i vigili del fuoco per aver spento l’incendio prima che i nostri luoghi santi venissero distrutti, ma uniamo le nostre voci a quelle dei sacerdoti locali – greco-ortodossi, latini e melchiti greco-cattolici – per lanciare un chiaro appello di sostegno di fronte ai ripetuti attacchi sistematici di questi radicali, che stanno diventando sempre più frequenti.

Negli ultimi mesi, i radicali hanno portato il loro bestiame a pascolare nelle fattorie dei cristiani sul lato est di Taybeh – l’area agricola – rendendole come minimo inaccessibili, ma nel peggiore dei casi danneggiando gli uliveti da cui le famiglie dipendono. Lo scorso mese, diverse case sono state attaccate da questi radicali, che hanno appiccato incendi ed eretto un cartello con la scritta, tradotta in inglese: “non c’è futuro per voi qui”.

La Chiesa è presente fedelmente in questa regione da quasi 2.000 anni. Rifiutiamo con fermezza questo messaggio di esclusione e ribadiamo il nostro impegno per una Terra Santa che sia un mosaico di fedi diverse, che vivono insieme pacificamente con dignità e sicurezza.

Il Consiglio dei Patriarchi e Capi delle Chiese chiede che questi radicali siano chiamati a rispondere delle loro azioni dalle autorità israeliane, che ne facilitano e consentono la presenza attorno a Taybeh. Anche in tempo di guerra, i luoghi sacri devono essere protetti. Chiediamo un’indagine immediata e trasparente sul motivo per cui la polizia israeliana non ha risposto alle chiamate di emergenza della comunità locale e perché queste azioni abominevoli continuino a rimanere impunite.

Gli attacchi perpetrati dai coloni contro la nostra comunità, che vive in pace, devono cessare, sia qui a Taybeh che altrove in Cisgiordania. Questo è chiaramente parte degli attacchi sistematici contro i cristiani che vediamo dispiegarsi in tutta la regione.

Inoltre, chiediamo a diplomatici, politici e funzionari ecclesiastici di tutto il mondo di alzare una voce coraggiosa e pregante per la nostra comunità ecumenica a Taybeh, affinché la loro presenza sia sicura e possano vivere in pace, pregare liberamente, coltivare senza pericolo e vivere in una pace che sembra essere fin troppo scarsa.

Ci uniamo ai nostri confratelli del clero a Taybeh nel reiterare questa speranza di fronte a una minaccia persistente: “la verità e la giustizia prevarranno alla fine”. E ricordiamo le parole del Profeta Amos, che diventano la nostra preghiera in questo periodo difficile: “scorra invece il diritto come acqua e la giustizia come un torrente perenne”.

+ I Patriarchi e Capi delle Chiese di Gerusalemme.