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lunedì 7 ottobre 2024

Lettera del Papa ai cattolici del Medio Oriente: martoriati da guerre fatte dai potenti, sono con voi

 

Cari fratelli e sorelle,

penso a voi e prego per voi. Desidero raggiungervi in questo giorno triste. Un anno fa è divampata la miccia dell’odio; non si è spenta, ma è deflagrata in una spirale di violenza, nella vergognosa incapacità della comunità internazionale e dei Paesi più potenti di far tacere le armi e di mettere fine alla tragedia della guerra. Il sangue scorre, come le lacrime; la rabbia aumenta, insieme alla voglia di vendetta, mentre pare che a pochi interessi ciò che più serve e che la gente vuole: dialogo, pace. Non mi stanco di ripetere che la guerra è una sconfitta, che le armi non costruiscono il futuro ma lo distruggono, che la violenza non porta mai pace. La storia lo dimostra, eppure anni e anni di conflitti sembrano non aver insegnato nulla.

E voi, fratelli e sorelle in Cristo che dimorate nei Luoghi di cui più parlano le Scritture, siete un piccolo gregge inerme, assetato di pace. Grazie per quello che siete, grazie perché volete rimanere nelle vostre terre, grazie perché sapete pregare e amare nonostante tutto. Siete un seme amato da Dio. E come un seme, apparentemente soffocato dalla terra che lo ricopre, sa sempre trovare la strada verso l’alto, verso la luce, per portare frutto e dare vita, così voi non vi lasciate inghiottire dall’oscurità che vi circonda ma, piantati nelle vostre sacre terre, diventate germogli di speranza, perché la luce della fede vi porta a testimoniare l’amore mentre si parla d’odio, l’incontro mentre dilaga lo scontro, l’unità mentre tutto volge alla contrapposizione.

Con cuore di padre mi rivolgo a voi, popolo santo di Dio; a voi, figli delle vostre antiche Chiese, oggi “martiriali”; a voi, semi di pace nell’inverno della guerra; a voi che credete in Gesù «mite e umile di cuore» (Mt 11,29) e in Lui diventate testimoni della forza di una pace non armata.

Gli uomini oggi non sanno trovare la pace e noi cristiani non dobbiamo stancarci di chiederla a Dio. Perciò oggi ho invitato tutti a vivere una giornata di preghiera e digiuno. Preghiera e digiuno sono le armi dell’amore che cambiano la storia, le armi che sconfiggono il nostro unico vero nemico: lo spirito del male che fomenta la guerra, perché è «omicida fin da principio», «menzognero e padre della menzogna» (Gv 8,44). Per favore, dedichiamo tempo alla preghiera e riscopriamo la potenza salvifica del digiuno!

Ho nel cuore una cosa che voglio dire a voi, fratelli e sorelle, ma anche a tutti gli uomini e le donne di ogni confessione e religione che in Medio Oriente soffrono per la follia della guerra: vi sono vicino, sono con voi.

Sono con voi, abitanti di Gaza, martoriati e allo stremo, che siete ogni giorno nei miei pensieri e nelle mie preghiere.

Sono con voi, forzati a lasciare le vostre case, ad abbandonare la scuola e il lavoro, a vagare in cerca di una meta per scappare dalle bombe.

Sono con voi, madri che versate lacrime guardando i vostri figli morti o feriti, come Maria vedendo Gesù; con voi, piccoli che abitate le grandi terre del Medio Oriente, dove le trame dei potenti vi tolgono il diritto di giocare.

Sono con voi, che avete paura ad alzare lo sguardo in alto, perché dal cielo piove fuoco.

Sono con voi, che non avete voce, perché si parla tanto di piani e strategie, ma poco della situazione concreta di chi patisce la guerra, che i potenti fanno fare agli altri; su di loro, però, incombe l’indagine inflessibile di Dio (cfr Sap 6,8).

Sono con voi, assetati di pace e di giustizia, che non vi arrendete alla logica del male e nel nome di Gesù «amate i vostri nemici e pregate per quelli che vi perseguitano» (Mt 5,44).

Grazie a voi, figli della pace, perché consolate il cuore di Dio, ferito dal male dell’uomo. E grazie a quanti, in tutto il mondo, vi aiutano; a loro, che curano in voi Cristo affamato, ammalato, forestiero, abbandonato, povero e bisognoso, chiedo di continuare a farlo con generosità. E grazie, fratelli vescovi e sacerdoti, che portate la consolazione di Dio nelle solitudini umane. Vi prego di guardare al popolo santo che siete chiamati a servire e a lasciarvi toccare il cuore, lasciando, per amore dei vostri fedeli, ogni divisione e ambizione.

Fratelli e sorelle in Gesù, vi benedico e vi abbraccio con affetto, di cuore. La Madonna, Regina della pace, vi custodisca. San Giuseppe, Patrono della Chiesa, vi protegga.

Fraternamente,

FRANCESCO 

Roma, San Giovanni in Laterano, 7 ottobre 2024. 

https://www.vatican.va/content/francesco/it/letters/2024/documents/20241007-lettera-cattolici-mediooriente.html


Un appello per un'immediata azione umanitaria internazionale in Libano del Patriarca Siro Ortodosso Mor Ignatius Aphrem II


7 ottobre, un anno dopo. Patriarca Sabbah: sarà pace solo se avrà fine la tragedia palestinese

FIDES, 5 ottobre 2024

La catastrofe che travolge la Terra Santa e tutto il Medio Oriente «non è iniziata il 7 ottobre 2023». I cicli di violenza che hanno generato il tragico presente vissuto anche nella terra di Gesù «sono stati infiniti, iniziati nel 1917, raggiungendo il picco nel 1948 e nel 1967, continuando da allora fino a oggi». Adesso la rabbiosa rappresaglia della forza militare israeliana «può distruggere e portare morte», ma «non può portare alla sicurezza di cui gli israeliani hanno bisogno», Perché la pace potrà tornare «solo quando la tragedia del popolo palestinese avrà fine».

Sono parole irrigate di lucido realismo, di dolore e nel contempo di speranza “contro ogni speranza” quelle raccolte nel documento-appello diffuso dal Patriarca emerito di Gerusalemme dei Latini Michel Sabbah e dai membri del gruppo “Christian Reflection” a un anno dalle stragi compiute da Hamas contro ebrei israeliani il 7 ottobre 2023, eccidio che ha aperto il nuovo vortice di morte e annientamento che risucchia interi popoli e trascina il mondo intero verso il baratro della guerra globale.

La “Christian Reflection” di Gerusalemme è un gruppo di cristiani di Terra Santa - sacerdoti, religiosi e laici - raccolti intorno al Patriarca emerito Sabbah per condividere riflessioni sul ruolo dei cristiani davanti al conflitto e nella società. Proprio ai fratelli e alle sorelle nella fede in Cristo il documento firmato dal Patriarca emerito Sabbah pone questioni decisive: «Come cristiani» si legge nel testo, intitolato “Mantenere viva la speranza” «ci troviamo di fronte anche ad altri dilemmi: questa è una guerra in cui siamo semplicemente spettatori passivi? Dove ci collochiamo in questo conflitto, presentato troppo spesso come una lotta tra ebrei e musulmani, tra Israele, da una parte, e Hamas e Hezbollah sostenuti dall'Iran, dall'altra? Questa è una guerra di religione? Dovremmo rintanarci nella precaria sicurezza delle nostre comunità cristiane, isolandoci da ciò che sta accadendo intorno a noi? Dobbiamo semplicemente guardare e pregare in disparte, sperando che questa guerra alla fine passi?»

“Stiamo fissando l’oscurità”

Dopo un anno di guerra incessante, «mentre il ciclo della morte continua inarrestabile» il Patriarca Sabbah e i membri del gruppo di riflessione avvertono l’urgenza ««di cercare la speranza che deriva dalla nostra fede», mentre ammettono di essere «esausti, paralizzati dal dolore e dalla paura. Stiamo fissando l’oscurità», mentre «la nostra amata Terra Santa e l'intera regione vengono ridotte in rovina» e «ogni giorno piangiamo le decine di migliaia di uomini, donne e bambini che sono stati uccisi o feriti, soprattutto a Gaza, ma anche in Cisgiordania, Israele, Libano e oltre, in Siria, Yemen, Iraq e Iran». A Gaza - prosegue la tragica descrizione dei fatti «case, scuole, ospedali, interi quartieri sono ora cumuli di macerie. Malattie, fame e disperazione regnano sovrane». £ in tutto questo - si chiedono gli autori del documento - «il sogno sionista di una casa sicura per gli ebrei in uno stato ebraico chiamato Israele ha portato sicurezza agli ebrei?».

Latitanza internazionale

«Incredibilmente» annotano il Patriarca Sabbah e i membri di Christian Reflection «la comunità internazionale guarda quasi impassibile. Le richieste di cessate il fuoco, ponendo fine alla devastazione, vengono ripetute senza alcun tentativo significativo di frenare coloro che stanno scatenando il caos. Armi di distruzione di massa e mezzi per commettere crimini contro l'umanità confluiscono nella regione».
Se la Comunità internazionale latita - prosegue il documento - i cristiani, pur nella loro inermità e esiguità numerica, sono chiamati a essere fiduciosi nella Resurrezione di Cristo anche nella situazione tragica presente.

Quella in atto - insiste il documento - «non è una guerra di religione. E dobbiamo schierarci attivamente, dalla parte della giustizia e della pace, della libertà e dell'uguaglianza. Dobbiamo stare al fianco di tutti coloro, musulmani, ebrei e cristiani, che cercano di porre fine alla morte e alla distruzione»

Sabbah e i suoi compagni del gruppo di riflessione si rivolgono ai capi cristiani, «ai nostri vescovi e ai nostri sacerdoti per avere parole di guida. Abbiamo bisogno dei nostri pastori per aiutarci a comprendere la forza che abbiamo quando siamo insieme. Da soli, ognuno di noi è isolato e ridotto al silenzio». Soprattutto - aggiungono - c’è bisogno di chiedere l’aiuto di Dio «per non disperare, per non cadere nella trappola dell'odio. La nostra fede nella Resurrezione ci insegna che tutti gli esseri umani devono essere amati, uguali, creati a immagine di Dio, figli di Dio e fratelli e sorelle gli uni degli altri». Per questo «le nostre scuole, ospedali, servizi sociali sono luoghi in cui ci prendiamo cura di tutti coloro che sono nel bisogno, senza discriminazioni». E la fede in Cristo «ci rende portavoce di una terra senza muri, senza discriminazioni, portavoce di una terra di uguaglianza e libertà per tutti, per un futuro in cui possiamo vivere insieme».

Porre fine alla tragedia palestinese

Con realismo lucido, gli autori del documento- appello riconoscono che la pace sarà possibile «solo quando la tragedia del popolo palestinese avrà fine». Per questo c’è bisogno «di un accordo di pace definitivo tra questi due partner e non di cessate il fuoco temporanei o soluzioni provvisorie».
La massiccia forza militare di Israele «può distruggere e portare morte, può spazzare via leader politici e militari e chiunque osi alzarsi e opporsi all'occupazione e alla discriminazione. Tuttavia, non può portare la sicurezza di cui gli israeliani hanno bisogno. La comunità internazionale» aggiungono «deve aiutarci riconoscendo che la causa principale di questa guerra è la negazione del diritto del popolo palestinese a vivere nella sua terra, libero e uguale».

«Siamo un popolo, cristiani e musulmani. Insieme» prosegue il documento rivolto ai palestinesi «dobbiamo cercare la via oltre i cicli della violenza. Insieme a loro, dobbiamo impegnarci con quegli ebrei israeliani che sono anche stanchi della retorica, delle bugie, delle ideologie di morte e distruzione». 

mercoledì 2 ottobre 2024

LETTERA DA ALEPPO DEL MARISTI BLU

 

LETTERA  n. 49 (1 ottobre 2024)

Trad. Maria Antonietta Carta 

Teniamo accesa la nostra lampada, cari amici.

Verso la fine della primavera, tutte le notizie riguardanti la situazione in Medio Oriente annunciavano un'estate molto calda dal punto di vista climatico, ma soprattutto per un possibile scoppio della guerra nel sud del Libano, di pari passo con la drammatica situazione di Gaza. Israele prometteva di bombardare il Libano e dunque l'aeroporto di Beirut. Per molti immigrati siriani che intendevano visitare il Paese, si trattava di una vera minaccia, e poneva molte domande: “È ragionevole acquistare in anticipo i biglietti per la Siria tramite l’aeroporto di Beirut? ‘’. Ricordiamo che le compagnie aeree non atterrano a Damasco a causa delle sanzioni internazionali; ciò significa che un viaggiatore diretto in Siria deve passare attraverso l’aeroporto di Beirut per poi proseguire il viaggio in taxi. Quindi, qualsiasi minaccia contro l’aeroporto di Beirut rappresenta una preoccupazione molto seria. Avevamo tanto bisogno del dialogo con i nostri amici siriani e i rappresentanti di associazioni internazionali amichevoli che intendevano visitarci, per convincerli ad andare avanti con la loro decisione, ma c’era ancora un’altra minaccia, quella dei bombardamenti effettuati da Israele contro le città siriane. Anche per questo bisognava rassicurarli e invitarli a correre il rischio di venire.

Purtroppo, le operazioni militari della settimana scorsa hanno dato ragione alle previsioni più pessimistiche: un autunno caldo, molto caldo, l'inferno..., che sta cambiando la configurazione del Medio Oriente. Un autunno che ci lascia dentro le sabbie mobili della sofferenza, della paura, della distruzione e soprattutto con l’assillo per il futuro. Un milione di sfollati interni in una settimana, ecco le prime stime dal Libano. Alcuni hanno preferito attraversare il confine con la Siria, altri cercano di raggiungere i loro Paesi di residenza via mare…

Siamo condannati ad essere un popolo in esodo? Siamo condannati a perdere le nostre proprietà, le nostre case, i nostri territori per essere alla mercé degli altri? I nostri figli sono condannati a essere senza dimora, senza scuole, senza amici; condannati a vivere nell’insicurezza? É una domanda che voglio condividere con voi…. Chi decide il nostro destino? Quali sono queste forze del male che decidono la sorte del nostro Medio Oriente? Abbiamo molta difficoltà a pianificare, a stabilire un calendario preciso e fare previsioni a lungo termine. Dobbiamo accogliere gli eventi quotidiani così come si presentano; accettando, se necessario, di modificare i progetti previsti. L’argomento principale per osare prendere decisioni è “Vivere giorno per giorno”. Flessibilità e resistenza sono due elementi fondamentali per chiunque viva in Siria; sforzarsi di adattarsi alle circostanze cercando di vedere il lato positivo delle cose. Talvolta ci lamentiamo, ci stanchiamo e ci chiediamo per quanto ancora potremo sopportare questa situazione senza una via d'uscita e un orizzonte, ma spesso sentiamo ripetere “Nechkor Allah, Hamdullillah, grazie a Dio’’, un'espressione di gratitudine e fiducia... Da dove viene questa forza interiore che permette alle persone di dire grazie quando la propria situazione è critica? Non è rassegnazione, è atto di Fede. Non è indifferenza, è accettazione della realtà con totale fiducia in Dio. Domani sarà, Inshallah, se Dio vuole, migliore. Questa fede incrollabile è un'eredità ricevuta dai nostri genitori, che ci hanno educato a confidare in Dio e ad andare avanti.

Fortunatamente, questa dinamica vitale permette ai Maristi Blu di svolgere tutte le loro attività con serenità ed entusiasmo, contando sulla Provvidenza che ci ricolma delle sue grazie. Crediamo profondamente che il Signore ci abbia sempre preceduto nel cammino della solidarietà. Siamo testimoni che l’amore di Dio, la sua volontà e la sua tenerezza vegliano su di noi e ci benedicono. Possiamo ripetere con Maria, la nostra Buona Madre: “Il Signore ha fatto meraviglie per noi.’’ Quest'anno è stato dedicato alla formazione dei dirigenti e dei futuri dirigenti dei Maristi Blu. Hanno seguito diverse sessioni di formazione, organizzate a livello locale o in collaborazione con i Maristi del Libano. Un gruppo di 7 project manager ha partecipato alla formazione sul tema della leadership, sia in presenza in Libano sia via Internet. Allo stesso modo, pensando al futuro e prendendo le decisioni necessarie per garantire la successione, i responsabili del progetto hanno effettuato un’analisi SWOT della realtà dei Maristi Blu. Garantire la successione è un tema che ha richiesto molta riflessione, condivisione e preghiera. Siamo tutti convinti che la Missione dei Maristi Blu ad Aleppo sia più che mai attuale. I bisogni sono enormi e a tutti i livelli. I Maristi Blu forniscono un servizio esemplare di solidarietà che merita di continuare. Siamo tutti convinti che sia giunto il momento di realizzare questa successione: atto di fede in Dio e nelle nuove generazioni di leader che manterranno lo spirito della Missione Marista Blu e guideranno i vari progetti. È stata una scelta di continuità che richiede una simbiosi tra ieri e domani; il momento di leggere ciò che è stato sperimentato dalla fondazione dei Maristi Blu nel 2012 e di affidare il fututo, con grande serenità e speranza, alle mani di Maria nostra Buona Madre. Questa serenità e speranza ci ha portato a scegliere tre persone per costituire il nuovo gruppo dirigente dei Maristi Blu. Infatti, dal 1 settembre 2024, sono subentrati Adel JANJI, Bahjat AZRIEH e Lina LAWAND. Abbiamo fiducia nel loro spirito marista, nel loro senso di solidarietà e nella loro capacità di agire in squadra. Noi, Leyla, Nabil e io, continueremo a sostenerli per un periodo di transizione. 

Alcuni dei nostri programmi sono già iniziati dal 1 settembre. I programmi educativi inizieranno oggi, martedì 1 ottobre. I Maristi Blu continuano così ad essere questo barlume di speranza, scegliendo di mettere tutte le nostre capacità al servizio di una popolazione in totale disordine. Qualche giorno fa ho postato questa preghiera su Facebook: Chi sono io per proteggerti, straniero? Chi sono io, che il mio cuore trabocca di simpatia per la tua condizione umana, straniero? Chi sono io per sprecare il mio tempo prezioso ascoltando i sospiri oscuri della tua vita, straniero? Chi sono io per accettare che tu, lo straniero, condivida con me lo spazio della mia stabilità e della mia tranquillità... Chi sono io, Signore, perché tu debba attraversare la mia vita come uno straniero, un debole, un rifugiato, un oppresso, gettato sul ciglio della strada di questo pazzo mondo? Una voce dentro di me sussurra: "Sei il mio amato figlio..."

È solo un arrivederci.

 fratel Georges Sabé per i Maristi Blu

Aleppo il 1 ottobre 2024

domenica 29 settembre 2024

Una giornata di Preghiera, di Digiuno e di Penitenza: 7 ottobre 2024

 

Gerusalemme, 26 settembre 2024

Alla Diocesi del Patriarcato Latino di Gerusalemme

   (raccogliamo per tutti i credenti in questo momento tragico per il MedioOriente)

Carissimi,
il Signore vi dia pace!

Il mese di ottobre si avvicina, e con esso la consapevolezza che da un anno la Terra Santa, e non solo, è stata precipitata in un vortice di violenza e di odio mai visto e mai sperimentato prima. In questi dodici mesi abbiamo assistito a tragedie che per la loro intensità e per il loro impatto hanno lacerato in maniera profonda la nostra coscienza e il nostro senso di umanità.

La violenza, che ha causato e sta causando migliaia di vittime innocenti, ha trovato spazio anche nel linguaggio e nelle azioni politiche e sociali. Ha profondamente colpito il senso di comune appartenenza alla Terra Santa, alla coscienza di essere parte di un disegno della Provvidenza che ci ha voluti qui per costruire insieme il Suo Regno di pace e di giustizia, e non per farne un bacino di odio e di disprezzo, di rifiuto e annientamento reciproco.

In questi mesi ci siamo già espressi chiaramente su quanto sta avvenendo e abbiamo ribadito più volte la nostra condanna di questa guerra insensata e di ciò che l’ha generata, richiamando tutti a fermare questa deriva di violenza, e ad avere il coraggio di individuare altre vie di risoluzione del conflitto in corso, che tengano conto delle esigenze di giustizia, di dignità e di sicurezza per tutti.

Non possiamo che richiamare ancora una volta i governanti e quanti hanno la grave responsabilità delle decisioni in questo contesto, ad un impegno per la giustizia e per il rispetto del diritto di ciascuno alla libertà, alla dignità e alla pace.

Anche noi abbiamo però il dovere di impegnarci per la pace, innanzitutto preservando il nostro cuore da ogni sentimento di odio, e custodendo invece il desiderio di bene per ciascuno. E poi impegnandoci, ognuno nei propri contesti comunitari e nelle forme possibili, a sostenere chi è nel bisogno, aiutare chi si sta spendendo per alleviare le sofferenze di quanti sono colpiti da questa guerra, e promuovere ogni azione di pace, di riconciliazione e di incontro.

Ma abbiamo anche bisogno di pregare, di portare a Dio il nostro dolore e il nostro desiderio di pace. Abbiamo bisogno di convertirci, di fare penitenza, di implorare perdono.

Vi invito, perciò, ad una giornata di preghiera, digiuno e penitenza, per il giorno 7 ottobre prossimo, data diventata simbolica del dramma che stiamo vivendo. Il mese di ottobre è anche il mese mariano e il 7 ottobre celebriamo la memoria di Maria Regina del Rosario.

Ciascuno, con il rosario o nelle forme che riterrà opportune, personalmente ma meglio ancora in comunità, trovi un momento per fermarsi e pregare, e portare al “Padre misericordioso e Dio di ogni consolazione” (2 Cor 1,3), il nostro desiderio di pace e riconciliazione.

In allegato alla presente troverete una proposta di preghiera, da usare liberamente. Invochiamo l’intercessione di Maria Regina del Rosario per questa Terra amata e i suoi abitanti.

Con l’augurio di ogni bene,

†Pierbattista Card. Pizzaballa

Patriarca di Gerusalemme dei Latini


Preghiera per la pace

Signore Dio nostro,
Padre del Signore Gesù Cristo
e Padre dell’umanità intera,
che nella croce del Tuo Figlio
e mediante il dono della sua stessa vita
a caro prezzo hai voluto distruggere
il muro dell’inimicizia e dell’ostilità
che separa i popoli e ci rende nemici:
manda nei nostri cuori
il dono dello Spirito Santo,
affinché ci purifichi da ogni sentimento
di violenza, di odio e di vendetta,
ci illumini per comprendere
la dignità insopprimibile
di ogni persona umana,
e ci infiammi fino a consumarci
per un mondo pacificato e riconciliato
nella verità e nella giustizia,
nell’amore e nella libertà.

Dio onnipotente ed eterno,
nelle Tue mani sono le speranze degli uomini
e i diritti di ogni popolo:
assisti con la Tua sapienza coloro che ci governano,
perché, con il Tuo aiuto,
diventino sensibili alle sofferenze dei poveri
e di quanti subiscono le conseguenze
della violenza e della guerra;
fa’ che promuovano nella nostra regione
e su tutta la terra
il bene comune e una pace duratura.

Vergine Maria, Madre della speranza,
ottieni il dono della pace
per la Santa Terra che ti ha generato

e per il mondo intero. Amen


https://www.lpj.org/it/news/a-day-of-prayer-fasting-and-penance

Prot. N. (1) 1519/2024

domenica 8 settembre 2024

Perché la Siria sarà sempre il cuore del cristianesimo orientale



 8 settembre, Festa della Natività della Vergine Maria, festa della venerata, da tutta la Siria, Madonna di Saidnaya

Di *Kamal Alam -  MiddleEast Eye 

Sono le forze esterne, non la gente comune sul territorio, a mettere a repentaglio la pacifica coesistenza tra musulmani e cristiani del Medio Oriente che ha prevalso per gran parte della storia moderna. 

 All'inizio di quest'anno, il conduttore televisivo conservatore statunitense Tucker Carlson ha suscitato l'ira della lobby israeliana  e dei sionisti cristiani mettendo in dubbio il sostegno di Washington a un Israele intenzionato a uccidere e perseguitare i cristiani palestinesi .

Carlson ha intervistato il reverendo Munther Isaac della Chiesa cristiana evangelica luterana, pastore di Betlemme, e ha evidenziato la costante mancanza di consapevolezza negli Stati Uniti circa il trattamento riservato ai cristiani in Terra Santa. 

Fu Carlson, nel 2018, in qualità di conduttore di Fox News,  a lanciare un  dibattito sui principali media statunitensi sulle uccisioni diffuse di cristiani siriani, e a mettere regolarmente in discussione  il sostegno degli Stati Uniti ai gruppi che prendevano di mira i cristiani in Medio Oriente .

Si potrebbe sostenere che la guerra in Siria abbia portato in primo piano la persecuzione dell'intero cristianesimo orientale , dal Nord Africa all'Asia meridionale. 

Un recente libro di Eugene Rogan, The Damascus Events : The 1860 Massacre and the Destruction of the Old Ottoman World” , sottolinea l'importanza spirituale e geopolitica del massacro dei cristiani siriani del 1860, che sconvolse l'antica gerarchia interreligiosa degli stati ottomani.

Proprio come allora, Damasco ha nuovamente catturato l'attenzione dei cristiani di tutto il mondo per la sua importanza come cuore del cristianesimo orientale.

Come nel 1860, l'interferenza di potenze esterne ( Francia , Regno Unito e Stati Uniti) ha messo a repentaglio anziché proteggere la secolare coesistenza tra cristiani e musulmani,  così come è accaduto con il sostegno degli Stati Uniti ai gruppi militanti in Siria, che hanno iniziato a prendere di mira i cristiani più benestanti (vale a dire i siriani) del Medio Oriente.

Influenza straniera

The Damascus Events” si concentra su un evento chiave, il massacro di migliaia di cristiani a Damasco nel 1860, quando una folla, alimentata dalle voci secondo cui i cristiani stavano per vendicarsi dei Drusi, entrò nella città e diede origine a disordini in tutto il Levante. 

Questi eventi cambiarono per sempre il corso del Medio Oriente, in termini di crescente ingerenza occidentale negli affari levantini.

Il libro esamina anche come la precedente armonia tra fedi diverse nell'entroterra ottomano della Grande Siria possa degenerare in violenza intercomunitaria sotto la provocazione di stranieri e di vociferazioni. 

Rogan, professore di storia moderna del Medio Oriente presso l'Università di Oxford,  sottolinea  come l'incremento degli scambi commerciali nella Grande Siria durante il periodo ottomano spinse le principali potenze europee a favorire i cristiani locali come partner commerciali e diplomatici sul territorio in città come Aleppo, Damasco, Beirut, Tarso e Antakya.

La pressione esercitata dall'Europa sugli Ottomani affinché concedessero ai cristiani pari diritti e affidassero gli affari cristiani in mani europee portò a tensioni in quella che altrimenti sarebbe stata una coesistenza pacifica.

La debolezza del governo ottomano (Costantinopoli era in default economico e troppo assorbita dai suoi territori europei nei Balcani ) e la pressione straniera aumentarono le tensioni locali. 

È ironico che Rogan chiami questi avvenimenti "gli eventi di Damasco", poiché seguirono le violenze tra Drusi e Maroniti sul Monte Libano, molto lontano da Damasco.

Ma la paura, l'insicurezza e le dicerie alla fine portarono al massacro di Damasco. 

Rogan si dilunga nel descrivere la storia scritta e orale di drusi, musulmani e cristiani, spiegando come le dicerie partite dal Monte Libano siano arrivate a Damasco passando per Homs e Aleppo. Attribuisce la colpa maggiore a forze esterne, reali o percepite, per aver influenzato o fatto leva sulle insicurezze dei Damasceni, provocando gli attacchi ai ricchi mercanti cristiani. 

Lezione di convivenza

Rogan conclude con una nota positiva, osservando che gli stessi musulmani di Damasco, decisi a uccidere cristiani innocenti, alla fine vennero in soccorso dei perseguitati contro la folla inferocita istigata dagli estranei.

Molti di coloro che per primi attaccarono l'antico quartiere cristiano di Bab Touma non provenivano in realtà da Damasco. Erano piuttosto Drusi del Libano e più a sud, insieme ad arabi beduini e ad altri che vivevano alla periferia di Damasco. 

Tuttavia, qualunque siano state le origini dei violenti eventi di Damasco, essi accelerarono l'influenza delle capitali europee negli affari ottomani e aumentarono la pressione sul declino del governo dei funzionari ottomani nelle province lontane, dai Balcani al Levante.

Hanno anche catapultato Damasco, nell'immagine del cristianesimo occidentale, come uno dei principali baluardi del cristianesimo orientale.

Nel 2001, il defunto Papa Giovanni Paolo II fece un pellegrinaggio a Damasco e parlò a lungo dell'importanza della Siria per tutti i cristiani, comprese le radici del Vaticano e della Chiesa cattolica,  grazie alla conversione di San Paolo  nel quartiere vecchio di Damasco.

Il Papa parlò anche della completa armonia tra musulmani e cristiani in Siria, di come sia difficile trovarla in qualsiasi altra parte del mondo e di come questa debba essere una lezione di convivenza.

Sopportare il peso

La guerra in Siria ha avuto un profondo impatto sulla vita di tutti i siriani. Ma proprio come nei vicini Iraq e Libano , i cristiani in Siria hanno sopportato un pesante fardello dopo essere stati presi di mira da gruppi estremisti semplicemente a causa della loro fede.

Nel 2016, la guerra in Siria ha portato al primo incontro in 1.000 anni tra un patriarca ortodosso russo e un Papa, Francesco, motivato dalle uccisioni di cristiani in Siria e in Medio Oriente.

La Chiesa ortodossa russa aveva benedetto l'intervento russo in Siria definendolo una guerra santa, data l'importanza della Siria per i cristiani.

Allo stesso modo, numerose delegazioni cristiane britanniche  hanno visitato la Siria e lanciato l'allarme sulla diminuzione della popolazione cristiana siriana. 

Carlson ha guidato il grido di battaglia dei conservatori negli Stati Uniti, sottolineando l'importanza dei cristiani siriani.

Brad Hoff e Zachary Wingerd sono coautori di Syria Crucified , un libro che racconta la difficile situazione dei cristiani siriani e l'impatto sulla cristianità orientale, descrivendo anche nel dettaglio come i cristiani americani abbiano iniziato a prestare attenzione in particolare alle atrocità perpetrate  dai  militanti sostenuti dagli Stati Uniti.n

Il libro di Rogan, pur essendo un promemoria di eventi oscuri, è anche un promemoria del fatto che oggi, proprio come negli anni '60 dell'Ottocento, non sono i locali spinti a una frenesia omicida. C'è un ottimismo sul fatto che i siriani possano ricostruire la società, poiché la maggior parte dei musulmani siriani non vede i cristiani siriani come distinti o diversi da loro.

L'interferenza esterna sta guidando gli eventi sul territorio, proprio come accadde a metà del XIX secolo, e quindi c'è speranza che la Siria continui a essere il cuore  del  cristianesimo orientale. 

* Kamal Alam è specializzato in storia militare contemporanea del Medio Oriente. È stato Fellow presso il Royal United Services Institute dal 2015 al 2019. Attualmente è Fellow presso l'Institute for Statecraft e Senior Fellow non residente presso l'Atlantic Council, e tiene lezioni presso diversi college militari in tutto il Medio Oriente. 

mercoledì 4 settembre 2024

Il 20 ottobre la canonizzazione degli 11 martiri di Damasco

Il 20 ottobre prossimo in piazza San Pietro, papa Francesco canonizzerà i martiri di Damasco: alcuni frati della Custodia di Terra Santa e tre laici maroniti, uccisi in Siria nel luglio 1860. Dai magazzini del convento di San Salvatore, a Gerusalemme, riemergono alcune grandi tele che li ritraggono. Si tratta di cinque pannelli di tenore agiografico che vennero esposti in Vaticano il 10 ottobre 1926 per i riti della beatificazione. Nonostante il passare del tempo, i pannelli si trovano in buone condizioni e possibilmente saranno riutilizzati nelle celebrazioni che precederanno la canonizzazione di ottobre in Vaticano. (Terrasanta.Net)


Dal prossimo 20 ottobre, domenica in cui quest’anno ricorre la Giornata missionaria mondiale, la Chiesa cattolica avrà 14 nuovi santi, tra cui i martiri di Damasco e il sacerdote italiano Giuseppe Allamano (1851-1926), fondatore dei missionari e delle missionarie della Consolata, istituti religiosi che svolgono il loro ministero anche in Asia. L’annuncio della data è stato dato in Vaticano durante il concistoro pubblico per il voto su alcune cause di canonizzazione presieduto da papa Frances
co. Insieme a loro verranno proclamate sante il 20 ottobre anche altre due religiose: la canadese Marie-Léonie Paradis (al secolo: Virginie Alodie 1840-1912), fondatrice della Congregazione delle Piccole Suore della Santa Famiglia e l’italiana Elena Guerra (1835-1914), fondatrice della Congregazione delle Oblate del Santo Spirito.

Durante il concistoro è stata approvata ufficialmente anche la canonizzazione di Carlo Acutis, giovane italiano del nostro tempo, che univa la passione per l’informatica alla sua devozione per l’Eucaristia, morto nel 2006 all’età di 15 anni.

La proclamazione della santità dei martiri di Damasco - otto frati francescani e i tre laici siriani Francesco, Mooti e Raffaele Massabki, uccisi nel 1860 nell’ambito di una persecuzione contro i cristiani - rappresenterà un momento molto importante per la comunità cattolica del Paese, che ha vissuto nuove gravissime sofferenze in questi ultimi anni.


Da Terrasanta.net

Il martirio dei francescani di Damasco è uno dei tanti episodi di sangue che hanno costellato la storia della presenza cristiana in Medio Oriente. La loro morte è legata ad una vera e propria guerra civile scoppiata tra maroniti e drusi in seguito ad un accordo tra Impero ottomano e potenze europee (1843) per dividere la montagna libanese in due regioni. Numerosi villaggi cristiani furono distrutti e saccheggiati dai drusi, che massacrarono migliaia di cristiani. E i disordini si estesero fino a Damasco.

Nel quartiere cristiano di Bab-Touma, dove i frati francescani (sette spagnoli e un austriaco) vivevano dividendo con i poveri il loro pane, le violenze durarono giorni. In quella notte nera tra il 9 e il 10 luglio 1860, otto frati e i tre fratelli di religione maronita (Francesco, Abd-el-Mooti e Raffaele Massabki) si rifugiarono fra le solide mura del convento. Il padre guardiano Emanuele Ruiz preparò i confratelli al peggio, invitandoli a confessarsi e a comunicarsi. Forse l’avrebbero scampata se non ci fosse stato un traditore, forse fra gli inservienti, che introdusse gli assassini per una piccola porta. Furono tutti massacrati in odium fidei. Il 10 ottobre 1926 vennero beatificati da Papa Pio XI. La memoria liturgica dei beati martiri di Damasco (Emanuele Ruiz, Carmelo Volta, Engelbert Kolland, Ascanio Nicanore, Pietro Soler, Nicola Alberga, Francesco Pinazo, Giovanni Giacomo Fernandez sono i nomi dei frati) fu fissata al 10 luglio.

domenica 1 settembre 2024

Una preghiera per i Fratelli e Sorelle del Monastero di Qara

 

La comunità di Qara ha fatto una giornata di relax a Tartous , al  ritorno sono rimasti coinvolti in un incidente pesantissimo, con alcune suore ferite . 

Padre Daniel  scrive con la sua fede questo:

" In ogni notte buia c'è sempre una stella splendente da qualche parte. Quindi in ogni inferno sulla terra c'è sempre un pezzo di paradiso da qualche parte. Purtroppo è vero anche il contrario. Per grazia di Dio siamo tutti sopravvissuti. Siamo stati aiutati dai Suoi angeli e ci siamo anche aiutati a proteggerci a vicenda. Dieci anni fa, durante la guerra, siamo tutti miracolosamente sopravvissuti, mentre migliaia di terroristi pesantemente armati e con la barba nera ci circondavano, anche nel nostro giardino*. Confidiamo di essere nelle mani di Dio quando nel prossimo futuro scoppierà una guerra come il mondo non ha mai conosciuto prima. Guardiamo al nostro Salvatore Gesù Cristo, che dice: Pentitevi, alzate il capo, perché la vostra salvezza è vicina."

P. Daniel, Mar Yakub, Qâra, Siria, 23.8.24

*  vedi articolo del 3 marzo 2013  "Quelle bandiere di Al-Qaeda sotto le mura del nostro monastero....."

sabato 31 agosto 2024

Memorie di Siria. Un giorno nel villaggio di ‘Ain ‘Issa

Nizar Ali Badr - Syrian Artist


Di Maria Antonietta Carta



Dopo aver attraversato l’animata pianura di Latakia e i profondi silenzi e i respiri del verdeggiante Jebel costiero che separa la Siria mediterranea dalla Siria asiatica, arrivo al villaggio turcomanno di ‘Ain ‘Issa. Anch’esso silenzioso, ma di un silenzio diverso. Un silenzio che mi sembra parli di solitudine e di abbandono. Vecchie case di fango e legno e alcune case nuove costruite con brutti blocchi di cemento nudo. In una strada quasi deserta alcune galline passeggiano indisturbate nella polvere.

La maggior parte degli abitanti ha lasciato il villaggio per vivere in città. Sono rimasti in pochi. Gli anziani si vestono ancora con lo shirual introdotto in Siria dagli Ottomani. Dei giovani indossano i jeans: il loro viaggio in Occidente. E le donne? Le donne sembrano rassegnate; invece non lo sono, penso, osservando povere finestre e muri grigi colorati da armoniose ghirlande di peperoncini e melagrane e sentendo il dolce profumo dei fiori piantati in vecchi barattoli e taniche, come in Sardegna quando ero piccola e stavamo uscendo dalla guerra.

Entro in un’umile casa nuova e siedo tra uomini che devono raccontarmi le loro fiabe. Prima bisogna celebrare il rito dell’ospitalità.

- Ahlein-u-sahlein! Kifek? Inshallah mabsūta, hone! - Benvenuta. Come stai? Se Dio vuole sei contenta qui!

- Che Dio vi dia la salute. È un posto bellissimo.

- Che cosa preferisci bere, tè o caffé?

- Del tè, grazie.

In attesa che il tè arrivi, inizio a preparare il magnetofono. Gli sguardi seguono i gesti delle mie mani. Entra una ragazza con il fazzoletto in testa e un largo pantalone con l’elastico alle caviglie sotto un vestito a colori sgargianti. Le sue mani, che portano un vassoio con bicchieri e teiera, sono giovani e già stanche.

Mi rivolge un brevissimo, timido sorriso, posa il vassoio su un tavolino e lascia la stanza. ’Dov’è la presa della corrente? ‘, chiedo.

Me la indicano e inserisco la spina. I volti degli uomini che siedono tutti composti in attesa sono un poco divertiti, curiosi e anche intimiditi, o perplessi?

- Chi vuole raccontarmi una storia? – chiedo. Si guardano, si schermiscono, tacciono. Io aspetto. Ormai sono abituata ai loro prologhi muti.

- Su! Padre, raccontale di quella volta che incontrasti una jinn. - esorta finalmente il padrone di casa, rivolto al vecchio genitore, che continua a stare zitto. Io aspetto in silenzio. Il tempo, in Siria, non si misura con il mio metro.

Bisogna dimenticare l’impazienza. Ho dovuto imparare a saper attendere.

Il vecchio siede al mio fianco con le gambe incrociate sopra una stuoia e la schiena appoggiata alla parete. Si accarezza il mento, porta il busto in avanti, sistema i gomiti sopra le ginocchia e, finalmente, mi rivolge uno sguardo. Ancora in silenzio. Poi osserva gli altri, anche loro in attesa.

- Deve essere una storia straordinaria. - dico.

- Lo è davvero. Ed è una storia vera - conviene lui, e finalmente comincia a raccontare.

- Questo fatto mi è successo trenta anni fa tornando a casa da un viaggio. Appena buio, decido di fermarmi a riposare. Allora i viaggi li facevamo a piedi. Solo i ricchi avevano i cavalli. Hai visto quella montagna, che sta di fronte alla nostra, dove adesso inizia la Turchia?

- Sì.

- Mi trovavo proprio lì quella notte. Allora era Siria. Prima che i Francesi la dessero alla Turchia.


Già! Regalarono alla Turchia una delle regioni più fertili e ricche di storia della Siria. La strafottenza criminosa dei ‘portatori di civiltà’ penso.

 Nella stanza accanto, la cucina, le donne chiacchierando ad alta voce preparano il pranzo. Effluvi di coriandolo, cipolle fritte, menta fresca, timo, e aglio annunciano piatti di burghul e lenticchie, cetrioli con delizioso yogurt appena fatto, sottili focacce cosparse di sesamo o pasta di peperoni rossi messe a cuocere alla parete di un neolitico forno verticale in terracotta collocato nel cortile, palline di formaggio acido ricoperte di timo macinato e asciugate al sole. Cibi millenari. Pietanze di una sublime semplicità.

Mi alzo per chiudere la porta accostata, ma le voci delle donne indaffarate a preparare il cibo da offrire in segno di accoglienza la attraversano e continuano ad accompagnarci. Penso alle nostre sapienti progenitrici, che sapevano scoprire la bontà dei frutti della terra e a queste donne che ne tramandano esperienze e gesti. Il vecchio riprende a raccontare.

Trovo riparo per la notte sotto un albero vicino a una sorgente. Tutto è deserto. C’è soltanto la luce della luna. Mi viene fame. Ho delle patate e inizio a sbucciarle. Sono forse le otto e tutto è deserto. C’è soltanto la luna in cielo, ma dal nulla ecco la voce di una donna!

- Che cosa fai, fratello, prepari la cena? - mi chiede.

Io alzo la testa e vedo la donna davanti a me. È una ragazza con un vestito bianco. Quel vestito bianco è lucente come la neve e gli occhi hanno luminose pupille verticali. ‘Da dove è uscita?’ penso. Nella montagna non ci sono villaggi, né case, né niente di niente.

- Si sorella, preparo la cena. - le rispondo.

Lei ha in mano una brocca bianca, bianca come la neve e anche le sue mani sono bianche.

- Vengo per l’acqua.- mi dice. Poi riempie la brocca e mi ordina:

- Su! Alzati! Alzati! Andiamo che ti do io da mangiare.

- No. Non importa.- le dico, chiedendomi cosa poteva darmi da mangiare se in quel luogo non c’era niente: né villaggi, né case. Nulla! Lei ripete:

-Alzati! Alzati!

Così mi alzo e insieme arriviamo in cima alla montagna; ed ecco che mi appare una casa bianca bianca. Per Dio! È una casa bianca come la neve.

Lei apre, entra e mi porta un piatto di zuppa gialla come la cera e anche un cucchiaio dicendomi:

- Mangia! fratello. - Io mangio e questa zuppa ha un sapore delizioso. Un sapore così meraviglioso non l’ho più sentito in vita mia. Mangio fino a saziarmi, ma lei insiste:

- Mangia! Mangia ancora.

- No! Non posso! Sono sazio. - le dico.

Tutto questo ha preso un bel po’ di tempo. Cioè, è trascorso molto tempo.

Così le dico: - Me ne vado a dormire.

- Bene! Ti accompagno fino all’albero.- dice lei.

- No! Non è necessario.- le dico. Giuro che le ho detto così, ma lei mi accompagna fino all’albero e lì mi fa vedere la mia casa. Era davvero la mia casa! E dopo un momento non c’era più! Scomparsa insieme alla donna.

Il giorno seguente, appena arrivato qua, al villaggio, racconto quello che mi è successo nella montagna. Tutti mi dicono: ‘Magari non avessi raccontato niente.’ Certo fu una cosa molto strana. O era una jinn o … Ancora adesso, dopo tanti anni, non riesco a capire chi era la creatura con gli occhi di gatto e in che mondo ero entrato quella notte.”  

Dopo pranzo e dopo aver rigovernato, anche le donne, un po’ serie e un po’ facete, mi hanno raccontato le loro fiabe mentre sorseggiavamo del caffé profumato al cardamomo. Mi hanno anche parlato della loro difficile vita nel villaggio e hanno voluto sapere della mia vita a Latakia. Mi hanno offerto una rosa appena colta, il dono prezioso di una calda accoglienza e di un abbraccio quando ci siamo congedate al tramonto.