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domenica 14 maggio 2017
Aleppo, dialoghi e sogni
di Marinella Correggia
ordine.laprovincia.it 30 aprile 2017
Gli sguardi che si posano sul mercato antico e sulla cittadella di Aleppo, ormai, sono molto diversi da quelli di «prima»: «Prima di tutta questa distruzione, prima del 2012, qui era un andirivieni di turisti da tanti paesi; adesso vedi solo noi aleppini. Viviamo in altri quartieri della città, quelli non distrutti dalla guerra, e veniamo a scuotere la testa su questa povera città vecchia, che fino a pochi mesi fa era sulla linea del fronte»: Yaser, tecnico elettronico che non è disoccupato di guerra solo perché ha un lavoro statale, inforca gli occhiali per vederci meglio mentre entra con suo zio Hassan nel buio dissestato e bruciato di quello che era il luccicante suq coperto della seconda città della Siria. « I suq di Aleppo, dieci chilometri di lunghezza, i primi delle città arabe musulmane per bellezza, dimensioni e autenticità, ogni area specializzata in un tipo di artigianato, dai profumi ai tessuti, dagli argenti ai saponi, dalle spezie alle ceramiche» (descrizione nella guida Syrie).
Zio e nipote si inoltrano, attenti a dove mettono i piedi fra montagnole di terra e detriti; dentro non c’è altro. Rivedono luoghi sfigurati, rimasti per anni inaccessibili: nei cunicoli, decine di negozi erano stati dati alle fiamme già nell’ottobre 2012; in altri, fino alla riconquista di Aleppo da parte dell’esercito nazionale lo scorso dicembre, si erano trincerati i miliziani dell’opposizione armata. «Terroristi venuti da fuori, ci hanno mandato questa feccia l’Arabia saudita, il Qatar, i turchi…»: per Mahmoud, un ex commerciante tornato a vedere il suo negozio - ormai solo uno spazio annerito -, il giudizio sui jihadisti è senza appello: «Volevano che ci convertissimo all’Islam? Ma noi, siamo già musulmani; loro no, sono criminali». Nella mancanza di lavoro che affligge ormai tanti come lui, la ricca cultura alimentare del paese sopravvive zoppicando e gli ha dato una provvisoria fonte di reddito: «Faccio l’ambulante, vendo zaatar» (la pizza libanese al timo e sesamo).
Yaser e Hassan escono a rivedere il cielo terso sopra la Cittadella. «Believe in Aleppo», invita un enorme pannello davanti alla maestosa fortezza di pietra sulla collina, rimasta sotto il controllo dell’esercito, che vi manteneva l’accesso tramite tunnel sotterranei. E’ miracolosamente in piedi, solo un bastione è lesionato: del resto, « nella storia la Cittadella non fu mai espugnata dagli assalitori, i Mongoli la presero solo con l’inganno », spiega l’ex guida turistica Joseph Mistrih, autore di La cittadella di Aleppo, saggio ante-guerra.
Quanti fotografi, quanti turisti hanno immortalato l’imponenza del luogo? Poi, dal 2012, la guerra è entrata nel cuore di Aleppo. Nelle immagini scattate in questi ultimi anni, la zona della Cittadella appare sfigurata, il cielo polveroso di detriti da scoppi, i pendii della collina senza più erba.
Ora va meglio. La piazza di accesso alla fortezza è circondata da edifici distrutti ma è ripulita e netta; un po’ di erba è tornata; pietre sparse fanno da sedile a donne più o meno velate, ragazzini girano in bici. Tutti aleppini. Salvo Marguerite, detta Margot, una signora libanese che però vive da tempo nella città siriana, se ne sente parte e non se ne è mai andata: «Povera Aleppo, tirata per i capelli. Tutta questa tragedia, questi morti, per cosa alla fine? Sulle teste dei siriani, una guerra voluta da fuori…».
Mohamed, 12 anni, abbronzato dall’aprile mediorientale, si aggira vendendo merendine industriali made in Syria, si legge «senza Ogm» – là sono vietati. Costano 100 lire siriane trattabili. Per un confronto, una corsa in bus ne costa 50; 50 lire anche 1,5 kg di pane arabo sovvenzionato dallo Stato; 225 lire un litro di benzina; 500 un pacchetto di sigarette (vizio nazionale che alcuni sono riusciti a mantenere). «Dall’Italia, eh?», chiede Mohamed; alla risposta accenna il tipico sorriso di chi immagina cose fuori dalla propria portata. Credendosi non più osservato, il piccolo venditore bacia la banconota da 500 lire; non ne vede quasi mai.
In quella scena da quiete dopo la tempesta passa un’auto incongrua, musica a tutto volume, «scommetto che sono quelli andati a passare la guerra sulla costa dove tutto era tranquillo, e ora sono tornati, freschi e senza danni»: Haydar, critico -come molti- verso chi non è rimasto ad Aleppo nei tempi duri, alla Cittadella portava i turisti, era una guida in inglese. Alcuni suoi colleghi si sono riciclati in accompagnatori per giornalisti; altri sono andati via. Insomma anche le guide non sono più le stesse e così, nel quartiere Salahuddin, in parte distrutto perché sulla linea del fronte, in parte popolato e resiliente, chi ci accompagna per pura cortesia e curiosità è un ragazzino, Yasen. Grazie a questa piccola guida di guerra si possono fare incontri surreali. Un internet point spartano, un assemblatore di computer, un venditore di materiale edile. E Mona, rientrata nel suo appartamento in una via malandata e bruciacchiata; così non paga più affitti altrove. Suo figlio ha scritto sul muro annerito: «Che la vita e il mondo siano più teneri».
Non lontano dal minareto della moschea degli Omayyadi, XI secolo, distrutto da una carica esplosiva o da tiri di cannoni (chissà), una bella porta storica non ha più la sua casa ed è appoggiata sulle macerie. Per contrasto viene in mente il film – premiato al Torino Film Festival - Houses without Doors, Case senza porte, di Avo Krapealian. Regista siriano di origini armene, dalle finestre di casa nel quartiere al Midane - per anni bersagliato da razzi e mortai provenienti da Aleppo Est - ha sbirciato le strade a partire dal 2012, mentre la guerra si impadroniva della città.
Ad Aleppo la vita sembra ripresa, in certi quartieri è anche tornata l’acqua corrente. Verrebbe da pensare a una prossima ricostruzione, e alla ripresa delle attività culturali. Anche alla riapertura del museo: i suoi reperti sono stati trasferiti tempo fa, per evitare il saccheggio stile Baghdad o Mosul - per non dire di Palmyra. All’esterno dell’edificio, le grandi strane statue della civiltà di Mari con gli occhi sgranati sono protette da enormi assi.
Ma prima di toglierle deve finire la guerra. E invece. Pochi giorni fa, nel sobborgo di Rashdien un’auto al tritolo ha ucciso oltre centoventi civili evacuati dalle cittadine di Foua’ e Kafraya. E a Salahuddin, il quartiere della guida improvvisata Yasen, e di Mona, un’esplosione ha fatto sei morti e trenta feriti. Aveva detto Yaser a mo’ di congedo, là davanti all’antica fortezza aleppina: «Finché arriveranno soldi e armi a califfi e terroristi, la pace sarà un sogno e la realtà un incubo».
venerdì 12 maggio 2017
Aleppo consacrata alla Madonna di Fatima, per la pace in Siria
“Chiedo a tutti di unirsi a me quali pellegrini della speranza e della pace. Le vostre mani in preghiera continuino a sostenere le mie. Voglia la più grande e la migliore delle Madri, vegliare su ognuno di voi lungo tutti i vostri giorni, fino all’eternità”: papa Francesco, udienza 10 maggio 2017
Asianews, 9 maggio 2017
Asianews, 9 maggio 2017
Sarà un momento di speranza per i cristiani, la testimonianza di una fede che resta salda nelle difficoltà e di un sentimento comunitario condiviso, alimentato da anni di guerra sanguinosa che ha rafforzato l’unità fra le varie confessioni. È quanto racconta ad AsiaNews mons. Antoine Audo, arcivescovo caldeo di Aleppo, presentando la tre giorni di celebrazioni che la comunità cristiana della seconda città per importanza della Siria dedica alla Madonna di Fatima, alla quale consacrerà la città. Un appuntamento che giunge in concomitanza con il viaggio apostolico di papa Francesco nella cittadina portoghese del 12 e 13 maggio prossimo, per il centenario delle apparizioni della Vergine ai tre pastorelli.
“Va detto - afferma il prelato - che tutto il mese di maggio è importante per le comunità cristiane di Aleppo. Tutte le chiese sono gremite di fedeli che pregano il Rosario, si accostano all’eucaristia, recitano le litanie. Questo è un momento molto importante di preghiera e di comunione attorno a Maria, una tradizione piacevole e radicata nel tempo”. Difatti la gente di Aleppo ama molto la devozione popolare, desidera partecipare e perpetrare una tradizione profonda che unisce le chiese e le famiglie, attorno a Maria. Questo, prosegue, “è molto bello perché crea un’atmosfera di serenità. Maggio è il mese privilegiato per pregare per la pace, per la fine di tutti i conflitti”.
La tre giorni di celebrazioni dedicata alla Madonna di Fatima ad Aleppo - su iniziativa della parrocchia latina di san Francesco - inizierà giovedì 11 maggio, con una preghiera comunitaria in programma alle 5 del pomeriggio. A seguire, e per tutta la giornata seguente, vi saranno recite del Rosario, invocazioni per la pace alla Madonna, film e proiezioni dedicati alla Vergine e messe comunitarie.
Il momento culminante della festa è previsto per sabato 13 maggio, in concomitanza con la messa del papa a Fatima, quando si terrà una solenne concelebrazione eucaristica cui parteciperanno tutti i vescovi e i sacerdoti presenti ad Aleppo. Alla funzione sono invitati i fedeli di tutti i riti cristiani della metropoli del nord della Siria, a lungo considerata epicentro del conflitto. Infine, è prevista la processione con la statua della Madonna di Fatima e la consacrazione della città di Aleppo alla Madonna di Fatima. Un gesto dal forte valore simbolico, nella speranza che possa contribuire a restituire la pace non solo in Siria ma in tutta la regione mediorientale insanguinata da conflitti decennali.
“L’evento culminante - racconta mons. Audo - sarà la solenne concelebrazione eucaristica nella cattedrale dei francescani, alla quale sono invitate tutte le denominazioni cristiane, e in comunione con papa Francesco. Poi vi sarà la processione all’interno e all’esterno della chiesa, con in testa la statua della Madonna regalo del santuario di Fatima. La statua è arrivata in città nei giorni scorsi. Sarà una bella funzione, un momento di festa cui dovrebbero partecipare fino a tremila fedeli”. “La consacrazione di Aleppo a Maria, il tema della pace - aggiunge il vescovo caldeo - sono fonte di speranza e sono un segno della nostra presenza."
mercoledì 10 maggio 2017
Papa Francesco ha accettato la rinuncia del Patriarca melkita Gregorio Laham "zelante servitore del Popolo di Dio"
“Pace e amore. Sono le parole con le quali ho iniziato il patriarcato nel duemila e che rinnovo ancora oggi “con maggior vigore. Non abbiamo tempo che per amare e per ricercare la pace”. È quanto racconta ad AsiaNews l’ormai ex patriarca melchita Gregorio III Laham, che dopo 17 anni lascia la guida di una delle comunità più numerose e ricche della Chiesa d’Oriente. “Questa è la mia eredità - prosegue - e voglio ribadirla una volta di più nella giornata di oggi, 8 maggio, in cui la Chiesa orientale ricorda san Giovanni Evangelista il quale ha affermato con forza che ‘Dio è amore’”.
Lo scorso fine settimana papa Francesco ha accettato la rinuncia al governo pastorale della Chiesa greco-melkita presentato da sua beatitudine Gregorio III Laham, patriarca di Antiochia dei Greco-Melkiti. In una lettera il pontefice lo ha definito un “servitore zelante del popolo di Dio” e ha riconosciuto il suo impegno per la pace in Siria, sconvolta da un conflitto sanguinoso. “La speranza - afferma il prelato - è che ora potrò avere più tempo per essere al servizio degli altri, come ha detto Giovanni Paolo II: essere per gli altri, che siano cristiani, musulmani o giudei… io sono per voi!”.
Alcuni fonti interne alla comunità parlano di un malumore dell’ormai ex patriarca per i modi e tempi che ne hanno dettato la fine del mandato. Tuttavia, lo stesso Gregorio sottolinea a più riprese la comunione con il pontefice e il desiderio di unità all’interno della Chiesa. Secondo quanto prevede il codice, ora l’amministrazione è ora affidata a mons. Jean-Clément Jeanbart, arcivescovo di Aleppo, in qualità di vescovo più anziano per ordinazione del Sinodo permanente.
Gregorio III Laham è nato il 15 dicembre 1933 a Daraya, sobborgo di Damasco. Patriarca di Antiochia dei greco-melkiti, egli è stato eletto nel novembre del 2000 dal sinodo della sua Chiesa, ricevendo la “comunione ecclesiastica” da san Giovanni Paolo II, e ha guidato la comunità negli ultimi 17 anni. Il prelato ha vissuto in prima persona il dramma del conflitto nella sua terra natale, di cui ha denunciato a più riprese violenze e crimini, e ha lanciato a più riprese appelli alla pace e alla preghiera.
“Ho amato il mio popolo - dice ancora - e mi sento padre di tutti, dei vescovi e del mio popolo. In questi anni ho potuto avviare e vedere realizzati molti progetti a Gerusalemme, in tutta la Terra Santa, in Egitto. Ho visitato i Paesi dell’emigrazione, Nord e Sud America, e poi l’Europa; e poi vi è anche il cammino in chiave ecumenica con i patriarchi delle diverse comunità”. Fra i molti progetti promossi o ancora allo studio egli ricorda la costruzione di una chiesa dedicata a san Paolo a Damasco di cui “avrò la possibilità di benedire la prima fase di realizzazione il prossimo 13 giugno”. E ancora, la costruzione “di una scuola e di un ospedale a sud di Damasco, oltre che l’allestimento di un’altra struttura nei quartieri poveri della capitale siriana”. “Anche se non in qualità di patriarca - aggiunge - continuerò a vegliare perché questi progetti possano prendere forma”.
La nota dolente di questi anni è invece la guerra in Siria, un conflitto sanguinoso iniziato nel 2011 che ha sconvolto il Paese, provocando centinaia di migliaia di vittime e milioni di rifugiati. “Oggi ho incontrato il presidente del Libano Michel Aoun - conclude - e abbiamo parlato dell’avvenire della Siria. Sono Russia e Stati Uniti che si devono mettere d’accordo, perché non vi è possibilità alcuna di vincere con le armi. Un successo potrà essere raggiunto solo attraverso un consenso internazionale fra le grandi potenze, compresa l’Unione europea, sconfiggendo Daesh e preparando un futuro migliore per la nazione e il suo popolo”.
Durante il suo patriarcato, Gregorio III Laham ha accolto in Siria il pontefice polacco che il 6 maggio 2001 ha fatto il suo ingresso - primo papa della storia ad entrare in un luogo di culto musulmano - nella Grande Moschea degli Omayyadi a Damasco. Nell’area la tradizione suole collocare la tomba di san Giovanni Battista. Alla morte di Wojtyla è stato proprio Gregorio III a benedirne la bara, durante i funerali a Roma l’8 aprile 2005.
Il nome melkita (o greco-cattolica) indica i cristiani orientali di rito bizantino, legati a Roma dal 1724, che dispongono di un clero proprio e di un capo spirituale. Essa annovera fedeli non solo in Medio oriente (Siria, Libano, Giordania, Palestina), ma anche in Africa (soprattutto Egitto), in America del Nord, in Brasile e in Francia.
sabato 6 maggio 2017
Una visita alle sedi dei Caschi Bianchi di Aleppo
Aleppo, 1 maggio 2017
Io
credo di averne già parlato abbastanza, fatene quello che volete, è una delle mie ultime note a proposito dei Caschi Bianchi. Vi chiedo
solo vivamente di tenerlo presente nel caso che qui inizi una nuova
guerra.
Gli Stati Uniti hanno iniziato a posizionare le proprie truppe lungo il confine con la Turchia nel nord della Siria e non dubito un solo secondo che il nostro governo (francese ndt) dopo tutto quello che ha investito per rovesciare la Siria non esiterà un attimo a passare in seconda marcia se questa guerra incominciasse.
Gli Stati Uniti hanno iniziato a posizionare le proprie truppe lungo il confine con la Turchia nel nord della Siria e non dubito un solo secondo che il nostro governo (francese ndt) dopo tutto quello che ha investito per rovesciare la Siria non esiterà un attimo a passare in seconda marcia se questa guerra incominciasse.
Volevo
essere sicuro di ciò che sto dicendo, quindi sono partito per
incontrare parecchie famiglie nei pressi di 3 centri dei Caschi
Bianchi ad Aleppo Est.
Anche se alcuni abitanti ammettono che non sono tutti terroristi, non hanno paura di dire che la stragrande maggioranza erano e appartenevano (o appartengono essendo tutt'ora a Idlib) a vari gruppi jihadisti.
Lascio constatare a voi stessi attraverso le foto che mostrano questi diversi ambienti con la presenza di molte cose che non lasciano adito a dubbi circa la loro appartenenza terrorista: munizioni (Doshka, proiettili esplosivi che sono caduti sulla città), la bandiera di Jesh al Hur con 3 stelle (Bandiera del Free Syrian Army, sotto la quale hanno combattuto una serie di gruppi islamici, che vien fatta passare come la bandiera per la libertà, ma è una bandiera per la rivoluzione islamica), bandiere di Jabhat al Nosra (al Qaeda in Siria), documenti e oggetti appartenenti a Jabhat Islamyé, Liwa al Tawhid, Ahrar al-Sham...
Anche se alcuni abitanti ammettono che non sono tutti terroristi, non hanno paura di dire che la stragrande maggioranza erano e appartenevano (o appartengono essendo tutt'ora a Idlib) a vari gruppi jihadisti.
Lascio constatare a voi stessi attraverso le foto che mostrano questi diversi ambienti con la presenza di molte cose che non lasciano adito a dubbi circa la loro appartenenza terrorista: munizioni (Doshka, proiettili esplosivi che sono caduti sulla città), la bandiera di Jesh al Hur con 3 stelle (Bandiera del Free Syrian Army, sotto la quale hanno combattuto una serie di gruppi islamici, che vien fatta passare come la bandiera per la libertà, ma è una bandiera per la rivoluzione islamica), bandiere di Jabhat al Nosra (al Qaeda in Siria), documenti e oggetti appartenenti a Jabhat Islamyé, Liwa al Tawhid, Ahrar al-Sham...
Se
questi nomi non vi dicono niente è perché vi è stato insegnato
solo a temere Daesh (ISIS); beh dovete sapere che qui ognuno di
questi gruppi è l'equivalente di Daesh, solo il marketing è
diverso, ma il numero di morti di cui sono responsabili è anche
maggiore di quello di Daesh.
Ho incluso le foto, vicino all'ultimo centro: l'ospedale del 'grande mufti' che era stato occupato dai terroristi e finanziato da MSF ("Medici senza frontiere" molto impegnati politicamente in questa guerra), dedicato alla cura dei combattenti islamici, dove compaiono ancora i loghi di organizzazioni francesi (ma tenute dai siriani-arabi vicini ai gruppi armati) ai lati i loghi di gruppi terroristici.
Ho incluso le foto, vicino all'ultimo centro: l'ospedale del 'grande mufti' che era stato occupato dai terroristi e finanziato da MSF ("Medici senza frontiere" molto impegnati politicamente in questa guerra), dedicato alla cura dei combattenti islamici, dove compaiono ancora i loghi di organizzazioni francesi (ma tenute dai siriani-arabi vicini ai gruppi armati) ai lati i loghi di gruppi terroristici.
Molte
persone in tutto il mondo celebrano e osannano gli White Helmets. Ma
lo sapevate che nonostante il loro incredibile marketing, non sono
nati dalle macerie? Sono gestiti in Turchia e sono stati fondati da
un ex ufficiale dei servizi segreti inglesi. Ogni loro gruppo, almeno
i responsabili, alla luce dei documenti che ho trovato, non
percepiscono i loro stipendi (sì, un salario) se non realizzano una
quota di contenuti video trasmessi attraverso strumenti tecnici
avanzati, finanziati e messi a disposizione (sì, una rete internet
costa enormemente qui, quindi in una città sotto assedio, avere
delle reti satellitari, non è dato a chiunque. Neppure io ce l'ho)!
Un Gruppo fondato con una dotazione maggiore di 200 milioni di
dollari ricevuti da non meno di 6 governi compreso quello francese,
sostenuto da circa 30 organizzazioni specializzate in "transizione
democratica", è un gruppo dove non c'è neppure una donna;
formato solo da salafiti, non da altre comunità religiose come gli
sciiti ecc. (che loro chiamano infedeli, come chiamano me del resto,
solo perché viviamo da questa parte della città). Ebbene, solo con
un quarto di tale somma (50 milioni di dollari), potremmo sostenere
umanitariamente tutta la popolazione siriana per diversi anni, invece
dove pensate che vadano questi soldi?
Per
la verità, ci tengo a ricordare che il loro lavoro è reale, aiutano
davvero delle persone in pericolo a causa dei bombardamenti
dell'aviazione siriana e russa, per questo io ero uno dei primi loro
sostenitori, avevo anche pensato di farne parte... Poi qui sul campo
ho capito, e sono passato dall'ammirazione al disgusto. Perché?
Perché abbiamo affrontato la morte tutti i giorni a causa di questa
gente, per i bombardamenti con tutti i tipi di proiettili, sparati
con il solo obiettivo di uccidere o ferire la popolazione civile (non
c'era esercito presente nel centro della città, eppure centinaia di
feriti e morti tutti i mesi, così, gratuitamente..), ho visto gente
morire, ho fatto il bagno nel loro sangue, ho visto la morte cadere
dal cielo, pezzi di persone per terra... e alla fine mi sono reso
conto che questi (W.H.), sono gli stessi che vengono a "salvare"
le persone a beneficio della telecamera, gli stessi che qui ci
uccidono tutti i giorni, gli stessi che tenevano in ostaggio la
popolazione per uccidere e torturare dopo un giudizio sommario dei
tribunali islamici quelli che contestavano la loro presenza o
cercavano di scappare, gli stessi che faranno di tutto per convincere
che loro sono i buoni di fronte ai cattivissimi (esercito siriano e
alleati), fino a creare delle messe in scena, sparare sulla
popolazione per poi accusare il regime siriano, mentre invece
lavorano sotto il controllo totale e principale di al Nusra (Al
Qaeda), nonché di numerosi sponsor che lavorano presso governi
stranieri.
Quindi
ricapitolando: la maggioranza di loro erano combattenti di giorno e
soccorritori la notte, di giorno uccidevano, la notte prestavano
soccorso alle persone sulle quali avevano portato la morte. Questa a
voi sembra grossa, ma lascio a ognuno giudicare e farsi la propria
opinione; questo cinema non è facile da capire all'esterno con i
confini di questo paese che sono stati chiusi (opportunamente)
ermeticamente; loro, che poi fanno 10 conferenze al mese, ma qui si
vede la porcheria molto da vicino. Io non dico che essi sono molto
cattivi e che hanno di fronte avversari gentili: è una guerra, ed è
brutta come ogni guerra, non è tutto bianco né tutto nero, ma non
avete idea dell'inganno (dei W.H.). Guardate Aleppo: niente più
terroristi all'interno della città (sono a 3 km da qui tuttavia),
niente più aerei, la popolazione è stata presa in carico e
assistita dal governo (130.000 civili hanno scelto di venire dalla
parte controllata dal governo, anche da coloro che non hanno
particolari affinità o simpatia per il governo, quando avrebbero
potuto andarsene liberamente verso Idlib), non ci sono più
combattimenti, basta civili in ostaggio, basta bombe, fine delle
morti... Niente più White Helmets! Logico no? A parte i razzi che
continuiamo a ricevere dai terroristi alle porte della città, la
gente sta tornando a vivere veramente, e se tu fossi qui, chiedendo
a chiunque, capiresti subito.
Non ho niente da guadagnare a fare quello che faccio e a dire ciò che dico, al contrario, scrivere e condividere tutto questo da mesi e andare in questi posti è pericoloso, se scrivo queste righe è perché mi prendo la responsabilità di ciò che affermo per aver fatto un controllo incrociato con le testimonianze di molte persone che hanno vissuto con loro. Lo faccio perché chiunque vorrà leggere quello che scrivo abbia la possibilità di conoscere quella parte della storia che è stata accuratamente nascosta e che costa molte vite finché la guerra rimarrà il campo da gioco di queste minoranze sostenute dall'esterno.
Non ho niente da guadagnare a fare quello che faccio e a dire ciò che dico, al contrario, scrivere e condividere tutto questo da mesi e andare in questi posti è pericoloso, se scrivo queste righe è perché mi prendo la responsabilità di ciò che affermo per aver fatto un controllo incrociato con le testimonianze di molte persone che hanno vissuto con loro. Lo faccio perché chiunque vorrà leggere quello che scrivo abbia la possibilità di conoscere quella parte della storia che è stata accuratamente nascosta e che costa molte vite finché la guerra rimarrà il campo da gioco di queste minoranze sostenute dall'esterno.
Vi
chiedo semplicemente di sviluppare un senso critico, non vi chiedo di
credermi, vi chiedo di tenere a mente queste cose, magari in un
piccolo angolo della vostra testa.. Un giorno vi aiuterà forse a
capire e a sostenere che questa guerra deve finire.
Un
video che ho fatto in uno dei più grandi centri dei caschi bianchi
https://www.facebook.com/pierrelecorf/videos/10155306223359925/
Foto
di gruppi e infrastrutture che gestivano sul campo, alcune sono le
stesse organizzazioni umanitarie che noi sosteniamo ...
https://www.facebook.com/pierrelecorf/videos/10155508420759925/
(traduzione OpS)
(traduzione OpS)
mercoledì 3 maggio 2017
Rifugiati siriani che sprofondano nell'orrore dei trafficanti di organi
Alla vigilia dei nuovi colloqui di Astana: si prenderà in considerazione la condizione dei rifugiati siriani? |
Qualcuno la considera addirittura beneficenza, mentre in realtà si tratta di una delle cose peggiori che si possono fare ad una persona: sto parlando della "scelta" di tanti profughi rifugiati in Turchia o in Libano di vendere uno dei propri organi (perlopiù un rene o una cornea) per racimolare soldi per sopravvivere, per sé o per la propria famiglia.
Sono
fatti orribili testimoniati da trafficanti e dalle stesse
"volontarie" vittime.
I
numeri per quanto imprecisi sono elevati e in aumento, e testimoniano
il grado di sofferenza e povertà in cui versa la quasi totalità dei
profughi "ospitati" nei campi di raccolta.
Lo
aveva documentato Chiara Cruciati lo scorso anno:
“Difficile
dare numeri certi. Hussein Nofal, capo del dipartimento di medicina
forense all’Università di Damasco, ci prova: 18-20mila
siriani hanno venduto un organo negli ultimi quattro anni. La maggior
parte di loro vive nei campi profughi in Libano e Turchia, nelle zone
siriane di confine e nelle province di Aleppo e Idlib,
dove il territorio è controllato dai gruppi islamisti. I prezzi,
aggiunge Nofal, variano: se il rene viene venduto in Turchia, si
riescono ad ottenere anche 10mila dollari; in Iraq non più di
mille.”
http://nena-news.it/un-rene-per-sopravvivere-i-rifugiati-siriani-nelle-mani-dei-trafficanti-di-organi/
http://en.farsnews.com/newstext.aspx?nn=13950827000373
http://en.farsnews.com/newstext.aspx?nn=13950827000373
Una
allucinante intervista della BBC assai recente lo conferma :
'Incontrando
un trafficante di organi che va a caccia di rifugiati siriani'
E
non si quantifica la pratica del lavoro minorile ...
'Profughi
minori siriani utilizzati in modo illegale nelle industrie del
tessile. Due
milioni di bambini vengono sfruttati nel mercato del lavoro minorile
in Turchia'
L'altra
faccia della medaglia è costituita dai rapimenti di bambini, di
donne e di uomini siriani, spesso con la tecnica dell'ambulanza usata
per "soccorrere" feriti da bombardamenti o attentati, che
vengono trasportati in cliniche in Turchia dove vengono loro
espiantati gli organi.
Il sito Asianews lo
aveva denunciato mesi fa :
'Dopo
i reperti archeologici e il petrolio, la nuova frontiera di
arricchimento per i movimenti estremisti in Siria è il traffico di
organi. Segnalati diversi casi di sparizioni di minori nei villaggi
della provincia. I bambini trafficati oltreconfine in Turchia. Un
fenomeno che gli stessi media di Ankara avevano denunciato in
passato, prima della censura imposta da Erdogan. '
Nella
stessa Aleppo dopo la liberazione sono emerse le prove del traffico:
'Dopo la liberazione di Aleppo sono
venuti alla luce i crimini dei terroristi. Ancora una volta è stata
confermata l'esistenza di un mercato nero di organi umani attraverso
il confine turco. Gli abitanti dei quartieri in mano ai ribelli
islamici avevano paura di finire nella cosiddetta "ambulanza",
alla ricerca di potenziali donatori.'
Sono
migliaia i bambini scomparsi: il caso più recente è quello dei
ragazzini caricati sui pick-up dopo l'attentato di Rashidin dove
hanno perduto la vita 126 persone, di cui almeno 70 bambini: alcuni di
loro feriti o orfani dei genitori mancano all'appello e non
se ne è saputo più nulla.
Pensate
che gli Elmetti Bianchi con questo traffico non abbiano nulla a che
fare? Basterebbe chiedersi di chi sono le ambulanze o i mezzi di
fortuna usati per raccogliere questi feriti e perché anche in
quell'occasione fu impedito ad altre ambulanze di intervenire...
Gb. P.
lunedì 1 maggio 2017
Suor Yola e la speranza invincibile
Sono circa sei milioni i bambini che in Siria hanno subito il trauma della guerra, una iniziativa dei cristiani di Damasco per aiutarli a riprendere fiducia. L'intervista a suor YOLA GIRGIS |
"Per favore, riporti tutto come le ho detto, non come fanno sempre i giornali quando parlano della Siria, ribaltando tutto e inventandosi le cose" dice suor Yola Girgis, superiora della Comunità di Damasco delle Suore Francescane Missionarie del Cuore Immacolato di Maria, a Roma per la presentazione del progetto di collaborazione con la Fondazione Giovanni Paolo II e l'Ospedale Bambin Gesù rivolto ai piccoli siriani colpiti da disturbi post-traumatici da stress. Ha ragione da vendere suor Yola, che accusa i media occidentali di perseguire gli obiettivi delle loro leadership politiche: indicare in Assad il diavolo da abbattere e sostenere gli jihadisti. "Le bombe americane? Senta: Damasco esiste da 7mila anni, ha una storia e una civiltà che hanno resistito a tutte le guerre, pensa ci faccia paura un paese che non ha neanche 500 anni di storia?" dice ancora, mostrando il coraggio da vendere che ha permesso a questo popolo di resistere a sei anni di carneficina. Il progetto, che accoglie bambini cristiani e musulmani ("Perché noi abbiamo vissuto sempre di amore dei concordia e lo facciamo ancora adesso nonostante le bombe") si rivolge a quei 6 milioni di bambini siriani che vivono sotto i bombardamenti. Di questi, circa 3 milioni sono cresciuti vedendo solo la guerra (fonte UNHCR). Una generazione di bambini colpiti dalla guerra e dalle sue conseguenze come gravissimi disturbi post-traumatici da stress.
Suor Yola, ci spiega di cosa si tratta questo progetto che siete venuti a presentare all'Ospedale Bambin Gesù di Roma?
E' un progetto già iniziato che grazie alla Fondazione San Giovanni Paolo II ha adesso le risorse per continuare. Noi accogliamo bambini dai 6 agli 8 anni dando loro un sostegno psico-sociale attraverso metodi come il disegno, la recitazione, la condivisione. Abbiamo preparato dei giovani istruttori che aiutano i bambini a esprimere i loro sentimenti riguardo al trauma subìto per via della guerra. Purtroppo la guerra e la violenza lasciano nei bambini segni devastanti. Con il nostro lavoro li aiutiamo a esprimere le loro paure, le loro gioie, li aiutiamo a riavere fiducia in se stessi.
Molti di loro saranno anche orfani.
Alcuni sono orfani, altri hanno il padre che è al fronte a combattere. Vedendo tanti soldati morti la notizia che aspettano ogni giorno, invece di sapere se il padre sta tornando a casa, è se il loro papà è morto. E' questo che si aspettano, la morte del loro papà.
Sono bambini sia cristiani che musulmani?
Certamente, non facciamo alcuna differenza. Anzi, visti i risultati straordinari sui bambini musulmani l'anno prossimo aumenteremo ancora la loro quota, facendo 50 più 50 per cento. Per loro cose come l'oratorio, il campeggio, la condivisione guidata non esistono, i musulmani non hanno queste cose, stanno in strada da soli. Abbiamo visto come il nostro modello educativo li abbia colpiti e affascinati.
Ed è la possibilità di ricostruire un dialogo?
Questa realtà condivisa in Siria è sempre esistita. Io sono nata qui, i musulmani per noi cristiani sono siriani e niente altro. Abbiamo giocato insieme, abbiamo fatto le stesse scuole. Adesso cerchiamo di ricucire questa ferita che la guerra ha cercato di produrre per dividerci, ma senza riuscirci.
Come è la situazione adesso a Damasco?
La gente continua a fare le sue cose, a vivere la sua vita, ma c'è sempre l'attesa che accada qualcosa di brutto. Tranquilli non lo siamo mai. Spesso di notte mi affaccio alla finestra del convento e prego perché ho paura che un terrorista entri nel convento, loro vogliono prendere Damasco. Però la vita va avanti, le scuole sono sempre rimaste aperte e le attività delle chiese vanno avanti anche sotto i missili.
Quando l'America vi ha bombardati vi siete sentiti traditi?
Tutto il mondo ci ha abbandonati. Anche l'embargo di medicine è una cosa orribile, la gente muore di cancro perché non ci sono medicine. Ringraziamo l'Italia che con iniziative come questa ci sta vicino, ci dà speranza, ci dice che Dio è vicino.
E il papa?
Il papa è la voce di Dio. A volte io dico: Dio perché stai in silenzio, perché non fermi questa guerra? Ma ogni volta che sento il papa sento la voce di Dio, che dice: non preoccupatevi io sono sempre con voi. Possono distruggere le nostre case ma la nostra cultura non la distruggerà neanche Trump.
(Paolo Vites)
(Paolo Vites)
venerdì 28 aprile 2017
Papa di pace in Egitto di pace
C'è
grande attesa, e tanta preghiera, per la visita del Papa in Egitto.
Sono
molte le aspettative legate a questa visita: nel segno dell'abbraccio
ecumenico, i Cristiani Copti, come la sparuta minoranza Cattolica,
sperano fortemente che attraverso le parole di Francesco passi un
messaggio capace di cambiare il clima di violenza di cui sono
l'obbiettivo e smuovere il cuore di tanti musulmani che hanno
abbracciato una visione fondamentalista intrisa di odio, pretendendo
di attingerla dalla religione di Maometto.
Muovere
il cuore, i sentimenti genuinamente umani che ognuno ha in sé come
semi piantati originariamente, che le erbacce dell'ideologia
fondamentalista ha soffocato. La speranza è quella che anzitutto
l'abbraccio empatico e poi le parole del Papa possano almeno in parte
rimuovere la zizzania e consentire di guardare ai
Cristiani e al loro messaggio con occhi diversi e più benevoli.
In
ogni caso i Cristiani Egiziani vivono già un senso di gratitudine
per questo viaggio. Attraverso di esso percepiscono la vicinanza e
l'amore del Pastore e la consolazione di un Padre che condivide la
sofferenza dei figli feriti e se ne lascia a sua volta confortare.
C'è
anche l'attesa di Al Sisi che vede in questa visita la possibilità
di un attutimento delle tensioni che pervadono l'Egitto.
Un'attesa
condivisa anche da quei Musulmani che anelano a vivere la propria
religione con spirito di tolleranza e di collaborazione con i
Cristiani e con qualsiasi altra religione.
Ma molte
sono le forze e anche gli interessi geopolitici che osteggiano una vera
pacificazione.
Rimandiamo
alla lettura di tre articoli apparsi in questi giorni, contenenti tra le altre considerazioni alcune argomentate correzioni alla generalizzazione di 'islam-religione-di-pace':
- Padre
Samir Khalil Samir attraverso un'intervista rilasciata al sito www.rossoporpora.org offre molti spunti di riflessione sulla visita
papale e sulla situazione dei Cristiani Copti, il ruolo di Al-Azhar e
il mondo Islamico Egiziano.
- Un'intervista
dell'Osservatore Romano al gesuita Henri Boulad sui problemi interni
all'islam dîn wa dawla e la sfida che l'islam pone anche alla moralità nostra.
- Il
contributo ad AsiaNews di un giovane amico musulmano in merito al rapporto
tra islam e Daesh e la necessità urgente di riforma interna all'islam.
Gb. P.
mercoledì 26 aprile 2017
Gli sceneggiatori sono stanchi
7 giugno 2011: «Arrestata
in Siria la blogger di “A gay girl in Damascus”». «Era la voce
della libertà in un Paese in cui ogni diritto è calpestato. Era una
donna, era lesbica. Amina Abdallah Arraf cercava di gridare al mondo
il disagio e i soprusi che le persone ogni giorno vivono in Siria.
Lunedì un'auto dei servizi segreti l'ha prelevata e di lei si è
persa ogni traccia». Pochi giorni dopo si scopre che Amina, che da
mesi teneva banco col suo blog, era Tom McMaster, un americano che
scriveva da Edimburgo.
Quando si parla di “fake
news” teniamo in mente questa vicenda: un isolato come Tom McMaster
ha imbrogliato l’intero sistema mediatico. E quindi chi davvero
gestisce l’informazione non ha difficoltà a creare notizie false.
I vaccini contro le fake
news sono tre: un ampio archivio di notizie certe, una memoria viva e
allenata, un uso continuo della logica. E poi ci sono alcune linee
guida:
- Un video o una foto non sono mai una notizia; chi li usa vuole spesso trasmetterci una notizia falsa.
- Dipendere solo da rilanci d’agenzia equivale a non avere informazioni o ad avere informazioni false.
- Quando un’informazione scatena una reazione immediata, le probabilità che sia falsa sono alte. Perché? Perché una persona con un minimo di cervello verifica prima di agire. E per verificare occorrono giorni o mesi. Se reagisce subito, significa che vuole cavalcare l’onda emotiva, per cui è probabile che la notizia sia stata costruita ad arte.
- Sono preziose le informazioni fornite in tempi non sospetti e riguardanti altri scenari. Ad esempio all’attacco chimico di Halabja del 1988 Wikipedia attribuisce l’uccisione di 5000 curdi.
Seguendo queste linee è
possibile costruire una “macro notizia” attendibile sulla Siria.
C’era una volta la
Siria, paese che godeva di una relativa pace, di un relativo
benessere, di una ragionevole convivenza tra minoranze. Mangiare,
curarsi, muoversi, lavorare, studiare, viaggiare, era la norma. Il
paese era senza debiti e senza emigrazione. Il tutto grazie anche a
Bashar al-Assad, che aveva imposto il pugno di ferro sull’islamismo
radicale.
Oggi la Siria è un paese
distrutto e affamato, con 400.000 morti e milioni di sfollati.
In mezzo cosa c’è
stato? Una guerra di ribellione dell’islamismo radicale contro
l’ordine e il benessere. Nel remoto inizio ci furono manifestazioni
di piazza per avere “più democrazia” (come se uno Stato a
maggioranza islamica potesse davvero avere democrazia), ma la regìa
occidentale (quel mix dove USA Francia e Gran Bretagna lavorano
insieme a paesi dittatoriali della Penisola Arabica) aveva già
predisposto l’apparizione dei “ribelli moderati” in armi.
Moderati per i media, islamisti radicali nella realtà.
In Siria gli stanchi
sceneggiatori ci ripropongono lo stesso copione libico: il dittatore
contro il suo popolo, i bombardamenti di ospedali, gli orrori
generici attribuiti ad Assad. E quando la popolazione festeggia la
liberazione di Aleppo, non sanno più cosa dire. Ci propinano allora
la bambina senza famiglia che corre tra le macerie, hashtag
#Save_Aleppo: poco importa che l’immagine sia tratta da un
videoclip del 2014 di una cantante libanese.
Arriva poi l’attacco“chimico” da 70 morti, ridicolo sia rispetto ai morti totali
della guerra di Siria sia rispetto alla realtà di un vero attacco
chimico. Ma la responsabilità di Assad è “certa” e Trump tira i
missili.
Solerte si accoda il
nostro ministro Alfano, dicendo che la reazione è “proporzionata”.
Naturalmente anche Alfano dipende solo da rilanci d’agenzia, avendo
rinunciato a usare la logica. L’unica cosa assodata è che “Assad
se ne deve andare”. Perché mai? Forse la Siria creata da Assad era
peggiore della Siria creata da questo orrendo conglomerato di
occidentalismo e islamismo?
Nel 2011 un ministro
libico commentava: «Una commissione ONU che fosse venuta a
verificare cosa stava davvero accadendo il Libia vi sarebbe costata
meno del lancio di un solo missile». In Siria non sarebbe stato
diverso. Ma perché muoversi e indagare? E’ tanto comodo dipendere
da rilanci d’agenzia e ripetere le cose che gli stanchi
sceneggiatori hollywoodiani ci dicono di credere.
«Un paese che non si
indebita fa rabbia agli usurai». La finanza internazionale vuole
sempre degli “Stati mendicanti”, bisognosi dei loro soldi. Uno
Stato che riesce a farcela da solo prima o poi finisce male. Non so
se è una regola generale, di certo vale per la Libia e la Siria.
Giovanni Maria Lazzaretti
Taglio Laser, Vita Nuova, 21 aprile 2017
domenica 23 aprile 2017
Maaloula piange i suoi cinque nuovi martiri
“Se guardiamo bene, la causa di ogni persecuzione è l’odio del principe di questo mondo verso quanti sono stati salvati e redenti da Gesù con la sua morte e con la sua risurrezione. Nel Vangelo Gesù usa una parola forte e spaventosa: la parola ‘odio’. Lui, che è il maestro dell’amore, al quale piaceva tanto parlare di amore, parla di odio. Ma Lui voleva sempre chiamare le cose con il loro nome. E ci dice: ‘Non spaventatevi! Il mondo vi odierà; ma sappiate che prima di voi ha odiato me’. Gesù ci ha scelti e ci ha riscattati, per un dono gratuito del suo amore. Con la sua morte e risurrezione ci ha riscattati dal potere del mondo, dal potere del diavolo, dal potere del principe di questo mondo. E l’origine dell’odio è questa: poiché noi siamo salvati da Gesù, e il principe del mondo questo non lo vuole, egli ci odia e suscita la persecuzione, che dai tempi di Gesù e della Chiesa nascente continua fino ai nostri giorni. Quante comunità cristiane oggi sono oggetto di persecuzione! Perché? A causa dell’odio dello spirito del mondo”.
Da
venerdì 21 aprile, l'annuncio è ufficiale: i cinque Cristiani
rapiti dal villaggio di Maloula sono stati ritrovati uccisi [I loro resti rinvenuti in una grotta a Arsal, cittadina libanese al confine siriano]. Erano
ostaggi di Al-Nusra dal settembre 2013.
Il
giorno in cui la notte si abbattè su Maaloula è il 7 settembre
2013: il villaggio è circondato, i colpi risuonano e gli obici
colpiscono ovunque. I combattimenti sono di una violenza inaudita! Il
gruppo terroristico al-Nusra (branca siriana di Al Qaeda) penetra in
Maaloula. Sono Siriani, Tunisini, Marocchini, Giordani ma anche
qualche abitante di Maalula e si infiltrano come una scia di polvere
tra le abitazioni.
Mikhail,
Antoun e Sarkis, tre abitanti cristiani, vengono giustiziati
sommariamente con una pallottola in testa, traditi dai loro vicini
abituali. Questo è il prezzo da pagare per chi vuole restare fedele
alla propria patria e a Cristo. Nella stessa giornata Ghassan, Jihad,
'Taef, Shadi, Daoud e Moussa vengono prelevati.
Con
la liberazione di Maaloula da parte dell'esercito arabo siriano, il
Fronte al-Nusra si ritira sulle montagne libanesi con gli ostaggi.
Agli abitanti viene poi ingiunto di permettere che i musulmani
tornino nel villaggio. Senza condizione, accettano. Ma le richieste
di Al Nusra non finiscono qui: 100 milioni di sterline siriane,
l'equivalente di 200.000 dollari, sono da versare come riscatto.
Ancora una volta, accettano e pagano. Poi, per due anni, dei rapiti
non si ha più alcuna notizia.
Tutti
i volontari di SOS
Chrétiens d’Orient
, in Siria conoscono
questa storia. I ritratti dei tre martiri da tempo campeggiano sulla
piazza del paese. Ma gli altri, i sei ostaggi, che fine hanno fatto?
Una questione rimasta in sospeso da oltre 3 anni e mezzo, per le
famiglie ferite, in attesa di un possibile ritorno, che non arriverà
mai!
Infine,
su sei, cinque corpi sono stati trovati... sgozzati. La loro morte
risalirebbe a più di un anno fa. Questi eroi cristiani avevano un
nome e un volto, una storia, un futuro. Per tutti, erano dei padri,
dei fratelli, degli amici e sono andati via per sempre.
Ghassan
48 anni, lavorava nella fabbrica di Debess che stiamo aiutando a
ricostruire, aveva tre figli. Suo fratello Moussa 43 anni il cui
corpo non è stato ritrovato, possedeva un negozio di spezie. Jihad,
48 anni, era un muratore, suo nipote Shadi (il cui padre è uno dei
tre martiri) era uno studente all'università di Damasco. Taef, 43
anni, era pasticciere. Daoud, 31 anni, era l'autista del taxi.
Vi
invitiamo a unire le vostre preghiere alle nostre, soprattutto
martedì in occasione del ritorno dei corpi nel villaggio per i
funerali.
SOS Chrétiens d’Orient en Syrie
giovedì 20 aprile 2017
Stragi di bambini in Siria: 2 Fouaa e Kafarya, il massacro che Trump non piange
Gli
Occhi della Guerra, 19 aprile 2017
In
tanti, nella giornata di sabato, hanno raccontato l’orrore di
Rashideenn, ossia la località dove sorge l’area di servizio lungo
l’autostrada M5 dove è avvenuto l’attentato contro civili sciiti che ha ucciso più di cento persone, molti dei quali
bambini; in pochi però, hanno fatto riferimento tanto ai
responsabili dell’accaduto, quanto al contesto attorno al quale è
avvenuto uno degli episodi più cruenti della guerra siriana, macabro
nei numeri ed ancor di più nei dettagli.
Quello di sabato in Siria, non era un ‘semplice’, se così si può
definire, trasferimento di profughi, bensì si trattava
dell’evacuazione di due comunità di altrettanti villaggi a
maggioranza sciita (Kafraya e Foua)
da anni minacciati dagli islamisti definiti ancora ‘ribelli’ da
buona parte dell’occidente; oltre a mettere al sicuro questi civili
da future e probabili rappresaglie
jihadiste,
l’operazione aveva come obiettivo quello di mostrare la buona
volontà delle parti in causa di poter giungere a piccoli accordi
locali in grado di salvaguardare i cittadini maggiormente esposti al
conflitto e, in tal senso, il boicottaggio delle forze islamiste è
stato espresso in tutta la sua brutalità.
Non
era la prima volta che in Siria, dallo scoppio della guerra, si
procedeva ad un’evacuazione e ad un trasferimento della popolazione
da un punto all’altro del paese dopo accordi tra le parti; questa
strategia è stata inaugurata già nel 2014 quando,
una volta accerchiati e senza possibilità di vittoria, gli islamisti
presenti ad Homs hanno
accettato l’evacuazione del centro storico ed il loro trasferimento
in zone presidiate dai gruppi dell’opposizione. Tra il 2016 e
questa parte di inizio anno, diverse volte questi accordi hanno
permesso la fine delle ostilità in diverse località senza ulteriore
spargimento di sangue: a Darayya,
sobborgo nel sud di Damasco, il trasferimento ad Idlib di militanti
islamisti e famiglie al seguito, ha messo la fine su una delle
battaglie che più ha tenuto con il fiato sospeso la capitale della
Siria, stesso scenario in altri quartieri damasceni ed in altre
località attorno la città.
Anche
ad Aleppo si è provata la stessa strada: i famosi ‘bus
verdi’,
che prima della guerra erano i normali mezzi del trasporto pubblico
della metropoli siriana, per giorni sono rimasti stazionati ai limiti
del fronte che divideva le zone governative da quelle occupate dagli
islamisti, per cercare di far andare a buon fine le trattative
tra Russia, Turchia e sauditi ed
evitare ulteriori scontri nel centro urbano. Soltanto nelle battute
finali della battaglia per riprendere la seconda città siriana tali
accordi hanno fruttato l’evacuazione delle ultime zone rimaste in
mano jihadista, nonostante altri tentativi di sabotaggio costati la
vita ad alcuni autisti di bus attaccati dai terroristi; le
trattative, oltre al trasferimento dei cosiddetti ‘ribelli’,
hanno spesso previsto l’alternativa della riconciliazione con
il governo di Damasco dove, in cambio della deposizione delle armi,
si viene reinseriti all’interno del contesto sociale e, se non si è
accusati di gravi crimini, si evitano i processi per tradimento.
l
trasferimento in atto sabato, è stato frutto di uno di questi
accordi locali mediati da alcuni attori internazionali in campo; in
particolare, le trattative in questo caso sono state condotte
da Iran e Qatar ed
il perché è presto detto: oggetto principale dei colloqui era
l’evacuazione di due cittadine sciite e la Repubblica Islamica si è
fatta promotrice della messa in sicurezza dei civili di fede sciita.
L’accordo è inserito in un contesto molto più ampio, che
abbraccia situazioni simili nel resto del paese: in cambio del
trasferimento dei civili da Kafraya ed al – Foua, l’esercito
siriano ha permesso l’evacuazione dei terroristi dalle sacche
jihadiste di Madaya e Zabadani,
due località della ‘Rif’ di Damasco; in tal modo, risultano
evidenti anche vantaggi militari sia per il governo che per gli
islamisti: le
forze di Assad possono riprendere il controllo di due centri vicino
la capitale,
le forze che controllano di Idlib invece si garantiscono
l’eliminazione
di una sacca governativa vicino
il capoluogo di provincia.
Pur
tuttavia, all’interno di questo accordo, vi è presente una novità
importante: è infatti la prima volta che ad essere evacuati
sono soltanto civili e non militari o ribelli ed inoltre, è stata
anche la prima volta del trasferimento da località in mano
governative. Kafraya ed al – Foua, sono infatti due cittadine
a maggioranza sciita che però si sono ritrovate nel bel mezzo di una
provincia in cui islamisti e jihadisti hanno iniziato ad imperversare
dall’inizio della guerra; l’esercito siriano ed alcuni reparti
degli Hezbollah hanno
garantito, in questi anni, la sicurezza delle cittadine la cui difesa
però, forse anche in previsione dell’offensiva governativa su
Idlib, è diventata ad un certo punto molto difficile ed onerosa.
L’evacuazione dei civili quindi, secondo l’accordo, ha avuto
anche lo scopo di liberare diversi reparti dell’esercito e del
movimento popolare libanese e poter in questo modo meglio distribuire
mezzi e uomini su altri fronti.
Mentre
i trasferimenti da Zabadani e Madaya sono andati a buon fine, con
i bus
arrivati ad Idlib,
quello dei civili sciiti invece ha subito il grave attacco di sabato;
un convoglio di mezzi che trasportava i cittadini di Kafraya ed al –
Foua, mentre era giunto a Rashideenn, a pochi chilometri
dall’ingresso ad Aleppo e dunque nelle zone governative, è stato
raggiunto da un’autobomba.
Secondo alcuni testimoni, pare che l’ordigno sia stato azionato mentre
nell’area di servizio un uomo aveva fatto avvicinare dei bambini al
mezzo poi esploso offrendo loro alcuni pacchetti di patatine; un
gesto macabro e che lascia senza fiato e parole, compiuto con il solo
scopo di uccidere i civili e creare terrore tra i sopravvissuti. Un
gesto però che, dopo alcuni servizi televisivi in cui non sono
mancate omissioni di dettagli e dove, allo stesso tempo, non è stato
spiegato il contesto dell’evacuazione di questi profughi, è ben
presto passato
in sordina e
nel dimenticatoio.
Dopo
l’arrivo dei soccorsi, alcuni dei quali inviati dalla Croce Rossa
presente nel vicino quartiere governativo di Hamadaniyah, i bus non
colpiti dall’esplosione hanno ripreso il proprio cammino e sono
arrivati ad Aleppo, concludendo
poi l’evacuazione di
Kafraya ed al – Foua; pur tuttavia, non può non rimanere vivo il ricordo dei tanti civili uccisi, che si aggiungono ad una lista
oramai troppo lunga dopo sei anni di conflitto.
Rimane
anche, tra le altre cose, la constatazione del fatto che continuare a
considerare ‘moderati’ i ribelli di Idlib è operazione
intellettualmente disonesta e che non favorisce i tentativi di far
concludere la guerra nel più breve tempo possibile; se è vero che
alcuni gruppi islamisti hanno preso le distanze dall’attentato, è
anche vero che se si è avuta l’esigenza di evacuare i civili dalle
due cittadine sciite vi era evidentemente il concreto
pericolo di rappresaglie jihadiste che,
di certo, non sono sintomo di ‘moderazione’ e di volontà di
dialogo. Prima l’intero occidente prende definitivamente le
distanze dai ‘ribelli’, prima si potrà far chiarezza su tutti i
fronti che riguardano il conflitto siriano.
A
completamento dell'articolo, un'ulteriore terribile notizia: per
rendere le cose ancora peggiori, durante l'attentato oltre 200 civili da Foua e Kafraya
sono stati rapiti nella zona Rashideen. La maggior parte dei rapiti sono ragazze giovani.
“Secondo
una fonte di Al-Masdar news, si ritiene che gli abitanti sciiti di
Fouaa e Kafraya siano stati rapiti da Hay'at Tahrir Al-Sham (HTS),
una fazione ribelle affiliata ad Al Qaeda, che è accusato di aver
ucciso 126 civili nell'attacco con un'autobomba ieri “
martedì 18 aprile 2017
Stragi di bambini in Siria: 1 Attacco chimico false flag o attacco chimico made in Hollywood?
I
Fatti (o presunti tali)
Nella
mattinata di martedì 4 aprile secondo quanto si può giudicare dalle
ombre nei filmati, o intorno a mezzogiorno secondo il rapporto del
portavoce delle forze aerospaziali russe presenti in Siria, due
aviogetti Sukhoi della aviazione militare siriana avrebbero attaccato
con armi chimiche il villaggio di Khan Sheikhoun provocando, a
seconda delle fonti, tutte rigidamente riconducibili alle formazioni
jihadiste, o 59 morti di cui 11 bambini o 79 morti di cui 28
bambini o 45 morti di cui 11 bambini. Le fonti affermavano che
l’aggressivo chimico utilizzato era gas nervino Sarin. A seguito di
questo attacco e nonostante la smentita e del governo siriano e delle
forze russe operanti in Siria, senza che alcuna inchiesta
indipendente potesse accertare i fatti, gli alleati occidentali della
NATO, l’amministrazione USA e le monarchie del golfo con a capo
l’Arabia Saudita condannavano l’uso di armi di distruzione di
massa attribuendone senza riserve la responsabilità al governo
siriano. Solo il veto russo impediva la condanna dello stesso da
parte del Consiglio di Sicurezza dell’ONU. Il presidente americano
Trump affermava poi che una linea rossa era stata superata e che
provvedimenti adeguati sarebbero stati presi anche al di fuori delle
direttive dell’ONU. Nella notte tra il 6 e il 7 aprile due
cacciatorpedinieri della sesta flotta USA, in navigazione al
largo di Creta, lanciavano una salva di 59 missili Tomahawk come
ritorsione contro la base aerea dalla quale erano partiti gli aerei
per il raid su Khan Sheikhoun.
Alcune
considerazioni tecniche.
L’accusa
alle forze armate siriane di aver usato armi chimiche nel raid del 4
aprile dovrebbe confutarsi da sola poichè le forze armate siriane
non dispongono più di armi chimiche. Queste sono state consegnate
alle Nazioni Unite e distrutte per idrolisi nel mediterraneo nel
2013, a seguito dell’incidente di Ghouta (sobborgo di Damasco) in
cui i governativi siriani vennero accusati di aver impiegato
aggressivi chimici contro la popolazione. Accusa poi dimostrata
infondata da numerose inchieste indipendenti tra cui quella del MIT
di Boston, di Carla del Ponte, già magistrato del tribunale
internazionale dell’Aia, e del giornalista premio pulitzer Seymour
Hersch. Per evitare la rappresaglia minacciata dal Presidente Obama,
con la mediazione della Russia il governo di Damasco acconsentì a
consegnare tutto il suo arsenale chimico e di sottostare alle
ispezioni dell’agenzia internazionale per la eliminazione dello
stesso. Inoltre l’accusa parla specificatamente di gas nervino che
l’apparato industriale siriano, dopo le distruzioni causate da 6
anni di guerra non è più in grado di produrre mancando anche dei
precursori che non può acquistare sul mercato internazionale per via
dell’embargo .
L’uso
di gas nervino verrebbe smentito anche dai filmati prodotti a prova
dell’aggressione. Il Sarin è un agente neurotossico che inibisce
la trasmissione neuroelettrica degli impulsi che nel sistema nervoso
provocando il blocco della muscolatura volontaria e involontaria. La
morte avviene, a seconda della concentrazione del gas, in pochi
secondi o al massimo in pochi minuti salvo che si pratichi
immediatamente una iniezione di atropina che neutralizza l’azione
della neurotossina. L’assorbimento avviene per inalazione o
per penetrazione cutanea per cui la maschera antigas è assolutamente
inutile se non associata ad una tuta completa impermeabile e stagna.
Nei filmati si vedono i soccorritori [i rinomati White Helmets]
trattare le vittime a mani nude ovvero con guanti di lattice che sono
porosi e permeabili alla molecola del gas o ancora con mascherine di
carta assolutamente ridicole in aree contaminate dal Sarin.
Si
vedono anche soccorritori lavare le persone con getti d’acqua,
altra cosa inutile perchè occorre unire all’acqua dei detergenti
che provochino la scomposizione della molecola del gas nervino. In
poche parole se ci fosse stato un attacco col Sarin o con
qualsivoglia altro neurotossico derivato dall’acido ortofosforico
(Tabun o Soman) tutte le persone che si vedono nei filmati sarebbero
dovute morire in pochi minuti. Un'altra considerazione che smentisce
l’uso del Sarin viene dalle condizioni meteorologiche del giorno,
invero perfette per un attacco chimico, che però se ci fosse stato
avrebbe provocato non un centinaio ma decine di migliaia di morti.
L’ipotesi che si sia trattato di un attacco con vescicanti come
l’iprite, che agisce sulle mucose dei polmoni distruggendole e
provocando la morte per asfissia viene smentita dall’assenza sui
corpi delle vittime (come appaiono nei filmati che sono stati
prodotti esclusivamente dai jihadisti) di ulcerazioni che
invece avrebbero dovuto essere presenti stante l’abbigliamento
leggero. Resta il cloro che però non viene citato dai soccorritori
forse per sviare i sospetti visto che proprio il cloro è stato usato
più volte, sia ad Aleppo che contro i Curdi e in Iraq dalle milizie
salafite di Al Nusra e dell’Isis. Sempre dal punto di vista tecnico
poi bisogna rilevare che i cacciabombardieri Sukhoi impiegati nel
raid non hanno gli attacchi per i dispenser per la diffusione del
cloro o per la diffusione di qualsivoglia altro aerosol. Le immagini
poi dell’edificio teoricamente epicentro dell’attacco lo mostrano
completamente distrutto, segno evidente di un bombardamento con bombe
ad alto potenziale esplosivo. Se veramente fosse stato attaccato con
ordigni caricati con aggressivi chimici avrebbe avuto al massimo
qualche buco nei muri o sul tetto, non parliamo poi se il gas fosse
stato disperso come aerosol , l’edificio sarebbe stato
perfettamente intatto. Tutto questo fa pensare che se una
contaminazione da aggressivi chimici c’è stata questi fossero
stoccati nell’edificio distrutto da un bombardamento convenzionale.
Da
ultimo, prima di passare ad altro genere di considerazioni, se alla
base di Al Shayrat ci fosse stato stoccaggio di armi chimiche il
bombardamento americano ne avrebbe provocato la dispersione e
comunque il pericolo che potessero disperdersi avrebbe impedito la
ripresa dell’operatività della base il giorno dopo l’attacco.
Passiamo
ora a considerazioni di carattere etico, stante che la verità è la
prima vittima della guerra e la menzogna una delle sue armi più
micidiali.
Sorvolando
sul fatto che un attacco aereo americano, effettuato il 12 aprile
sull’area di Deir Ezzor, ha colpito un deposito di armi chimiche
delle forze dell’ISIS che assediano la città provocando una nube
tossica che ucciso centinaia di civili senza che alcuna protesta si
levasse da parte delle anime candide dell’occidente, e senza che i
media mainstream ne facessero cenno, i filmati, e le foto, che
possiamo vedere in abbondanza su internet pongono una serie di
pesanti interrogativi. Per prima cosa nessuno di loro è stato
diffuso da una fonte indipendente. I diffusori sono stati i
famigerati Caschi Bianchi associazione “umanitaria” affiliata ad
Al Nusra, l’osservatorio di Londra composto da un solo individuo
che vive in Inghilterra da anni ed è finanziato da una moltitudine
di sigle tutte riconducibili ai nemici giurati del presidente Assad e
la televisione ufficiale del partito curdo iracheno di Al Barzani
notoriamente sostenuto e finanziato da Israele. Il medico che,
nonostante la dichiarata grave emergenza, invece di stare al
capezzale dei pazienti, ha trovato il tempo di esibirsi davanti alle
telecamere denunciando il fatto che i feriti ricoverati avevano
evidentemente subito un attacco con gas nervino, risultava poi essere
il Dott. Sjahul Islam, cittadino del Regno Unito, ricercato dall’MI6
britannico come terrorista per aver partecipato al rapimento da parte
dell’ISIS di due giornalisti John Cantlie e Jeoren Orlemans di cui
uno ancora prigioniero dei Jihadisti. La moltitudine di
immagini profuse poi sul web ha permesso di constatare che
stranamente in nessuna comparivano, nè morti nè vivi, i genitori
delle piccole vittime il che pone il dubbio che i bambini non fossero
di Khan Sheikhoun ma quelli rapiti durante l’offensiva della fine
di marzo nei villaggi cristiani occupati dai miliziani. E in effetti
la stessa cose era successa a Ghouta nel 2013 quando le uniche
piccole vittime identificate provenivano dai villaggi Alawiti vicino
a Latakia dove erano stati rapiti dai Jihadisti. Compare poi nelle
immagini un “salvato” riconoscibilissimo per struttura corporea e
particolarità del volto, che già compariva nelle vesti di Casco
Bianco ad Aleppo prima della liberazione della città, poi ancora ad
Aleppo come vittima estratta dalle macerie, poi sempre ad Aleppo come
donatore di sangue, quindi a Idlib come ferito e finalmente a Khan
Sheikhoun come sopravvissuto all’attacco chimico. Esiste un filmato
in cui uno dei bimbi “morti” non si accorge che la telecamera è
ancora puntata su di lui e apre gli occhi. Da ultimo i Dottori
Svedesi per i Diritti Umani (swedhr.org) hanno analizzato un video,
relativo ad un altro episodio denunciato dai Caschi Bianchi come
attacco chimico da parte di forze governative, dove viene
filmata un’operazione per salvare un bambino vittima di aggressivi
chimici. I dottori hanno constatato che nel video sono chiaramente
presenti delle falsificazioni, dal momento che in sottofondo si
sentono delle autentiche indicazioni “di regia” in arabo, e che
la cosiddetta “operazione” è in realtà un omicidio. Un’analisi
superficiale del video sembrerebbe infatti suggerire che i medici
stessero cercando di rianimare un bambino che era ormai clinicamente
morto (https://youtu.be/WAxg9_T-W7Y).In
realtà, dopo un più attento esame, il gruppo di SWEDHR ha accertato
che il bambino aveva perso coscienza a causa di un’overdose di
oppiacei. Nel video si vede il bambino che riceve un’iniezione al
petto, nel settore cardiaco, iniezione che alla fine lo ha ucciso,
mentre gli veniva data una falsa dose di adrenalina. Si è trattato
di un omicidio.
Da
questo a pensare che ci si trovi di fronte ad una messa in scena
“Hollywoodiana” non ci fa sentire particolarmente colpevoli o in
malafede.
Chiudiamo
con alcune considerazioni di carattere politico e strategico. Se
Assad che nel 2013, quando la situazione del legittimo governo
siriano era difficile se non disperata, ha accettato di disfarsi del
suo arsenale chimico, avesse ordinato oggi, quando la vittoria è
alle porte, grazie all’intervento degli alleati russi, iraniani ed
Hezbollah, un inutile attacco chimico con armi non si sa bene come
conservate, si dimostrerebbe come uno stupido incapace mentre nei sei
anni di guerra passati aveva dimostrato al contrario di essere un
politico estremamente accorto nel gestire la situazione.
Il
presidente Trump ponendosi fuori della legalità internazionale
ordinando una rappresaglia senza avere alcuna prova concreta di
quanto è accaduto, ha dimostrato che negli USA la politica estera
non è gestita dalla Casa Bianca ma dai circoli “neo conservatori”
legati al complesso militare industriale. Questi ultimi credono di
poter gestire il mondo dall’alto di una potenza militare calcolata
avendo come parametro i miliardi di dollari che ogni anno vengono
profusi nel comparto militare, tanto da aver portato il
bilancio USA della difesa ad essere superiore alla somma di quelli
delle 5 potenze, di cui 3 alleate, che li seguono nella classifica.
In verità però il risultato del lancio di 59 missili cruise
Tomahawk, per una spesa complessiva di 90 milioni di dollari, è
stato a dir poco deludente. Solo 23 sono arrivati sul bersaglio o
nelle sue prossimità, probabilmente perché deviati in mare dalle
contromisure elettroniche del sistema di difesa aerea installato
dalle forze armate russe, cosi come pare fosse successo nel 2013 a
due lanci ordinati da Obama. Quelli che hanno colpito il bersaglio
hanno fatto danni così irrilevanti da permettere che la base
tornasse operativa 48 ore dopo l’attacco Se fossi un ammiraglio
della “marina più potente nel mondo” sarei un po' preoccupato.
Alcuni
commentatori solitamente dispensatori di analisi acute come Maurizio
Blondet e Thierry Meyssan ritengono che anche la rappresaglia sia
stata una messa in scena ad uso interno per risollevare le sorti di
una presidenza sempre più assediata dall’apparato. L’attacco
sarebbe stato concordato con i Russi, avvertiti, questo è assodato,
in anticipo, per fare il minor danno possibile in Siria e il maggior
effetto possibile a Washington mettendo così la mordacchia agli
esagitati alla McCain. Aderirei a quest’analisi se non ci fossero
state le due mosse successive e cioè la virata di 180 gradi
nell’impostazione politica sulla Siria che è passata dal
sostanziale riconoscimento della legittimità del governo di Assad
(cosa per altro dato di fatto dal punto di vista del diritto
internazionale) al porre come priorità il suo rovesciamento che, se
tentato porrebbe gli USA in rotta di collisione con la Federazione
Russa, l’Iran e probabilmente anche con la Cina. Federazione Russa
che per altro ha già fatto sapere che qualsiasi altro tentativo di
aggressione alla Siria darà luogo a risposte militari. La
seconda mossa ben più preoccupante consiste nell’invio della
lettera di richiamo a 150.000 riservisti cioè l’organico di 30
brigate. Atto che non si può fare per mera attività di propaganda
perché corrisponde, mutatis mutandis, alla mobilitazione generale
proclamata dalle potenze europee nell’agosto del 1914.
A
noi osservatori impotenti non resta che stare a guardare nella
speranza, ahimè flebile, che i potenti d’Oltreoceano rinsaviscano.
S.E.
http://www.appunti.ru/articolo.aspx?id=930&type=home
S.E.
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