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venerdì 3 aprile 2015
Santa Pasqua 2015
giovedì 2 aprile 2015
Intervento della Santa Sede sulla situazione siriana. Per il rispetto dei bambini vittime della guerra
L'Osservatore Romano
Pubblichiamo la traduzione italiana della dichiarazione
dell’arcivescovo Silvano M. Tomasi, Osservatore permanente della Santa
Sede presso le Nazioni Unite e altre organizzazioni internazionali,
pronunciata a Ginevra il 17 marzo 2015, in occasione della 28ª sessione
del Consiglio dei Diritti dell’Uomo.
Signor Presidente,
I conflitti hanno costretto un numero sbalorditivo di 5,5 milioni di persone a fuggire dalle proprie case nei primi sei mesi del 2014. Si tratta di un’importante aggiunta al record di 51,2 milioni di persone in tutto il mondo che già erano forzatamente dislocate alla fine del 2013 (Unhcr, Mid-Year Trends 2014, p. 3).
La Commissione internazionale indipendente d’inchiesta sulla Repubblica Araba di Siria di recente ha riferito che, dall’inizio della crisi, «più di 10 milioni di siriani sono fuggiti dalle loro case. Si tratta di quasi metà della popolazione del Paese, ora privata dei suoi diritti elementari a un riparo e a un alloggio adeguato, alla sicurezza e alla dignità umana. Molti sono vittima di violazioni di diritti umani e di abusi e hanno urgente bisogno di misure protettive e di sostegno». Ad aggravare questa tragedia, più di 3 milioni di persone, per la maggior parte donne e bambini, sono fuggite dalla Repubblica Araba di Siria e vivono come rifugiate nei Paesi limitrofi (Relazione della Commissione internazionale indipendente d’inchiesta sulla Repubblica Araba di Siria, Consiglio per i diritti umani [27ª sessione], 5 febbraio 2015). La violenza continua a produrre vittime in particolare in Medio Oriente, ma anche altrove, dove l’odio e l’intolleranza sono i criteri per le relazioni tra i diversi gruppi. I diritti umani di queste persone forzatamente dislocate vengono violati impunemente in modo sistematico. Diverse fonti hanno fornito testimonianze di come i bambini soffrano per le brutali conseguenze di uno stato di guerra persistente nel loro Paese. I bambini vengono reclutati, addestrati e utilizzati in ruoli di combattimento attivo, talvolta perfino come scudi umani negli attacchi militari. Il cosiddetto gruppo dello Stato Islamico (Isis) ha aggravato la situazione addestrando e usando bambini come kamikaze; uccidendo bambini che appartengono a comunità religiose ed etniche diverse; vendendo bambini come schiavi nei mercati; giustiziando un numero rilevante di ragazzini; e commettendo altre atrocità (Comitato delle Nazioni Unite sui diritti dell’infanzia, Concluding observations on the combined second to fourth periodic reports of Iraq, p. 5, punto 23 [a], 4 febbraio 2015, Ginevra). I bambini costituiscono circa la metà della popolazione di rifugiati nei campi profughi in tutto il Medio Oriente e sono il gruppo demografico più vulnerabile in tempi di conflitto e di migrazione. La loro vita in esilio è piena di incertezza e di lotte quotidiane. «Molti sono separati dalle loro famiglie, hanno difficoltà ad accedere ai servizi di base e vivono in una povertà crescente. Solo un bambino siriano su due tra quelli rifugiati nei Paesi limitrofi riceve un’educazione» (A. Guterres, discorso durante la sessione di apertura della conferenza su Investing in the Future a Sharjah, 15 ottobre 2014). Al di là delle situazioni specifiche che devono affrontare i bambini internamente sfollati e quelli che vivono nei campi profughi della regione, e al di là delle immense tragedie che li colpiscono, appare importante immaginare il loro futuro, focalizzandosi su tre ambiti di preoccupazione.
Anzitutto, il mondo deve affrontare la situazione dei bambini apolidi che, come tali, secondo la legge, non sono mai nati. Le Nazioni Unite stimano che solo in Libano ci siano circa 30.000 di questi bambini. Inoltre, a causa dei conflitti mediorientali e dello sradicamento di massa delle famiglie, diverse migliaia di bambini non registrati sono sparsi nei campi profughi e nei Paesi d’asilo (Unicef Monthly Humanitarian Situation Report, Syria Crisis, 14 ott. – 12 nov. 2014). Si tratta di “bambini fantasma” i cui genitori sono fuggiti dalla Siria, ma dei quali il nome e la data di nascita non sono mai stati registrati in nessun ufficio. Di fatto, l’Unicef rileva che 3.500 bambini “ufficialmente” non hanno una famiglia o un’identità. Ciò accade perché tutti i documenti personali sono stati distrutti sotto le macerie della guerra o, talvolta, semplicemente perché i genitori non avevano avuto il tempo o i soldi per registrare la nascita. I bambini apolidi attraversano da soli i confini internazionali e si ritrovano totalmente abbandonati. Il numero di persone apolidi nel mondo ammonta a 10 milioni. Mentre tutti devono affrontare grandi difficoltà, coloro che fuggono dalla Siria si trovano di fronte a sfide ancora più drammatiche: un bambino di età inferiore agli undici anni e privo di documenti non ha accesso nemmeno ai servizi più elementari. Ovviamente questi bambini non possono andare a scuola ed è probabile che vengano adottati illegalmente, reclutati in un gruppo armato, abusati, sfruttati o costretti alla prostituzione. Ogni bambino ha il diritto a essere registrato alla nascita e quindi a essere riconosciuto come persona dinanzi alla legge. L’attuazione di questo diritto apre il cammino che permette di accedere al godimento di altri diritti e benefici che riguardano il futuro di tali bambini. Semplificare i meccanismi e i requisiti per la registrazione, rinunciare alle tasse, impegnarsi per una legislazione sulla registrazione che includa i rifugiati sono alcuni passi per risolvere la piaga dei bambini apolidi.
In secondo luogo, un altro elemento fondamentale che incide sul futuro dei bambini sradicati è l’educazione. Sia in Siria sia nei campi profughi nella regione, fornire un’educazione è diventato estremamente problematico. Circa 5.000 scuole (Relazione della Commissione internazionale indipendente d’inchiesta sulla Repubblica Araba di Siria, Consiglio per i diritti umani [27ª sessione], 5 febbraio 2015) sono state distrutte in Siria, dove oltre un milione e mezzo di studenti non riceve più un’educazione e dove gli attacchi contro gli edifici scolastici continuano. Gli estremisti dell’Isis hanno già chiuso un numero consistente di scuole nei territori sotto il loro controllo. La situazione di pericolo del Paese non permette ai bambini di frequentare la scuola, né di accedere a un’educazione adeguata. La comunità internazionale nel suo insieme sembra aver valutato male l’entità della crisi siriana. Molti ritenevano che il flusso di rifugiati siriani fosse temporaneo e che quei rifugiati avrebbero lasciato i Paesi d’asilo entro pochi mesi. Ora, dopo quattro anni di conflitto, appare probabile che questi rifugiati rimarranno e che la popolazione locale dovrà imparare a vivere con loro fianco a fianco. A causa del conflitto, i bambini sono indietro nell’educazione e stanno perdendo la gioia della loro infanzia. Nei campi ci sono solo 40 insegnanti per oltre 1.000 studenti, di età compresa tra i 6 e i 17 anni. La maggior parte degli insegnanti sono volontari, spesso anch’essi rifugiati. Le lezioni sono incentrate sul disegno e sulla musica per aiutare ad alleviare il trauma; quando sono disponibili i libri vengono insegnati scrittura e matematica. In Turchia i bambini hanno difficoltà ulteriori dovute alla barriera linguistica. I rifugiati parlano arabo o curdo, quindi non possono frequentare le scuole pubbliche dove si parla solo il turco. Per ragioni diverse, sia nel loro Paese natale sia nei campi profughi i bambini trovano un sistema educativo inadeguato che sconvolge il loro futuro. Ovunque c’è urgente bisogno di un sistema educativo che possa assorbire questi bambini e portare una qualche normalità nella loro vita.
In terzo luogo, un’altra seria conseguenza della violenza persistente che tormenta il Medio Oriente è la separazione dei membri della famiglia, che costringe tanti minori a cavarsela da soli. Alla radice della destabilizzazione della società c’è la violenza generalizzata che porta alla disgregazione della famiglia, l’unità fondamentale della società. Al fine di evitare l’ulteriore sfruttamento dei bambini e di proteggerli in modo adeguato, occorre compiere uno sforzo aggiuntivo per facilitare il ricongiungimento dei minori con le rispettive famiglie.
Signor Presidente,
I diritti a un’identità legale, a un’educazione adeguata e alla famiglia sono elementi chiave e requisiti specifici in un sistema comprensivo di protezione dell’infanzia. Tali misure esigono la stretta collaborazione di tutte le parti interessate. L’accesso a una buona educazione e a un’assistenza psico-sociale, come anche ad altri servizi fondamentali, è estremamente importante. Tuttavia, i bambini non possono beneficiare di tali servizi a meno che non vengano registrati alla nascita e che le loro famiglie e comunità vengano aiutate a proteggerli meglio. Se la violenza non finisce e non si riprende il ritmo normale dell’educazione e dello sviluppo, questi bambini rischiano di diventare una generazione perduta.
La pace in Siria e in Medio Oriente è la priorità per una sana crescita di tutti i bambini. Con convinzione, durante il suo pellegrinaggio in Terra Santa Papa Francesco ha affermato: «Cessino le violenze e venga rispettato il diritto umanitario, garantendo la necessaria assistenza alla popolazione sofferente! Si abbandoni da parte di tutti la pretesa di lasciare alle armi la soluzione dei problemi e si ritorni alla via del negoziato. La soluzione, infatti, può venire unicamente dal dialogo e dalla moderazione, dalla compassione per chi soffre, dalla ricerca di una soluzione politica e dal senso di responsabilità verso i fratelli» (Incontro con i rifugiati e con giovani disabili nella chiesa latina a Bethany beyond the Jordan, sabato 24 maggio 2014).
Grazie, Signor Presidente.
L'Osservatore Romano, 28 marzo 2015
Fonte: http://ilsismografo.blogspot.it/2015/03/onu-intervento-della-santa-sede-sulla_27.html
martedì 31 marzo 2015
Il Coordinamento per la Pace in Siria scrive al ministro Gentiloni: l'Italia promuova pace vera.
Dopo anni di mezze verità e di disinformazione sulla situazione siriana, finalmente qualcuno comincia a mettere in fila i fatti, a raccogliere testimonianze di prima mano, a informare la gente e a fare pressione sui nostri politici. E' il caso del "Coordinamento Nazionale per la Pace in Siria".
Il 29 marzo 2015, con una lettera aperta al Ministro degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale Paolo Gentiloni, il Coordinamento denuncia l'inizio del piano triennale di addestramento militare USA di 15.000 "ribelli moderati" in Turchia, sancendo così l'inizio di un nuovo triennio di guerra mentre l'incaricato ONU cerca di avviare inutili negoziati di pace. Ancora armi ed addestramento a guerrieri pronti a passare nelle fila dei fondamentalisti, come se l'Afganistan, la Libia, e tutte le "primavere arabe" non avessero insegnato nulla.
E' tutta da leggere la lettera del Coordinamento per la Pace in Siria, per non cadere nella trappola degli slogan e per dare credito alla voce dei nostri fratelli cristiani che oggi soffrono la guerra e domani la persecuzione.
La leggiamo avendo negli occhi Myriam, motivo di speranza e di fede sopra tutti i giochi sporchi di un occidente senza Dio.
Egregio signor ministro degli Esteri Gentiloni,
come Lei sa, è stato avviato il progetto turco-statunitense di addestrare 5.000 ‘ribelli moderati’ anti-ISIS. 15.000 combattenti nell’arco di tre anni saranno addestrati dalle forze speciali statunitensi presso i campi di addestramento situati in Turchia (Kirsehir), Arabia Saudita e Giordania.
I primi 2.000 saranno principalmente scelti tra elementi turcmeni notoriamente ostili ad Assad. Le parole di Abdurrahman Mustafa (capo dell’Assemblea turkmena) alla televisione statale turca Trt chiariscono che la posizione di Ankara sposa perfettamente il punto di vista dei turcmeni: ”Aleppo è e rimarrà una città turca “.
Anche le successive aliquote avranno una forte caratterizzazione antigovernativa. In Siria, dopo 4 anni di guerra, si combatte o con Assad o contro Assad e pensiamo che i ribelli saranno scelti tra quelli anti-Assad…
E' di dominio pubblico che conserveranno la denominazione di 'ribelli', appartenendo alle forze anti-Assad. A questa qualifica è stata aggiunta quella di 'moderati': a queste forze sarà messo in mano il futuro della Siria, il compito di risolvere il conflitto siriano.
E' di dominio pubblico che conserveranno la denominazione di 'ribelli', appartenendo alle forze anti-Assad. A questa qualifica è stata aggiunta quella di 'moderati': a queste forze sarà messo in mano il futuro della Siria, il compito di risolvere il conflitto siriano.
Si sarà accorto, Signor Ministro che è già un non senso: i veri moderati sono quelli che non combattono, quelli che non hanno mai avuto l'attenzione della Comunità Internazionale e non sono mai stati invitati a trattative di pace…
Ma andiamo avanti: l’inizio del training è imminente, forse è già iniziato. L'addestramento in grande stile di 'ribelli moderati' era già stato deciso mentre l'incaricato Onu De Mistura cercava una difficile intesa per avviare nuovi negoziati di pace, questa volta più inclusivi.
Signor Ministro, come si può affermare che da parte occidentale si vuole negoziare se si era già pianificato il proseguimento della guerra prima che quei negoziati iniziassero? Se l'incongruenza l'hanno colta i ribelli (che infatti hanno rifiutato ogni negoziato), l'avrà colta anche il governo italiano…
Il progetto per il quale le potenze occidentali stanno spendendo più energie è infatti che l'opposizione 'moderata siriana' formata da USA e Turchia dovrà essere in grado di combattere IS e successivamente il 'regime' di Bashar Assad. Le dichiarazioni del portavoce del Pentagono ammiraglio John Kirby e del Capo di Stato Maggiore Martin Dempsey sulla duplice finalità di queste forze, sono inequivocabili.
Il progetto per il quale le potenze occidentali stanno spendendo più energie è infatti che l'opposizione 'moderata siriana' formata da USA e Turchia dovrà essere in grado di combattere IS e successivamente il 'regime' di Bashar Assad. Le dichiarazioni del portavoce del Pentagono ammiraglio John Kirby e del Capo di Stato Maggiore Martin Dempsey sulla duplice finalità di queste forze, sono inequivocabili.
E anche se l'impiego dei ribelli moderati mutasse in corso d'opera con sole finalità anti-ISIS, non si può trascurare che l'utilizzo di ribelli 'moderati' è significato sinora il puntuale passaggio 'in toto' di uomini e mezzi ai vari gruppi jihadisti. Inoltre le stesse brigate di 'ribelli moderati' che saranno i primi ad essere addestrati continuano a combattere ad Aleppo le forze governative che devono così distogliere ingenti risorse dalla guerra contro ISIS: è un non senso.
Siamo certi che riconoscerà l'ambiguità di quando sta succedendo. Inoltre Lei sa benissimo che tutte le potenze regionali che hanno aderito a supportare il suddetto training non hanno mai nascosto di fornire basi e mezzi per il training solo a condizione che la nuova forza sia usata contro Assad.
Lei conosce benissimo i sentimenti delle forze regionali: queste forze regionali hanno fatto fuoco e fiamme alla sola ipotesi affacciata dal Segretario di Stato USA Kerry (nel corso di una recente intervista televisiva) di aprire ad Assad per una soluzione pacifica del conflitto..
Siamo certi che riconoscerà l'ambiguità di quando sta succedendo. Inoltre Lei sa benissimo che tutte le potenze regionali che hanno aderito a supportare il suddetto training non hanno mai nascosto di fornire basi e mezzi per il training solo a condizione che la nuova forza sia usata contro Assad.
Lei conosce benissimo i sentimenti delle forze regionali: queste forze regionali hanno fatto fuoco e fiamme alla sola ipotesi affacciata dal Segretario di Stato USA Kerry (nel corso di una recente intervista televisiva) di aprire ad Assad per una soluzione pacifica del conflitto..
Non sfugge che se questi piani 'dominanti' si dovessero realizzare, la prospettiva per la Siria sarebbe quella di veder continuata l'opera di devastazione in corso. Facciamo nostro il giudizio del vescovo di Aleppo Abou Kazen, apparso in una recente intervista di Radio Vaticana: ”La guerra continuerà finché le potenze straniere vorranno alimentarla. Statunitensi e turchi hanno appena dichiarato di avere un piano di sostegno e addestramento dei gruppi ribelli per i prossimi tre anni.
Quindi hanno già messo in programma che la guerra durerà altri tre anni, e la gente qui continuerà a soffrire e a morire per altri tre anni”.
Quindi hanno già messo in programma che la guerra durerà altri tre anni, e la gente qui continuerà a soffrire e a morire per altri tre anni”.
Come Coordinamento Nazionale per la pace in Siria ci associamo al giudizio espresso dalla rete No War Italia e da altri soggetti, circa l'ambiguità occidentale usata nella guerra libica e poi in quella siriana per giustificare una non lungimirante e ingiusta politica estera.
E' avvilente che per nascondere questi interventi armati fatti solo per meri interessi geopolitici, si è usato impropriamente il ricorso alla guerra 'umanitaria' con il solo scopo di bypassare le Costituzioni nazionali e i Trattati internazionali.
E' avvilente che per nascondere questi interventi armati fatti solo per meri interessi geopolitici, si è usato impropriamente il ricorso alla guerra 'umanitaria' con il solo scopo di bypassare le Costituzioni nazionali e i Trattati internazionali.
Si tratta di scelte spregiudicate perché si basano più che sulla giustezza delle decisioni prese su ciniche scelte di campo. L'appartenenza a storiche alleanze di area, le motivazioni geopolitiche ed economiche non possono e non devono prevalere su ogni altra considerazione etica e morale! Inutile dire che aver intrapreso questo percorso espone a pericolose derive. Oggi proprio vicino alle nostre coste mediterranee ne vediamo le nefaste conseguenze.
Le nostre considerazioni sono quelle di migliaia e migliaia di italiani, perciò le chiediamo signor Ministro:
– di voler assumere una posizione autonoma e critica in merito al nuovo addestramento dei 'ribelli moderati' siriani;
– di voler riesaminare insieme al governo la permanenza dell'Italia nel gruppo 'amici della Siria' alla luce degli eventi attuali che mettono in chiara luce la natura settaria del conflitto siriano;
– di voler promuovere l' eliminazione delle sanzioni alla Siria che si accaniscono soprattutto sulla società civile, diventate ingiustificate anche verso il governo siriano che sta combattendo contro gli jihadisti;
– di voler riaprire i rapporti diplomatici con il governo di Damasco in considerazione del fatto che non esiste preclusione ad un negoziato da parte sua, bensì dalla parte antagonista.
La ringraziamo dell'attenzione
Coordinamento per la pace in Siria
domenica 29 marzo 2015
Camminando ancora oggi sulla Via Dolorosa
I quattro anni rubati ai bambini della Siria
AVVENIRE, 27 marzo 2015
di Marco Perini
In quattro anni un neonato si stacca dal seno della mamma, inizia a camminare, parla ed è pronto ad andare a scuola. In quattro anni un bambino ha quasi completato il suo ciclo di scuola primaria, ha imparato tante cose e Peppa Pig inizia ad essere noiosa. In quattro anni un ragazzo forma il suo carattere, gioca tanto con i suoi amici e usa il cellulare meglio dei suoi genitori.
Ma questa è più o meno la vita normale, cioè proprio quella che non hanno vissuto le decine di migliaia di bambini profughi che in questi anni AVSI ha assistito nel sud del Libano.
Loro, scappati dalla guerra in Syria, sono rimasti senza scuola e libri; hanno sofferto nei freddi inverni sotto a una tenda che è diventata casa loro; hanno contratto almeno una malattia della pelle, dovuta al fatto che l’acqua è un lusso sovente troppo caro anche per lavarsi; hanno sofferto della mancanza del papà rimasto a combattere o ucciso; non fanno sogni d’oro, ma piuttosto sono svegliati dagli incubi di un mortaio che scoppia; giocano a calcio senza scarpe perchè quelle che hanno, al posto dei tacchetti, hanno i buchi dell’usato o sono ciabatte in gomma; non programmano il futuro perche’ il presente è sufficientemente difficile da affrontare che non c’è più tempo per pensare al domani, bisogna sopravvivere oggi.
Ormai più di quattro anni son passati da quando qualche ragazzo di Daraa manifesto’ per una Siria più libera e da quando immediatamente i soliti noti presero in possesso le loro giovani speranze trasformando una rondine che non fece mai primavera (araba) in un lungo e mortifero inverno dell’uomo. Oggi i morti si sommano oltre i 200mila e le persone che tecnicamente si definiscono bisognose di assistenza umanitaria sono 12 milioni. Tutto questo solo a causa della guerra in Siria, ma se aggiungiamo l’Iraq e il Kurdistan questo raccapricciante conteggio non può che salire.
Il mondo ha ricordato questo triste compleanno più per la paura dello spietato Stato Islamico che per i bisogni di innocenti in fuga verso una destinazione senza futuro. Ma lo Stato Islamico non è nato dal nulla, senza un dollaro e formato da quattro accattoni: esiste da prima che i riflettori lo inquadrassero ed è stato addestrato e foraggiato anche da chi oggi vorrebbe combatterlo.
Dopodichè contro di loro potremo vincere delle battaglie, ma mai la guerra e la ragione e’ tanto crudele quanto semplice: fino a quando questo nostro sistema continuerà a produrre guerre e miseria, di ragazzi senza futuro sarà pieno il mondo. Neonati sofferenti, bambini analfabeti, ragazzi rifugiati, giovani senza lavoro, padri morti, mamme disperate: un incredibile terreno fertile per chi propone loro una 'guerra santa' per un mondo migliore, tanto uno peggio di quello che stanno vivendo oggi non riescono ad immaginarlo.
Ecco perche’ solo attraverso l’aiuto a queste persone, che da quattro anni sopravvivono in un campo profughi lontane da casa, si può immaginare un futuro diverso dal presente: un bambino che va a scuola, una mamma che lo aspetta con il pranzo fumante o una medicina in caso di malattia e un padre che porta a casa un salario, difficilmente vorranno diventare carne da macello per una “guerra santa”. Ma se manca anche quel minimo di normalità che ognuno di noi cerca, allora continueremo a chiederci senza trovare risposta perchè le periferie del mondo continuano a produrre tanta disperazione.
Monsignor Antoine Audo, presidente di Caritas Syria scrive: “…In questo momento non c’è né sicurezza né lavoro. I ricchi hanno lasciato la Siria e la regione, la classe media è diventata povera e i poveri sono nella miseria”. Il quarto compleanno non è un bel giorno, però ognuno di noi può fare qualcosa perche’ il prossimo sia migliore.
Gregorio III Laham: Il Libano chiude le frontiere e cresce il dramma dei cristiani siriani
Il patriarca melchita racconta ad AsiaNews di “moltissimi” sfollati interni in Siria, un problema “ancor più grande” dei rifugiati oltreconfine. Oggi i varchi restano aperti per i cristiani di Hassakeh, vittime dell’offensiva dello Stato islamico. La guerra "origine di tutti i mali". In Quaresima chiese di Damasco gremite di fedeli che pregano per la pace.
AsiaNews
La decisione del Libano di chiudere le frontiere "ha reso ancor più grave e drammatico" il problema dei rifugiati cristiani. Oltre a quelli che vivono nei campi profughi oltreconfine, adesso vi sono "moltissimi sfollati interni" in Siria ed essi rappresentano "un problema ancora più grande".
È quanto afferma ad AsiaNews il Patriarca melchita Gregorio III Laham, il quale chiede con forza "la fine della guerra" perché "è solo da essa" che derivano tutti i mali non solo della Siria, ma di tutta la regione mediorientale.
Intanto i cristiani siriani e irakeni fuggiti nei mesi scorsi in Libano lanciano un appello per "ulteriori aiuti dalla comunità internazionale": vi è un bisogno crescente di nuove abitazioni per accogliere gli esuli e garantire loro un tetto sotto il quale vivere.
La decisione del Libano di chiudere le frontiere "ha reso ancor più grave e drammatico" il problema dei rifugiati cristiani. Oltre a quelli che vivono nei campi profughi oltreconfine, adesso vi sono "moltissimi sfollati interni" in Siria ed essi rappresentano "un problema ancora più grande".
È quanto afferma ad AsiaNews il Patriarca melchita Gregorio III Laham, il quale chiede con forza "la fine della guerra" perché "è solo da essa" che derivano tutti i mali non solo della Siria, ma di tutta la regione mediorientale.
Intanto i cristiani siriani e irakeni fuggiti nei mesi scorsi in Libano lanciano un appello per "ulteriori aiuti dalla comunità internazionale": vi è un bisogno crescente di nuove abitazioni per accogliere gli esuli e garantire loro un tetto sotto il quale vivere.
Dall'inizio della rivolta contro il presidente Bashar al Assad, nel 2011, oltre 3,2 milioni di persone hanno abbandonato la Siria e altri 7,6 milioni sono sfollati interni. Almeno 200mila le vittime del conflitto, molte delle quali civili per i quali il 2014 è stato l'anno peggiore. Proprio nel contesto del conflitto siriano è emerso per la prima volta, nella primavera del 2013, in tutta la sua violenza e brutalità lo Stato islamico, che ha strappato ampie porzioni di territorio a Damasco e Baghdad.
In questi giorni migliaia di persone hanno affollato due chiese di Beirut, per ricevere scorte alimentari e altri generi di aiuti distribuiti da organizzazioni attiviste internazionali che operano a favore dei rifugiati.
Iman Chamoun, 42enne cristiana originaria di Mosul, in Iraq, prima grande città a cadere nelle mani dei jihadisti, da nove mesi vive nel campo profughi: "Ci hanno preso tutto, casa, libri, persino le porte. Il lavoro di 25 anni - piange - perso in un minuto".
Iman Chamoun, 42enne cristiana originaria di Mosul, in Iraq, prima grande città a cadere nelle mani dei jihadisti, da nove mesi vive nel campo profughi: "Ci hanno preso tutto, casa, libri, persino le porte. Il lavoro di 25 anni - piange - perso in un minuto".
Una donna del villaggio di Tel Nasri, a maggioranza cristiana assira nella provincia nord-orientale di Hassakeh, sottolinea che "vivevamo come re nella nostra terra, i nostri figli potevano andare a scuola. Avevamo tutto, e guardate ora in che condizioni siamo". Accanto a lei due materassi e un cesto di cibo, appena ricevuti. Due settimane fa ha lasciato il villaggio di origine con i figli, mentre il marito è rimasto a guardia della casa.
Nelle ultime settimane il Libano ha chiuso le frontiere con la Siria, perché non è più in grado di accogliere altre ondate di profughi. Resta valido l'ingresso per i cristiani della provincia di Hassakeh, teatro di recente di un'offensiva dello SI che ha sequestrato centinaia di fedeli, molti dei quali tuttora nelle loro mani.
Per i cristiani siriani è "più facile" la scelta del Libano, spiega il patriarca Gregorio III Laham, perché "da lì resta viva la speranza di tornare nelle proprie case, un giorno" e di "non svuotare la regione della presenza cristiana". Ora però Beirut "ha chiuso le frontiere" e "non accetta più nessuno, se non quanti sono fuggiti dai villaggi di Hassakeh", perché "non è più in grado di ricevere altra gente, altri profughi, mancano gli aiuti, mancano le scuole per far studiare i bambini".
Per il patriarca melchita si tratta di un "duplice dramma", perché oggi lo Stato e le organizzazioni internazionali "non bastano più" per rispondere ai bisogni dei profughi e "la portata della tragedia si fa sempre più ampia". Per questo, sottolinea, "sono sì importanti gli aiuti, ma quello che davvero serve è la fine della guerra".
Egli lancia un appello "per la fine dei conflitti" e si rivolge ai governi stranieri "perché la smettano di dare denaro e armi", elementi che favoriscono l'inasprirsi delle tensione e delle violenze. "La guerra, ecco il vero, grande e unico problema - accusa - per questo preghiamo per la fine degli scontri".
Egli lancia un appello "per la fine dei conflitti" e si rivolge ai governi stranieri "perché la smettano di dare denaro e armi", elementi che favoriscono l'inasprirsi delle tensione e delle violenze. "La guerra, ecco il vero, grande e unico problema - accusa - per questo preghiamo per la fine degli scontri".
In questi giorni di Quaresima, conclude il patriarca, le chiese di Damasco "sono gremite di fedeli" che chiedono la pace, "che pregano con rinnovato vigore per un futuro di pace" in Siria e in tutto il Medio oriente.
martedì 24 marzo 2015
'Ad Aleppo continua la Via Crucis con la scoperta, ogni santo giorno, di nuove Stazioni della sofferenza' : da fra Ibrahim
23 marzo: 13 morti e 35 feriti per i lanci dei 'cannoni dell'inferno' dei ribelli sui quartieri civili di Aleppo al Jamiliyeh e Baron Street |
Aleppo, 5 marzo 2015
Aleppo: “città devastata”
Per descrivere la realtà
di Aleppo, non ci sono parole sufficienti. L’intelletto con tutto
il suo talento creativo in composizioni concettuali si trova
impotente. La mano che scrive ha una grande esitazione e non va più
avanti e la penna si blocca con riverenza, davanti al mistero della
Crocifissione dell’umanità, umanità creata dal “Principio
d’amore” a Sua “immagine e somiglianza” con tanta cura e
creatività. Aleppo è una città devastata, colpita profondamente!
Un sacerdote, facendo
confronto fra quello che è successo durante la guerra civile in
Libano e ciò che sta accadendo in Siria oggi, mi ha detto: “È
vero che in Libano eravamo sotto tiro, eravamo in piena guerra porta
a porta, ma continuavamo a lavorare: c’era lavoro. Il problema con
la guerra siriana, in special modo ad Aleppo, è che la gente ha
perso il lavoro. La prima devastazione ha comportato la distruzione
delle risorse di base e delle industrie”.
Assistiamo ad una
catastrofe del sistema economico, a un crollo dell’intera società,
di un popolo e di una cultura. In mezzo a tutto questo disastro noi,
come Chiesa, cerchiamo di essere quella rete di relazioni che
impedisce all’uomo di crollare.
Mentre Damasco è stata
colpita duramente con la mancanza di elettricità, con il caro vita e
con i bombardamenti sulle abitazioni, Aleppo è stata colpita più
duramente, con l’aggiunta della mancanza d’acqua, di viveri e,
soprattutto, di lavoro.
Nonostante tutto ciò, io
vedo che le famiglie e le singole persone, almeno la maggior parte di
loro, riescono ancora a reggersi in piedi. I cuori non si sono ancora
indeboliti al punto da perdersi d’animo. C’è una forte
resistenza di tipo passivo che attinge la sua vera forza nella
preghiera, nella fede retta e nella speranza certa. E questo accade
sotto i colpi durissimi che essi ricevono ogni giorno, con la morte
di bambini e di giovani, con l’emorragia dell’emigrazione dei
giovani maschi e con lo stillicidio della perdita del lavoro.
Quello che m’incoraggia
ad andare avanti nella mia missione quotidiana, nonostante tutti i
segnali di morte che vedo quotidianamente, sono quelle parole che
Gesù ha pronunciato sulla figlia di Jairo: “non è morta, ma è
solo addormentata”.
“C’è ancora Speranza”: questa frase è diventata, ad Aleppo, la professione di fede del Parroco di Aleppo, dei suoi parrocchiani, di tutti i cristiani. Questa è la frase che dimora nei nostri cuori e che è sulle nostre labbra, quella che pronunciamo instancabilmente al posto delle diverse e antiche professioni di fede dei primi cristiani: “Gesù è Signore” oppure “Maranatha (Vieni Signore Gesù)”.
Ultimamente nella Liturgia
eucaristica, vi era il racconto di S. Marco della missione pubblica
di Gesù. Egli percorreva le strade delle città predicando il
Vangelo, scacciando i demòni
e guarendo la gente da ogni sorta di malattia. Pensando alla mia
missione ad Aleppo con tutte le dure realtà di cui vi ho già
parlato, in special modo con i casi difficili che quotidianamente
affronto nell’accoglienza in parrocchia, veramente mi scopro, come
persona credente e come sacerdote, a continuare la missione pubblica
di Gesù. E non solo con gli interventi miracolosi di guarigione
dalle malattie del corpo, quelle psicologiche e spirituali,
attraverso la Parola e i Sacramenti, ma anche con i piccoli gesti
concreti di carità che faccio ogni giorno. Come ci ha detto Papa
Francesco nel suo recente “Messaggio per la
Quaresima”, la Chiesa è “la mano di
Dio”, una mano che guarisce.
E io mi sento parte di
questa tenera mano, che sfiora le ferite molto profonde dell’umanità
curandole, di quell’umanità devastata che è qui in Aleppo e che
nient’altro è che il Suo Corpo violentato incessantemente. Io sono
sinceramente fiero di essere parte e strumento della Sua tenerezza,
presenza amorevole del buon Pastore. Sperimento ogni giorno quella
“forza di guarigione” che è presente nella Parola di Dio e nei
sacramenti, in modo speciale nella santissima Eucaristia e nel
sacramento della Riconciliazione. Sono sempre più consapevole di
come questa mano “ricca di tenerezza” non possa fermarsi ad
ammaestrare richiamando alla santità; occorre anche che
concretamente accada quello che era proprio del “tocco di Gesù”:
quella pienezza di compassione che arriva a toccare il lebbroso
prima di guarirlo (Mc 1, 39).
Visite nella zona di Middàn
Il nome di Middàn
significa in arabo il campo. Da quando è
iniziato il “caos” ad Aleppo, Middàn è diventato seriamente un
campo non di fiori, ma un campo di battaglia, un campo dove si muore
con estrema facilità. In questa zona popolare abitano tante famiglie
cristiane di origine armena, numerose di figli. I negozi sono
prossimi alle loro abitazioni vicinissime l’una all’altra; le
case sono piccole e gli edifici alti, di cinque o sei piani.
Questa zona di Middàn ha
subìto e continua a subire la sorte peggiore. Le famiglie, in
maggioranza poverissime, non ce la fanno ad abbandonare le case
poiché non hanno altro luogo in cui rifugiarsi. Se ne stanno
rintanati nelle loro case a distanza di solo 100 metri dalle milizie
armate, che continuamente lanciano i loro “regali di morte”:
bombole di gas, mortai e missili.
Si odono insistenti i
rumori delle sparatorie e le strade non sono agibili se non correndo
e a rischio della vita per la presenza dei cecchini che si divertono
a puntare e ammazzare uomini e donne disarmati, costretti a uscire
dalle case in cerca di lavoro o per comprare qualcosa da mangiare.
Due famiglie le cui case
sono state visitate da quei “regali di morte” e che, nonostante
ciò, continuano ad abitare in quelle case notevolmente danneggiate,
mi hanno chiesto un aiuto per ripararle, anche se parzialmente. Dopo
uno studio accurato, li ho incoraggiati a cominciare a fare delle
riparazioni seppur limitate, in modo da poter continuare a viverci
dignitosamente, nonostante il reale pericolo di venir bombardati di
nuovo…
Bassam, il marito della
prima famiglia, mi ferma alcuni passi prima dell’edificio per
spiegarmi come e dove è caduta la bombola di gas che ha distrutto il
suo balcone, tutte le finestre e le porte della casa e, fissando lo
sguardo su di me, mi dice: “Padre, è una grande gioia che tu venga
a casa nostra in questo momento di grande pericolo. Io e mia moglie
siamo senza parole dalla gioia di ricevere la benedizione della casa,
questo nonostante i molti impegni che tu hai. Il valore di questo
gesto è che, visitando la nostra casa, tu ci porti la benedizione
dal Signore”.
All’uscita dell’edificio
egli mi mostra la strada dove sono morte 18 persone a causa di un
cecchino delle milizie armate che sparava sulla gente inerme,
disarmata. Quando siamo entrati ho benedetto con l’acqua santa la
casa, abbiamo pregato di fronte a una piccola icona della Madonna,
dove egli prega solitamente con sua moglie. Abbiamo controllato parte
dei lavori già terminati e poi siamo scesi di nuovo. Nel timore per
la mia vita per via dei cecchini, egli, che sa come muoversi, mi
accompagna alla seconda casa; però lui non entra, per rispetto
dell’intimità delle persone che vi abitano.
La seconda casa è quella
di una coppia, marito e moglie. Lui lavorava come autista, ma poi ha
perso il lavoro e ora a mala pena trova qualcosa da fare. Sua moglie
è casalinga. Entro da loro e vedo che la casa è composta di una
stanza da letto, una cucina e una stanzetta piccolissima dove possono
sedersi strette strette quattro persone. È proprio questa stanza che
è stata colpita da un “regalo di morte” mentre loro due erano in
casa.
L’esito dell’esplosione
è stato il tetto forato, la distruzione di una parete e tutto
l’arredamento poverissimo andato perduto nell’incendio. Da quel
momento la moglie ha sofferto ripetutamente di collassi nervosi e il
marito era molto preoccupato ma, nonostante tutto questo, il sorriso
non ha mai lasciato il suo volto. Dopo aver pregato con loro, li ho
benedetti con quel che rimane della casa e ho ispezionato i lavori di
ricostruzione già cominciati.
Il tetto è stato coperto
con una “lastra di zinco” che ha sostituito i precedenti mattoni,
ma ancora ha da essere cementata. La scelta di non costruire con i
mattoni è stata loro, per via del pericolo quotidiano di subire
nuovi crolli. È stata rifatta una finestra e sono arrivate alcune
sedie, prestate da famigliari.
Il terzo caso che vi
racconto è quello di una signora, madre di cinque figli, che si
presenta informandomi che il marito è stato ricoverato d’urgenza
all’ospedale perché soffre di “cirrosi virale del fegato”.
Egli ultimamente non lavorava più e lei è casalinga e tutti e
cinque i figli sono troppo piccoli per lavorare. Come fare a pagare
l’ospedale, le ricette mediche e il farmaco, molto caro, necessario
per curare la malattia del marito? Come Parrocchia abbiamo contattato
la clinica dove Mosés (questo il nome del marito) è stato
ricoverato e abbiamo promesso di coprire tutte le spese di ricovero
e per i medicinali. Dopo le dimissioni dalla clinica, Mosés è
ritornato a casa stanco e senza forza. Ora, egli necessita di un
nuovo trattamento medico e di nuove cure e per questo deve
raggiungere la città di Homs oppure Damasco. Per i viaggi, i
ricoveri e la lunga lista di medicinali che sta prendendo e che deve
continuare a prendere… si accumulano le fatture!
Ho
trovato l’intera famiglia riunita in una stanza: i figli tutti
insieme raccolti come pulcini attorno alla madre e al padre senza
fiato. Mi hanno raccontato della loro esperienza con la Provvidenza
divina che non è mai mancata, della speranza che tutto questo
finisca presto e che la figlia più grande, studentessa
universitaria, si possa finalmente laureare aiutando con il suo
lavoro l’intera famiglia. Abbiamo poi pregato tutti insieme, quindi
ho benedetto loro e la casa, assicurando che la mano tenera di Dio,
che è la Chiesa loro madre, sarà sempre presente accanto a loro,
non esitando ad aiutarli spiritualmente e anche nel bisogno concreto.
Sulla via del ritorno alla
Parrocchia, mentre riflettevo sull’esperienza e sul dono di questi
“incontri”, ho capito di aver percorso una Via
Crucis vera e propria. Sono infatti, entrato
profondamente nel Mistero della sofferenza di Gesù, della sua Morte
e della sua Risurrezione: in modo unico, speciale. Mi pareva, mentre
mi incamminavo tra una casa e l’altra, in quella zona colpita così
duramente, di percorrere con i miei Confratelli le Stazioni (della
Via Crucis) nella vecchia città di Gerusalemme. Spero che il Signore
mi dia la forza di non smettere mai di vivere quotidianamente questa
“Via Crucis” reale
per poter essere segno efficace del Suo tenero amore alle membra più
sofferenti del Suo Corpo, che è qua ad Aleppo.
Vi ho testimoniato solo
tre Stazioni, ma ve ne sono tante altre che vivo ogni giorno...
Sembra veramente che il “cuore” della mia missione ad Aleppo sia
proprio questa continua Via Crucis con
la scoperta, ogni santo giorno, di nuove Stazioni della sofferenza…
all’infinito.
La Mano tenera di Dio
Valeva la pena di visitare
le case semi-distrutte con gli uomini, le donne, i ragazzi e i
bambini che le abitano? E incontrare quell’uomo ammalato con la
sua famiglia? Non potevo pensare ad un aiuto “da lontano”, senza
sottopormi al rischio di un incontro improvviso con “sorella
morte”?
Questa è una bella
domanda che io come Parroco ho continuato a pormi fino a quando il
buon Pastore stesso ha mi dato la risposta, con un’altra domanda
che spiega tutto: “Valeva la pena di toccare il lebbroso, prima di
guarirlo? Non si poteva cioè guarirlo senza toccarlo?”.
Se si tratta di
manifestare la tenerezza di Dio che distrugge tutte le divisioni e le
barriere fra l’uomo e il suo Dio, se si tratta di manifestare il
Suo Amore verso la Sua creatura colpita e martoriata, questo gesto
del toccare è il gesto ESSENZIALE della “liturgia divina della
guarigione”.
È il mio piccolo gesto
della visita alle persone sofferenti nelle loro case, a rischio della
mia vita stessa, è questo gesto di starci, di esserci fisicamente,
che ha degli effetti quotidiani di “guarigione” nella vita delle
famiglie.
La visita a queste case di
Midàn, è il gesto più bello e più vero per testimoniare come
anche oggi Gesù non si vergogna di toccare la lebbra, pur di
manifestare quanto Lui è presente. Non c’è cosa più vera e
concreta di quel tocco di Gesù al lebbroso (la conversione di
Francesco comincia con l’incontro e il bacio dell’Amore al
lebbroso!), quel tenero tocco della Chiesa che aiuta a riparare
materialmente la casa danneggiata dalla bomba o quel tocco della
Chiesa che aiuta a guarire un padre di famiglia, altrimenti
condannato da una malattia che non perdona.
Questo gesto concreto vale
più di tantissime parole poiché ha la forza di guarire, anzi, di
risuscitare dalla morte!
Al gesto del “tocco”
al lebbroso se ne aggiunge un altro che manifesta l’immensa
tenerezza di Dio.
È il dono compassionevole
del cibo offerto da Gesù alla folla affamata, attraverso il miracolo
della moltiplicazione dei pani e dei pesci (Mc
6, 34-44).
Quanta letizia ho
sperimentato, dopo questa giornata faticosissima, ma ricolma di segni
di tenerezza e di compassione, appoggiando il capo sul cuscino prima
di addormentarmi in pace, consapevole di essere stato il tramite
affinché la missione pubblica di Gesù abbia a continuare qui e ora:
manifestando Egli stesso la tenerezza del Padre nei confronti dei
suoi figli!
“Quanta più gioia
c’è nel dare che nel ricevere!” (At
20,35)
fr. Ibrahim
E-Mail: francescovai@hotmail.com; francescovai22@gmail.com
sabato 21 marzo 2015
Per salvare le generazioni future
Nord Iraq - Father Douglas
"Non è solamente tempo per il perdono
non è tempo per le parole.
E' il tempo per lavorare.
Devo al mio Signore il non chiudere questa opportunità.
Una volta è esplosa la mia chiesa,
una volta l'attacco fu durante la messa con razzi.
Un giorno mi hanno sparato nella gamba, le pallottole sono ancora nella mia gamba sinistra.
E sono stato sequestrato per nove giorni
mi hanno quasi spezzato i denti, il naso
e tutto questo lo hanno fatto in nome di Allah.
Devo perdonarli.
Non perché sia obbligato a farlo, perché sia un ordine...
ma dobbiamo perdonare
per lasciare che la Grazia si trasmetta
di generazione in generazione.
Non farlo, significa dolore e odio,
dove chiudiamo la strada alla grazia di Dio.
Allora, continuare in questo Paese
come cristiano
continuiamo come sale e luce...
Non importa ciò che succeda a me o alla gente della mia generazione
però dobbiamo aver cura dei bambini,
essi sono il futuro.
Se non abbiamo cura dei nostri bambini adesso
la futura generazione di ISIS
non sarà dalla nostra parte."
APPROFONDIMENTI:
1- ISIS IN ITALIA. Gli studenti di terza media: " Se arriva ci convertiamo subito"
http://www.ilsussidiario.net/News/Cronaca/2015/3/16/ISIS-IN-ITALIA-Gli-studenti-di-terza-media-Se-arriva-ci-convertiamo-subito-/591126/
2- SE ARRIVA L'ISIS: Test choc in una classe: il 90% dei nostri ragazzi pronta a cedere ai prepotenti
http://www.ilgiornale.it/news/politica/se-arriva-lisis-23-studenti-su-25-si-convertono-1106371.html?mobile_detect=false
giovedì 19 marzo 2015
Patriarca Gregorios: "Se si vuole veramente porre fine alla tragedia del popolo siriano, c'è un solo modo..."
Il Patriarca Gregoire III: è da sconsiderati invocare interventi militari esterni per difendere i cristiani in Medio Oriente
Agenzia Fides, 18/3/2015
“E' da sconsiderati parlare di interventi militari condotti dall'esterno per difendere i cristiani della Siria e del Medio Oriente. Siamo un Paese sovrano, con un governo legittimo, a cui spetta il compito di tutelare i suoi cittadini. Se davvero si vuole mettere fine alla tragedia del popolo siriano, c'è una sola strada: basta guerre, basta armi, soldi e stratagemmi usati per attaccare la Siria”.
Così il Patriarca di Antiochia dei greco-melchiti, S.B. Grégoire III, conversando con l'Agenzia Fides, respinge senza appello l'idea – prospettata in maniera ricorrente nel dibattito mediatico – che le sofferenze inflitte alle comunità cristiane e ad altre componenti delle popolazioni mediorientali da parte dei jihadisti vengano evocate per giustificare un intervento militare sotto egida internazionale.
Così il Patriarca di Antiochia dei greco-melchiti, S.B. Grégoire III, conversando con l'Agenzia Fides, respinge senza appello l'idea – prospettata in maniera ricorrente nel dibattito mediatico – che le sofferenze inflitte alle comunità cristiane e ad altre componenti delle popolazioni mediorientali da parte dei jihadisti vengano evocate per giustificare un intervento militare sotto egida internazionale.
Il Primate della Chiesa cattolica orientale con più fedeli in Siria ha presieduto lunedì 16 marzo un'affollata Veglia di preghiera per la pace nella Cattedrale dell'Assunzione di Maria, a Damasco, a cui hanno preso parte rappresentanti e delegazioni di tutte le comunità cattoliche e ortodosse damascene. “Abbiamo condiviso canti e preghiere di penitenza e di pace” riferisce il Patriarca, “mostrando a tutti, anche in questo modo, che i cristiani sono i veri promotori della pace in Siria”. A giudizio di S. B. Grégoire III, la via per favorire la pace che la Chiesa deve indicare costantemente “a tutti gli uomini di buona volontà” è quella della preghiera e del sostegno offerto a tutto ciò che può contribuire a interrompere il flusso di armi che insanguinano il Medio Oriente.
“Il 7 settembre del 2013” ricorda il Patriarca melchita “Papa Francesco chiamò il mondo alla grande preghiera per la pace, e le navi di guerra che erano già partite fecero marcia indietro. Nei giorni scorsi, mentre noi eravamo in preghiera, si sono diffuse le notizie che Paesi occidentali riaprono alle trattative con Assad. Questa adesso è la via realista da seguire, se davvero si vuole la pace. I gruppi che terrorizzano il nostro popolo non avrebbero avuto tanta forza senza gli aiuti e le armi arrivati loro da altre nazioni e gruppi di potere.
Per questo – prosegue il Patriarca Grégoire - faccio appello a Papa Francesco e a tutte le Chiese e le comunità cristiane, affinché i due miliardi di cristiani di tutto il mondo, parlando con una sola voce, si facciano promotori di una road map concreta e realista per chiedere a tutte le forze in campo di mettere da parte i propri calcoli di potere e tutte le cause che alimentano la guerra. Solo così le sofferenze del nostro popolo potranno avere fine”.
I Vescovi cattolici si incontrano a Homs, dove presto torneranno a suonare le campane
Agenzia Fides, 18/3/2015
Nella giornata di martedì 17 marzo i Vescovi cattolici della Siria si sono incontrati nella città di Homs, in occasione della periodica assemblea che li vede riuniti due volte l'anno allo scopo di riflettere insieme sull'opera pastorale e caritativa condotta dalle singole diocesi e eparchie, in un Paese entrato nel quinto anno di conflitto.
All'incontro, oltre al Patriarca greco-melchita Grégoire III, al Patriarca siro cattolico Ignace Youssif III e a quattordici Vescovi appartenenti a diverse Chiese cattoliche sui iuris, ha preso parte anche il Nunzio apostolico S.E. Mons. Mario Zenari. In questa occasione, la vicinanza del Papa e della Chiesa di Roma ai fratelli Vescovi siriani è stata testimoniata anche dalla presenza dell'Arcivescovo Cyril Vasil' SJ, Segretario della Congregazione per le Chiese orientali, e di mons. Massimo Cappabianca OP, officiale del medesimo dicastero vaticano.
Gli interventi pronunciati dai Vescovi presenti hanno fatto emergere le sofferenze e le ferite che marcano la vita ordinaria di tutte le comunità cattoliche siriane, ma hanno anche reso testimonianza del miracolo della carità che fiorisce nella rete delle diocesi e delle parrocchie, a vantaggio di tutto il popolo siriano.
“La Chiesa di Siria - dichiara all'Agenzia Fides il Patriarca Grégoire III - è davvero gloriosa: nonostante tanto dolore e sofferenza, grazie anche al sostegno dei nostri fratelli in tutto il mondo, siamo riusciti a soccorrere direttamente più di 300mila siriani, soprattutto attraverso la Caritas, sostenendo progetti emergenziali per almeno 5 milioni di dollari”.
Durante l'incontro, il Vescovo caldeo di Aleppo Antoine Audo SJ è stato confermato alla guida di Caritas Syria, e tutti hanno avuto parole di apprezzamento per la dedizione e l'efficacia con cui ha finora assolto il suo compito per far fronte alle emergenze umanitarie che fanno soffrire milioni di siriani.
La scelta di tenere ad Homs l'incontro dei Vescovi cattolici ha assunto un evidente valore simbolico: “Aleppo è da anni sotto assedio - sottolinea il Patriarca Grégoire III - ma Homs forse è la città che è stata più martoriata. Per questo, da quando lì è terminato il conflitto, i capi delle Chiese cristiane di Siria l'hanno visitata tante volte. Vogliamo manifestare una particolare cura per quella gente ferita e accompagnare il loro desiderio di ricominciare. Ho saputo che forse presto arriveranno le nuove campane, dopo che quelle che c'erano prima del conflitto sono state rubate.
Noi proviamo pena nel vedere il dolore del popolo - conclude il Patriarca - e vediamo che tanti vanno via, perchè non ne possono più della paura e delle sofferenze. Ma siamo anche fieri dei nostri preti, dei religiosi e delle religiose, che sono tutti rimasti al loro posto, per camminare insieme con il popolo nella fede in Gesù, anche in questo tempo così difficile”.
Nella giornata di martedì 17 marzo i Vescovi cattolici della Siria si sono incontrati nella città di Homs, in occasione della periodica assemblea che li vede riuniti due volte l'anno allo scopo di riflettere insieme sull'opera pastorale e caritativa condotta dalle singole diocesi e eparchie, in un Paese entrato nel quinto anno di conflitto.
All'incontro, oltre al Patriarca greco-melchita Grégoire III, al Patriarca siro cattolico Ignace Youssif III e a quattordici Vescovi appartenenti a diverse Chiese cattoliche sui iuris, ha preso parte anche il Nunzio apostolico S.E. Mons. Mario Zenari. In questa occasione, la vicinanza del Papa e della Chiesa di Roma ai fratelli Vescovi siriani è stata testimoniata anche dalla presenza dell'Arcivescovo Cyril Vasil' SJ, Segretario della Congregazione per le Chiese orientali, e di mons. Massimo Cappabianca OP, officiale del medesimo dicastero vaticano.
Gli interventi pronunciati dai Vescovi presenti hanno fatto emergere le sofferenze e le ferite che marcano la vita ordinaria di tutte le comunità cattoliche siriane, ma hanno anche reso testimonianza del miracolo della carità che fiorisce nella rete delle diocesi e delle parrocchie, a vantaggio di tutto il popolo siriano.
“La Chiesa di Siria - dichiara all'Agenzia Fides il Patriarca Grégoire III - è davvero gloriosa: nonostante tanto dolore e sofferenza, grazie anche al sostegno dei nostri fratelli in tutto il mondo, siamo riusciti a soccorrere direttamente più di 300mila siriani, soprattutto attraverso la Caritas, sostenendo progetti emergenziali per almeno 5 milioni di dollari”.
Durante l'incontro, il Vescovo caldeo di Aleppo Antoine Audo SJ è stato confermato alla guida di Caritas Syria, e tutti hanno avuto parole di apprezzamento per la dedizione e l'efficacia con cui ha finora assolto il suo compito per far fronte alle emergenze umanitarie che fanno soffrire milioni di siriani.
La scelta di tenere ad Homs l'incontro dei Vescovi cattolici ha assunto un evidente valore simbolico: “Aleppo è da anni sotto assedio - sottolinea il Patriarca Grégoire III - ma Homs forse è la città che è stata più martoriata. Per questo, da quando lì è terminato il conflitto, i capi delle Chiese cristiane di Siria l'hanno visitata tante volte. Vogliamo manifestare una particolare cura per quella gente ferita e accompagnare il loro desiderio di ricominciare. Ho saputo che forse presto arriveranno le nuove campane, dopo che quelle che c'erano prima del conflitto sono state rubate.
Noi proviamo pena nel vedere il dolore del popolo - conclude il Patriarca - e vediamo che tanti vanno via, perchè non ne possono più della paura e delle sofferenze. Ma siamo anche fieri dei nostri preti, dei religiosi e delle religiose, che sono tutti rimasti al loro posto, per camminare insieme con il popolo nella fede in Gesù, anche in questo tempo così difficile”.
martedì 17 marzo 2015
Gli Usa “aprono” alle trattative con Assad. L'Arcivescovo Hindo: scelta obbligata, no a condizioni-capestro
Hassakè – La disponibilità dell'Amministrazione Usa a trattare con il regime siriano di Bashar al Assad è una “opzione che si doveva imboccare già da tempo” e a questo punto rappresenta “una scelta obbligata, se davvero si vuole cercare una via d'uscita da questa tragedia iniziata quattro anni fa”. Così l'Arcivescovo Jacques Behnan Hindo, a capo dell'arcieparchia siro-cattolica di Hassakè-Nisibi, commenta con l'Agenzia Fides le dichiarazioni rilasciate dal Segretario di Stato Usa, John Kerry, il quale in un'intervista televisiva ha ammesso che gli Usa “alla fine” dovranno negoziare con Bashar al Assad per porre fine al conflitto in Siria entrato nel quinto anno. Secondo l'Arcivescovo siro-cattolico, tutto potrà dipendere dal modo con cui verrà prospettata la via negoziale da parte degli Usa e degli altri attori geopolitici.
“Prima di tutto - sottolinea Mons. Hindo - una proposta concreta di negoziato deve essere posta sul tavolo in tempi brevi. In caso contrario, vorrà dire che si sta prendendo solo tempo, credendo così di favorire l'ulteriore indebolimento dell'esercito siriano, che in realtà sta guadagnando terreno su tutti i vari fronti”.
Inoltre, a giudizio dell'Arcivescovo Hindo, eventuali trattative potranno partire “solo se si eviterà di porre pre-condizioni stupide e provocatorie all'interlocutore. In questo senso - aggiunge Mons. Hindo - non mi tranquillizzano le voci che prefigurano offensive militari nelle aree di conflitto autorizzate a non tenere in nessun conto i confini tra Stati sovrani. Non mi sembra un modo corretto di iniziare. Chi vuole il bene del popolo siriano e di quello iracheno, non può continuare a approfittare delle crisi per perseguire propri interessi geopolitici. E deve farla finita anche di accreditare l'esistenza di fantomatici 'ribelli moderati' . Perchè col passare del tempo tutte le fazioni armate contro Assad si sono omologate all'ideologia jihadista”.
http://www.fides.org/it/news/57216-ASIA_SIRIA_Gli_Usa_aprono_alle_trattative_con_Assad_L_Arcivescovo_Hindo_scelta_obbligata_no_a_condizioni_capestro#.VQcGHo6G92V
foto diffuse dagli jihadisti sulla distruzione delle statue , icone, pietre tombali e croci dalle chiese in Iraq |
Basta frottole
di Fulvio Scaglione
Avvenire, 24 settembre 2014
Dietro il fumo e la polvere delle bombe che aerei e navi Usa hanno scaricato ieri sulle zone della Siria controllate dall’Is, e sulla città di Raqqa che i seguaci del califfato considerano la propria "capitale", rischia di passare inosservata una svolta politica in potenza ancor più decisiva dell’intervento militare. Possiamo sintetizzarla così: Obama bombarda la Siria, ma non Assad. O anche: gli sciiti sono un po’ meno cattivi di prima. In tutto il Medio Oriente, cioè, la Casa Bianca sta mettendo la sordina alla parola d’ordine che per decenni ha sostenuto con intransigente fermezza: stare con i sunniti, e in particolare con i regni petroliferi del Golfo Persico, a tutti i costi. Senza se e senza ma.
Obama fa di necessità virtù. Il virus dell’Is va neutralizzato subito: rischia di infettare alleati fedeli come Giordania e Arabia Saudita, creare guai a Israele, spaccare in due l’Iraq. È l’emergenza, ora, a dettare le regole. Così gli Usa trovano un modo complicato, ma efficace (una comunicazione alla rappresentanza siriana all’Onu) per avvertire Assad dei raid senza riconoscergli alcun ruolo: segno che anche Washington, pur disprezzandolo, considera il dittatore siriano e sciita-alawita l’unico ostacolo al dilagare sul terreno dei terroristi sunniti.
Inoltre l’Iran, già "Stato canaglia", è ora un prezioso sostegno alla resistenza dei curdi, a loro volta stretti alleati degli Usa. Del Libano degli hezbollah sciiti, amici degli ayatollah e alleati di Assad, non si parla più. E persino nello Yemen, i guerriglieri sciiti, che così spesso Obama fece bombardare dai suoi droni, ora siedono nella capitale e trattano con il presidente Abdrabbuh Hadi (sunnita, anzi wahhabita tendenza Arabia Saudita), "inventato" in quel ruolo dagli Usa nel 2012.
C’è un’ulteriore considerazione. George Bush fece i suoi clamorosi errori, ma anche Obama non ha scherzato. Sposare la causa sunnita in modo tanto acritico è costato caro a lui e carissimo a tanti civili innocenti. Nello Yemen, dove gli Usa hanno gestito la guerra agli sciiti e il cambio di regime, si nasconde la cellula di al-Qaeda più feroce e pericolosa del mondo. La briglia troppo sciolta lasciata ad Arabia Saudita e Qatar, oltre a ciclopiche brutte figure (Obama sponsor della democrazia che "benedice" la sanguinosa repressione saudita in Bahrein…), ha contribuito a far crescere l’Is, nei suoi passi iniziali finanziata proprio dai signori del Golfo.
Ancora: in Egitto ha dovuto pensarci Abdel Fattah al-Sisi, con i modi più che spicci del militare, a bloccare i Fratelli Musulmani e la slavina che poteva travolgere il Sinai. In Libia i wahhabiti della Tripolitania, come al solito finanziati dall’Arabia Saudita, sono riusciti a spaccare il Paese in due. Per non parlare dell’Iraq, dove il terrorismo sunnita ha fatto strage per un decennio. Conclusione: Barack Obama, premio Nobel per la pace 2009, con queste incursioni in Siria è arrivato al settimo Paese a maggioranza islamica (Pakistan, Afghanistan, Yemen, Somalia, Libia, Iraq e appunto Siria) bombardato.
Basterebbe molto meno per dedurre che qualcosa non funziona. L’attuale correzione di rotta, quindi, va seguita con attenzione. Può essere solo tattica, ed esaurirsi una volta finita l’emergenza Is. Ma può avere anche un valore strategico e metter fine, o almeno limitare, il "doppio standard" che tanti danni e lutti ha portato al Medio Oriente. Quella bizzarra filosofia politica per cui il dittatore amico mio va coccolato mentre quello amico di altri abbattuto; l’estremismo dei miei amici difeso e quello altrui combattuto; e la democrazia è un valore in casa dei nemici, mentre per gli alleati è un optional. Gli sprovveduti chiamano questo realismo, mentre è irreale credere che i popoli coinvolti non si rendano conto della truffa.
Se così fosse, si andrebbe incontro anche all’appello di papa Francesco che, di ritorno dalla Corea, disse: «Dove c’è un’aggressione ingiusta, è lecito fermare l’aggressore... Sottolineo il verbo: fermare. Non dico bombardare, fare la guerra: fermarlo». Perché poi la pace, quella fatta per durare e per cambiare le cose, va costruita con ben altri mezzi. E senza raccontare o raccontarsi disastrose frottole. Perché, come disse di seguito il Papa, «… dobbiamo avere memoria, pure, eh? Quante volte sotto questa scusa di fermare l’aggressore ingiusto, le potenze si sono impadronite dei popoli e hanno fatto una guerra di conquista!». E i popoli, forse più di noi, hanno la memoria lunga.
Obama fa di necessità virtù. Il virus dell’Is va neutralizzato subito: rischia di infettare alleati fedeli come Giordania e Arabia Saudita, creare guai a Israele, spaccare in due l’Iraq. È l’emergenza, ora, a dettare le regole. Così gli Usa trovano un modo complicato, ma efficace (una comunicazione alla rappresentanza siriana all’Onu) per avvertire Assad dei raid senza riconoscergli alcun ruolo: segno che anche Washington, pur disprezzandolo, considera il dittatore siriano e sciita-alawita l’unico ostacolo al dilagare sul terreno dei terroristi sunniti.
Inoltre l’Iran, già "Stato canaglia", è ora un prezioso sostegno alla resistenza dei curdi, a loro volta stretti alleati degli Usa. Del Libano degli hezbollah sciiti, amici degli ayatollah e alleati di Assad, non si parla più. E persino nello Yemen, i guerriglieri sciiti, che così spesso Obama fece bombardare dai suoi droni, ora siedono nella capitale e trattano con il presidente Abdrabbuh Hadi (sunnita, anzi wahhabita tendenza Arabia Saudita), "inventato" in quel ruolo dagli Usa nel 2012.
C’è un’ulteriore considerazione. George Bush fece i suoi clamorosi errori, ma anche Obama non ha scherzato. Sposare la causa sunnita in modo tanto acritico è costato caro a lui e carissimo a tanti civili innocenti. Nello Yemen, dove gli Usa hanno gestito la guerra agli sciiti e il cambio di regime, si nasconde la cellula di al-Qaeda più feroce e pericolosa del mondo. La briglia troppo sciolta lasciata ad Arabia Saudita e Qatar, oltre a ciclopiche brutte figure (Obama sponsor della democrazia che "benedice" la sanguinosa repressione saudita in Bahrein…), ha contribuito a far crescere l’Is, nei suoi passi iniziali finanziata proprio dai signori del Golfo.
Ancora: in Egitto ha dovuto pensarci Abdel Fattah al-Sisi, con i modi più che spicci del militare, a bloccare i Fratelli Musulmani e la slavina che poteva travolgere il Sinai. In Libia i wahhabiti della Tripolitania, come al solito finanziati dall’Arabia Saudita, sono riusciti a spaccare il Paese in due. Per non parlare dell’Iraq, dove il terrorismo sunnita ha fatto strage per un decennio. Conclusione: Barack Obama, premio Nobel per la pace 2009, con queste incursioni in Siria è arrivato al settimo Paese a maggioranza islamica (Pakistan, Afghanistan, Yemen, Somalia, Libia, Iraq e appunto Siria) bombardato.
Basterebbe molto meno per dedurre che qualcosa non funziona. L’attuale correzione di rotta, quindi, va seguita con attenzione. Può essere solo tattica, ed esaurirsi una volta finita l’emergenza Is. Ma può avere anche un valore strategico e metter fine, o almeno limitare, il "doppio standard" che tanti danni e lutti ha portato al Medio Oriente. Quella bizzarra filosofia politica per cui il dittatore amico mio va coccolato mentre quello amico di altri abbattuto; l’estremismo dei miei amici difeso e quello altrui combattuto; e la democrazia è un valore in casa dei nemici, mentre per gli alleati è un optional. Gli sprovveduti chiamano questo realismo, mentre è irreale credere che i popoli coinvolti non si rendano conto della truffa.
Se così fosse, si andrebbe incontro anche all’appello di papa Francesco che, di ritorno dalla Corea, disse: «Dove c’è un’aggressione ingiusta, è lecito fermare l’aggressore... Sottolineo il verbo: fermare. Non dico bombardare, fare la guerra: fermarlo». Perché poi la pace, quella fatta per durare e per cambiare le cose, va costruita con ben altri mezzi. E senza raccontare o raccontarsi disastrose frottole. Perché, come disse di seguito il Papa, «… dobbiamo avere memoria, pure, eh? Quante volte sotto questa scusa di fermare l’aggressore ingiusto, le potenze si sono impadronite dei popoli e hanno fatto una guerra di conquista!». E i popoli, forse più di noi, hanno la memoria lunga.
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